Categoria:
Harry Potter
Titolo:
Keep a Secret for Me
Autrice:
Juliet
Personaggi&Pairings:
Harry Potter, Ginny Weasley, Ronald Weaslye, Michael
Corner, Hermione Granger, Luna Lovegood.
Rating: R (Arancione)
Avvertimenti: One – shot, leggermente Lemon in alcune parti;
Prima di iniziare, ci terrei a scrivere qualche
parolina su questa fic.
Brevemente, si tratta di una one – shot divisa in tre
parti, con protagonista sempre – in qualche modo – Ginny Weasley, alle prese
con diversi personaggi in diversi momenti della sua vita, in diversi luoghi. E
tutto gira sempre attorno a qualche “segreto”, che può essere una confidenza,
una spiegazione, una reticenza particolare di qualcuno… vedrete, insomma.
Finalmente questa fanfic è pronta. XD
Buona lettura!
Juls
Keep a Secret for Me
The Burrow, estate
1998
Non riusciva a
prendere sonno, quella notte.
Non che per Harry
Potter si trattasse di una situazione inusuale. Eppure aveva,
inequivocabilmente, un che di diverso la velata bruma di spossatezza che gli
appesantiva le membra ma non riusciva a schiavizzare la sua mente. Sembrava non
voler permettere che l’oblio sconosciuto lo accogliesse fra le sua braccia, ora
che i suoi pensieri non correvano più il rischio di essere avvertiti da qualcun
altro. Nella sua logica, il ragazzo non riusciva a spiegarsi il perché, nemmeno
ora che Voldemort era caduto, non riuscisse ad abbandonarsi ad un sonno
indolore.
Non piacevole. Dei
sogni non gli importava poi un granché.
Sarebbe bastato che
fosse indolore, anche se vuoto e dalle invisibili impronte.
Gli sarebbe bastato
poter essere libero di dormire.
“Ehi…”
Harry si girò
lentamente e le piantò lo sguardo addosso.
Bella, era sempre
bella, nonostante tutto.
I suoi occhi
indugiarono fra le pieghe del lungo abito nero che aveva portato per tutto il
giorno, attenta a che non si sgualcisse minimamente. L’aveva vista sistemarlo
continuamente, quasi lo volesse perfetto per una qualche ragione che Harry
credeva di aver capito un momento e su cui tornava ad interrogarsi quello dopo.
“Non vai a
dormire?”
Lei fece un mezzo
sorriso che nulla aveva a che vedere con il suo solito mezzo sorriso.
Quest’ultimo gli faceva stringere lo stomaco al pensiero di non poter fare sì
che rimanesse suo per sempre, ma il primo… il primo era – indiscutibilmente –
una pugnalata di desiderio. Portò lo sguardo sul viso di lei, pallido come non
era mai stato, forse per il dolore, forse anche per il contrasto con l’abito.
“Non voglio
dormire, stanotte,” rispose semplicemente, avanzando fino a fermarsi al suo
fianco. Guardava le stelle, almeno in apparenza, lasciando che una dimensione a
cui nessuno di loro era mai appartenuto allungasse una incorporea mano,
sfidandola ad afferrarla. “Quindi, ho due opzioni, le uniche due a cui sono
riuscita a pensare. La prima è rimanere qua fuori, in silenzio, accanto a te.”
Incontrò i suoi
occhi.
“La seconda è fare
l’amore con te.”
Harry sostenne il
suo sguardo per un fuggevole istante; poi scosse appena la testa.
“No, Ginny. No.”
Non la stava
guardando, ma l’espressione del suo viso era come impressa a fuoco nel punto di
cielo che i suoi occhi cercavano disperatamente di guardare. Scacciando lei,
cancellando quel viso come fosse stato un semplice tratto accennato da un dito
sulla sabbia, e non riuscendovi.
