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Autore: TheSlavicShadow    18/05/2017    4 recensioni
Caso: Terra-3490.
Il 47esimo modello pacifico ha beneficiato principalmente dalla relazione tra Capitan America, Steve Rogers, e Iron Woman, Natasha Stark.
Agendo da deterrente per i comportamenti più aggressivi degli altri, ha consentito al Reed Richards di questa Terra di portare a termine con successo il programma di registrazione dei supereroi e di avviare l’Iniziativa dei 50 Stati.
{Il ponte - Capitolo due da Dark Reign: Fantastic Four n. 2 del giugno 2009}
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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{Benvenuti a questa nuova fanfic. Questa volta ho deciso di torturare Terra-3490 perché è una Stony canon ed esiste in una sola misera scena in un volume dei Fantastici Quattro.
Sarà un mix tra il MCU e i fumetti, perché mi piace troppo mescolare le due cose, non vogliatemene.
Per esigenze di headcanon e copione, Natasha Stark è nata nel 1980, Steve Rogers nel 1921. E la storia parte dal 1996, dal loro primo incontro. Sono i nostri anni ‘90, ma con una tecnologia più avanzata, tipo gli smartphone.

...e questa fic sono davvero solo i headcanon che ho per Terra-3490.

Alla Sugarplum, perché senza di lei questa storia non sarebbe mai nata, sul serio.

Alla Underoos, che la sta leggendo in anteprima e da anni segue quello che scrivo con pazienza e un pizzico di masochismo.

A Cap, perché per qualche istante mi ha dato la sensazione di essere nuovamente il centro del mondo di qualcuno.}



Ottobre 1996

 

La prima volta in cui Natasha Stark aveva visto il Capitano Steve Rogers era attraverso un vetro. Il Capitano era attaccato a diversi macchinari che monitoravano in continuazione le sue funzioni vitali mentre il suo corpo lentamente si scongelava. Sembrava stesse semplicemente dormendo.

Cinquant'anni nel ghiaccio più puro del Polo Nord avevano preservato perfettamente il suo corpo. Non era invecchiato di un solo giorno rispetto alle vecchie foto che aveva guardato da quando era nata. Era solo un po’ più bluastro di come lo aveva immaginato, ma questo avrebbe evitato di dirlo a suo padre che aveva già fatto l'enorme sforzo di portarla in visita guidata allo S.H.I.E.L.D. per vedere dal vivo il suo eroe d’infanzia.

Era con questo pensiero in testa che si era messa alla guida subito dopo le lezioni mattutine. Era il pensiero di Steve Rogers che le aveva fatto promettere a sua madre che sarebbe tornata a casa per il weekend.

Il Capitano Steve Rogers era stato invitato a cena nella casa in cui lei era cresciuta. E lei non poteva farsi sfuggire quell’opportunità. Forse sarebbe stata la prima e ultima volta in cui suo padre le permetteva di incontrarlo. Howard non le aveva mai parlato dei progressi che facevano nel risveglio del Capitano. Aveva dovuto corrompere un agente dello S.H.I.E.L.D. per avere gli aggiornamenti che le servivano.

Puro interesse scientifico, si era detta. Era solo per amor della scienza e per cercare di capire come un uomo fosse sopravvissuto per tutti quei anni intrappolato nel ghiaccio. Siero del super-soldato. Era solo per quel motivo, lo sapeva, ma la affascinava in ogni caso.

Era per la scienza e non perché il Capitano fosse ancora più bello dal vivo che in foto che era salita in macchina tra una bestemmia e l'altra mormorate tra i denti per farsi quasi 5 ore di viaggio per una stupida e banale cena in cui nessuno l'avrebbe calcolata come al solito. Howard voleva solo fare il bravo padrone di casa e averla lì, non per farle conoscere Steve Rogers. Di questo era più che sicura.

Probabilmente aveva anche sperato che lei non si sarebbe presentata, per quello l'aveva avvertita solo quella mattina stessa.

