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Autore: Juliet    09/06/2009    3 recensioni
Un sussurro a fior di labbra.
“Hai promesso, Harry…”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non riusciva a prendere sonno, quella notte

Categoria: Harry Potter

Titolo: Keep a Secret for Me

Autrice: Juliet

Personaggi&Pairings: Harry Potter, Ginny Weasley, Ronald Weaslye, Michael Corner, Hermione Granger, Luna Lovegood.

Rating: R (Arancione)

Avvertimenti: One – shot, leggermente Lemon in alcune parti;

 

 

Prima di iniziare, ci terrei a scrivere qualche parolina su questa fic.

Brevemente, si tratta di una one – shot divisa in tre parti, con protagonista sempre – in qualche modo – Ginny Weasley, alle prese con diversi personaggi in diversi momenti della sua vita, in diversi luoghi. E tutto gira sempre attorno a qualche “segreto”, che può essere una confidenza, una spiegazione, una reticenza particolare di qualcuno… vedrete, insomma.

Finalmente questa fanfic è pronta. XD

Buona lettura!

Juls

 

 

 

 

Keep a Secret for Me

 

 

 

 

The Burrow, estate 1998

 

 

Non riusciva a prendere sonno, quella notte.

Non che per Harry Potter si trattasse di una situazione inusuale. Eppure aveva, inequivocabilmente, un che di diverso la velata bruma di spossatezza che gli appesantiva le membra ma non riusciva a schiavizzare la sua mente. Sembrava non voler permettere che l’oblio sconosciuto lo accogliesse fra le sua braccia, ora che i suoi pensieri non correvano più il rischio di essere avvertiti da qualcun altro. Nella sua logica, il ragazzo non riusciva a spiegarsi il perché, nemmeno ora che Voldemort era caduto, non riuscisse ad abbandonarsi ad un sonno indolore.

Non piacevole. Dei sogni non gli importava poi un granché.

Sarebbe bastato che fosse indolore, anche se vuoto e dalle invisibili impronte.

Gli sarebbe bastato poter essere libero di dormire.

“Ehi…”

Harry si girò lentamente e le piantò lo sguardo addosso.

Bella, era sempre bella, nonostante tutto.

I suoi occhi indugiarono fra le pieghe del lungo abito nero che aveva portato per tutto il giorno, attenta a che non si sgualcisse minimamente. L’aveva vista sistemarlo continuamente, quasi lo volesse perfetto per una qualche ragione che Harry credeva di aver capito un momento e su cui tornava ad interrogarsi quello dopo.

“Non vai a dormire?”

Lei fece un mezzo sorriso che nulla aveva a che vedere con il suo solito mezzo sorriso. Quest’ultimo gli faceva stringere lo stomaco al pensiero di non poter fare sì che rimanesse suo per sempre, ma il primo… il primo era – indiscutibilmente – una pugnalata di desiderio. Portò lo sguardo sul viso di lei, pallido come non era mai stato, forse per il dolore, forse anche per il contrasto con l’abito.

“Non voglio dormire, stanotte,” rispose semplicemente, avanzando fino a fermarsi al suo fianco. Guardava le stelle, almeno in apparenza, lasciando che una dimensione a cui nessuno di loro era mai appartenuto allungasse una incorporea mano, sfidandola ad afferrarla. “Quindi, ho due opzioni, le uniche due a cui sono riuscita a pensare. La prima è rimanere qua fuori, in silenzio, accanto a te.”

Incontrò i suoi occhi.

“La seconda è fare l’amore con te.”

Harry sostenne il suo sguardo per un fuggevole istante; poi scosse appena la testa.

“No, Ginny. No.”

Non la stava guardando, ma l’espressione del suo viso era come impressa a fuoco nel punto di cielo che i suoi occhi cercavano disperatamente di guardare. Scacciando lei, cancellando quel viso come fosse stato un semplice tratto accennato da un dito sulla sabbia, e non riuscendovi.

