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Autore: Melodia_    18/05/2017    2 recensioni
Arthur sbattè le palpebre, investito dal torrente di parole. “Gwaine?”
Merlin annuì energicamente, nonostante si tenesse in precario equilibrio accanto ad Arthur.
“E’ un mio amico, sa? In realtà, ci siamo conosciuti ieri, abbiamo vinto a carte i biglietti di terza classe. Dio, non penso esistano dei giovani più esuberanti di lui, mi creda! Però è uno a posto, tutto sommato.”
Arthur lo guardò con tanto d’occhi. “Io non sono sicuro che lei sia a posto, in realtà.”
Merlin sorrise. “Beh, non sono io che avevo ispirazione suicide fino ad un istante fa.”
Arthur corrugò la fronte. “Sono intenzionato quanto prima a gettarmi.” Proclamò altezzoso. “Se lei non chiacchierasse continuamente di questo Gwaine, ora i miei problemi sarebbero finiti!”
Merlin roteò gli occhi. “In prima classe sono tutti melodrammatici come lei? Non mi ha sentito, prima? Salta lei, salto io."
Titanic! AU// quando il livello di sadismo raggiunge vette altissime// Merthur
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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“Non so come attesi pazientemente che i quindici minuti passassero.
Guardavo freneticamente l’orologio, ma le lancette sembravano muoversi più lentamente di proposito.
Non fu troppo difficile allontanarmi, con la scusa di un’indisposizione.
Mio padre, a quel punto della serata, era abbastanza alticcio e Gwen era stata chiamata a giocare a carte al tavolo delle signore.
Uscire all’aria aperta sembrò un balsamo per il mio cuore agitato.
Rientrai nel salone con le mani che tremavano incontrollabili e non mi accorsi neanche dell’occhiata stupita del facchino, quando gli chiesi di scendere all’ultimo livello, alla terza classe, accanto alle caldaie.
Merlin mi stava aspettando, appoggiato allo stipite di una porta.
Aveva slacciato il papillon e aveva tolto la giacca, restando soltanto in camicia e bretelle.
Mi rivolse un sorriso tale che gli illuminò completamente il viso.
Se chiudo gli occhi, Sarah, sento ancora la sua voce vibrare allegra nelle mie orecchie.”


“Mai stato in Irlanda, Mr. Pendragon?” urlò Merlin, per sovrastare la musica e le voci delle persone che li circondavano.
“No! Lei sì?” urlò Arthur di rimando.
Merlin scoppiò a ridere. “Sono irlandese di nascita!” esclamò, calcando volutamente sulla cadenza delle parole.
Poi lo afferrò per una mano e Arthur istintivamente ricambio la stretta con forza, senza la minima esitazione.
Merlin lo trascinò su un palco sopraelevato, dove coppie di ragazzi ballavano a tempo di musica, saltando, andando su e giù, muovendosi senza freni.
“Questi è meglio se li tolga.” Fece Merlin, sfilandogli il colletto inamidato e la giacca.
Arthur lo guardò confuso. “Non vorrà mica farmi ballare?”
“Molto meglio, ballerà con me.” Ghignò Merlin, trascinandolo nella mischia.
Il giovane non ebbe neanche il tempo di protestare che stavano già girando in tondo velocemente, sotto braccio l’uno con l’altro, Merlin che rideva come un matto seguito a ruota da Arthur.
Senza freni, senza inibizioni, senza preoccupazioni di alcun genere.
Era incredibile come solo la sera prima Arthur fosse stato convinto che niente l’avrebbe potuto mai rendere felice, che tutto dovesse concludersi con un salto nelle acque scure dell’Oceano Atlantico.

Arthur non avrebbe mai potuto pensare che una festa lo divertisse tanto.
O che lo facesse sentire tanto libero, senza codici ed etichette da rispettare.
Merlin gli presentò almeno una ventina di persone, che lo accolsero come uno di loro, come una persona di famiglia, tra abbracci e strette di mano.
Conobbe Gwaine, capelli scuri e risata facile, e Percival, un ragazzone scozzese alto quanto un armadio, ma dai modi gentili.
Ci mancò poco che non morisse dal ridere quando Merlin riconobbe Santiago, a suo dire un ragazzo conosciuto in Spagna tre anni prima, e lo mandò lungo a terra con un abbraccio ben piazzato.
Arthur si arrotolò le maniche della camicia e si scostò i capelli sudati dalla fronte. “Usciamo un po’? Sto morendo dal caldo.” Disse, rivolto a Merlin.
“Sicuro. Vieni di qua.” Stavolta fu Arthur a prenderlo per mano, con naturalezza, come se lo facesse da tutta la vita.

