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Autore: hypatia_of_alexandria    18/05/2017    5 recensioni
Cosa sarebbe successo se Emily fosse ancora viva, se Takeshi fosse stata una persona molto più ironica, se il Maggiore non fosse il Maggiore ma doc fosse ancora doc?
Breve realtà alternativa di Steadfast, pertanto per capirla è necessario aver letto la storia madre.
Fu in quel momento che Michiru la vide arrivare insieme a colei che ipotizzò fosse la sua agente.
Trattenne il respiro mentre il suo cicerone si congedava da lei per andare ad accoglierla. L’osservò parlare, sorridere di qualcosa che l’uomo aveva detto; quindi la vide voltarsi nella sua direzione, ed iniziare ad avvicinarla in passi lenti.
Respira.
E non fare figuracce, Michiru.
Dai.
“Lei deve essere la mia
partner in crime, Miss,” disse porgendole la mano, un sorriso ad illuminarne il viso.
Michiru la guardò e sorrise a sua volta. “Madame Woodsbridge, mi dia del tu,” replicò, emozionata dal trovarsi al suo cospetto. “Per me è davvero un grande onore."
“Ho visto dei video dei suoi concerti,” l’informò la donna, sorprendendola. “Non si senta a disagio, Miss Kaioh. Lei brilla di luce propria.”
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Allora, questa storia nasce come delirio di onnipotenza puro, perché è un AU di un’AU, ovvero un AU di Steadfast.
L’idea è nata per gioco e si è sviluppata in maniera molto leggera, ma soprattutto è nata per dare uno spaccato della vita di Emily, Takeshi, di Michiru se suo fratello e sua cognata fossero ancora vivi, ma soprattutto risponde alla domanda: doc Kaioh e Haruka si sarebbero incontrate lo stesso se Haruka non avesse avuto la vitademmerda che le ho fatto fare in Steadfast?
Detto questo, è quindi importante conoscere la storia principale “The Steadfast Tin Soldier” per comprendere appieno questa qui :D.
Saluti!
Hypatia.

DISCLAIMER: Il titolo è ispirato da "The Steadfast Tin Soldier" ("Il Soldatino di Stagno" o "Il Soldatino di Piombo"), che appartiene a H.C Andersen; Haruka, Michiru, un paio di altri personaggi che appariranno nel corso della storia e tutto "Sailor Moon" appartengono all'immensa Naoko Takeuchi, NON a me. Di mio c'è solo questa fic e alcuni personaggi creati appositamente. Il titolo dello Speciale è ispirato al film del 1998 “Sliding Doors”, con Gwyneth Paltrow.


Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

******

The Steadfast Tin Soldier Special - Sliding Doors


“Ricordi cosa disse Monty Python?”
“Che la vita non può che migliorare?”
“No. Nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola.”
(Sliding Doors, di Peter Howitt, 1998)



Washington,
Distretto di Columbia,
Giugno.