“’No, Ginny’… ‘no, Ginevra’, ‘no, Ginny’. E poi tu, Harry, con i tuoi bei discorsi…”

La voce le si ruppe improvvisamente, facendo sì che il silenzio solo, per un lungo attimo, riempisse la sottile distanza fra i loro corpi. La ragazza si portò una mano alle labbra e la premette lì, gli occhi rivolti al prato su cui poggiavano. Ovviamente non piangeva, non era da lei. Era solo furiosa, arrabbiata e ferita, così tanto da causare male fisico a lui con un semplice gesto volto ad aggrapparsi a quelle emozioni con testardaggine, impedendo loro di trovare l’uscita di un labirinto e scomparire una volta al suo esterno.

Harry le prese il polso con una mano, costringendola a rivelare nuovamente il viso in tutta la sua interezza. Con l’altra, lo alzò dolcemente, incontrando i suoi grandi occhi color cioccolata, appena velati da una qualche elaborata consapevolezza che solo pochi giorni prima mancava.

“Non ti aiuterebbe.”

Ginny scosse il viso, ottenendo che lui abbassasse la mano che le teneva delicatamente il mento.

“Ho sempre rispettato le tue richieste, Harry, anche quando le ritenevo assolutamente non necessarie. Anche quando ritenevo che non ti avrebbero aiutato. E tu hai sempre fatto di testa tua, hai sempre deciso senza consultarmi che cosa era meglio… e qualsiasi cosa tu dica, era sempre meglio per te piuttosto che per me!”

Harry fece un passo indietro, involontariamente.

“Meglio per me? Io, Ginny, avevo una missione da compiere a cui forse non avrei nemmeno mai pensato se la situazione fosse stata diversa, ma --”

“La situazione?” ripeté la ragazza, quasi con sdegno, “C’è sempre una situazione in mezzo, non è vero? Sempre un problema che il grande eroe tragico dell’universo deve risolvere da solo, fregandosene di chi invece --”

Senza rendersene conto, Harry l’aveva afferrata per le braccia, all’altezza dei gomiti, ed ora lasciava che lei urlasse, la testa china a pochi centimetri dal suo petto, la voce via via sempre più incrinata dal dolore che  le pulsava all’interno.

Da qualche parte, vicino al cuore.

Si accasciò a terra, sulle ginocchia, seguita da Harry, che non la lasciava andare. Ascoltando il suo respiro affannoso, il ragazzo le sciolse i capelli, scuri alla mercé delle ombre notturne, ma pur sempre screziati di rame ai raggi lunari.

“Non passerà mai veramente, quello che la morte di tuo fratello ti ha inferto, Ginny. È qualcosa che ti accompagnerà sempre, forse in maniera più subdola e meno plateale di quello che accompagna me, ogni singolo giorno.

Ma se stanotte facciamo l’amore, non passerà, e nemmeno se faremo l’amore anche domani e dopodomani, o tutte le notti di tutta la tua vita.”

Ginny rimase in silenzio, ma alzò il viso. Nei suoi occhi, ora, le lacrime scintillavano, eppure non permise loro di bagnarle le guance.

“Lasciami le braccia, Harry,” chiese in un sussurro. Dopo un solo attimo di esitazione, il ragazzo esaudì la sua richiesta. Lentamente, Ginny le sollevò fino a circondare il suo collo, attirandolo leggermente verso di sé. Poi si raddrizzò sulle ginocchia, in modo da portare le sua labbra alla stessa altezza di quelle di Harry.

“Terrai questo segreto per me?”

“Quale segreto?”

“Promettimelo, Harry. Per me.”

Il ragazzo annuì.

“Questa notte è identica ad una notte che ho vissuto in un sogno. Tutto quello che sento è identico, ogni emozione, ogni parola, ogni movimento del tuo corpo e del mio… non distruggere una lastra di vetro che riflette solamente quello che deve essere, Harry.”