Aveva avuto solo il tempo di tornare in dormitorio, farsi una doccia, mandare un messaggio al proprio migliore amico ed era in viaggio. Sapeva che sarebbe arrivata giusto all'ora di cena. Era venerdì. Le autostrade sarebbero state piene, ma lei non poteva perdere questa occasione. Quante altre volte nella vita avevi l’opportunità di sedere allo stesso tavolo con Capitan America? Quante altre volte avrebbe potuto avere la possibilità di rivolgergli la parola? Con molta probabilità nessuna. Quella era l’unica occasione e non l’avrebbe sprecata. Forse il Capitano non l’avrebbe neppure calcolata. Forse sarebbe stato impegnato a parlare con Howard di affari che non la riguardavano ma di cui si impicciava sempre alla fine. Ma sarebbe stato di fronte a lei. Avrebbe potuto guardarlo anche a costo di sembrare inquietante. E lo avrebbe fatto.

Aveva controllato per l’ennesima volta l’ora segnata sul cruscotto. Sarebbe arrivata in ritardo per la cena. Howard glielo avrebbe fatto pesare, ne era sicura. Lo avrebbe fatto di fronte al Capitano per metterla in cattiva luce, come aveva sempre fatto quando aveva capito il suo interesse verso determinate persone.

Aveva osato farlo anche di fronte al direttore Fury mentre erano al quartier generale dello S.H.I.E.LD.. Quando lei aveva appoggiato i palmi delle mani al vetro della stanza in cui il Capitano stava dormendo. Lei non riusciva a togliere gli occhi dalla sua figura immobile, troppo incredula di essere davvero lì, mentre Howard rideva e a gran voce annunciava la sua cotta per Steve Rogers. “E’ normale”, aveva detto a Fury, “E’ cresciuta ascoltando tutte le storie che le raccontava Peggy sulla perfezione di Steve”. Ed era vero, questo non avrebbe mai potuto negarlo. Peggy Carter le aveva raccontato molte storie su Steve Rogers, mentre Howard si limitava a parlare di Capitan America. All’inizio aveva adorato le imprese del Capitano. Ammirava il suo coraggio, la sua determinazione. Crescendo si era appassionata sempre più alla persona che si nascondeva dietro il titolo. Steve non era molto diverso da Capitan America, ma aveva iniziato a preferire i racconti di Peggy Carter a quelli del padre.

Aveva parcheggiato la macchina davanti all’ingresso, incurante del fatto che il garage fosse solo un po’ più in là. Ma non voleva perdere altro tempo prezioso.

Aveva controllato l’ora per l’ennesima volta. Era solo 45 minuti in ritardo rispetto all’orario stabilito. Aveva dato un’occhiata allo specchietto, per vedere in quali condizioni disastrose si sarebbe presentata a cena e un po’ aveva bestemmiato mentalmente. Sperava di arrivare almeno qualche minuto prima delle 19, e riuscire così a cambiarsi d’abito e sistemare il trucco. Invece si sarebbe presentata a cena con i jeans strappati, maglietta degli AC/DC e giubbotto in pelle, per la gioia dei suoi genitori.

“Signorina Stark, la macchina.” Edwin Jarvis aveva aperto la porta d’ingresso e l’aveva guardata con rimprovero mentre appoggiava le mani sui fianchi. “Il garage è a soli trenta metri di distanza.”

“Scusa, J. Sono in ritardo e Howard probabilmente starà già pensando a come diseredarmi. Di nuovo.” Aveva lanciato le chiavi al maggiordomo che le aveva prese al volo sospirando. Sapeva che l’avrebbe spostata senza protestare anche solo per non sentire gli altri due Stark lamentarsi di come lei abbia potuto lasciare la macchina davanti all’ingresso con un ospite tanto importante a cena.

