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Autore: Jules_Kennedy    17/05/2017    4 recensioni
"Se c’era una cosa che Trafalgar Law aveva imparato in quasi quattro anni di servizio militare sul campo, era che la guerra ti toglie tutto.
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Ti toglie la voglia di ridere, di sperare in un domani migliore. Ti toglie l’orgoglio, la voglia di chiedere e ribattere.
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Ti rende vulnerabile senza che tu possa evitarlo, e se vuoi andare avanti devi stringere i denti, ingoiare il tuo ego e lasciare che l’unico appiglio che hai in mezzo al mare di merda in cui navighi ti stringa a se, cancellando almeno per qualche secondo la sensazione di essere sempre e costantemente ad un passo dalla morte."
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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"A warning to the people
The good and the evil
This is war
To the soldier, the civillian
The martyr, the victim This is war
 
It's the moment of truth and the moment to lie
The moment to live and the moment to die
The moment to fight, the moment to fight, to fight, to fight, to fight.." 
 
 
 
Il suono ritmato della sveglia lo riportò bruscamente alla realtà, e ancora nella penombra della stanza Law aprì gli occhi, sbattendoli freneticamente. Steso scompostamente sulla grande superficie del letto matrimoniale diede un’occhiata all’orologio che teneva sul comodino: le cinque e mezza del pomeriggio.

Si era addormentato di nuovo.

Maledetti antidolorifici.

Non senza sforzo si tirò su, puntellandosi sui gomiti, mentre le immagini dei sogni che avevano popolato il suo indesiderato pisolino gli tornarono potenti di fronte agli occhi, al punto che dovette premere le mani contro le tempie violentemente nel tentativo di scacciarli via.
Gli spari, la polvere, il sangue, le urla, i feriti.. sempre le stesse sensazioni, la stessa impressione di trovarsi ad un passo dalla morte, sempre a tiro di un fucile nemico.

Strinse gli occhi, espirando profondamente. Ecco perché odiava i farmaci, lo stordivano e davano troppa energia al suo inconscio, che di buono non faceva mai niente per lui, più che altro si divertiva a torturarlo con i ricordi della guerra che ormai erano immagazzinati nel suo cervello in maniera indelebile. Dopo un tempo che gli sembrava infinito, riuscì finalmente a recuperare almeno parte della lucidità, mettendosi a sedere sul bordo del materasso.

Guardò verso il basso, e senza nemmeno accorgersene, portò le mani alla gamba ingessata. Nonostante la morfina, faceva fottutamente male, e ciò che gli pesava di più era la consapevolezza che quel maledetto incidente lo aveva costretto a tornare a casa lasciando i suoi compagni, ma soprattutto lui, in mezzo ad una guerra che ormai nessuno sapeva più come sarebbe finita.
Giunse le mani di fronte al viso, abbandonando la fronte sulle dita affusolate.

Non doveva andare così.

Decisamente no.
 
 
 
 
 
La strada era deserta, calda e polverosa.

Niente di nuovo.

Trafalgar Law se ne stava seduto sul sedile posteriore, le cuffie annerite nelle orecchie, la pesante tuta mimetica ben appiccicata addosso. Pen, suo compagno di addestramento, amico di una vita, al suo fianco per le avventure e le sventure, guidava la camionetta color sabbia a velocità folle, sparato in mezzo alle dune. Al suo fianco nel sedile del passeggero anteriore si svaccava Portoguese D. Ace, un giovanotto sempre allegro che chissà per quale motivo aveva deciso di diventare militare e non musicista di fama mondiale. Sorrise a mezza bocca per qualche cazzata che si era sparato Ace sul fatto che una volta tornato a casa si sarebbe fatto una mangiata colossale insieme ai suoi fratelli, e senza farci caso si voltò alla sua destra, incrociando gli occhi divertiti dell’ultimo occupante della macchina che solitaria ed impavida sfrecciava in pieno territorio nemico diretta verso il campo base.

Osservò apparentemente impassibile i lineamenti di quello che avrebbe potuto definire la sua nemesi, la sua antitesi più acerrima: Eustass Kid.

Pieno di se, rozzo, muscoloso, egocentrico, rompicazzo, egocentrico, egocentrico..

Insomma, un soggetto niente male.