Ginny posò le labbra fredde su quelle del ragazzo e lo baciò con lentezza, prima il labbro superiore e poi quello inferiore, un velo di trasparente incertezza nell’attesa della sua risposta.

Un sussurro a fior di labbra.

“Hai promesso, Harry…”

Lui la trasse a sé improvvisamente, lasciando scivolare le sua labbra lungo il collo nudo di Ginny. La sentì prendere un respiro tremante mentre le sue braccia la costringevano addosso al suo corpo, impedendole pressoché ogni movimento atto a liberarsi.

Staccò allora le labbra dal collo di lei e rialzò la testa.

“Potrebbe farti male.”

Il vento che le scompigliava i capelli, gettandoglieli sul viso, sembrò ridere come usava ridere lei, in quei pomeriggi assolati di maggio che avevano passato insieme ad Hogwarts, sulle rive del lago.

 

 

 

***

 

 

Hogwarts, inverno 1995

 

 

“Buongiorno, Ginny”.

La ragazza ricambiò il sorriso di Hermione, facendole posto accanto a lei al tavolo di Grifondoro.

L’amica si sedette, posando con delicatezza il giornale appena recapitatole da uno dei gufi del Ministero, che aspettava di essere pagato.

“Gin, hai per caso qualche Zellino? Non riesco a capire che fine abbiano fatto quelli che avevo messo via ieri sera, apposta per la Gazzetta…”.

Hermione le rivolse un’occhiata ansiosa mentre il gufo iniziava a sbattere le ali, apparentemente irritato.

Scosse la testa.

“Non ho nemmeno un certo Galeone, qui con me, al momento…” ribatté, sorridendo appena. “Fatti dare il resto, no?”

Hermione si morse appena il labbro inferiore.

“Secondo te sanno dare il resto?” domandò, preoccupata.

L’arrivo provvidenziale di Fred e George le evitò di rispondere.

“Buongiorno. Che succede, Hermione?”

“Io…”

“Non è che avete qualche Zellino con voi? Credo che presto le si avventerà addosso…” commentò Ginny, indicando con un cenno un’ Hermione indaffarata a frugare nella borsa dei libri con disperazione crescente e il gufo, sempre più irrequieto. I gemelli rimediarono le monete mancanti in un momento.

“Grazie mille, ragazzi,” sbuffò Hermione qualche minuto dopo, lasciandosi cadere scompostamente accanto a Ginny, “ve li restituirò non appena sarò tornata in Sala Comune” promise, seria.

Fred le rivolse un sorriso.

“Nessun problema, Hermione. Non avremmo mai permesso a quel gufo di sfigurarti a vita”.

“Perché davvero, sembrava pronto a saltarti addosso…”

“E poi li chiamano animali domestici…”

Ginny posò la tazza.

“Vi prego, non di prima mattina. Pietà.”

I gemelli scoppiarono a ridere; Fred le scompigliò i capelli ricevendo in cambio uno schiaffo sulla mano e si allontanò insieme a George.

Hermione aprì il giornale.

Ginny la lasciò fare per qualche momento prima di domandarle se c’era qualcosa di interessante.

“Niente di niente. Mi domando fino a quando coloro che sanno realmente che cosa sta succedendo là fuori tollereranno questa situazione assurda. Il Ministero sta seriamente facendo in modo che articoli contrari a quanto afferma Caramell non vengano pubblicati…”.

Ginny non rispose.

“Che succede?”

“Mh?”

“Sei assente, stamattina. Qualcosa non va?”

Ginny scrollò le spalle, incontrando solo per un attimo gli occhi dell’amica.

“No, niente. Sono solo un po’ stanca. Non preoccuparti”.

 

 

 

*

 

 

 

“Ehi, Gin…”

La ragazza sorrise, riconoscendo Michael Corner nel ragazzo che l’aveva presa per un braccio mentre si recava dalla Biblioteca alla Sala Comune, trascinata in un’aula vuota e addossata al muro.