“Ma quindi com’è lei? L’hai già vista?”
Guardando fuori dal finestrino del taxi, Michiru scorse in lontananza la figura imponente dell’edificio del Kennedy Center.
“No, Mitsuo!” Sorrise. “Sono ancora in taxi, sono quasi arrivata.”
Wow, Michiru,” suo fratello gemello non contenne un’esclamazione di gioia. “Sono così fiero di te. Suonare a così alti livelli, ma ti rendi conto?” Era al di là di ogni più sano entusiasmo. “E poi-“
“Sei tutti noi Michiru!”
Una voce femminile si sovrappose alle parole del ragazzo. “In bocca al lupo, ragazza! Sono sicura che sarai la migliore!”
Lei non trattenne una risata, il taxi che usciva dal traffico per accostarsi al marciapiede.
“Grazie, Kate.” Il sorriso non le lasciò le labbra. “Posso parlare con il mio unico amore, adesso?”
Trattenne il telefono con la spalla mentre pagava il tassista, uscendo quindi sull’ampio piazzale antistante il Kennedy.
Ziamichi!” Hotaru gridò nella cornetta forse con più enfasi del previsto. “Quando torni, ziamichi?”
“Torno presto, tesoro. E poi giocheremo tantissimo!”
E me lo porti un regalo?”
Sentì in sottofondo il rumore delle proteste da parte di suo fratello, ma sia lei che la bambina le ignorarono.
“Assolutamente si, Hotaru. Adesso me lo mandi un bacio grandissimo?”
Chiuse la comunicazione dopo gli infiniti saluti della bimba, l’ingresso del teatro a pochi metri da lei.
Percorse la scalinata in pietra, ampie vetrate che davano già una visuale dell’interno della sala concerti: si avventurò quindi verso la reception, reggendo con entrambe le mani la custodia del violino.
“Miss Kaioh?”
Una voce la spinse a voltarsi in direzione di un corridoio, alla destra dell’ingresso per il pubblico, dove un uomo in giacca e cravatta la osservava sorridente.
“Buongiorno Miss,” disse porgendole la mano, all’annuire di lei. “Sono Michael Dent.” Si presentò con una stretta forte. “La persona che ha ricevuto la sua candidatura dalla Filarmonica.”
Michiru strinse la mano a sua volta, sorridendo. “È un onore per me, Mister Dent.” Disse sincera. “Una grande opportunità.”
Lui non smise di sorridere. “Devono pensarlo anche a Richmond. Le sue referenze erano davvero ottime.” Un gesto con il braccio indicò lo stesso corridoio dal quale era sbucato. “Prego, Miss. Se vuole seguirmi.”
Le indicò la via per le quinte ed insieme si avviarono lungo un ampio camminamento: Dent le mostrò il suo camerino - in mezzo ad una fila di porte chiare identiche, quindi svoltarono in un nuovo passaggio costellato di faretti al neon e fotografie in bianco e nero cui Michiru lanciò occhiate distratte. Seguì il suo Virgilio in uno spazio illuminato, delimitato da pannelli e tendaggi scuri; salì quindi alcune scale, e scostando una pesante tenda Michael Dent le diede piena visuale del grande teatro che Michiru aveva visto sempre e solo in televisione, e dove si sarebbe esibita di lì ad una settimana.
Aprì le labbra, una lieve esclamazione di puro stupore mentre le file di poltrone in velluto davano un senso di quieto ordine alla platea; alzò gli occhi, le gallerie vuote sovrastate dai loggioni, ora protetti da occhi indiscreti tramite tende chiuse bordate di ricami dorati.
Mosse un passo, l’odore di legno antico e le assi che scricchiolarono appena sotto il suo peso.
E Michiru pensò che non c’era nessun altro posto in cui volesse stare.
“Bello, non trova?”
La voce di Dent la riscosse da quel sogno ad occhi aperti.
“Sì.” Riuscì a dire, lui che alzava appena le spalle.
“Lo so. La prima volta lascia sempre senza fiato.”
Alcuni orchestrali discutevano all’interno della buca dei concertisti; altri arrivavano alla spicciolata, salutando Dent e presentandosi.
Si accorse solo in quel momento dell’unico oggetto che occupava il palco: un pianoforte a coda tirato a lucido. Lo avvicinò in pochi passi, il violino ancora stretto tra le mani, girandovi intorno lentamente. Cercò di scacciare la sensazione di terrore che l’assalì quando, dopo un giro completo, associò concretamente allo strumento la persona che vi si sarebbe seduta per suonare; nel frattempo Dent le era tornato accanto per spiegarle l’organizzazione e la logistica di quella settimana in cui sarebbe stata ospite della fondazione che patrocinava il concerto.
Fu in quel momento che Michiru la vide arrivare insieme a colei che ipotizzò fosse la sua agente.
Trattenne il respiro mentre il suo cicerone si congedava da lei per andare ad accoglierla. L’osservò parlare, sorridere di qualcosa che l’uomo aveva detto; quindi la vide voltarsi nella sua direzione, ed iniziare ad avvicinarla in passi lenti.
Respira.
E non fare figuracce, Michiru.
Dai.
“Lei deve essere la mia partner in crime, Miss,” disse porgendole la mano, un sorriso ad illuminarne il viso.
Michiru la guardò e sorrise a sua volta. “Madame Woodsbridge, mi dia del tu,” replicò, emozionata dal trovarsi al suo cospetto. “Per me è davvero un grande onore.”
“Ho visto dei video dei suoi concerti,” l’informò la donna, sorprendendola. “Non si senta a disagio, Miss Kaioh. Lei brilla di luce propria.”
“Grazie.” Fu l’unica cosa che Michiru riuscì ad articolare, stupita dall’inaspettato complimento.
Emily le sorrise, piegandosi appena verso di lei. “Non l’avrei scelta, se non fosse stata oltre l’ordinario.”
Michiru non seppe cosa replicare.
La donna non smise di sorridere, e dopo essersi sfilata il soprabito - prontamente ricevuto da Michael Dent, il quale non aveva mai smesso di scodinzolare - batté rapidamente le mani, lo sguardo che si posò su ogni orchestrale.
“Buongiorno signori.” Iniziò a dire. “Questa sarà una settimana straordinaria. Faticosa e straordinaria. Quindi direi di non perdere tempo.” Un sorriso le piegò le labbra.
“Vogliamo iniziare?”