L’unica motivazione che gli impediva di ucciderlo ogni singola volta che rideva con quella sua voce profonda e baritonale, cavernosa e roca, era il fatto che beh.. anche se gli dispiaceva ammetterlo, si era ritrovato anni ed anni prima invischiato con lui in qualcosa che si poteva alla larga definire una relazione, ma che dopo quasi otto anni si era trasformata nell’abitare insieme e nel pianificare un futuro l’uno al fianco dell’altro.
E nonostante Law non si pentisse realmente di ciò che era successo nel passato, ogni tanto sperava che ciò che provava per quella testa di cazzo non lo frenasse dallo strangolarlo quando faceva una delle sue sparate, lasciandolo basito a spiaccicarsi una mano in faccia e a chiedersi il perché.

A dire la verità, anche se lui e Kid non ne parlavano mai, il semplice fatto di essere in quell’immenso buco strapieno di marciume e morte era l’unico motivo per cui nessuno dei due era ancora uscito di senno, impazzendo completamente come era successo a tanti.

Kid era un sergente, e come tale non era inusuale che assistesse alle frequenti scene de suoi uomini soccombere sotto il fuoco nemico. 

Law, da medico di campo, ne vedeva semplicemente troppe.


Troppo dolore, troppa sofferenza ingiustificata, troppo delirio.

Spesso si ritrovava a notte fonda con la sua vecchia copia sgualcita del “Mastino di Baskerville” tra le mani a chiedersi il perché di tutto quello che ogni giorno gli succedeva intorno.
Desiderando con tutto il cuore che anche per quel giorno Kid si salvasse, e aspettando in silenzio quell’unico momento della giornata in cui, una volta tornati alle brande, potevano guarire senza una parola le mille ferite che gli costellavano la pelle e il cuore, stretti l’uno all’altro e vulnerabili come entrambi odiavano diventare.

Ma se c’era una cosa che Trafalgar Law aveva imparato in quasi quattro anni di servizio militare sul campo, era che la guerra ti toglie tutto.
Ti toglie la voglia di ridere, di sperare in un domani migliore. Ti toglie l’orgoglio, la voglia di chiedere e ribattere.
Ti rende vulnerabile senza che tu possa evitarlo, e se vuoi andare avanti devi stringere i denti, ingoiare il tuo ego e lasciare che l’unico appiglio che hai in mezzo al mare di merda in cui navighi ti stringa a se, cancellando almeno per qualche secondo la sensazione di essere sempre e costantemente ad un passo dalla morte.

Riportò gli occhi sul paesaggio monotono e desertico che si affastellava di fronte a se, cercando di cambiare canzone all’Ipod scassato.
Le risate riempivano la macchina, e anche se per qualche minuto, a nessuno sembrava di trovarsi a più di 10 chilometri dalla base ed in territorio ostile, a portata dei fucili e in netto pericolo.

Peccato che la situazione fosse esattamente quella, e la realtà non ci mise molto a riportare i soldati sulla retta via.

A malapena Law si rese conto che qualcosa aveva fatto sobbalzare la macchina, e senza nemmeno il tempo di gettarsi fuori dal veicolo per evitare l’esplosione, la camionetta saltò in aria, ricoprendosi di fiamme ardenti e rimbalzando pesantemente sul piccolo mortaio che avevano calpestato attivando la detonazione.

Quando finalmente ritornarono a terra, il crepitio delle fiamme e il clangore del metallo che si contorceva su se stesso per il calore erano gli unici suoni che Law riusciva ad udire, stordito dalla forte collisione della sua testa contro il suolo, e anche se a fatica tentò di tirarsi fuori dalla macchina scoprendo con immenso orrore che la gamba destra era rimasta incastrata tra le lamiere.
Con tutta la forza che possedeva cercò lo stesso di sgusciare fuori dall’apertura del finestrino, ignorando il dolore lancinante che provava alla gamba. Poteva quasi sentire i tendini lacerarsi e la carne sbrindellarsi per la pressione a cui era sottoposta.

Avrebbe perso l’arto.