“Ciao, Michael. Non dovresti essere già in Sala Comune?”

Lui sorrise  e la baciò brevemente sulle labbra.

“E tu, allora?”

“Io ero in Biblioteca,” si difese Ginny, mostrando i libri che ancora teneva contro un fianco. “Tu che scusa hai?”

“Ti aspettavo. Ecco la mia scusa” sorrise Michael, prima di baciarla ancora. Ginny si staccò da lui pochi istanti dopo.

“Aspetta, fammi posare i libri”.

Michael li prese e li lanciò sul banco più vicino, dove atterrarono piuttosto scompostamente.

“Sì, vedi di distruggermeli del tutto…” commentò ironica Ginny, alzando gli occhi al cielo. Vedendolo tornare sui suoi passi allungò le braccia nella sua direzione, riportandoselo addosso.

“E adesso, Gin?” la prese in giro con un sorriso Michael, parlando sulle labbra di lei.

“Adesso,” soffiò Ginny, in risposta, “facciamolo qui”.

“Sai, Gin,” mormorò lui, aprendole la camicetta e togliendole il reggiseno “che era proprio quello che speravo avresti detto?”

Lei rise piano, riportando il viso del ragazzo all’altezza del suo.

“Non l’avrei mai detto…”

“E invece…”

Ginny sciolse il nodo scomposto della sua cravatta e gli aprì del tutto la camicia, spingendola giù per le sue braccia. Poi lo allontanò un poco e si chinò, levandosi le mutandine senza aprire la gonna. Le lasciò cadere a terra e spostò le dita nei pantaloni di lui, lentamente.

Per il ragazzo, piacevolmente troppo lentamente.

“Gin,” mormorò, la voce più roca del solito, “sei dannatamente… brava…”

“Grazie,” sussurrò lei, facendo risalire una mano lungo la spina dorsale del ragazzo, facendolo inarcare ancora di più verso di lei. Rabbrividiva di piacere, gemendo piano. “So anche essere più brava…”

Percorse con le labbra il suo collo, scendendo lungo il petto e l’addome, fino ad arrivare all’altezza dell’inguine. Come sfiorò la sua erezione, il ragazzo gemette più forte. Le sue mani trovarono i capelli della ragazza e le sue dita vi si immersero. Le fece scendere fino alle sue spalle e la fece rialzare, spingendola con fermezza contro il muro di pietra.

“Hai freddo?” le sussurrò, addossandosi a lei.

Ginny scosse la testa, aumentando la pressione del corpo di lui sul suo, ansimando di piacere quando la penetrò. I loro gemiti si mescolarono, sempre più forti, spinta dopo spinta.

 

 

*

 

 

 

 

“Oh, ciao, Ginny!”

“Luna… ciao. Cosa…?” iniziò, contemplando alquanto stranita una specie di frisbee grande quanto un vassoio che la ragazza stringeva in una mano.

“Oh, questo? Non ne avevi mai visto uno prima? Strano! Credevo fossero piuttosto comuni, mio padre ne ha una collezione incredibile…”

Ginny sorrise.

“Che cos’è?”

“Una specie di gioco. Vedi qui? Ci puoi infilare una tua foto, o quella di un tuo amico o famigliare… tutti devono averne uno personale, per poterci giocare. Poi lo lanci il più lontano possibile da te, a turno. Vince quello che lancia il proprio più lontano” terminò con una scrollata di spalle.

“Beh, sembra… divertente” commentò Ginny con un sorriso.

Luna lo ricambiò, allegra.

“Te ne posso regalare uno. A mio padre non dispiacerà sapere che qualcuno lo userà per giocare con me, quando sto a scuola. Se tu davvero non ne hai uno…” continuò, apparendo davvero stupita per quella mancanza.

“Sarebbe carino… sempre che a tuo padre non dispiaccia, seriamente”.

