(I’ve
got a
lot of resentment for old friends -for letting me go without a fight. I
just
want someone to call and say, "I miss you, how are you?". I just want
to call someone and say, "I miss you, I’m sorry".)
Quando è
morta sua madre, Sehun aveva otto anni. Anche adesso, ad un passo dal
compierne
ventisei, ricorda perfettamente l’odore di disinfettante che
permeava la suite
18 della costosissima ed esclusiva clinica privata dove era stata
ricoverata.
La sua
stanza. Sehun era abbastanza grande da capire che la mamma era
gravemente
malata -cancro, gli aveva spiegato
dolorosamente sbrigativo Baekhyun, suo padre- e che i medici che le si
affaccendavano intorno stavano cercando una cura per salvarle la vita. Era abbastanza grande da
capire che gli occhi
del papà erano perennemente arrossati e gonfi
perché non dormiva mai
abbastanza, preferendo restare al capezzale della moglie ore ed ore ed
ore ogni
giorno, e perché piangeva quando pensava di non essere
visto. Piangeva di
rabbia, di impotenza. Sommessamente, trattenendo il più a
lungo possibile i
singhiozzi e asciugandosi velocemente le lacrime che rotolavano sulle
sue
guance.
Sehun lo
sapeva perché faceva esattamente lo stesso. Di notte, sotto
le coperte e al
riparo dagli occhi impietosi del mondo, stringeva forte i pugni e
soffocava i
lamenti contro il cuscino, che al risveglio trovava umido e
spiacevolmente
freddo.
Hello, hello
Anybody out there?
'Cause I don't hear a sound
Alone, alone
I don't really know where the world is, but I miss it now.
Minseon è morta alle
2:27
di un diciotto aprile che né lui né suo padre
riescono a dimenticare.
Era stata una giornata stressante, tra scuola, lezione di scherma e di
pianoforte (perché Baekhyun, forse nel tentativo di
trasmettere una parvenza di
normalità al figlio, gli aveva imposto di continuare con la
vita e gli impegni
di tutti i giorni). Sehun era così stanco. Per quanto si
fosse ripromesso di
comportarsi da bravo ometto coraggioso, semplicemente ad un certo punto
non era
più riuscito a tenere le palpebre alzate e si era
addormentato, poggiando la
guancia sinistra accanto alla mano della mamma, che gli accarezzava
piano
l’arruffata chioma scura.
Quando si era svegliato,
neanche un’ora dopo, un urlo disumano da animale ferito gli
aveva ferito i
timpani. La voce era quella del papà, l’aveva
riconosciuta subito. Spaesato,
aveva cercato conforto nella mano della mamma. Ma era fredda,
freddissima e
bianca come un pezzo di ghiaccio. Prima che potesse realizzarne il
motivo un
paio di braccia accoglienti e ferme l’avevano circondato e
lui si era sentito
tirare via. Poi il cielo si era oscurato di nuovo.
L’ironia del destino ha
voluto che il decesso della donna che l’aveva messo al mondo
e amato più di se
stessa per sette anni avvenisse proprio il giorno del suo compleanno.
Il
diciotto aprile, stanza numero diciotto. Sono quasi diciotto anni che
Sehun non
dorme più.
I'm out on the edge
and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough
‘Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
My shadow, shadow
Is the only friend that I have.
“Sehun, non puoi ignorare
il problema sperando che prima o poi passi” esordisce,
seccamente.
Byun Baekhyun, presidente
e fondatore delle EXO Industries, ha sempre voluto un gran bene al
figlio ma è alquanto
maldestro nel dimostrarglielo. I suoi modi sono bruschi, impacciati.
Era
Minseon quella brava a rapportarsi con le persone, non lui.
“Papà. Mi hai
davvero
convocato nel tuo ufficio, mentre ero nel bel mezzo di una
videoconferenza con
i soci giapponesi, per parlare della mia insonnia?”
è la replica, pacata ma
venata di esasperazione, di Sehun. “Sono
l’amministratore delegato, ho degli
obblighi a cui assolvere”.