*

Dopo tre giorni di prove, Michiru poteva asserire con sicurezza che Emily Woodsbridge era una stakanov della musica.
Provavano dalle dieci alle dodici ore al giorno, in un’incessante esercizio per la ricerca di una perfezione spesso già acquisita ma che per Madame Woodsbridge sembrava costantemente macchiata da qualcosa di invisibile ed inafferrabile.
A Michiru piaceva quell’approccio - molto simile al proprio. Forse era per quel motivo che i giorni passavano veloci, nonostante ogni riferimento temporale si fosse ormai perso nell’asettica luce al neon dei fari del Kennedy Center.
Quel giorno il nocciolo delle prove consisteva nel pezzo più complesso del concerto.
Era già la terza volta che lo provavano.
“Era perfetto, Madame.” Proruppe il direttore alla conclusione della partitura. Ma Emily scosse la testa, versandosi quindi un bicchiere d’acqua da un carrellino posto poco distante dal pianoforte.
“Lo decido io quando è perfetto, Arthur.”
Michiru inarcò un sopracciglio: se mai avesse avuto ancora dei dubbi, in quel frangente ebbe ancora più chiaro il perché Emily si fosse trovata affine ad un generale dell’esercito. Si accorse che lei la guardava.
“Se la sente, Michiru, di riprovare?”
Michiru tornò a posizionare il violino sulla spalla.
“Assolutamente.”
Emily replicò annuendo appena.

*


 
Aveva piovuto, quel mattino.
Sull’asfalto chiazze d’acqua scura spiccavano come cicatrici, insieme a foglie trasportate dal vento e rimaste poi a riposare sulle scalinate d’accesso al Kennedy Center.
Avevano ottenuto una pausa pranzo più lunga, e Michiru era uscita nella terrazza della sala concerti per godersi il sole che ora faceva capolino da nubi burrose e bianchissime.
Sedeva da sola, il telefonino in mano per i quotidiani aggiornamenti per Kate e Mitsuo.
Aveva trovato anche un messaggio di Ethan che le chiedeva come stava. Sospirò, rispondendo in maniera generica.
Sapeva di volergli bene, come sapeva che lui ne voleva a lei: ma avrebbe mai capito che continuando a chiamarla si sarebbe solo fatto del male?
Era persa in una catena di pensieri quando sentì una mano posarsi sulla spalla.
Si voltò, sorpresa, verso l’origine del tocco, quindi si voltò di nuovo: Emily Woodsbridge era appena piegata verso di lei.
“Posso invitarla a pranzo, Miss?”