“Oh no, non ti preoccupare. Ora è piuttosto impegnato in alcune sue ricerche, non avrebbe tempo di giocarci lo stesso, sai… il Ricciocorno Schiattoso lo sta davvero ossessionando, in questo periodo. Non riesce a catturarne nemmeno un cucciolo…” concluse, tristemente. “Mi piacerebbe davvero che ce la facesse. Significa molto per lui”.

“Ehm… lo immagino, Luna”.

La ragazza le piantò i grandi occhi grigi addosso.

“C’è qualcosa che non va, vero?” chiese dolcemente.

“No… no, tutto bene…” rispose Ginny, un po’ stupita dalla domanda improvvisa.

“Mi sembri un po’ abbattuta, da un po’. Non vorrei tu fossi stata contagiata da un Meritello. L’incubazione è lunghissima e gli attacchi sono davvero terribili, quest’anno…”

“No, non credo, Luna. Stavo solo pensando ad alcune cose che forse non avrei dovuto fare…” disse, abbassando lo sguardo sul libro aperto di fronte a sé. “Credo che lascerò Michael” aggiunse, dopo qualche attimo, con più sicurezza.

Era la prima volta che lo diceva ad alta voce, in presenza di qualcuno.

Luna annuì.

“Non è così fantastico” commentò, stupendo non poco Ginny, che rialzò lo sguardo di botto sulla minuta Corvonero.

“No, non lo è” si dichiarò d’accordo, dopo un momento.

“Eppure piace a moltissima gente. Piaceva anche a te, no?”

“Mh-mh”.

“Chissà perché…” si meravigliò Luna.

Ginny sorrise, divertita, e tutto ad un tratto il bisogno di parlare seriamente con qualcuno si manifestò in tutta la sua forza.

“Se ti raccontassi perché sono andata a finire proprio con Michael… terresti in segreto per me?”

 

 

***

 

 

Londra, primavera 2003

 

“Dormivi?”

Ronald Weasley si grattò distrattamente la parte sinistra del viso, puntando lo sguardo ancora offuscato dal sonno sulla sorella che lo guardava di rimando, le sopracciglia scomparse al di sotto della frangetta rossa che le nascondeva la fronte.

“Già. Che cosa vuoi, Ginny?” domandò, senza un particolare sforzo per apparire se non proprio felice di vederla, almeno educatamente curioso.

Lei scosse appena la testa.

“Mi fai entrare o cosa?”

Il fratello si spostò di lato, permettendole di accedere all’ingresso, e richiuse la porta alle loro spalle. La donna si diresse direttamente verso la cucina, senza aspettare di esservi accompagnata. Ron non poté far altro che seguirla, strascicando i piedi.

Quando la raggiunse scoprì che si stava dando da fare per mettere qualcosa sul fuoco. Da parte sua, si lasciò cadere su una sedia, rivolto verso la sua schiena.

“Ginny”.

“Ronald.”

“Non per essere scortese… hai un motivo particolare per il quale mi sei piombata in casa a quest’ora?”

Ginny non si voltò nemmeno.

“A quest’ora cioè alle dieci e mezzo di mattina. Quando le persone normali sono a lavorare, ad esempio. Non sprofondate sul divano del loro incasinatissimo salotto accanto a bottiglie di Burrobirra rovesciate – e nemmeno del tutto vuote – sul tappeto dei genitori di Hermione”.

Ron diede in uno sbuffo ma non rimbeccò alle parole della sorella.

“E, tra parentesi, fossi in te una doccia me la farei, Ron”.

Nonostante tutto, quest’ ultima battuta lo fece sorridere.

“Dopo aver bevuto il tuo caffè”.

Ginny fece schioccare la lingua. Quando parlò, però, il tono della sua voce si era leggermente addolcito.

“L’hai sentita?”

“Nah”.

“Ma non hai provato a contattarla…?”