Aveva lanciato un’ultima occhiata allo specchio posto all’ingresso e aveva fatto una smorfia verso sé stessa. Non era assolutamente presentabile per una cena con Steve Rogers, ma in quel momento non aveva altra scelta. Almeno il trucco non era troppo sbavato attorno agli occhi.

Fingendo nonchalance si era avviata alla sala da pranzo. Sentiva la voce di Howard sin dal corridoio, parlava e rideva. E sentiva un’altra voce maschile che rispondeva a quella di suo padre.

Si era fermata un attimo sulla porta, osservando l’uomo in divisa che era seduto alla destra di suo padre sull’enorme tavolo in legno. Ed era bellissimo. Molto più bello di quanto non lo fosse in quelle poche foto che l’agente Coulson le aveva mandato tramite cellulare nei mesi precedenti.

Gli occhi di Steve Rogers erano all’improvviso su di lei e non si era mai sentita tanto a disagio. Vuoi per l'abbigliamento così inadatto rispetto agli altri commensali, vuoi perché quell’uomo aveva rapito tutta la sua attenzione da quando era nata e ora lo aveva di fronte. Ma Steve Rogers la stava guardando e si era alzato in piedi, come aveva visto fare migliaia di volte nei film d’epoca. Cosa che adesso vedeva fare sempre più di rado alle cene a cui accompagnava il padre.

“Natasha, sei in ritardo.” Howard si era voltato quando aveva visto Steve alzarsi. Era arrabbiato, ma quando mai non lo era con lei?

“Prova tu a guidare da Boston fino a qui il venerdì pomeriggio. Una vera delizia.” Aveva alzato gli occhi al cielo, cercando di ritrovare tutta la propria sicurezza mentre si avvicinava al tavolo da pranzo. Steve Rogers continuava a guardarla e non sapeva se questo la rendesse felice o mettesse solo più in soggezione.

“Potevi partire questa mattina quando ti ho telefonato.”

“Oh, certo. E non presentare il saggio sulla termodinamica al professore? La prossima volta che decidi di avvertirmi all’ultimo manda un elicottero a prendermi.”

“Tasha, abbiamo ospiti.” Maria Stark l’aveva guardata, sorridendo lievemente, anche se era palesemente solo un sorriso di cortesia.

“Oh. Giusto.” Natasha aveva voltato lo sguardo verso Steve. facendo finta di ricordarsi solo allora della sua presenza. Lo aveva guardato negli occhi e poi aveva fatto un piccolo ghigno. “Capitano, è un piacere conoscerla. L’ho osservata dormire mentre era ancora congelato.” Gli si era avvicinata e gli aveva porto la mano, che lui aveva stretto senza alcuna esitazione. Howard e Maria la richiamavano ricordandole di comportarsi bene. Ma lei li ignorava completamente, non togliendo la propria mano da quella di Steve Rogers. Era così diversa dalle strette di mano dei soliti ospiti di Howard.

“Il piacere è mio, signorina Stark. Howard mi ha parlato molto di te.”

“Strano visto che il mio illustre padre non ha fatto altro che tessere le proprie lodi da quando ho memoria.” Aveva notato con la coda dell’occhio Howard scuotere la testa. Una volta conclusa la cena le avrebbe sentite. Avrebbero di nuovo litigato per il suo comportamento e per il suo ritardo. E lei avrebbe preso la macchina e se ne sarebbe andata. Non sarebbe stata una serata molto diversa da tante altre che aveva passato sotto quel tetto. “E di come Capitan America sia un po’ anche una sua creazione.”

“Natasha, non essere maleducata.” Howard si era alzato dalla propria sedia e la guardava, ma lei non ricambiava lo sguardo, troppo occupata a guardare l’uomo che aveva di fronte.

“Questa cosa l'abbiamo in comune, Capitano. Può vantarsi che il suo genio ha creato un super soldato e i suoi geni una mente brillante come la mia.”

“Natasha, questo è troppo!”