“’No, Ginny’… ‘no,
Ginevra’, ‘no, Ginny’. E poi tu, Harry, con i tuoi bei discorsi…”
La voce le si ruppe
improvvisamente, facendo sì che il silenzio solo, per un lungo attimo,
riempisse la sottile distanza fra i loro corpi. La ragazza si portò una mano
alle labbra e la premette lì, gli occhi rivolti al prato su cui poggiavano.
Ovviamente non piangeva, non era da lei. Era solo furiosa, arrabbiata e ferita,
così tanto da causare male fisico a lui con un semplice gesto volto ad
aggrapparsi a quelle emozioni con testardaggine, impedendo loro di trovare
l’uscita di un labirinto e scomparire una volta al suo esterno.
Harry le prese il
polso con una mano, costringendola a rivelare nuovamente il viso in tutta la
sua interezza. Con l’altra, lo alzò dolcemente, incontrando i suoi grandi occhi
color cioccolata, appena velati da una qualche elaborata consapevolezza che
solo pochi giorni prima mancava.
“Non ti
aiuterebbe.”
Ginny scosse il
viso, ottenendo che lui abbassasse la mano che le teneva delicatamente il
mento.
“Ho sempre
rispettato le tue richieste, Harry, anche quando le ritenevo assolutamente non
necessarie. Anche quando ritenevo che non ti avrebbero aiutato. E tu hai
sempre fatto di testa tua, hai sempre deciso senza consultarmi che cosa era
meglio… e qualsiasi cosa tu dica, era sempre meglio per te piuttosto che per
me!”
Harry fece un passo
indietro, involontariamente.
“Meglio per me? Io,
Ginny, avevo una missione da compiere a cui forse non avrei nemmeno mai pensato
se la situazione fosse stata diversa, ma --”
“La situazione?”
ripeté la ragazza, quasi con sdegno, “C’è sempre una situazione in mezzo, non è
vero? Sempre un problema che il grande eroe tragico dell’universo deve
risolvere da solo, fregandosene di chi invece --”
Senza rendersene
conto, Harry l’aveva afferrata per le braccia, all’altezza dei gomiti, ed ora
lasciava che lei urlasse, la testa china a pochi centimetri dal suo petto, la
voce via via sempre più incrinata dal dolore che le pulsava all’interno.
Da qualche parte,
vicino al cuore.
Si accasciò a
terra, sulle ginocchia, seguita da Harry, che non la lasciava andare.
Ascoltando il suo respiro affannoso, il ragazzo le sciolse i capelli, scuri
alla mercé delle ombre notturne, ma pur sempre screziati di rame ai raggi
lunari.
“Non passerà mai
veramente, quello che la morte di tuo fratello ti ha inferto, Ginny. È qualcosa
che ti accompagnerà sempre, forse in maniera più subdola e meno plateale di
quello che accompagna me, ogni singolo giorno.
Ma se stanotte
facciamo l’amore, non passerà, e nemmeno se faremo l’amore anche domani e
dopodomani, o tutte le notti di tutta la tua vita.”
Ginny rimase in
silenzio, ma alzò il viso. Nei suoi occhi, ora, le lacrime scintillavano,
eppure non permise loro di bagnarle le guance.
“Lasciami le
braccia, Harry,” chiese in un sussurro. Dopo un solo attimo di esitazione, il
ragazzo esaudì la sua richiesta. Lentamente, Ginny le sollevò fino a circondare
il suo collo, attirandolo leggermente verso di sé. Poi si raddrizzò sulle
ginocchia, in modo da portare le sua labbra alla stessa altezza di quelle di
Harry.
“Terrai questo
segreto per me?”
“Quale segreto?”
“Promettimelo,
Harry. Per me.”
Il ragazzo annuì.
“Questa notte è
identica ad una notte che ho vissuto in un sogno. Tutto quello che sento è
identico, ogni emozione, ogni parola, ogni movimento del tuo corpo e del mio…
non distruggere una lastra di vetro che riflette solamente quello che deve
essere, Harry.”