Incapace tuttavia di provare paura, ma colmo di determinazione a causa dell’adrenalina, Law si spinse fuori ingoiando i gemiti, alzando gli occhi verso l’alto nel tentativo di non soccombere al dolore. Ma nel momento in cui le sue iridi grigie incrociarono gli occhi spalancati di Kid, che da fuori la macchina lo chiamava e cercava di tirarlo via da quella trappola, il peso di quello che stava accadendo diventò un enorme macigno che si abbattè sulla sua schiena, invadendolo di paura ed immobilizzandolo completamente. 
Non riusciva nemmeno a sentire la voce del compagno che urlava il suo nome, tutto ciò che percepiva erano i contorni delle cose attorno a se farsi vaghi per il troppo sangue perso e il terrore di svegliarsi senza la gamba, o peggio, di non svegliarsi proprio.
-Kid?- ebbe solo la forza di dire nel momento in cui finalmente il rosso, aiutato da Pen ed Ace, riuscì a tirarlo fuori dalla carcassa di metallo, caricandoselo in braccio e stringendolo forte a se.

-Salveremo la tua cazzo di gamba, Law. E ora sta zitto e risparmia le forze.- gli ordinò il rosso, e per qualche secondo Law fu tentato di ribattergli che lui detestava ricevere ordini. Tuttavia ritenne che le sue forze non bastavano nemmeno per pronunciare tre sillabe messe in croce, preferendo quindi seguire il “consiglio” di Kid accasciandosi contro la sua schiena nel tentativo di non addormentarsi.

-E non crepare.- sussurrò poi il sergente, in modo che lui fosse l’unico a sentire quelle parole.

Ghignando in silenzio, Law appoggiò alla fine la testa sulla spalla di Kid, e senza nemmeno rendersene conto perse la battaglia con il suo inconscio, addormentandosi stretto al rosso e pregando di risvegliarsi in un posto che non fosse l’aldilà.
 
 




Il familiare suono di Skype che lo avvisava di una chiamata in arrivo gli arrivò dritto alle orecchie, e in meno di dieci secondi il soldato prese le stampelle e si avviò verso la scrivania, aprendo il laptop e avviando la conversazione.

Nel momento stesso in cui vide quella brutta faccia fare capolino, un ghigno gli scappò involontario, illuminando il viso spigoloso.

-Ciao, Eustass-ya.- lo salutò mellifluo, incatenando gli occhi a quelli ambrati del rosso che dall’altra parte dello schermo rispose con un’espressione parecchio conturbante. -Ehi, Trafalgar. Come va la gamba?- si informò, senza preoccuparsi di sembrare disinteressato come faceva di solito.
-Non benissimo. Mi sono addormentato di nuovo in pieno pomeriggio per colpa della morfina, e alle dosi prescritte non fa nemmeno effetto.- si lamentò il moro, appoggiando il viso sulle mani giunte di fronte a se. -Smettila di lamentarti come una femminuccia, vedrai che ti passerà presto!- sbottò Kid, nell’evidente difficoltà di dire qualcosa di confortante senza sembrare un invertebrato senza spina dorsale.

-Grazie Eustass-ya, le tue parole sono sempre di grande aiuto.- rincarò infatti la dose Law, ridacchiando nel vedere Kid che diventava rosso come i suoi capelli mentre gli sbraitava contro che a lui in fondo non importava proprio un cazzo di come stesse, e che se fosse per lui, la gamba l’avrebbe pure potuta perdere nell’incidente.

Evitò chiaramente di menzionare che lui a dir la verità aveva dato il tutto per tutto pur di tirarlo fuori, rischiando quasi di mozzarsi una mano.

-Quando ti danno il congedo?- chiese alla fine Law, dopo qualche minuto di battibecco di rito. -La settimana prossima.. se nessuno si fa ammazzare nel frattempo.- borbottò Kid, lanciando di tanto in tanto occhiate dietro di se per assicurarsi che fuori dalla tenda fosse tutto momentaneamente apposto.
-Spero che qualcosa vada storto allora.- insinuò Law, sorridendo beffardo verso la telecamera. Per tutta risposta, Kid inclinò gli angoli della bocca verso l’alto, imitando la sua espressione. -Anche io. Non ho proprio cazzi di rivedere la tua faccia di merda e farti da balia!- rispose prontamente, lasciando Law interdetto.
-Sei proprio un bastardo Eustass-ya.-
-Mai quanto te, Trafalgar.-
-Ah, un’ultima cosa, per quanto riguarda..-
-Sergente!-

Una voce interruppe Law, che cercando di sporsi verso lo schermo tentava di capire cosa stesse succedendo. -Che cazzo c’è?!- abbaiò Kid, ed immediatamente il sottoposto si raddrizzò in segno di saluto e rispetto. -Chiedo scusa sergente, ma c’è un’emergenza all’ingresso del campo B. Una granata è appena esplosa nelle vicinanze della trincea, e beh.. ci sono parecchi feriti, e probabilmente si aspetta una rappresaglia da parte del fronte nemico. Richiedono il suo intervento.-
-Hmpf.. incapaci.. D’accordo, sto arrivando! E ora fuori dai piedi!- latrò il rosso, osservando con occhi feroci la recluta che sgattaiolava fuori dalla tenda.