*

Il ristorante era un open space luminoso, con piccoli tavoli coperti da tovaglie color crema e tovaglioli bianchi.
Michiru guardò la donna salutare il direttore di sala, chiamandolo con il nome proprio; un cameriere rivolse loro un saluto ossequioso e le accompagnò ad un tavolo riservato, proprio accanto ad una finestra. Michiru comprese che, con ogni probabilità, Emily fosse una cliente abituale del locale.
“Posso portare il solito vino, madame?” Fu lo stesso direttore di sala, che le aveva seguite fino alla sistemazione, a farsi carico dell’ordinazione.
Emily annuì mentre si accomodava, l’altro che incrociava le mani appena sopra il bacino.
“Come sta suo marito?”
“Arrabbiato, come sempre.” Sorrise, prima di voltarsi a guardare Michiru. “Con il Medio Oriente e con la Russia. Alternativamente. Da vent’anni sempre la stessa storia.” Si strinse nelle spalle, il direttore di sala che si congedava insieme ad un cameriere.
“Immagino sia piuttosto stressante.” Valutò Michiru, Emily che sorrideva appena.
“Solo finché lo ascolto.”
Michiru non replicò, rispondendo al sorriso della donna.
Un giovane cameriere posò i menu sul tavolo, un altro che apriva il vino e ne versava un poco nel calice di Emily: al cenno affermativo di lei, quello si prodigò a versarne altro nel bicchiere, passando poi al calice di Michiru.
“Cin.” Propose la donna, alzando il bicchiere verso Michiru. “Alla musica.”
“Alla musica,” convenne lei, un lieve tintinnio del cristallo che suggellò il brindisi.
“Quindi, mi ripeta,” Emily aveva posato il calice nel parlare. “Lei fa davvero la psicologa?”
Michiru annuì. “La psicologa militare,” precisò. “Mi occupo principalmente di reduci.”
Emily inclinò appena il capo. “Potrei farle fare due parole con Takeshi,” disse in un sorriso, prima di aggiungere. “Sto scherzando, ovviamente.” Un sospiro. “Non la getterò dentro il fosso di Helm.
“Ma io chiederei aiuto a Gandalf, Madame.”
Lei non replicò, un nuovo sorriso a curvarne le labbra.
Il cameriere tornò per prendere le ordinazioni, ed Emily cercò incuriosita le iridi azzurre dell’altra quando ascoltò il piatto scelto.
“Che cosa curiosa. Anche mia figlia prende sempre il filetto di tonno in crosta di noci e pistacchi, quando veniamo qui.”
Michiru si strinse nelle spalle. “Abbiamo entrambe ottimi gusti.”
L’affermazione portò la donna ad annuire in un sorriso, spostando quindi una ciocca bionda dietro l’orecchio, rivelando così un orecchino a goccia che Michiru notò avere lo stesso disegno della collana indossata.
“Allora, in quale albergo alloggia?” Si informò Emily, incrociando le mani davanti al viso.
“Al Capitol.” Replicò Michiru, e l’altra alzò le dita.
“Ottima struttura. Ed era mai stata a Washington?”
“Una volta, diversi anni fa.” Bevve un sorso di vino. “Per il giuramento di mio fratello.”
Lei inarcò un sopracciglio. “Anche suo fratello è un soldato?”
“Lo era. È stato congedato.” Spiegò. “Un brutto caso di Stress Post Traumatico. Ma ne siamo usciti indenni, grazie al lavoro di bravi medici.”
Emily annuì, pensosa. “Ho avuto paura per Takahiro, quando è partito la prima volta,” Le rivelò.
“Takahiro è suo figlio?” Inquisì lei, intuendo la parentela.
Emily rispose con un cenno del capo.
“Non riuscii ad impedire a Takeshi di mandarlo in Iraq. Se l’immagina, Michiru?” Disse con ironia. “Dopo anni a West Point, con una preparazione così approfondita nell’arte della guerra, mettergli i bastoni tra le ruote?” Un sospiro. “Gli dissi che se avessi perso mio figlio per colpa del suo stupido orgoglio, gli avrei rovinato la vita in ogni modo a me concesso.”
Michiru non si sorprese della veemenza nella minaccia.
“Tornò indenne, dopo sei mesi di on duty. I sei mesi peggiori della mia vita.” Una breve pausa. “Volli fortemente che Takahiro seguisse un programma di sostegno psicologico. Takeshi si oppose, all’inizio. Non lo capiva.” Si strinse nelle spalle. “Dovetti ricordargli in più di un’occasione come ostinarsi nel silenzio avesse quasi mandato in rovina il nostro matrimonio.”
Il cameriere servì i piatti, spezzando la lieve tensione del momento.
“Takahiro vuol dire ‘di grande valore e prosperità’” Disse allora Michiru, e lei mosse il capo in assenso.
“Era il nome del padre di Takeshi. Ci teneva molto.”
“Come si chiama sua figlia?” Inquisì quindi, curiosa.
“Haruka.” Rispose immediatamente.
Lontano, distante, pensò Michiru. Le piacque la scelta di due nomi così peculiari.
“Lei è identica a Takeshi.” Scosse piano la testa. “Ma guai a dirglielo.”
“I conflitti sono occasione di crescita.”
Emily sorrise. “Beh, il loro conflitto è stato abbastanza impegnativo.” Mise un boccone di filetto tra le labbra. “Dio solo sa quanta mediazione ho fatto con mio marito, quando Haruka era ancora adolescente.” Scosse piano la testa. “A modo suo, Takeshi ama entrambi i suoi figli. Ma credo avrebbe voluto per Takahiro il carattere di Haruka.”
Michiru non replicò.
“Ho sempre pensato che Takeshi avrebbe preferito far arruolare Haruka, piuttosto che suo fratello.” Un sorriso. “Haruka è il suo specchio. Hanno persino lo stesso modo di fare.”
Michiru rispose al sorriso. “Che cosa fa sua figlia?”
“Fa la musicista anche lei.” Sospirò appena. “Ma nel tempo si è dedicata al jazz.”
“Mio fratello adora il jazz.” Rivelò Michiru. “Da ragazzo suonava il clarinetto.” Rimase pensosa. “La musica l’ha aiutato molto, durante il periodo del disturbo post traumatico. Vorrebbe ricominciare ad esercitarsi, ma con la bambina fa-“
“Bambina?” Emily sembrò illuminarsi. Michiru annuì. “Mia nipote Hotaru.” Tornò a sorridere. “La nostra salvezza.”
“Quanti anni ha?”
“Tre e mezzo.”
Una lieve esclamazione. “A quell’età sono adorabili.”
Michiru cercò nella borsa il telefono. “Eccola qui.” Le mostro una foto dalla galleria immagini, ed Emily non trattenne un verso. “Ma è un amore.” Ne cercò lo sguardo. “Io vorrei tanto un nipote, ma non credo che sia una cosa fattibile, al momento.”
“Non si preoccupi. Sono sicura che arriveranno molti nipoti cui insegnare la bellezza della musica.”
La donna ne cercò lo sguardo, inclinando quindi il capo. “E lei Michiru?”
Lei sembrò non capire. Quindi comprese.
“Io per ora sto bene così.” Le rivelò. “Sono appena uscita da una relazione. E sono serena.”
“Niente di traumatico, spero.”
“No.” Sorrise. “Ci eravamo resi conto che l’amore era diventato solo affetto. Di certo non le basi giuste per avere dei presupposti.”
“L’importante è che lei sia felice.”
“Ma lo sono.” Sorrise. “Lo sono, madame.”
La donna annuì si limitò ad annuire, guardandola e sorridendo a sua volta.