A quell’ora tarda, i corridoi che portavano verso l’esterno della nave erano completamente deserti.
Arthur e Merlin canticchiavano a mezza voce una canzone, di cui a stento indovinavano le parole.
“Ti dico che fa così!” protestò Arthur, aggrotando le sopracciglia.
Merlin rise. “Ma se l’hai sentita per la prima volta cinque minuti fa.”
Arthur lo spintonò leggermente, ma sorrideva tranquillo, appagato.
L’aria notturna era gelida, ma entrambi i ragazzi si sentivano talmente inebriati dalla serata appena trascorsa che non ci fecero neanche caso.
Arthur si appoggiò coi gomiti al parapetto della nave, il naso all’insù verso il cielo stellato.
“Ci crediamo uomini così grandi e non siamo che granelli di polvere rispetto a quest’immensità.” Mormorò.
“Non fa che confermare quanto ho detto prima; è meglio essere felici nel tempo che ci è concesso.” Disse Merlin.
Arthur annuì.
Per pochi minuti nessuno dei due parlò, ognuno immerso nei propri pensieri.
“Cosa farai una volta arrivato a New York?” chiese Arthur.
Merlin scrollò le spalle. “Non lo so. Suppongo che cercherò di adattarmi alla vita nella Grande Mela. Dicono che in America ci siano più opportunità, anche per degli squattrinati come me.” Fece ironicamente. “Dio, nonostante tutto, mi mancherà l’Europa. Parigi e Dublino sicuramente.” Aggiunse, accendendosi una sigaretta.
“Parigi è davvero così bella?” domandò Arthur.
Merlin annuì. “Ti senti libero di essere chi vuoi o.. chi sei.” Sussurrò, gettando uno sguardo alle loro mani, fino a poco prima intrecciate.
“Non riesco quasi ad immaginarlo.” Disse Arthur, sorridendo amaro.

In quel momento una stella cadente squarciò per un istante il cielo nero.
“Esprimi un desiderio.” disse, girandosi verso Merlin, ma il ragazzo non stava affatto prestando attenzione al cielo.
Guardava semplicemente lui.
Come se fosse qualcosa di raro e prezioso.
“Perché dovrei?” disse, infatti.
“Dovrei andare adesso.” Sussurrò Arthur.
“Lo so.” Rispose Merlin. Gli si avvicinò, riallacciandogli il colletto e lisciandolo con cura.
Arthur non osò neppure fiatare, calamitato dalla sua espressione concentrata.
“Perfetto.” Disse il ragazzo infine.
Poi, fece l’ultima cosa che Arthur si sarebbe aspettato.
Gli prese la mano destra e vi depose un bacio sulle nocche.
“Buonanotte, Arthur.” Disse con un sorriso, arrotolando il suo nome nella bocca in maniera deliziosa, voltandosi per ritornare negli alloggi della terza classe.
“Buonanotte, Merlin.” Mormorò il giovane tra sé, restando per un istante imbambolato, guardandolo sparire oltre le scale.

“Naturalmente, col senno di poi, mi chiesi come avessi potuto pensare che avrei avuto vita facile.
Ancora oggi, sul finire del millennio, per i ragazzi non è semplice dichiararsi omosessuali, ma non sarà mai orribile come a quei tempi.
Si trattava di essere considerati scherzi della natura, malati, deviati, criminali contro l’ordine morale.
La pena era la galera.
Nel mio caso, la collera di mio padre equivaleva alla condanna ai lavori forzati.
A sedici anni avevo conosciuto un ragazzetto, William, che nella bella stagione, portava la posta ogni mattina, alla porta della nostra villa di campagna.
Ricordo che avesse i capelli rossi e ricciuti e due vispi occhi verdi.
Non successe chissà che cosa, non eravamo tanto stupidi da rischiare nella stessa casa di mio padre.
Eppure, ci colse in flagrante, mentre Will mi carezzava le labbra, al di sotto di un albero in riva al fiume.
Fui frustrato duramente e di Will non seppi più nulla.
Supplicai mio padre, fui vigliacco, giurai e spergiurai che si era trattato solo di un momento di follia, che non si sarebbe mai più ripetuto, che provavo ribrezzo per me stesso.
Se ci penso, mi sento ancora così in colpa.
Dopo il fidanzamento con Gwen, mio padre sembrò calare la guardia: d’altronde, mi ero rassegnato a quella che sarebbe stata la mia infelice condizione per il resto della vita.
Dovevo immaginare che, in realtà, aveva continuato a controllarmi a vista, pur di accertarsi che non macchiassi l’onore dei Pendragon con la mia deviazione.”