Ginny posò le
labbra fredde su quelle del ragazzo e lo baciò con lentezza, prima il labbro
superiore e poi quello inferiore, un velo di trasparente incertezza nell’attesa
della sua risposta.
Un sussurro a fior
di labbra.
“Hai promesso,
Harry…”
Lui la trasse a sé
improvvisamente, lasciando scivolare le sua labbra lungo il collo nudo di
Ginny. La sentì prendere un respiro tremante mentre le sue braccia la
costringevano addosso al suo corpo, impedendole pressoché ogni movimento atto a
liberarsi.
Staccò allora le
labbra dal collo di lei e rialzò la testa.
“Potrebbe farti
male.”
Il vento che le
scompigliava i capelli, gettandoglieli sul viso, sembrò ridere come usava
ridere lei, in quei pomeriggi assolati di maggio che avevano passato insieme ad
Hogwarts, sulle rive del lago.
***
Hogwarts, inverno
1995
“Buongiorno,
Ginny”.
La ragazza ricambiò
il sorriso di Hermione, facendole posto accanto a lei al tavolo di Grifondoro.
L’amica si sedette,
posando con delicatezza il giornale appena recapitatole da uno dei gufi del
Ministero, che aspettava di essere pagato.
“Gin, hai per caso
qualche Zellino? Non riesco a capire che fine abbiano fatto quelli che avevo
messo via ieri sera, apposta per la Gazzetta…”.
Hermione le rivolse
un’occhiata ansiosa mentre il gufo iniziava a sbattere le ali, apparentemente
irritato.
Scosse la testa.
“Non ho nemmeno un certo
Galeone, qui con me, al momento…” ribatté, sorridendo appena. “Fatti dare il
resto, no?”
Hermione si morse
appena il labbro inferiore.
“Secondo te sanno
dare il resto?” domandò, preoccupata.
L’arrivo
provvidenziale di Fred e George le evitò di rispondere.
“Buongiorno. Che
succede, Hermione?”
“Io…”
“Non è che avete
qualche Zellino con voi? Credo che presto le si avventerà addosso…” commentò
Ginny, indicando con un cenno un’ Hermione indaffarata a frugare nella borsa
dei libri con disperazione crescente e il gufo, sempre più irrequieto. I
gemelli rimediarono le monete mancanti in un momento.
“Grazie mille,
ragazzi,” sbuffò Hermione qualche minuto dopo, lasciandosi cadere
scompostamente accanto a Ginny, “ve li restituirò non appena sarò tornata in
Sala Comune” promise, seria.
Fred le rivolse un
sorriso.
“Nessun problema,
Hermione. Non avremmo mai permesso a quel gufo di sfigurarti a vita”.
“Perché davvero,
sembrava pronto a saltarti addosso…”
“E poi li chiamano
animali domestici…”
Ginny posò la
tazza.
“Vi prego, non di
prima mattina. Pietà.”
I gemelli
scoppiarono a ridere; Fred le scompigliò i capelli ricevendo in cambio uno
schiaffo sulla mano e si allontanò insieme a George.
Hermione aprì il
giornale.
Ginny la lasciò
fare per qualche momento prima di domandarle se c’era qualcosa di interessante.
“Niente di niente.
Mi domando fino a quando coloro che sanno realmente che cosa sta succedendo là
fuori tollereranno questa situazione assurda. Il Ministero sta seriamente facendo
in modo che articoli contrari a quanto afferma Caramell non vengano
pubblicati…”.
Ginny non rispose.
“Che succede?”
“Mh?”
“Sei assente,
stamattina. Qualcosa non va?”
Ginny scrollò le
spalle, incontrando solo per un attimo gli occhi dell’amica.
“No, niente. Sono
solo un po’ stanca. Non preoccuparti”.
*
“Ehi, Gin…”
La ragazza sorrise,
riconoscendo Michael Corner nel ragazzo che l’aveva presa per un braccio mentre
si recava dalla Biblioteca alla Sala Comune, trascinata in un’aula vuota e
addossata al muro.