“Calmati Howard, non ho detto nulla di così tanto offensivo. Vero, Capitano?”

“Mi hai dato del topo di laboratorio, ma in modo davvero elegante.” Steve le aveva sorriso e aveva fatto segno con una mano di sedersi, e con un ghigno soddisfatto lei aveva eseguito il suo ordine, andando a sedersi vicino alla madre.

Anche Steve si era seduto e aveva ripreso la sua conversazione con Howard, mentre Jarvis iniziava a servire la cena. Natasha faceva finta di nulla, anche se ogni tanto alzava lo sguardo dal proprio piatto e guardava il loro ospite. Guardare Steve Rogers seduto alla loro tavola, vestito di tutto punto nella sua bella e linda uniforme militare, le aveva fatto venire in mente una foto che le aveva fatto vedere molto tempo addietro Peggy Carter. Una foto che ritraeva loro due e un molto più giovane Howard in quella che doveva essere stata la vecchia sede del SSR.

“Mi hanno detto che studi ingegneria meccanica al MIT. Peggy mi ha detto che stai cercando di costruire un robot.”

Quando Steve Rogers le aveva rivolto la parola, le stava quasi per andare di traverso il boccone di arrosto che aveva appena infilato in bocca con pochissima grazia.

“L’ho quasi finito.” Aveva mormorato dopo un sorso d’acqua. “E’ per la gara annuale del MIT, di progettazione robotica.”

“E’ solo un progetto su cui sta perdendo tempo invece di concentrarsi sugli studi.” Aveva notato Howard riempirsi un’altra volta il bicchiere, e sapeva che ora sarebbe partita la solita tirata su quanto fosse inutile la sua fissazione con la robotica, che avrebbe dovuto concentrarsi su altre cose. E il fatto che lo avrebbe fatto davanti ad un ospite le dava ancora più fastidio di quanto non facesse di solito.

“Non è una perdita di tempo, papà. Se riesco a farlo funzionare come voglio potrebbe essere utilizzato in molti rami, dalla meccanica alla medicina.”

“E’ solo un braccio meccanico. Sai quanti ce ne sono in circolazione?”

“Dum-E è diverso!” Aveva guardato il padre, e quando si era resa conto di aver alzato la voce aveva subito abbassato lo sguardo. “Risponde ai comandi vocali. Le altre braccia meccaniche non lo fanno. Rispondono a comandi inseriti manualmente, Dum-E no.”

“Gli hai anche dato il nome giusto devo dire.”

Aveva abbassato lo sguardo, per evitare di aggiungere altro. Sapeva che Howard non era mai interessato ai suoi progetti personali. Per lui l’unica cosa che contava erano i progetti per le Stark Industries. E lei stava solo perdendo tempo con i suoi robot invece di laurearsi e andare a lavorare al reparto di Ricerca e Sviluppo delle SI.

“Io trovo che sia molto affascinante.” Timidamente aveva alzato lo sguardo quando Steve aveva preso la parola. Lo aveva guardato e lui faceva finta di nulla mentre continuava a mangiare. “Sono quelle cose che una volta si leggevano solo nei libri di fantascienza e ora sembrano essere diventate la realtà. Bucky leggeva molte di queste cose e fantasticava su come sarebbe stato il futuro. Se saremmo mai riusciti ad andare nello spazio oppure costruire robot. E a quanto pare tutto questo è diventato realtà.”

“Io sono della teoria che lo sbarco sulla luna sia stato girato in studio.”

Aveva visto Steve bloccarsi, con la forchetta a mezz’aria, e guardarla come se le fossero spuntate due teste.

“Ma perché avrebbero dovuto fingerlo?”

“Perché i russi hanno spedito il primo uomo in orbita. Non potevamo essere da meno. Ma con la tecnologia dell’epoca sbarcare sulla luna sarebbe stato impossibile. E perché poi nessun altro ci ha provato? Mai più e sono passati quasi trent’anni.”