“Questo lo so meglio di
te, figliolo. E’ appunto per via del ruolo che ricopri che ti chiedo di prendere il
toro per le corna,
una volta per tutte” insiste il padre. “La
dottoressa Choi-”
“Ti prego, ancora con
questa storia?” Sehun alza gli occhi al cielo, sbuffando.
“Te l’ho già detto,
dalla dottoressa Choi non ci torno più! Sono adulto,
vaccinato e perfettamente
autosufficiente. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno,
specialmente di una
strizzacervelli”.
“Sarà anche
come dici tu,
ma levati dalla testa la convinzione di essere infallibile. Sei mio
figlio,
Sehun, e ti conosco. Sei testardo, certo, ma io lo sono di
più: ho deciso per
il tuo bene che seguirai il mio consiglio e lo farai” il tono
di voce è
perentorio, impossibile contraddirlo.
“Posso almeno sapere di
che si tratta?” indaga Sehun, passandosi una mano sugli
occhi. Discutere con
suo padre lo riduce sempre in pessime condizioni.
“E’ un gruppo
di sostegno
per persone che hanno problemi di emotività. Una specie di
Emotivi Anonimi, se
vogliamo chiamarlo in qualche modo. Quando ancora andavi in cura da
lei, la
dottoressa aveva appurato che la tua insonnia è di natura
traumatica. In questi
ultimi cinque anni lei ed una equipe di psicologi hanno condotto degli
studi al
riguardo, e sono giunti alla conclusione che una gamma molto vasta di
disturbi
comportamentali sono riconducibili ad un’origine comune,
ovvero una spiccata
emotività. Hanno avuto degli ottimi riscontri e, sebbene
tutti i posti per i
prossimi sei mesi fossero prenotati, la dottoressa è stata
così gentile da
riservarne uno per te. Cominci domani sera”.
“Hai organizzato tutto
fin
nel minimo dettaglio, vedo. Quando pensavi di dirmelo?” prova
a ribellarsi.
“Non fare il ragazzino
viziato. Se sei indipendente e autonomo come sostieni, dimostramelo.
Partecipa
alle sedute del gruppo, impegnati e cerca di stare meglio”.
“Ti vergogni di me, non
è
vero? Ti vergogni perché sono strambo; è
così, papa?” lo accusa Sehun, ferito.
“Non pensarlo nemmeno per
un attimo” lo fulmina con uno sguardo duro, di pietra.
“Tu sei la sola cosa
bella che mi sia rimasta e non voglio perderti. Sono diciassette anni
che prego
perché tu ti lasci la morte della mamma alle spalle, ma il
tuo dolore è andato
in cancrena. E’ diventata una malattia, un parassita che ti
sta rodendo piano,
dall’interno. Non posso perdere anche te per colpa di un
cancro, figliolo, lo
capisci? Fatti aiutare. Datti pace. Uccidi la bestia, Sehun”
lo supplica
Baekhyun con un tremore nella voce che rivela l’abisso di
tristezza sepolto nel
profondo del suo cuore sanguinante.
Listen, listen
I would take a whisper if
That's all you have to give
But it isn't, isn't
You could come and save me
Try to chase it crazy right out of my head.
“Uhm, salve a tutti. Il
mio nome è Sehun”.
“Ciao, Sehun”
gli
rispondono in coro gli altri Emotivi Anonimi, una decina in tutto.
Le sedie sono disposte a
cerchio. Su una di queste è seduto un medico che sembra un
modello capitato lì
per sbaglio. Il badge appeso al bavero del suo camice lo identifica
come il
dottor Wu Yifan. Si presenta, gli parla gentilmente cercando di
metterlo a suo
agio. Lo osserva con espressione neutrale e scribacchia qualcosa su un
blocco
di appunti.
“Vuoi parlarci del
perché
sei qui, Sehun? Sempre se te la senti, beninteso” ci tiene a
precisare.