“Ciao, Michael. Non
dovresti essere già in Sala Comune?”
Lui sorrise e la baciò brevemente sulle labbra.
“E tu, allora?”
“Io ero in
Biblioteca,” si difese Ginny, mostrando i libri che ancora teneva contro un
fianco. “Tu che scusa hai?”
“Ti aspettavo. Ecco
la mia scusa” sorrise Michael, prima di baciarla ancora. Ginny si staccò da lui
pochi istanti dopo.
“Aspetta, fammi
posare i libri”.
Michael li prese e
li lanciò sul banco più vicino, dove atterrarono piuttosto scompostamente.
“Sì, vedi di
distruggermeli del tutto…” commentò ironica Ginny, alzando gli occhi al cielo.
Vedendolo tornare sui suoi passi allungò le braccia nella sua direzione,
riportandoselo addosso.
“E adesso, Gin?” la
prese in giro con un sorriso Michael, parlando sulle labbra di lei.
“Adesso,” soffiò
Ginny, in risposta, “facciamolo qui”.
“Sai, Gin,” mormorò
lui, aprendole la camicetta e togliendole il reggiseno “che era proprio quello
che speravo avresti detto?”
Lei rise piano,
riportando il viso del ragazzo all’altezza del suo.
“Non l’avrei mai
detto…”
“E invece…”
Ginny sciolse il
nodo scomposto della sua cravatta e gli aprì del tutto la camicia, spingendola
giù per le sue braccia. Poi lo allontanò un poco e si chinò, levandosi le
mutandine senza aprire la gonna. Le lasciò cadere a terra e spostò le dita nei
pantaloni di lui, lentamente.
Per il ragazzo,
piacevolmente troppo lentamente.
“Gin,” mormorò, la
voce più roca del solito, “sei dannatamente… brava…”
“Grazie,” sussurrò
lei, facendo risalire una mano lungo la spina dorsale del ragazzo, facendolo
inarcare ancora di più verso di lei. Rabbrividiva di piacere, gemendo piano. “So
anche essere più brava…”
Percorse con le
labbra il suo collo, scendendo lungo il petto e l’addome, fino ad arrivare
all’altezza dell’inguine. Come sfiorò la sua erezione, il ragazzo gemette più
forte. Le sue mani trovarono i capelli della ragazza e le sue dita vi si
immersero. Le fece scendere fino alle sue spalle e la fece rialzare,
spingendola con fermezza contro il muro di pietra.
“Hai freddo?” le
sussurrò, addossandosi a lei.
Ginny scosse la
testa, aumentando la pressione del corpo di lui sul suo, ansimando di piacere
quando la penetrò. I loro gemiti si mescolarono, sempre più forti, spinta dopo
spinta.
*
“Oh, ciao, Ginny!”
“Luna… ciao.
Cosa…?” iniziò, contemplando alquanto stranita una specie di frisbee grande
quanto un vassoio che la ragazza stringeva in una mano.
“Oh, questo? Non ne
avevi mai visto uno prima? Strano! Credevo fossero piuttosto comuni, mio padre
ne ha una collezione incredibile…”
Ginny sorrise.
“Che cos’è?”
“Una specie di
gioco. Vedi qui? Ci puoi infilare una tua foto, o quella di un tuo amico o
famigliare… tutti devono averne uno personale, per poterci giocare. Poi lo
lanci il più lontano possibile da te, a turno. Vince quello che lancia il
proprio più lontano” terminò con una scrollata di spalle.
“Beh, sembra…
divertente” commentò Ginny con un sorriso.
Luna lo ricambiò,
allegra.
“Te ne posso
regalare uno. A mio padre non dispiacerà sapere che qualcuno lo userà per
giocare con me, quando sto a scuola. Se tu davvero non ne hai uno…” continuò,
apparendo davvero stupita per quella mancanza.
“Sarebbe carino…
sempre che a tuo padre non dispiaccia, seriamente”.