Arthur rientrò nella suite con il sorriso sulle labbra.
Si sfilò la giacca elegante e la appoggiò all’attaccapanni all’ingresso della stanza.
Tutto era in ombra, Arthur immaginò che Gwen e suo padre si fossero già ritirati.
Fu per questo che, quando la figura di Uther gli si parò davanti, sobbalzò sorpreso e, quasi in automatico, seppe di avere dipinta in viso l’espressione più colpevole del mondo.
“Padre.” Balbettò. “Pensavo fossi già a dormire.”
Uther sorrise piano, come un cacciatore che osserva la propria preda cadere in trappola.
“Oh no, figlio. Sono stato piuttosto occupato con Sir Bingley e Sir Garber.”
“Ah, capisco. Sarai certo molto stanco adesso.”
Uther rise freddo. “Suvvia, Arthur, il tuo caro padre non è ancora così vecchio e stupido come credi.”
“Io non..”
“Taci.” Intimò Uther. “Mentre stavo giocando a carte, un uccellino mi ha riferito di aver visto qualcosa di molto curioso in giro per la nave. Puoi immaginare cosa?” Proseguì, con calma glaciale.
Arthur ingoiò a vuoto.
Un velo di sudore freddo gli cospargeva la fronte.
“Cosa?” disse, cercando di mostrarsi curioso.
Uther non accennava a smettere di sorridere, con la mani cacciate nelle tasche.
“Tale Mr. Emrys, un pezzente saltimbanco girovago di terza classe, mano nella mano, senza alcun ritegno per la loro oscenità, con.. mio figlio.”
Arthur non ebbe neanche il tempo di pensare di difendersi, di inventare una scusa o di provare a scappare.
Il cervello gli si era annebbiato dal terrore e i muscoli sembravano essersi paralizzati.
Quasi non si accorse del pugno che gli si abbatté sul viso, in pieno zigomo, e poi del secondo, del terzo, del quarto, a cui si aggiunse un calcio nello stomaco e le urla furenti di suo padre, che lo ricopriva di insulti.
Il dolore fisico non era nulla in confronto a quello che provava dentro di sé.
Quel paio di ore erano state sola mera ed effimera illusione, come sempre.
Uther smise per un attimo di picchiarlo ed Arthur sputò sangue a terra, tossendo, cercando di trattenere i conati di vomito.
“Stammi a sentire molto bene, schifoso ragazzino.” Disse suo padre tra i denti, afferrandolo per l’attaccatura dei capelli biondi e avvicinandolo alla sua faccia, gli occhi due tizzoni ardenti di odio.
“Non mi interessa se preferisci prenderlo su per il culo, non mi metterai in condizioni di vergognarmi di te e di disonorare il nome dei Pendragon. Quando arriveremo a New York, sposerai la tua fidanzata e i nostri debiti saranno risanati dalla sua fortuna.”
Uther lasciò la presa, facendolo cadere a terra come un burattino a cui fossero tagliati i fili.
“Per quanto riguarda il tuo amichetto, sono certo che non ti azzarderai a rivederlo.” Riprese poi con noncuranza. “Non vorrai certo che faccia la fine di William Stamford.” Concluse.
Nella penombra della stanza, Arthur lo vide infilare la veste da camera e sciacquarsi le mani in una ciotolina, ripulendosi del sangue del figlio.
“Margaret.” Chiamò poi, rivolgendosi alla loro cameriera. “Il signorino Arthur ha avuto uno spiacevole incontro stasera. Prenditi cura di lui e fa in modo che domani sia presentabile per la sua fidanzata.”
A quel punto, Arthur non riuscì più a trattenersi e vomitò sangue e bile sul tappeto damascato.

“Inutile dire che presi molto seriamente l’avvertimento di mio padre.
Margaret fece il possibile per la mia faccia.
Naturalmente, servire presso una casa nobile, comprende essere pratichi nel nascondere gli abusi che un padrone violento può commettere su moglie e figli.
Quando mi guardai di sfuggita allo specchio, stentai a riconoscere persino le mie stesse fattezze umane.
Il mattino seguente – eravamo al terzo giorno di navigazione – mi fu impedito di lasciare la mia camera da letto.
Nonostante gli sforzi di Margaret, non sarebbe stato difficile indovinare a cosa fosse dovuto il mio aspetto.
A Gwen raccontarono che ero indisposto e febbricitante, pertanto non le fu permesso di accertarsi delle mie condizioni.
La sentii augurarsi con voce affettata che il suo caro Arthur si riprendesse presto. Il viaggio sarebbe stato una tale noia senza di me!
Mi lasciarono poltrire a letto, con la mia cameriera che regolarmente mi applicava pomate ed unguenti per aiutare ad estinguere al più presto le lividure.
Nel mio stato di incoscienza, ovviamente, pensavo a Merlin, a quanto mi avesse reso felice e libero per una serata.
Al suo sorriso largo e sincero, gli occhi azzurri come pietre preziose, la sua risata contagiosa.
Quanto doveva essere stato in pena per me! Seppi in seguito che aveva cercato di parlare con il mio maggiordomo, ma chiaramente ottenne ben poche informazioni.
Ero così preoccupato di quello che mio padre potesse fargli in mia assenza che anche i brevi sonni in cui cadevano erano tormentati di sogni angosciosi.
Non mi importava poi tanto di me stesso, del dolore fisico.
Avrebbe potuto ammazzarmi, cosa me ne sarebbe importato?
No, l’unica cosa per cui ero terrorizzato era Merlin, solo e soltanto Merlin.
Non potevo avere più contatti con lui.
Non potevo esporlo a quel pericolo.
Non potevo permettere che gli accadesse qualcosa di male a causa mia.”