-Devo andare.- disse semplicemente, guardando negli occhi Law per la prima volta seriamente da quando avevano iniziato a parlare.
-Lo so.- si limitò a rispondere il moro, l’espressione atona sempre al suo posto. Ma Kid leggeva tra le righe dell’indifferenza del suo compagno, sapeva che per Law ogni singola volta vederlo scomparire senza poter fare nulla era un incubo.
-Farò attenzione, non c’è bisogno che tu me lo ripeta come al solito.- lo prese in giro, beccandosi un’occhiataccia di fuoco dal giovane al di la del computer, che con un bel dito medio lo salutava in maniera del tutto normale.

-Vattene al diavolo Eustass-ya, questa è la volta buona che mi libero di te.- scandì lentamente Law, tentando di suonare tagliente nonostante il vedere Kid alzarsi e dirigersi verso l’entrata della tenda lo stesse logorando. -Non ti libererai mai di me, rospo.- concluse alla fine il rosso, chiudendo la chiamata e lasciando Law da solo, nel silenzio della sua spoglia camera da letto.
-Lo spero.- sussurrò al desktop ormai vuoto, abbassando lo schermo del computer per dirigersi nuovamente a letto.

Trascinandosi stancamente sul materasso buttò giù tre pillole, socchiudendo gli occhi e sperando di risvegliarsi nel momento stesso in cui quel coglione avrebbe buttato giù la porta di casa per andarlo a svegliare e rompergli irrimediabilmente le palle.

Con in testa l’unica immagine confortante che riusciva a focalizzare, Law prese un forte respiro, rilassando i muscoli e distogliendo la sua attenzione dal dolore della gamba che iniziava lentamente a scemare.
E quasi senza accorgersene, ripiombò nuovamente nell’oblio, accolto da fredde, spaventose ed agitate acque scure e senza fondo.
 
 


 
***
 
 
 
Non sapeva come gestire la cosa. L’ansia e la tensione erano sempre stati due stati d’animo con cui Law non aveva quasi mai dovuto avere a che fare, complice il suo innato senso pratico e la sua freddezza nell’affrontare le situazioni più disparate.

Eppure in quel momento, affacciato alla finestra, con gli occhi vissi sul vialetto di casa, Law sperimentò nuovamente la fastidiosa sensazione di nausea e impotenza che la morsa dell’ansia e della paura avevano gettato su di lui.

Kid non c’era.

Kid non era arrivato.

Kid non era tornato a casa come gli aveva promesso.

Erano passate quasi due settimane dall’ultima volta in cui Law era riuscito a mettersi in contatto con il compagno, e anche senza dare il minimo segno di apprensione in merito, l’aveva aspettato cercando di non cedere alla tentazione di chiamarlo, di sapere che stava bene e che sarebbe davvero tornato a casa.
Battendo ritmicamente la gamba buona contro il pavimento si diede cento volte dell’idiota per non essere andato oltre il suo stupidissimo orgoglio, tremando all’idea che quella conversazione che avevano avuto più di dieci giorni prima sarebbe potuta essere l’ultima, e lui non aveva voluto nemmeno rendersene conto.

Gli occhi plumbei gettavano dardi infuocati contro la strada deserta, saettando a destra e a sinistra nel tentativo di carpire qualsiasi segno di cambiamento che avrebbe potuto indicare che stava effettivamente succedendo qualcosa, e che lui non era solo un povero e patetico illuso che da quattordici giorni si appostava nello stesso punto, con gli occhi fissi sulla stessa strada, nell’attesa di qualcosa che non aveva nemmeno voluto sapere se sarebbe accaduta o meno.

Semplicemente, non ne aveva la forza.

Perché alzare la cornetta e sentirsi dire che Kid era rimasto ferito, mutilato, o peggio.. no, non riusciva nemmeno a formulare il pensiero.