*

Un’altra giornata di prove se n’era andata.
Si diresse verso la hall del Kennedy Center, e da lì nel bar interno per attendere il taxi che le avevano già chiamato.
Chiese dell’acqua tonica, sedendosi al bancone. Non si voltò quando qualcuno prese posto accanto a lei ed ordinò del bourbon.
“Allora ogni tanto si vede qualcuno sotto i trent’anni, in questo posto.”
Michiru si voltò, un paio di occhi verdi che la guardavano attenta. E per un attimo fu un dejavu: perché non aveva mai visto quel tipo, ma aveva un qualcosa di sorprendentemente familiare.
“Direi che siamo in due, allo stato attuale delle cose.”
Quello le sorrise appena. “Sei un’orchestrale?” Inquisì.
Michiru pensò a quanto quel ragazzo biondo fosse curioso, ma decise di rispondergli. “Devo fare un concerto qui, la prossima settimana.”
“Interessante,” le concesse, tirando un sorso del liquore. “Non sei di Washington.”
“No.”
“Anche perché, altrimenti, ti avrei già vista.” Sorrise. “O almeno avrei finto di averlo fatto.”
Anche Michiru sorrise: battuta scontata, ma simpatica.
“E tu invece? Sei un’orchestrale?” Ribatté: quel tizio sembrava capitato lì per caso, ma aveva notato degli spartiti fuoriuscire dalla borsa a tracolla che portava.
E se voleva conversare, almeno quello poteva concederglielo.
Lui scosse la testa, posando poi la tracolla a terra. “Sto aspettando mia madre. Le do un passaggio a casa.”
“Capisco.”
“Beh, non dobbiamo sempre capire per forza tutto.” Ribatté quello, sistemandosi i capelli con un gesto della mano. “È una parola così abusata. E poi-“ Sorrise. “Si vive meglio quando si naviga a vista. Senza troppe sovrastrutture. Senza capire.” Si strinse nelle spalle. “O perlomeno senza tentare di capire troppo.”
Michiru lo guardò sorpresa, sinceramente colpita. Inclinò un po’ la testa. “È una considerazione piuttosto profonda.”
“Dici?” Le lanciò uno sguardo, voltandosi appena verso di lei. Le labbra di nuovo al bicchiere di bourbon. “Grazie.”
Un nuovo sorriso tornò ad addolcire i lineamenti di Michiru. “Prego.”
Lui posò il bicchiere. “Hai un bel sorriso.”
Michiru non se l’aspettò. “Grazie.”
“Pre-.”
“Ah, ma guarda. Quando si dice il caso.”
Entrambe si voltarono alla voce di Emily.
“Hai già conosciuto Haruka, Miss Kaioh?”
Haruka? Michiru tornò a guardare il ragazzo - o meglio, la ragazza - che aveva davanti.
“Oh, ma tu sei Haruka?”
Lei inclinò appena il capo, nello stesso gesto che aveva visto fare ad Emily pochi giorni prima, al ristorante.
“Ma allora ci conosciamo.” Scherzò Haruka, Emily che l’avvicinava e le posava una mano sulla spalla.
“Le ho parlato di te e di Hiro.”
“Hai decantato le gesta del Capitano Tenou?”
Emily roteò gli occhi, facendo poi un gesto verso Michiru che le ascoltava perplessa.
“Haruka, lei è Michiru Kaioh. La ragazza che si esibirà con me nel concerto della prossima settimana.”
“Si, mi stava parlando di un concerto,” sorrise, voltandosi verso la donna. “Non pensavo fosse con te.”
“Sto imparando molto,” disse quindi Michiru, lo sguardo che incrociò le iridi verdi dell’altra. “Madame Woodsbridge è una persona così generosa.”
Haruka rimase a guardarla, senza rispondere.
In quel momento qualcuno chiamò Michiru, avvisandola che il taxi era arrivato: si congedò dalle due, sia Emily che Haruka che la seguirono con lo sguardo.
Solo dopo un lungo momento la ragazza realizzò che sua madre le stava parlando.
“Come?”