Aveva notato Steve farsi pensieroso, e con la coda dell’occhio aveva scorto le dita di Howard che tamburellavano accanto al suo bicchiere. Presto sarebbe partita un’altra mezza sfuriata e non aveva voglia di ascoltarlo. Si era resa già abbastanza ridicola davanti al loro ospite.

“Natasha, tesoro, perché non vai ad aiutare Jarvis con il dolce?” La delicata mano di Maria si era appoggiata sul suo braccio e aveva potuto solo annuire prima di alzarsi da tavola e uscire dalla sala da pranzo. Sapeva che quello era il modo in cui sua madre la stava salvando da Howard. Anche se non le era sfuggito il commento di Howard quando credeva che lei non fosse più presente nella sala.

“Scusala, Steve. E’ ancora giovane e non capisce molte cose.”

Non aveva voluto sentire la risposta del Capitano. Era corsa verso la cucina e quello era forse il luogo che aveva sempre trovato più sicuro in quella enorme casa. Sentiva la musica provenire dalla vecchia radio che Jarvis continuava a riparare in continuazione e che lei aveva modernizzato un po’ perché alcuni pezzi erano diventati introvabili. Ricordava quando aveva passato serate intere in quella cucina, seduta a tavola a costruire tutto quello che le passava per la mente, mentre Edwin e Ana Jarvis cucinavano, discutevano o semplicemente ballavano con in sottofondo quella vecchia radio sempre accesa.

Quando sentiva quella radio le sembrava sempre che Ana fosse ancora con loro, che appena entrata in cucina le avrebbe tirato le guance e poi le avrebbe dato un bacio sulla fronte mentre la abbracciava con forza.

“Signorina Stark, spero ci sia un ottimo motivo per averle fatto lasciare la cena.” Il maggiordomo non si era neppure voltato verso di lei mentre tagliava la torta che aveva preparato. “L’arrosto non era di suo gradimento?”

“Howard non era di mio gradimento, ma non è nulla di nuovo.” Si era lasciata cadere su una sedia e solo allora l’uomo si era voltato verso di lei.

“E il nostro ospite?” Jarvis le aveva sorriso e lei aveva solo alzato gli occhi al cielo.

“Credo di essermi coperta abbastanza di ridicolo, ma non è una novità e non importa visto che non credo lo incontrerò mai più. Tanto tra un attimo la cena finirà e Howard lo trascinerà nel proprio studio per un bicchiere di whisky e parleranno di lavoro o dei tempi passati. O qualche stronzata simile.”

“Natasha, se vuole continuare ad avere dei contatti con il Capitano Rogers non credo che suo padre potrà fare molto per impedirlo. Un giorno erediterà lei le Stark Industries e con essa i contratti da portare avanti con lo S.H.I.E.L.D.. E il Capitano Rogers fino a prova contraria lavora per lo S.H.I.E.L.D. ora.” Jarvis aveva scosso la testa e poi era tornato ad occuparsi della torta che avrebbe dovuto servire entro breve. “Questi Stark e la loro fissazione per il Capitano.”

“Oh, J. Sai che buona parte della colpa ce l’ha Miss Carter.” La ragazza aveva sorriso, imitando l’accento inglese di Jarvis. “Posso mangiare la torta qui in cucina con te? Non ho voglia di tornare di là. E non sarei neppure dovuta tornare a casa, domani sera ero invitata ad una festa in una delle confraternite.”

“Non mi piace questa gente che sta frequentando ultimamente. Per fortuna c’è James che la controlla almeno un po’ così posso dormire sonni tranquilli.” Jarvis le si era avvicinato, posando un piattino con la torta davanti a lei. “Gradisce del tè?”

“Il caffè andrebbe meglio, ma so che preferisci quando bevo il tè.” Aveva alzato ancora un volta gli occhi al cielo, affondando poi la forchetta nella morbida torta. Era la sua preferita ed era sicura che Jarvis l’avesse preparata apposta.