Kid DOVEVA sopravvivere, lui DOVEVA tornare a casa. Non poteva andarsene proprio adesso che Law era riuscito ad ottenere il prestito che gli serviva per organizzare il matrimonio, non adesso che forse sarebbero riusciti finalmente a realizzare ciò che segretamente entrambi avevano sperato, pur senza mai parlarne apertamente.
Ma quella strada se ne restava silenziosa, intonsa. Nemmeno il venticello primaverile dei giorni precedenti aveva il coraggio di farsi sentire.

La calma era qualcosa che Law amava. Amava il silenzio, la pace, la riflessività che solo la tranquillità sapeva regalarti quando il tuo mondo interiore si sgretolava. Quella pace che in guerra non aveva mai potuto ottenere, e che bramava giorno dopo giorno, sudando e soffrendo insieme a chi quella pace non l’avrebbe rivista più.
Eppure in quel momento tutto ciò che voleva sentire erano le gracchianti ruote di un furgone stridere contro l’asfalto, il suono di passi pesanti che si avvicinavano alla porta, un bussare scontroso ed incasinato, una voce roboante e profonda che lo investiva, la cacofonica melodia degli improperi che riempivano la casa.

A fatica si rialzò dalla sua postazione, inspirando profondamente e tossendo nel tentativo. Se solo quel maledetto corpo glielo avesse permesso si sarebbe gettato fuori a cercarlo. Non sapeva se odiare di più la speranza che ancora in se stesso stentava a morire o il semplice fatto che quella speranza non aveva motivo di esistere.

Kid non aveva mancato nemmeno una volta il suo congedo, nemmeno di due minuti.

E il fatto che due minuti si fossero trasformati in una settimana, era un segno inequivocabile di ciò che il suo cervello si rifiutava di accettare.

Si portò lentamente verso il primo scalino, diretto in camera da letto, quando un botto sordo lo fece voltare, allarmandolo. Istintivamente portò una mano dietro la spalla, quasi come a prendere il fucile per prepararsi all’attacco.

Ma non c’era nessun fucile assicurato alla sua schiena, e quel botto non era una bomba.

Nel momento in cui la porta si spalancò, a Law mancarono le forze per restare in piedi. Si accasciò sullo scalino, incatenando gli occhi su ciò che aveva di fronte.

Quel figlio di una cagna.
Quel maledetto bastardo.

-Sei ancora più debole di quello che ricordavo, Trafalgar. Ti sei rammollito così tanto?- lo schernì la voce, con quel tono canzonatorio ed irritante che in quel momento a Law fece solo venir voglia di piangere.
-Che c’è, nemmeno mi saluti?- ringhiò Kid, ancora in piedi sull’uscio di casa. Le iridi grigie di Law si spostarono dal basso verso l’alto, incrociandosi con quelle ambrate del rosso, ghignante e stupido come al solito.

Ma non c’era divertimento, ne scherno nello sguardo orrificato di Law, che riuscì a concentrarsi solo su una cosa.

-Il..il tuo.. dove cazzo è il tuo braccio?!- sbraitò, come risvegliatosi dal torpore. Non senza difficoltà si riportò in posizione eretta, squadrando con terrore il moncherino fasciato che ora aveva preso il posto del braccio destro del rosso, accompagnato da segni di suture, medicazioni, ematomi, bozzi violacei e parecchio infiammati, tagli, bende.
-Che cazzo di fine ha fatto il tuo braccio, Kid?!- sputò con voce rauca, ormai poco abituata a parlare con qualcuno che non fosse se stesso.
-Ti vuoi calmare?- lo ammonì il rosso, alzando un sopracciglio infastidito. -E’ saltato in aria, ma non mi importa. E’ per questo che ho tardato, sembrava che il mio cervello trovasse il coma parecchio divertente, perché ci ho messo parecchio a tornare dall’altro lato. Ma ora sono qui, quindi perché cazzo ti stai alterando?- ragionò con assurda calma, lasciando Law sbigottito.

-Coma?- soffiò il moro, incredulo alla sola idea di pronunciare quella parola. Irriconoscibile ai suoi occhi e a quelli dell’uomo di fronte a se.