Arthur passeggiava lentamente a fianco di Gwen, nel sole mattutino.
Alla fine, con il piccolo aiuto di cipria e belletto, Margaret era riuscita a coprire gli ematomi più compromettenti.
La supposta malattia gli permetteva di camminare piano, così da non sforzare le costole indolenzite.
“Gwen, ho bisogno di sedermi un momento.” le chiese dopo un attimo, fermandosi accanto a un divanetto.
La ragazza sorrise accondiscendente. “Va bene, Arthur caro, io raggiungerò Lady Moran più avanti. Voi uomini per un raffreddore vi abbattete completamente.” Proclamò con una risatina.
Arthur si sedette, ma dopo un istante sentì qualcuno tirarlo per la manica della giacca.
“Ma cosa.. Merlin?!” esclamò spaventato. “Non dovresti essere qui, è riservato ai passeggeri di prima classe.” Balbettò.
Merlin agitò la mano, come se la cosa non avesse per lui la minima importanza. “Credi davvero che mi faccia questo problema? Perché nessuno ha saputo darmi una spiegazione ieri? Cosa è successo?” domandò a raffica.
Arthur si guardava intorno, preoccupato. “Merlin.. ah.. dannazione! Entra qua dentro.” Imprecò, spingendolo oltre la porta della sala cafè, al momento chiusa.
“Arthur, si può sapere cosa..” iniziò Merlin, ma Arthur aveva chiuso gli occhi in una smorfia di dolore.
Merlin tacque, avvicinandosi a lui, e poggiandogli cautamente un dito sul viso.
Poteva sentire sotto la consistenza inusuale del trucco e non gli fu così difficile indovinare cosa fosse successo.
“Ti ha picchiato.” Sussurrò sconvolto.
Arthur strinse le labbra. “Non.. sì, ma non devi preoccuparti. Era solo arrabbiato e.. e ora sto bene. Per piacere, lasciami stare adesso.” Disse, mettendo la mano sulla maniglia, ma Merlin fu veloce a bloccargli il polso.
“Non preoccuparmi? Spero tu stia scherzando Arthur. Sparisci un giorno intero e ti ritrovo.. conciato così. Come puoi pensare che non mi preoccupi?” riprese, le iridi azzurre che sembravano tremare negli occhi.
“Non devi.. ti prego, Merlin, non lo rendere ancora più difficile.” Supplicò il ragazzo. “Ci conosciamo appena e.. tra pochi giorni arriveremo a New York, io sposerò Gwen e tu dimenticherai anche di avermi incontrato.” Disse con la voce incrinata al solo pensiero.
Merlin scosse lentamente il capo. “Come potrei dimenticarti, testa di fagiolo che non sei altro? Ormai ci sono troppo dentro.. salti tu, salto io, ricordi? Non posso vivere con la consapevolezza che tu non sei libero.”
Arthur deglutì. “E’ la cosa giusta per me.”
“No, non lo è!” urlò Merlin. “Lo so come va il mondo: non ho nulla da offrirti, chiunque ci giudicherebbe un abominio della natura, so benissimo che non sarebbe facile, ma Arthur.” Disse, prendendogli le mani e stringendole forte. “Potrà essere giusto per qualche mese, addirittura qualche anno. Ma poi.. ti spegnerai e dannazione, non posso permetterlo.”
Merlin aveva il fiatone per quanta passione aveva usato.
Arthur si sentiva sul punto di scoppiare in lacrime e l’avrebbe certamente fatto, se la voce di Gwen che lo chiamava dall’esterno non l’avesse fatto sobbalzare.
“Merlin devo..”
“Ti prego, ti prego. Pensaci almeno. Sarò sul ponte, a prua, dove ci siamo conosciuti, ad ora di cena, quando tutti saranno in sala ristorante. Ti prego, Arthur.”