“Come procede il suo progetto con Dum-E?” Jarvis si era allontanato nuovamente, per finire di impiattare altre fette di torta. “Ormai manca poco alla scadenza, o sbaglio?”

“Non sbagli affatto.” La ragazza aveva sbuffato un po’, riempiendosi la bocca di torta. “Se non vinco quel premio regalerò quel robot ad un’università di infimo livello, te lo giuro. L’altro giorno in laboratorio gli ho chiesto di portarmi un bicchiere d’acqua e lui me l’ha rovesciato addosso. Volevo ucciderlo.”

“Non credo sia possibile uccidere una macchina, ma almeno se lavora a qualcosa non ha tempo di vedere quel Tiberius Stone.”

Jarvis l’aveva guardata, inarcando un sopracciglio, e lei era scoppiata a ridere.

“E questo come fai a saperlo? No, aspetta. Non me lo dire. Questo te l’ha detto Rhodey.”

“Se suo padre sapesse che passa le notti con quel ragazzo non ne sarebbe molto felice.”

“Conosco Ty da quando sono nata, Jarvis. Ed entrambi lo facciamo per dare fastidio alle nostre famiglie. Non c’è alcun coinvolgimento sentimentale, di questo stanne certo.” Aveva guardato l’uomo che l’aveva vista crescere e che fin troppo spesso aveva considerato una figura paterna più di quanto non facesse con il padre biologico.

“Con una donna come lei, signorina, non essere coinvolti sentimentalmente è alquanto impossibile.” Aveva sospirato, spostando i piatti dalla credenza al carrello che poi avrebbe portato in sala da pranzo. “Sono solo preoccupato per lei. Ha soltanto 16 anni e il mondo là fuori è pieno di persone che cercheranno di approfittare di lei per il cognome che porta. Con gli Stone poi è una guerra continua, dovrebbe saperlo. Legarsi in qualche modo al loro erede non è una scelta molto saggia.” Aveva sospirato ancora una volta e si era seduto sulla sedia libera accanto a quella occupata da Natasha. “Mi prometta solo di stare attenta, va bene?”

“Sono sempre attenta a tutto quello che mi riguarda, Jarvis. Anche quando non sembra.” Gli aveva sorriso, finendo la torta. “Posso avere anche il bis? E magari se è avanzato dell’arrosto me lo porto a Boston.”

“Ovviamente se lo porta a Boston.” Jarvis si era alzato dalla sedia dopo qualche istante, scuotendo la testa e avvicinandosi al carrello su cui aveva preparato i piattini con i dolci, il vino da dolce e i calici puliti. “Non si muova da quella sedia fino al mio ritorno.”

Non appena Jarvis era uscito dalla cucina aveva recuperato il cellulare dalla tasca mandando un messaggio pieno di insulti al proprio migliore amico. Doveva immaginare che Jarvis si fosse messo in qualche modo in contatto con James Rhodes, suo compagno di corso nonché migliore amico. La risposta di Rhodes non si era fatta attendere ed era come sempre votata al buonsenso. Non era una novità. Sapeva che a Rhodes non andava particolarmente a genio Tiberius Stone, non glielo aveva mai nascosto. Ma dirlo a Jarvis era un colpo basso. Anche se era sicura che l’uomo l’avrebbe scoperto prima o poi. O forse sarebbero stati prima i paparazzi a scoprirli.

Altra cosa di cui non le interessava affatto.

Aveva appoggiato la fronte sul tavolo mentre aspettava il ritorno di Jarvis. Non sarebbe tornata in sala da pranzo neppure sotto tortura. E sarebbe ripartita il mattino dopo per tornare al campus. Non avrebbe resistito il weekend a casa con i genitori. Con sua madre forse anche sì. L’avrebbe sicuramente trascinata a fare shopping per comprarle vestiti più adatti ad una signorina della sua levatura sociale. Avrebbero pranzato fuori. E forse l’avrebbe portata anche a sistemare i capelli, visto che l’ultima volta li aveva effettivamente sistemati da sola dopo aver per sbaglio tagliato una ciocca mentre lavorava su Dum-E.