-Si. Coma. Ma come vedi sono qui, quindi non devi preoccuparti. Sto bene.- cercò di rassicurarlo Kid, inutilmente quando vide le iridi del moro farsi sempre più vacue, appannate. -Stai bene?- ripetè a fatica Law, il viso tornato impassibile tranne che per gli occhi.
Quegli occhi che da soli esprimevano quanto si sentisse infimo, inutile, impotente. Quanto gli pesasse il non poter essere stato con Kid mentre rischiava quasi di perderlo.

Quanto difficile sarebbe stato andare avanti senza di lui.

-Sto bene, Law. Non avresti potuto fare niente anche se fossi stato li, quindi non pensarci.- borbottò il rosso, mettendo finalmente piede dentro casa e portandosi lentamente verso Law, aggrappato alla stampella come se fosse l’unico barlume di speranza di restare in piedi e non crollare a terra per il peso della stanchezza, del dolore e della tensione che man mano, ad ogni passo di Kid verso di lui, si scioglieva come neve d’estate.

-E comunque anche se da cadavere sarei tornato comunque qui.- sussurrò il rosso, ormai a meno di un centimetro dal suo viso. -E perché mai, Eustass-ya?- cercò di ironizzare Law, più per scacciare l’orrenda sensazione di vuoto che ancora si faceva strada in lui, nel tentativo di riprendere la sia proverbiale calma che per reale intenzione di schernirlo.
Fissandolo intensamente, Kid si portò con le labbra a sfiorare le sue, ghignando. -Non potrei pensare di morire senza aver zittito almeno un’altra volta la tua boccaccia larga.- sibilò, lanciandosi con foga sulle sue labbra secche, stringendole con forza.

Law mollò immediatamente la stampella, aggrappandosi con le braccia alle spalle solide del rosso. Percepì ogni singolo dettaglio sensoriale che la sua pelle gli regalava, i brividi leggeri che si facevano strada al passaggio della mano chiara di Kid, il desiderio bruciante di schiacciarsi a lui e fondersi alla sua pelle.

Quanto cazzo gli era mancato non riusciva nemmeno ad elaborarlo.

-Non ti aspettare che ti faccia da baby sitter, Eustass-ya.- sussurrò sprezzante il moro tra un bacio e l’altro, leccandosi il rivoletto di sangue che scorreva sulle sue labbra morse con forza tra le fauci del rosso.
-La cosa è reciproca Trafalgar.- rispose velocemente il diretto interpellato, tornando immediatamente sulla sua bocca per poi caricarselo con l’unico braccio buono in modo da avvinghiarselo addosso, diretto al piano di sopra.

Dal canto suo Law non sentiva niente che non fosse la consistenza del corpo di Kid sotto di se, il suo sapore, il battito del suo cuore, il calore della sua pelle.

Non percepiva il dolore della gamba per lo sforzo eccessivo, non si sentiva intontito per i farmaci, ne distrutto per la mancanza di sonno.

Tutto ciò che lo pervadeva, che si infiltrava tra i meandri di ogni singola minuscola cellula, era felicità.

Una felicità silenziosa che nessuno avrebbe mai ascoltato, dei sorrisi nascosti dai baci e dagli occhi socchiusi, sospiri che celavano infiniti significati.

Effettivamente Trafalgar Law aveva un milione di motivi per sentirsi a pezzi, a terra, distrutto.
Eppure, gliene bastava solo uno per mandare a fanculo tutto il resto, per mandare a fanculo i ricordi, la guerra, la morte, la paura, e quel motivo era di nuovo li, fra le sue braccia, a gemere insieme a lui, a respirare al suo ritmo, a sudare insieme alla sua pelle.

Per la prima volta da tanto tempo, Law si sentì nuovamente completo.

E anche se non l’avrebbe mai detto, tutto ciò di cui aveva bisogno nella sua vita era Eustass Kid.
 
 
Per sempre.
 
 
 



ANGOLO AUTRICE
Ma buonsalve a tutti! *^*
Che dire, sono imperdonabile.

Dopo una giornata stressantissimissima, finalmente posso pubblicare. Non sapete che casino è in questo momento la mia vita :’)
Cooomunque sia, questa storia stava facendo la muffa nei meandri del tablet, e assolutamente a caso mi è tornata davanti agli occhi e l’ispirazione mi ha travolta.

Spero vivamente che la storia vi piaccia, e se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, al solito io vi aspetto nell’angolino delle recensioni! ^^

Un bacione e a presto,
 
Jules
   
 
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