Un sorriso. “Ti ho chiesto come stai.”
“Bene.” Una pausa. “Molto bene.”
“Hai chiamato tuo padre?”
“Secondo te starei bene, se l’avessi chiamato?”
Emily scosse la testa. “Haruka, per favore.”
Lei roteò gli occhi. “Va bene. Stasera rimango a cena, se ti fa piacere.”
L’altra alzò una mano, in una lieve carezza sul viso. “Certo che mi fa piacere.”
SI avviarono verso l’uscita, Emily che la teneva a braccetto.
“Scommetto che questa volta vuoi venire ad ascoltare il mio concerto.”
Haruka rise, scuotendo le spalle. “Non lo so.” Una pausa.
“Ma se hai dei biglietti, perché no?”

*

“Vino?”
Emily alzò lo sguardo dal libro, incrociando le iridi verdi di suo marito. Inarcò un sopracciglio.
“Tu non dovresti berne,” Emily accettò il calice che lui aveva già preparato. “Ho visto le tue analisi. Hai il colesterolo un po’ alto.”
“Un giorno moriremo comunque.” Replicò laconico Takeshi, ed Emily scosse la testa.
“Vuoi sapere come stanno andando le prove?” Lo provocò, conoscendo già la risposta. Lui annusò per un momento il liquido nel bicchiere, apprezzandone l’odore pieno. “In realtà no, ma se proprio devi.”
Emily sorrise. “La ragazza con cui suono è interessante.”
Lui tirò un sorso. “Definisci interessante.”
“È intelligente, sveglia. Molto brava,” una pausa. “Bellissima.”
“Come te. Vent’anni fa.” La sfidò Takeshi inarcando un sopracciglio. Emily lo guardò in tralice. “Quanta dolcezza.”
“Continua. Eravamo al bellissima.”
“È una psicologa con il talento per la musica.” Sorrise, un altro sorso di vino. “Mi piace quando parla. Mi piace come si pone verso il mondo.” Una pausa. “Il genere di persona che mi sarebbe piaciuta per Takahiro.” Cercò lo sguardo del marito. “Il genere di persona che mi piacerebbe accanto ad Haruka.” Una lieve esclamazione, come a ricordare. “Sai che oggi si sono viste?”
Takeshi inclinò appena il capo. “E la ragazza bellissima aveva ancora indosso le mutande, dopo il passaggio di Haruka?” Chiese, fingendosi perplesso.
Emily roteò gli occhi, una lieve risata che scuoteva le spalle di Takeshi.
“Non credo che Haruka abbia bisogno di un Cupido, Emily.” Una pausa, pensoso. “E non hai mai avuto nulla da ridire su Claire.”
“Claire è una ragazza dolcissima e so che ama moltissimo Hiro, ma-“ alzò una mano. “Ma è così accondiscendente. Non ha mai una sua opinione.”
“È diplomatica.”
“Perché la sua opinione è sempre uguale alla tua, Takeshi.”
Lui tirò un sorso di vino. “Non mi pare così male come la dipingi.”
Emily non replicò. “Non appena avremo terminato con il concerto, inviterò Michiru a cena.”
Takeshi roteò gli occhi. “Emily, te l’ho già spiegato. Non possiamo invitare qui chiunque.” Le andò vicino. “Devo comunicarlo alla sicurezza. Dobbiamo sottostare a tutta una serie di misure cautelative.”
Emily sorrise. “Già. Devo darti ragione.” Si alzò dal divano. “Quindi immagino che tu e la sicurezza siate a conoscenza di tutte le ragazze che Haruka si è sempre portata nella dependance.”
Takeshi rimase con il bicchiere a mezz’aria, inarcando un sopracciglio.
Emily posò il proprio bicchiere sul tavolino basso, avvicinandolo per posargli un lieve bacio sulle labbra. “Non fare tardi. Hai bisogno di dormire di più.”
Lui non replicò, Emily che aveva già la mano sulla maniglia della porta.
“Vuoi i loro nomi in ordine alfabetico, di età, o nella cronologia con cui Haruka se le portava in casa?”