“Certo, nessun
problema”
scrolla le spalle con noncuranza. Non nutre più alcuna
fiducia in questo genere
di cose (non dopo dieci anni dall’analista senza alcun
risultato) ma ha
promesso di fare un ultimo tentativo. In fondo, che gli costa? Magari
l’ostinazione paterna, di fronte all’ennesimo buco
nell’acqua, si placherà
definitivamente.
“In realtà non
sono
venuto qui di mia volontà: è stato il mio
vecchio, mi ha praticamente
costretto” e sorride, per smorzare la tensione che gli
attanaglia lo stomaco. Uno
scroscio di risatine sommesse gli conferma di non essere il solo in
quella
situazione. “Mia madre è morta diciassette anni
fa. Era la mamma migliore del
mondo, ancora giovane. Papà ed io la adoravamo. Un cancro ce
l’ha portata via.
Stavo nella sua stanza quando è successo. Mi ero
addormentato, era molto tardi
e il giorno dopo sarei dovuto andare a scuola. Ma lei se ne
è andata mentre
dormivo e-” un groppo in gola gli impedisce di terminare la
frase. “Da allora
soffro di insonnia. Il mio subconscio teme il sonno. Io… io
temo di non
riuscire a svegliarmi in tempo”.
“Uhm”
commenta il dottor Wu, prendendo appunti. Il suo tono di voce non
riesce ad
essere distaccato come vorrebbe. La storia del ragazzo lo ha scosso.
Sembra
giovane, troppo giovane ed empatico per potersi accollare il dolore dei
suoi
pazienti. “D’accordo, Sehun. Credo che per oggi sia
abbastanza. A chi tocca,
adesso?”
“A me”
risponde una bella voce vellutata proveniente dalla sinistra di Sehun.
Lui si volta
e cazzo-
E’ un uomo,
è giovane, al posto degli occhi ha due gioielli di ossidiana
che brillano. Un
profilo dolce, labbra soffici, l’incarnato color biscotto e
ciuffi di capelli
corvini che gli ombreggiano delicatamente la fronte. Sembra un elfo;
lungo, flessuoso,
con una grazia goffa ed eterea nel modo in cui tiene larghe le spalle e
le mani
dietro la schiena, nascoste dai polsini della camicia. Ha la bellezza
di
un’eclissi, di un tramonto infuocato di rosa e
d’arancio, delle cascate. Non se
ne vedono molti come lui, a Seoul.
Sehun è sopraffatto
e si perde la presentazione dell’altro. Il quale, rimessosi a
sedere, si volta
verso di lui. Si guardano. Non fanno altro per il resto della seduta.
I'm out on the edge
and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough
‘Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
My shadow, shadow
Is the only friend that I have.
Il ragazzo, viene a
sapere Sehun durante il secondo incontro, si chiama Jongin. Soffre di
onicofagia (sfoga il nervosismo rosicchiandosi le unghie fino a farle
sanguinare) e ha qualche problema a gestire la sua castrante timidezza.
Mano a mano che gli
incontri si susseguono, scopre anche che è vegetariano ed
intollerante alle
fragole e ai latticini; che è figlio unico ma ha una cugino,
Jongdae, che adora
e che considera il fratello di cui sente la mancanza; che il suo
disturbo è
insorto in seguito alla perdita del padre in un incidente
d’auto cinque anni
prima. Scopre anche che è un mezzo genio. Frequenta solo il
terzo anno di
ingegneria aerospaziale, eppure conta di laurearsi di lì a
sei mesi. Ha tre
cani e due tartarughe d’acqua, il suo colore preferito
è il blu e la sua
passione segreta sono i vecchi film europei in bianco e nero.
E’ sensibile,
spiritoso, totalmente ignaro del fascino che esercita sugli altri.
(Tre mesi dopo, Sehun è innamorato perso e ha una paura
fottuta.)
I don't wanna be down
and
I just wanna feel alive and
Get to see your face again once again.