“Le parole di Merlin mi rimbombavano nella testa. Il resto della giornata lo trascorsi in uno stato di trance, a stento rispondevo quando qualcuno mi interpellava.
Volevo abbandonarmi a quel ti prego.
Volevo corrergli incontro e dirgli, sì, scappiamo, andiamo via dove nessuno ci possa più riconoscere.
Ma avevo paura, terribilmente paura.
Paura di mio padre, paura di Gwen, paura del giudizio di tutto il resto del mondo.
Paura di fidarmi.”


Il sole stava lentamente declinando sulla linea dell’orizzonte, spandendo bagliori rossastri sul cielo intorno.
Arthur guardava fuori dalla vetrata, con lo stomaco stretto e i sentimenti ingarbugliati.
Stava per perderlo e non riusciva a reggere questa consapevolezza.
“Va tutto bene, giovanotto?”
Arthur si girò di scatto verso l’uomo che aveva parlato e, con sollievo, notò che si trattava di Mr. Brown.
“Certamente.” Mentì. “Stavo solo pensando.”
Il vecchio sorrise scettico. “Dalla tua espressione, si doveva trattare di una questione abbastanza spinosa.”
Arthur abbozzò un sorriso di scuse. “Abbastanza.”
L’uomo si sedette di fronte a lui. “Avanti, dimmi. E non preoccuparti, non riferirò al tuo caro padre, dubito che potrebbe fornirti aiuto.” Disse, accendendosi la pipa e aspirando una boccata di fumo.
“Si è mai.. trovato in bilico tra due fuochi?” domandò Arthur esitante. “Voglio dire, tra lo scegliere tra cosa è giusto per tutti e cosa è giusto per sé stesso?”
“Come tutti, suppongo.” Rispose Mr. Brown, inarcando il famoso sopracciglio.
“Ecco.. io mi trovo in difficoltà. Se seguissi la prima strada sarebbe tutto più semplice, se prendessi la seconda probabilmente tutto finirebbe complicarsi fino all’inverosimile.”
Mr. Brown aspirò un’altra boccata di fumo. “Se la metti così, ragazzo, è piuttosto facile decidere, non trovi?”
Arthur rise nervosamente. “Forse.”
“Ragazzo, se non intuissi a cosa si riferisca la seconda strada, ti consiglierei certamente di comportarti in modo da evitarti tante noie e problemi. Ma credo che a questo bivio, ci sia il simpatico giovanotto giramondo che ci hai presentato l’altra sera, non è vero?” commentò con semplicità il vecchio.
Arthur arrossì di botto. “Lei.. come.. non..”
“Prendi fiato, non vorrai deciderti di tirare le cuoia proprio ora.” Lo riprese ironico l’uomo. “Ragazzo, forse a costo di grandi sacrifici mi sono conquistato un posto in prima classe, ma non sono certamente rimbecillito come quegli altri signori.” Disse Mr. Brown in tutta tranquillità.
Arthur abbassò lo sguardo. “Mi piacerebbe che non fosse l’unico a pensarla così.”
Mr. Brown aspirò un’ultima, profonda boccata di fumo, umettandosi le labbra, come per ponderare con attenzione le parole successive. “Non tutti la penseranno come me. Anzi, penso che saranno più le persone a darti contro che ad appoggiarti, in primis tuo padre. Ma, la vita è solo tua. Non appartiene a tuo padre, neanche al giovanotto per cui spasimi tanto. E’ tua e devi prendere con coraggio le tue decisioni. Non ti dirò cosa fare, ragazzo, ma quando ormai raggiungi una certa età, ti rendi conto che sia sempre meglio avere più rimorsi che rimpianti.” Concluse, lanciandogli uno sguardo penetrante dal retro degli occhiali rotondi.
“Adesso, fingi di sentirti abbastanza male, ti accompagnerò fuori di qua, senza che tuo padre mandi qualcuno a seguirti e potrai pensare in santa pace.”
Arthur si aprì nel primo vero sorriso in due giorni. “Non so come ringraziarla.”
Il vecchio sbuffò impaziente. “Fai la scelta giusta e mi farai contento.”

L’espediente di Mr. Brown si rivelò vincente.
Vedendolo accompagnato da un uomo, seppur stravagante, ma pur sempre anziano e rispettabile, Uther non si preoccupò minimamente di poter esser stato tratto in inganno.
“Ti lascio qua, giovanotto. Io mi ritirerò nella mia camera.” Disse, congedandosi l’uomo.
“Buona fortuna.” Gli augurò infine.