“Oh no, non ti
preoccupare. Ora è piuttosto impegnato in alcune sue ricerche, non avrebbe
tempo di giocarci lo stesso, sai… il Ricciocorno Schiattoso lo sta davvero
ossessionando, in questo periodo. Non riesce a catturarne nemmeno un cucciolo…”
concluse, tristemente. “Mi piacerebbe davvero che ce la facesse. Significa
molto per lui”.
“Ehm… lo immagino,
Luna”.
La ragazza le
piantò i grandi occhi grigi addosso.
“C’è qualcosa che
non va, vero?” chiese dolcemente.
“No… no, tutto
bene…” rispose Ginny, un po’ stupita dalla domanda improvvisa.
“Mi sembri un po’
abbattuta, da un po’. Non vorrei tu fossi stata contagiata da un Meritello.
L’incubazione è lunghissima e gli attacchi sono davvero terribili, quest’anno…”
“No, non credo,
Luna. Stavo solo pensando ad alcune cose che forse non avrei dovuto fare…”
disse, abbassando lo sguardo sul libro aperto di fronte a sé. “Credo che
lascerò Michael” aggiunse, dopo qualche attimo, con più sicurezza.
Era la prima volta
che lo diceva ad alta voce, in presenza di qualcuno.
Luna annuì.
“Non è così
fantastico” commentò, stupendo non poco Ginny, che rialzò lo sguardo di botto
sulla minuta Corvonero.
“No, non lo è” si
dichiarò d’accordo, dopo un momento.
“Eppure piace a
moltissima gente. Piaceva anche a te, no?”
“Mh-mh”.
“Chissà perché…” si
meravigliò Luna.
Ginny sorrise,
divertita, e tutto ad un tratto il bisogno di parlare seriamente con qualcuno
si manifestò in tutta la sua forza.
“Se ti raccontassi
perché sono andata a finire proprio con Michael… terresti in segreto per me?”
***
Londra, primavera
2003
“Dormivi?”
Ronald Weasley si
grattò distrattamente la parte sinistra del viso, puntando lo sguardo ancora
offuscato dal sonno sulla sorella che lo guardava di rimando, le sopracciglia
scomparse al di sotto della frangetta rossa che le nascondeva la fronte.
“Già. Che cosa
vuoi, Ginny?” domandò, senza un particolare sforzo per apparire se non proprio
felice di vederla, almeno educatamente curioso.
Lei scosse appena
la testa.
“Mi fai entrare o
cosa?”
Il fratello si
spostò di lato, permettendole di accedere all’ingresso, e richiuse la porta
alle loro spalle. La donna si diresse direttamente verso la cucina, senza
aspettare di esservi accompagnata. Ron non poté far altro che seguirla,
strascicando i piedi.
Quando la raggiunse
scoprì che si stava dando da fare per mettere qualcosa sul fuoco. Da parte sua,
si lasciò cadere su una sedia, rivolto verso la sua schiena.
“Ginny”.
“Ronald.”
“Non per essere
scortese… hai un motivo particolare per il quale mi sei piombata in casa a
quest’ora?”
Ginny non si voltò
nemmeno.
“A quest’ora cioè
alle dieci e mezzo di mattina. Quando le persone normali sono a lavorare, ad
esempio. Non sprofondate sul divano del loro incasinatissimo salotto accanto a
bottiglie di Burrobirra rovesciate – e nemmeno del tutto vuote – sul tappeto
dei genitori di Hermione”.
Ron diede in uno
sbuffo ma non rimbeccò alle parole della sorella.
“E, tra parentesi,
fossi in te una doccia me la farei, Ron”.
Nonostante tutto,
quest’ ultima battuta lo fece sorridere.
“Dopo aver bevuto
il tuo caffè”.
Ginny fece
schioccare la lingua. Quando parlò, però, il tono della sua voce si era
leggermente addolcito.
“L’hai sentita?”
“Nah”.
“Ma non hai provato
a contattarla…?”