Howard l’avrebbe ignorata per la maggior parte del tempo, al contrario. Sempre se fosse rimasto a casa. E se fosse rimasto a casa e non l’avesse ignorata, avrebbero litigato come ogni volta che si trovavano nella stessa stanza. Le avrebbe fatto vedere i nuovi progetti delle SI. Contratti militari e nuove armi da produrre, quando a lei interessava solo occuparsi di robotica in quel momento della sua vita. Doveva vincere quella gara anche solo per far vedere a suo padre di cosa era capace anche senza le attrezzature della sua compagnia.

“Signorina Stark, tutto bene?”

Aveva di scatto alzato la testa quando aveva sentito una voce sconosciuta e conosciuta al contempo arrivare alle sue orecchie.

“Capitano, credo mi sia venuto un infarto.”

Steve Rogers le aveva sorriso lievemente, restando immobile sulla porta della cucina.

“Stavo cercando il bagno, ma credo di essermi perso.” L’uomo sorrideva ancora, sembrando quasi imbarazzato. “Credo di aver capito male le indicazioni di Jarvis.”

Jarvis. Doveva scommetterci che era colpa del loro maggiordomo.

“Ha solo sbagliato porta, ma è nella direzione giusta.” Lo aveva guardato, e riusciva solo a pensare che fosse davvero bellissimo. “Devo dire che il suo sonnellino nel ghiaccio ha fatto miracoli sulla sua pelle. Non ha neanche una ruga.”

Steve aveva ridacchiato muovendosi poi verso di lei. “Non sono così tanto vecchio.”

“Oh, lo so bene. Sono cresciuta con Howard, ricorda? Capitan America era sempre presente nei suoi discorsi.” Gli aveva fatto cenno di sedersi e l’uomo l’aveva fatto senza alcuna esitazione.

“Sono rimasto stupito nello scoprire che Howard si sia sposato e abbia anche una figlia. E’ molto diverso dall’Howard che ho conosciuto io.”

“Erano altri tempi, Capitano. La gente cambia, non crede?”

“Può darsi. Certo è che i tempi cambiano. Ora i pantaloni si portano strappati?”

Natasha era scoppiata a ridere e lo aveva guardato. “Come mi immaginava, Capitano?” Aveva inarcato un sopracciglio, ma non riusciva a smettere di sorridere. “Vestita come una bambolina?”

“No, bambolina no.” Steve aveva fatto una lieve smorfia che non le era sfuggita. “Non mi immaginavo pizzi e merletti, anche perché credo non si usino più. Ma qualcosa di più sobrio, forse. Cosa rappresenta quella maglietta?”

“Oh, questa? E’ del mio gruppo preferito. Glieli faccio ascoltare se vuole, anche se sono un po’ diversi da Vera Lynn e Marlene Dietrich.”

Lo aveva osservato sorridere e scuotere la testa prima di guardarla e riprendere a parlare.

“Ho quasi paura a chiedere che tipo di musica facciano. Sono sveglio solo da un paio di mesi, e mi è capitato qualche volta di sentire la radio.”

“E io ho paura di chiederle che tipo di educazione moderna le diano quelli allo S.H.I.E.L.D..”

“Temo pessima. Non capisco neppure una maglietta, ma vedo moltissime persone camminare per la città con questi disegni strani stampati su esse. Ho iniziato a girare con un quadernetto su cui annotare tutte le cose che non conosco.”

“Oh, allora ha trovato la persona giusta! Posso riempire quella lista con cose molto interessanti! Tipo Star Wars e Star Trek. Sono un must. Deve vederli.”