Rimasto solo, Arthur chiuse per un attimo gli occhi, pensando a quello che sentiva nel cuore.
Valeva la pena portarsi per sempre il rimpianto di non averci provato?
Valeva la pena abbandonare Merlin e aspettare di dimenticarlo?
Nessuno, riflettè Arthur, lo aveva mai fatto sentire così vivo come quel ragazzo.
Come poteva un sentimento così puro essere considerato tanto sbagliato?
Sentendosi sicuro come non mai, Arthur si incamminò a passo spedito verso il ponte di prua.
Il loro posto, effettivamente.
Sentiva il cuore battere furiosamente nelle orecchie, pregava solo che Merlin non se ne fosse andato già.
Gli ultimi metri li percorse quasi correndo, nonostante il dolore lancinante alle costole.
Merlin era di spalle, stagliato contro il cielo tinto di rosso e d’arancio, lo spettacolo mozzafiato del tramonto sull’oceano.
“Merlin!” lo chiamò Arthur ad alta voce.
Stavolta il ragazzo si girò di scatto, la sorpresa incisa in ogni tratto del suo viso pallido.
“Ho cambiato idea.” Disse semplicemente Arthur. “Ci ho pensato e-“
“Sh.” Lo zittì Merlin, con un sorriso dolcissimo dipinto sul volto. “Dammi la mano e chiudi gli occhi.” Disse poi.
Arthur ricambiò il sorriso e, senza dire una parola, gli strinse la mano, serrando le palpebre.
“Sai, i parapetti non sono fatti solo per sporgersi a guardare le pale.” Stava dicendo ironicamente la voce di Merlin, mentre lo guidava a salire dinanzi a sé.
“Se non stai attento, mi ci farai finire di sicuro.” Rispose Arthur, sempre ad occhi chiusi.
“Testa di fagiolo.” Borbottò Merlin divertito. “Ti fidi di me?”
“Certo che mi fido di te.” Rispose l’altro di getto.
Le mani di Merlin guidarono quelle di Arthur sulla ringhiera di acciaio.
Arthur sentiva il vento forte frustrargli il viso e scompigliargli i capelli biondi.
Poi la pressione del corpo di Merlin dietro il suo e le sue braccia che gli circondavano il busto.
Era da pazzi, pensò per un istante il giovane, ma per una volta non gli importava.
“Apri gli occhi adesso.” Sussurrò Merlin al suo orecchio.
Arthur aprì gli occhi e trattenne bruscamente il fiato.
Lì, sulla punta estrema della nave, vedeva il mare avvicinarsi veloce ed impetuoso ai suoi occhi.
“Merlin, sto volando.” Mormorò, senza parole.
Merlin non rispose, intrecciando le loro dita.
Arthur voltò lentamente la testa, fino ad incrociare il suo sguardo.
Gli occhi di Merlin erano totalmente persi, adoranti e chiaramente carichi di amore per lui.
Non seppe dire chi fu il primo a baciare l’altro.
Soltanto, le loro labbra si incontrarono con una delicatezza estrema e le mani di Arthur si strinsero forte alla camicia di Merlin, in un abbraccio che sembrava dovesse durare per sempre, oltre il tempo e lo spazio.

“Non pensi che tuo padre potrebbe tornare all’improvviso?” domandò Merlin titubante, entrando silenziosamente nella suite della famiglia Pendragon.
Arthur emise un verso scettico. “Sa che sono stato accompagnato da Mr. Brown e, inoltre, a quest’ora avranno a malapena servito gli antipasti. Ne avremo per almeno un paio d’ore.” Disse tranquillo.
Merlin sorrise rassicurato e Arthur gli incastrò i polsi dietro il collo.
Stavolta non ebbe esitazione a chinarsi verso di lui per mordergli delicatamente il labbro inferiore.
Non ne avrebbe mai avuto abbastanza, pensò chiudendo gli occhi.
Merlin gli accarezzò i capelli e, quando Arthur approfondì il bacio, un gemito gli uscì dal profondo della gola.
Si staccarono entrambi a corto di fiato.
Merlin gli poggiò la testa nell’incavo del collo, mentre Arthur gli carezzava la schiena.
“Merlin.. vorrei chiederti una cosa.” fece improvvisamente il ragazzo.
“Tutto quello che vuoi.”
“Vorrei.. vorrei che tu mi disegnassi come i tuoi ragazzi francesi.” Sussurrò.
Merlin sgranò gli occhi. “Cioè… senza.. ho capito bene?”
Arthur sentì le guance andargli a fuoco.
“Hai capito benissimo.”
Il ragazzo vide Merlin deglutire. “D’accordo. Ehm.. adesso?”
Arthur annuì.
Merlin prese un respiro profondo. “Uhm.. okay. Io.. io preparo il materiale. Tu.. ehm vai a prepararti.”
Mentre entrava nella stanza guardaroba, Arthur sorrise malizioso tra sé.
In fin dei conti, non era l’unico a desiderare l’altro.

