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Autore: Amelia Sweetedge    16/05/2017    4 recensioni
SPOILER 4X03 -
Una Preghiera sussurrata negli angoli più lontani della sua mente, mentre Sherlock Holmes percorre le gelide stanze di Sherrinford.
«Lo specchio mi ha restituito
per anni
l'immagine di un automa,
unico riflesso a me familiare.
Oggi
mi restituisce una sorella
e una insolita,
vergognosa
voglia di piangere.»
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Sotto il mare niente
Preambolo alla Preghiera


 
 
Madre,
le stanze si rimpiccioliscono
e sto sprofondando nel grigiore assassino
di queste quattro mura.
Io avevo una sorella, madre,
e una profonda lacuna nel cuore
che mi ero dimenticato esistessero.
Ora ricordo,
mentre i suoi occhi così simili ai tuoi,
trapassano il velo dei miei.
Ricordo le canzoni,
ricordo i giochi d'acqua,
ricordo le risate
e non mi sembra vero che,
in un'altra vita,

io abbia riso.


Mentre mi guardava,
ti ho cercata nei tremori dei miei timori più neri,
ti ho cercata nell'ignoranza di tutti questi anni, proprio dove
non mi era passato per la mente di guardare prima e, madre, non c'eri.
Sto tremando,
perché crollano gli anni che mi facevano da scudo e al di là del vetro,
non ci sei tu.
Al di là della mia mano tesa, madre, vedo il mondo vacillare e non vedo te.
Dicevi
Figlio mio,
sei sempre stato tu quello sensibile.

Madre, non farlo.
Questa etichetta me l'hai attaccata tu addosso,
l'ultima volta che mi hai abbracciato, ed è uno scherzo 
che non fa ridere più nessuno.
Questa etichetta
ha cominciato a camminare per il mondo al posto mio e
non si è mai fermata,
perché per quanto io corra e corra
non riesco a raggiungerlo,
non riesco ad ucciderlo,
questo figlio tuo sensibile.


Lo specchio mi ha restituito
per anni
l'immagine di un automa,
unico riflesso a me familiare.
Oggi

mi restituisce una sorella
e una insolita,
vergognosa
voglia di piangere.



E non ho mai avuto così poca voglia di ridere,
di ragionare, di osservare.
Non ho mai avuto così poca voglia di essere ciò che tu dici
io sia.
Ho strisciato sui pavimenti della mia vita
così tante volte,
da non sapere più dov'ero partito; da non chiedermi più
dove fossi diretto.
La mia strada l'ha guidata mia sorella,
madre,
perché tu non mi hai mai raggiunto.
Ero ormai troppo lontano:
hai lasciato le mie dita e mi hai detto
di andare con il futuro, adesso, da bravo,
e non voltarmi indietro.


Mi hai dato leggende e mondi irreali in cui crescere,
in cui sguazzare
per una vita intera,
tanto da non riuscire più a riconoscere
un cane
da un bambino.
Ho lasciato cadere le mie mani lungo i fianchi,
madre,

ed ho aspettato
che l'acqua si asciugasse.
Ma come si asciuga una cascata perenne?
Quanti soli servono?
Quante urla.
Chiederei a te: tu li conosci
i segreti dei grandi numeri che ti hanno plasmata, catturata
e annullata.


Madre, dove sei,
mi cadono addosso
le macerie di una vita
senza di te,
non so come fermarlo, non so come impedirlo.

In mezzo al caos della mia morte, mi sono seduto
ed ho aspettato: le ombre avanzavano,
ed erano inesorabili.


Hai lasciato che mia sorella mi vivisezionasse il cuore,
perché non le hai mai insegnato cos'è il dolore,
e tutto ciò che le è rimasto in testa,
dopo tutti questi anni,
è la voglia di giocare.
Perché ci hai fatto questo, madre, perché
ci hai fatto credere che nel nostro sangue scorressero
gelide logiche di cartapesta?
E le canzoni,

che cantavamo da piccoli,
e la voce fredda
dei miei incubi,
che era quella di mia sorella
e io, madre, non l'ho riconosciuta,

troppo occupato
a cercare altrove
qualcosa che avevo sempre avuto
dentro.



Nella mia testa ci sono porte chiuse,
dietro le quali ho nascosto
il mio dolore, il mio fastidio, il mio canto
e gli ho sussurrato:
fate silenzio, devo andare avanti.
Sono andato avanti e, incoerente, ti ho cercata
nella rabbia della mia vita,
in una siringa polverosa
e nel silenzio di una città all'alba,
perché questo è un gioco a cui non voglio più giocare.


Ciò che ho imparato
lontano da te,
è che
le nostre vite non ci appartengono:
non siamo che foglie secche e solitarie,
ingiallite sotto il sole,
ferme per essere calpestate
o innalzate per aria,
immagine tanto romantica
da fare
schifo.

La mia vita non mi appartiene,
e questo non me l'hai insegnato tu:
l
'ho capito a mie spese,
altissime spese,
quando ho visto qualcuno
morire
per me.


Cammino ogni giorno
sempre più lentamente,
e le stanze sembrano rimpicciolirsi,
perché sulle spalle porto il peso
di certi occhi 
di certe parole:
ormai hanno riempito il vuoto nel mio petto
e sono ingombranti.

Ormai non li associo più a un viso,
ormai sono sussurri
che vivono dietro le porte nella mia testa.
Non mi hai mai detto che le scelte di una vita
e le persone che ho sfiorato
in questi anni inconsapevoli,
mi potessero cambiare dentro, fino a riscrivere
l'unica storia di cui conoscevo il finale: la mia.
O così credevo.


Ho smesso di essere felice quel giorno che la vita
mi ha portato via l'infanzia
e non me l'ha mai più restituita.

Sono cresciuto nella vergogna
di questo unico pensiero,
negando

questa mai semplice,
raramente pura verità.
Molte volte ho cercato di ricordare il giorno in cui
ti ho lasciata andare, madre; il giorno in cui
ho sorriso insieme a te per l'ultima volta,
prima di allontanarmi per raggiungere un bivio cieco
che non esiste in nessuna mappa,
in cui la strada non si ferma,
mai si ferma.


Nei tremori più neri della mia vita, non respiro più:
ho disimparato come vivere
ed ho imparato a morire.
Mi sono nutrito per anni di ombre
e di bugie

ma provenivano,
dagli angoli più dimenticati della mia mente,
gli spifferi tenui
dei tuoi sorrisi.


Ancora una volta il mare ci separa,
Madre,
e il vento dell'Est urla
implacabile
ma oggi è arrivato.
Tu donami giorni più chiari,
Veglia
e Proteggimi.
   
 
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