Natasha lo aveva osservato mentre metteva una mano dentro la giacca e dal taschino interno estraeva il quadernetto e lo apriva per segnare i titoli da lei appena nominati. E prima che il suo cervello potesse impedirglielo era tutta sporta verso il giovane uomo e gli rubava di mano penna e quaderno.

“Facciamo così, Capitano. Ora le lascio il mio numero di telefono e il mio indirizzo a Boston, anche se non è difficile trovare il campus del MIT.” Stava scrivendo velocemente, sperando di scrivere in modo abbastanza leggibile. “Quando si annoia può scrivermi, o telefonarmi. E se quel mostro di Fury le lascia un attimo libero può anche venire a trovarmi. Ci sono molti posti fighi in cui potrei portarla.”

“Sono stato a Boston una volta. Per vendere titoli di guerra per sostenere lo sforzo bellico.”

“Oh, lo so. Credo di aver visto tutte le sue esibizioni in cui alla fine dava un pugno a Hitler.”

Steve Rogers le aveva sorriso nuovamente. E lei lo aveva semplicemente guardato. Era molto più bello che in qualsiasi foto o video avesse mai visto. Ora che lo guardava da così vicino ne era ancora più sicura.

“Magari un giorno le farò vedere la collezione privata di Howard riguardo a Capitan America e i suoi Howling Commandos.”

“L’Agente Coulson mi ha fatto autografare delle figurine che ha definito vintage. Non credevo neppure esistessero delle cose simili.”

“Ho dovuto cedere un paio delle mie per fargli completare la collezione e poter avere informazioni sul suo scongelamento.” Aveva aggrottato le sopracciglia e distolto subito lo sguardo imbarazzata. Era sicura di aver rovinato davvero tutto. Ora l’avrebbe presa per una ragazzina ossessionata e sarebbe fuggito lontano.

“Sì, me l’ha raccontato.” Aveva trovato il coraggio di guardarlo, e Steve le sorrideva lievemente. “Me l’ha raccontato anche se facendolo rischiava il posto. Tra fan ci si aiuta, ha aggiunto, ma non sapevo stesse parlando di te.”

“Non sono una stalker. Era per la scienza. Solo per la scienza. Dovevo capire come il siero di Erskine sia riuscito a salvarla.” Si era sporta di nuovo un po’ verso di lui e lui continuava a sorriderle. Forse non aveva ancora rovinato tutto. “Non sono riuscita ancora ad ottenere tutte le informazioni che mi servono perché Howard è molto geloso di tutto quello che la riguarda. Credo che neppure Furry o Peggy abbiano mai avuto accesso ai documenti che riguardano l’esperimento che l’ha trasformata. Ma potrei essere sulla buona strada.”

“Vorresti replicare il siero?” L’uomo si era fatto improvvisamente più serio e lei era tornata a sedersi composta.

“Assolutamente no. Voglio solo capire come sia stata possibile una tale trasformazione. Le ho detto, è per la scienza. Non sono interessata ad altro.” Aveva scosso velocemente la testa e lo aveva guardato. “Studio meccanica per un motivo.”

“Allora forse riuscirai a far volare la macchina che Howard è riuscito a far alzare da terra solo per qualche istante.”

Steve le aveva sorriso di nuovo, prendendo il proprio quadernetto e rimettendolo nel taschino. “Mi ha fatto molto piacere scambiare qualche parola con te, Natasha, ma forse ora dovrei tornare di là.”

“Howard potrebbe credere che la abbia rapita e chiusa da qualche parte.” Natasha gli aveva sorriso mentre lo guardava alzarsi e rimettere la sedia al proprio posto. “Però ha il mio numero. Quando si annoia e non sopporta più Fury sa dove trovarmi.”

“Lo farò.” Aveva sorriso ancora e poi era uscito dalla cucina. Lo aveva osservato attentamente. Aveva guardato ogni suo movimento mentre si allontanava e nuovamente appoggiava la fronte sul tavolo, dandosi mentalmente della cretina.
   
 
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