*

Michiru era talmente agitata che sentiva chiaramente il rumore sordo del cuore rimbalzare contro la cassa toracica.
Da Portsmouth erano arrivati inaspettatamente sia suo fratello che suo padre e la cosa la rendeva felice da impazzire, oscillando però da quella condizione euforica ad uno stato di terrore totale.
Si era affacciata appena dalle quinte, scrutando il pubblico: aveva visto di nuovo Mitsuo e suo padre - traendo sollievo dalla conferma della loro presenza, quindi due uomini in divisa.
Aveva immaginato che fossero il Generale Tenou e suo figlio Takahiro.
Non si accorse subito di Haruka, ma solo quando lei attirò la sua attenzione con un cenno di saluto.
Le sorrise, rispondendo con un lieve gesto della mano.

*

Il concerto era stato un grande successo.
Dentro il camerino Michiru si prese un momento da sola, per metabolizzare ogni emozione della serata.
Si era lasciata abbracciare da Emily Woodsbridge, aveva condiviso l’eccitazione del successo con suo fratello e suo padre. Ora avrebbero festeggiato a cena, ma per un istante - uno solo - aveva bisogno di prendere contatto con se stessa.
Respirò piano, ubriaca di sensazioni e di felicità.
Per questo non si accorse subito che qualcuno stava bussando alla porta del camerino: si sorprese di trovare Haruka lì fuori.
“Ehy, ciao.” La salutò perplessa, lei che era appoggiata allo stipite.
“Volevo complimentarmi.” Si strinse nelle spalle. “Dirti che sei stata fantastica.” Un sorriso. “Non è facile non sfigurare vicino a mia madre.”
“Lo immagino.”
“E invece tu ce l’hai fatta.”
Michiru sorrise. “Grazie. Sei gentile.”
Haruka annuì. “Quando riparti per Washington?”
Lei si appoggiò con una mano alla porta. “Dopodomani, insieme alla mia famiglia.”
Un momento di silenzio. “Che ne pensi di uscire a bere qualcosa, domani sera?”
Michiru la guardò spiazzata, e lei se ne accorse.
“Non ti sto invitando per un appuntamento.” Un nuovo sorriso. “Ti sto chiedendo di bere qualcosa insieme. Mi piace conoscere persone nuove.”
“Haruka, sai, io-” ne cercò lo sguardo. “Non credo sia il caso.”
Lei le sorrise. “Capisco.” Si staccò dalla porta. “Beh, congratulazioni ancora.”
Michiru la guardò fare un passo di lato.
“Ma dopotutto non dobbiamo sempre capire per forza tutto.” Le disse, attirando di nuovo l’attenzione della ragazza. “D’altronde si vive meglio quando si naviga a vista. Senza troppe sovrastrutture. O senza tentare di capire troppo.”
Haruka si fermò, sorpresa dall’ascoltare le sue stesse parole.
Quindi vide Michiru tenderle una mano.
“Una birra.”
Lei sorrise. E gliela strinse.
“Affare fatto.”

*


   
 
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