“No. Non vuole
parlarmi, Gin. Figurati se si lascia contattare…”
La donna lo
raggiunse al tavolo della cucina, due tazze da caffè identiche che la
precedevano; atterrarono dolcemente, senza spandere nemmeno una goccia della
bevanda che contenevano fermandosi esattamente di fronte ai due fratelli.
“Ci hai messo lo
zucchero?”
Ginny piegò le
labbra in una smorfia.
“Guarda che me lo
ricordo come prendi il caffè, Ron”.
“Non si sa mai,”
fece il fratello di rimando, apparentemente sulla difensiva. Si portò la tazza
alle labbra e sorseggiò.
Rimasero entrambi
in silenzio fino a che Ron riuscì a frenare la domanda che al tempo stesso
avrebbe e non avrebbe mai voluto fare.
“E tu? L’ hai
sentita?”
Ginny posò la tazza
e vi giocherellò un po’ prima di rispondere.
“Non dovrei davvero
dirtelo, Ron”.
“Ma sei venuta tu
qui!”
Lei annuì.
“Per vedere come
stavi”.
“Benissimo,
grazie”.
Ginny piegò appena
la testa di lato, cercando gli occhi del fratello con i suoi.
“Beh, gran bel modo
di dimostrarlo. Sembri un barbone”.
Ron si alzò di
scatto dalla sedia.
“Ginny,” mormorò,
la voce stanca, “non ho voglia. Davvero. Se non vuoi dirmi di lei, vai”.
La sorella lo
imitò, abbandonando la tazza praticamente intatta al suo destino, sul quel
tavolo in mogano disperatamente vuoto.
*
Ron si prese la
testa fra le mani.
“Perché devo dirlo
a qualcuno, Gin! Ho fatto una cazzata. Ed Hermione…”
“Hermione?”
“Lo sa. Non ho idea
di come, ma lo sa”.
Lei si morse il
labbro inferiore.
“Proprio da me
dovevi venire? Sai che siamo amiche. Proprio a me dovevi venire a raccontare
delle tue notti brave con altre donne?!”
Tacque e guardò il
fratello per qualche secondo, in silenzio.
Poi sospirò.
“Sai che terrò il
tuo segreto, Ron, di chiunque si tratti. Avanti, adesso, ripulisciti la
coscienza”.
*
“Ron”.
Entrambi si
voltarono verso la porta dell’ingresso che si spalancava. Hermione che
rientrava dal giro di compere e commissioni di ogni giovedì mattina. La sua
giornata di riposo dal Ministero.
Abbracciò
brevemente Ginny ancora con la borsetta sottobraccio, senza essersi tolta il
cappotto. Ignorò quasi del tutto il marito, che da parte sua seguì il suo
esempio senza particolare dispiacere.
“Cara, come stai?”
“Bene, grazie. Ero
passata un attimo a vedere come…”
“Ma certo, quando
vuoi”.
Sembrava che
Hermione non l’avesse nemmeno ascoltata, ora di nuovo alle prese con le borse
della spesa che aveva trascinato poco prima in casa e ammucchiato accanto alla
porta.
Ginny colse lo
sguardo di Ron.
Alle spalle
dell’affaccendatissima Hermione, allungò un braccio a stringere per un attimo
le dita del fratello.
***
Note dell’Autrice
Bene, come avrete
capito da voi (forse, questa è la cosa più strana che io abbia mai scritto XD),
le tre stelline dividono la fic in tre parti, la stellina singola divide i
momenti che compongono una sola parte. Non
si sa mai, quindi lo scrivo XD
Spero vi sia
piaciuta, KASFM è stata difficile da scrivere, spesso molto odiata dalla
sottoscritta che non riusciva a tirarci fuori qualcosa di nemmeno al limite
della decenza.
Spero abbiate gradito.
Grazie a tutti i
lettori/recensori/preferitori possibili ^^
Juls
PS: e come
dimenticare la dedica. Ovviamente alla Gaia. Ti voglio bene.