“No. Non vuole parlarmi, Gin. Figurati se si lascia contattare…”

La donna lo raggiunse al tavolo della cucina, due tazze da caffè identiche che la precedevano; atterrarono dolcemente, senza spandere nemmeno una goccia della bevanda che contenevano fermandosi esattamente di fronte ai due fratelli.

“Ci hai messo lo zucchero?”

Ginny piegò le labbra in una smorfia.

“Guarda che me lo ricordo come prendi il caffè, Ron”.

“Non si sa mai,” fece il fratello di rimando, apparentemente sulla difensiva. Si portò la tazza alle labbra e sorseggiò.

Rimasero entrambi in silenzio fino a che Ron riuscì a frenare la domanda che al tempo stesso avrebbe e non avrebbe mai voluto fare.

“E tu? L’ hai sentita?”

Ginny posò la tazza e vi giocherellò un po’ prima di rispondere.

“Non dovrei davvero dirtelo, Ron”.

“Ma sei venuta tu qui!”

Lei annuì.

“Per vedere come stavi”.

“Benissimo, grazie”.

Ginny piegò appena la testa di lato, cercando gli occhi del fratello con i suoi.

“Beh, gran bel modo di dimostrarlo. Sembri un barbone”.

Ron si alzò di scatto dalla sedia.

“Ginny,” mormorò, la voce stanca, “non ho voglia. Davvero. Se non vuoi dirmi di lei, vai”.

La sorella lo imitò, abbandonando la tazza praticamente intatta al suo destino, sul quel tavolo in mogano disperatamente vuoto.

 

 

*

 

Ron si prese la testa fra le mani.

“Perché devo dirlo a qualcuno, Gin! Ho fatto una cazzata. Ed Hermione…”

“Hermione?”

“Lo sa. Non ho idea di come, ma lo sa”.

Lei si morse il labbro inferiore.

“Proprio da me dovevi venire? Sai che siamo amiche. Proprio a me dovevi venire a raccontare delle tue notti brave con altre donne?!”

Tacque e guardò il fratello per qualche secondo, in silenzio.

Poi sospirò.

“Sai che terrò il tuo segreto, Ron, di chiunque si tratti. Avanti, adesso, ripulisciti la coscienza”.

 

 

*

 

 

“Ron”.

Entrambi si voltarono verso la porta dell’ingresso che si spalancava. Hermione che rientrava dal giro di compere e commissioni di ogni giovedì mattina. La sua giornata di riposo dal Ministero.

Abbracciò brevemente Ginny ancora con la borsetta sottobraccio, senza essersi tolta il cappotto. Ignorò quasi del tutto il marito, che da parte sua seguì il suo esempio senza particolare dispiacere.

“Cara, come stai?”

“Bene, grazie. Ero passata un attimo a vedere come…”

“Ma certo, quando vuoi”.

Sembrava che Hermione non l’avesse nemmeno ascoltata, ora di nuovo alle prese con le borse della spesa che aveva trascinato poco prima in casa e ammucchiato accanto alla porta.

 

Ginny colse lo sguardo di Ron.

Alle spalle dell’affaccendatissima Hermione, allungò un braccio a stringere per un attimo le dita del fratello.

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Note dell’Autrice

 

Bene, come avrete capito da voi (forse, questa è la cosa più strana che io abbia mai scritto XD), le tre stelline dividono la fic in tre parti, la stellina singola divide i momenti che compongono una sola parte. Non  si sa mai, quindi lo scrivo XD

Spero vi sia piaciuta, KASFM è stata difficile da scrivere, spesso molto odiata dalla sottoscritta che non riusciva a tirarci fuori qualcosa di nemmeno al limite della decenza.

Spero abbiate gradito.

Grazie a tutti i lettori/recensori/preferitori possibili ^^

 

Juls

 

PS: e come dimenticare la dedica. Ovviamente alla Gaia. Ti voglio bene.

 

  
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