Arhtur rientrò nel salottino con il cuore che batteva forte.
Merlin stava sprimacciando i cuscini del divano e osservava la luce proiettata dal lampadario di cristallo.
Arthur si schiarì la voce. “Eccomi.” Disse, tenendo in mano la cintura della veste da camera.
“Stenditi là.” Disse Merlin. “E.. ehm.. togliti quella.” Aggiunse nervosamente, le orecchie così rosse che sembravano prendere fuoco.
Arthur ghignò. “Non avrei mai detto che proprio tu fossi così pudico.”
“Senti chi parla.” Borbottò il ragazzo, roteando gli occhi.
Arthur si stese sul divano, appoggiandosi languidamente sui cuscini di seta verde.
“Tieni il braccio più su.” Gli indicò Merlin, con le sopracciglia aggrottate. “Bene.. così. Adesso, cerca di tenere gli occhi fissi a me e di non muoverti.”
“Va bene.” Sorrise Arthur.

Nonostante le prese in giro, Merlin sapeva effettivamente il fatto suo.
Nella stanza si sentivano unicamente i loro respiri e il rumore del carboncino passato sulla carta ruvida.
Arthur avrebbe potuto guardare Merlin disegnare per sempre.
L’espressione concentrata, una ciocca di capelli neri che gli cadeva di continuo sulla fronte e l’idea di essere oggetto di una tale contemplazione gli facevano stringere le viscere in una morsa di puro piacere.
Mentre sfumava le linee di carboncino per creare al meglio i chiaroscuri, Merlin diventò di mille colori e la smorfia che gli arricciò le labbra fu talmente buffa che Arthur dovette trattenersi per non ridere.
“Non vorrei dire, ma mi sembra che lei sia arrossito, Mr. Grande Artista.” Scherzò.
Merlin roteò gli occhi, sorridendo a mezza bocca.
“Non riesco ad immaginare Monsieur Monet che arrossisce.” Lo punzecchiò ancora.
“Questo perché Monsieur Monet dipinge paesaggi e non ha soggetti di tale bellezza a sua disposizione.” Ribattè il ragazzo leggermente.

“So cosa sta passando nella tua testolina con gli ormoni a mille che ti ritrovi, ma Merlin fu un vero professionista per tutta la durata del disegno.
Ergo, non mi saltò addosso.. almeno non in quel momento.
Fu uno spasso vederlo arrossire di tanto in tanto, ma devo ammettere che io non ero in condizioni migliori.
Fu l’emozione più forte mai provata in diciotto anni, fino ad allora.
A ripensarci, mi sembra quasi ironico.
In quelle ultime ore a bordo del transatlantico, mi erano successe più cose di quanto non fosse accaduto in una vita intera.
Era la sera del 14 aprile e, entro poche ore, il Titanic sarebbe entrato in collisione con quel maledetto iceberg.”


“E’ bellissimo.” Disse Arthur, guardando il disegno, una volta che Merlin ebbe terminato e si fu rivestito di tutto punto.
Merlin gli passò un braccio intorno ai fianchi, mettendogli la testa sulla spalla.
“Ne sono felice. Devo dire che anche il soggetto ha aiutato molto.” Scherzò.
Arthur rise. “La ringrazio, signore.” Fece pomposo.
“Però, manca ancora un ultimo dettaglio.” Disse Merlin con un ghignò, affilando accuratamente un carboncino.
Il ragazzo scarabocchiò qualcosa in un angolo del foglio.
Arthur si sporse oltre la spalla di Merlin per leggere e scoppiò immediatamente in una fragorosa risata.
“Rispettosamente dedicato ad Uther Pendragon, Merlin Emrys” lesse a voce alta. “Sai che mio padre ti ammazzerebbe se trovasse un reperto simile?”
Merlin fece spallucce. “Ne sarebbe valsa la pena.”
Arthur ridacchiò e gli schioccò un bacio in testa.