Just my echo, my shadow
You’re my only friend
Mancano diciotto giorni al diciottesimo anniversario della sua morte. Quel numero lo perseguita.
“Terra-chiama-Sehun.
Terra-chiama-Sehun”
lo pungola Jongin, le mani a coppa davanti alla bocca a mo’
di megafono
pericolosamente vicine al suo orecchio.
“Scemo”
sorride,
colpendolo affettuosamente sulla spalla. “Sono qui. Ero solo
un po’
soprappensiero”.
“Stavi pensando a tua
mamma, vero?” indovina, con un intuito ed una delicatezza che
lasciano Sehun a
bocca aperta.
“Un giorno di questi dovrai spiegarmi come diamine
fai a leggermi nella
mente”.
“Oh, non ci vuole
chissà
quale potere magico. Semplicemente, quando pensi a lei ti si scava una
ruga tra
le sopracciglia, proprio qui” e gli tocca il volto per
indicare il punto
preciso, lisciando la pelle corrugata con i polpastrelli.
“Sei un grande
osservatore” replica Sehun, turbato e ammirato al tempo
stesso.
Jongin gli regala un
sorriso quasi triste. “I timidi notano tutto, ma sono molto
bravi a non farsene
accorgere”.
I'm out on the edge
and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough…
‘Cause my echo, echo
Oh my shadow, shadow.
E’ tutto talmente paradossale ed assurdo. Una qualsiasi altra
persona, una
persona sana di mente, trascorrerebbe
quel giorno di lutto e di festa insieme, di morte e celebrazione della
vita,
rintanato in camera da letto avvolto in un plaid di lana e rifiutando
qualsiasi
contatto con il mondo esterno. Invece lui è lì,
davanti alla tomba di sua
madre. E’ il diciotto aprile, lui compie ventisei anni ed
è al cimitero. Con
Jongin. E si sta dichiarando.
“Ascolta”
balbetta, rosso
in faccia e afferrandogli la manica del giubbotto. “So che
è il luogo
sbagliato, il momento sbagliato, il giorno sbagliato. E so di essere
sbagliato
io. Sono fatto male, ho un sacco di turbe e sono complessato da
morire-”
“Perché io
invece ti
sembro una persona perfettamente equilibrata?” lo interrompe
Jongin,
ridacchiando di gusto.
“Non- fammi finire, ok?
Dicevo: sono abbastanza patetico -però con un bel lavoro e
l’avvenire
assicurato, almeno questa gioia- e testardo come un mulo. Sono
perseguitato dai
miei fantasmi e forse non me ne libererò mai. Ma
tu… Tu mi hai aiutato. Ieri
notte ho dormito, sai? Per cinque ore di fila. Senza usare sonniferi o
gocce o
calmanti. Niente di niente, capisci? E ti ho sognato. Ti ho sognato,
Jongin.
Eri lì, nella mia testa, ed ero così felice
perché tu sei ovunque, in realtà.
Nel mio cuore, nel mio cervello bacato, nella bocca dello stomaco. Ok,
detta
così fa schifo, ma quello che intendo dire
è-” una mano privata del suo guanto gli
sigilla la bocca.
“Guarda le mie
unghie”.
Sehun obbedisce e sorpresa:
le dita di Jongin sono meno martoriate del solito. Le unghie stanno
ricrescendo, millimetro per millimetro, e la carne viva non sanguina
più.
Si guardano.
“Non me le mangio da una
settimana” spiega con dolcezza. “Siamo entrambi
sbagliati, Sehun. Abbiamo i
nostri traumi, le nostre manie, e siamo ancora ben lontani dal poterci
considerare normali o guariti. Ma sai che ti dico? Me ne frego. Tu ed
io,
insieme, siamo giusti. Siamo perfetti. Nient’altro conta, per
quanto mi
riguarda” sorride, con le stelle negli occhi.
Sehun fissa quelle stelle
combattendo l’istinto di piangere.
“Nient’altro conta, in effetti” e lo
bacia.
Hello, hello
Anybody out there?
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