“Ma dove stiamo andando?” protestò Arthur, mentre Merlin lo conduceva attraverso un dedalo di corridoi, nei meandri del transatlantico.
Merlin roteò gli occhi, fintamente esasperato. “Oltre ad essere melodrammatici, in prima classe siete anche impazienti a quanto vedo.”
“Stai forse pensando di redigere un manuale sulle abitudini dei passeggeri di prima classe?” lo prese in giro Arthur.
Merlin sorrise. “Certamente. Con particolare attenzione per una testa di fagiolo bionda di mia conoscenza.” Disse con fare saputo.
“Idiota.” Fece Arthur, ma alle sue stesse orecchie risultava affettuoso.
Dopo aver borbottato un mezzo senti chi parla, Merlin spinse piano una porta.
Paradossalmente, per essere nel locale attiguo alle caldaie, l’ambiente era congelato.
Arthur si strinse nella giacca, rabbrividendo.
“Ed eccoci nel deposito auto del Titanic!” esclamò Merlin, facendo un buffo inchino.
Arthur fece un fischio. “Queste sì che sono auto.” Commentò, avvicinandosi ad osservarne una.
“Pensavo ne avessi qualcuna simile.” Fece Merlin, appoggiato a una vettura di colore rosso.
Arthur ridacchiò. “Magari. Il cognome è tutto quello che ci resta, credimi.” Disse, scrollando le spalle.
Poi aprì lo sportello e tese una mano a Merlin. “Prego signore, vuole accomodarsi?” fece pomposo.
Il giovane scoppiò a ridere, accettando l’invito.
“Certamente, grazie mille.” Arthur si sedette al posto del conducente, atteggiandosi ad esperto pilota.
Merlin si affacciò dal finestrino alle sue spalle con un sorrisetto dipinto sulle labbra. “Non capita tutti i giorni di avere Arthur Pendragon come autista privato.” Commentò divertito.
Il biondo sorrise compiaciuto. “Può dirlo forte, signore. Dove la porto?”
“Su una stella.” Gli sussurrò Merlin all’orecchio, afferrandolo per le spalle e trascinandolo nell’abitacolo.

La risata si spense in un istante sul volto di Arthur, quando si rese conto quanto in realtà lui e Merlin fossero vicini in quel momento, il moro tra le sue braccia, la testa sul suo petto, nient’altro che il rumore dei loro respiri nella macchina.
Merlin gli prese una mano, premendo con delicatezza le labbra su ognuno dei suoi polpastrelli.
“Fai l’amore con me.” Sussurrò Arthur.
Merlin alzò lo sguardo, occhi azzurri che scintillavano dietro le ciglia nere e lunghe.
“Ne sei sicuro?” domandò con un filo di voce.
Arthur annuì.

Le mani di Merlin erano così delicate, quando iniziarono a sbottonare la camicia di Arthur.
Arthur non si era mai sentito così impacciato come in quel momento, eppure, paradossalmente, gli sembrava perfettamente naturale chinarsi a sfiorare le labbra di Merlin, come se non avesse mai fatto altro per tutta la sua vita.
Così giusto da risultargli istintivo.
Un bisogno talmente primordiale, che non riusciva a capire come avesse potuto vivere fino a quel momento senza concederselo.
Quando Merlin si stese sui sediolini foderati di seta, allacciandogli le gambe al busto, Arthur si sentì un po’ morire per lo sguardo assolutamente carico di fiducia e amore che l’altro ragazzo gli rivolse.
Per un attimo, con la testa nascosta nell’incavo del collo di Merlin, Arthur si sentì come sull’orlo di un precipizio.
“Stai tremando.” Mormorò Merlin contro la sua pelle.
Arthur deglutì. “Sto bene.”
Merlin gli passò il pollice sul viso, sorridendo piano. “Ti amo.”
Arthur sorrise di rimando, poggiandogli un bacio sulla bocca. “Ti amo anche io.”
Il gemito di puro piacere che scappò dalle labbra di Merlin gli sciolse qualcosa all’altezza del cuore.
E da lì non furono nient’altro che stelle in terra.
















note di Lidia: **SOBBING INCONTROLLATO IN SOTTOFONDO**
.. no, neanche da autrice riesco a mantenere un certo grado di dignità con questi due T-T
BUON POMERIGGIO BELLEEEEE :*
Innanzitutto, voglio ringraziare di nuovo le quattro bellissime persone che hanno commentato la prima parte, non sapete quanto mi abbiate fatta felice AHHHH  *^* 
Un capitolo abbastanza denso di avvenimenti, non trovate? uu
L'idea originale era di tagliare dopo la scena tra Uther e Arthur - la Sà e Nico, sante loro, me ne hanno dette di tutti i colori e a ragione - ma sarebbe venuto troppo breve come capitolo e non volevo che prendesse più di tre parti c.c Quindi vi ho risparmiato l'ansia AHAHAHHAHAH
Spero che vi sia piaciuta anche questa parte (io ho amato taantissimo scriverla, credetemi) e che le scene tra Arthur e Merlin siano state di vostro gradimento uu
Fatemi sapere nei commenti, un bacione a chiunque stia leggendo e alla prossima - ed ultima - parte, Lidia :*
   
 
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