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Autore: bettethelword    18/05/2017    4 recensioni
Attenzione: spoiler sesta stagione!
Invece, quel giorno, aveva deciso di pronunciare proprio quel maledetto “Addio, Miss Swan” che aveva cambiato tutto.
{ SwanQueen }
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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***ATTENZIONE!***  Spoiler finale sesta stagione!














A te, come sempre.
With love.






La ballata degli occhi fragili






Tanti occhi ed il cielo di Storybrooke si aprono su di lei.

Quanti occhi aveva incrociato in tutta la sua vita? Su quanti di questi si era soffermata, anche solo per un fugace attimo? Quasi riesce a vederli, tutti lì, su quella terrazza. Occhi chiari, occhi scuri, occhi sottili, occhi taglienti e quelli pesanti, occhi stanchi e quelli grandi. Ne ricorda pochi – la memoria non è mai stata il suo forte – eppure alcuni non riesce a dimenticarli. Ricorda, ad esempio, quelli di Henry, quando aveva spezzato la maledizione, erano grandissimi e tanto limpidi da far male. Ricorda quelli di Neal, quando tra le sbarre di una gabbia le aveva detto di amarla, i suoi erano scuri, fermi, fragili.

È difficile scacciare dalla mente tutti quegli sguardi, talvolta di notte si trasformano in ombre, incubi che diventano qualcosa di tanto vicino da farsi quasi toccare.

Solleva il capo, stringendo la mano sulla spalla di Hook. «Qualcosa non va, love?» chiede lui, col suo solito sorriso sghembo accompagnato dal sopracciglio alzato. Emma, allora, stira le labbra in un piccolo sorriso, sperando che sembri quanto più sincero possibile. In ogni caso, non si aspetta certo che Hook capisca – questo genere di cose erano sempre state quantomeno complicate. Affrontare un problema con lui aveva sempre significato attraversare un lunghissimo percorso fatto di tappe spinose, sempre le stesse e che inevitabilmente lasciavano dietro incomprensioni, rimorsi, dispiaceri. Loro sono questo, ci ha fatto l’abitudine, lo ha accettato.

Per questo motivo Emma sceglie di evitare – almeno in quell’occasione – perché è troppo difficile spiegare una vertigine, preferisce fissare lo sguardo in avanti, prendere un respiro profondo e continuare a danzare. Lei è felice con Hook, adesso; loro si sono… Non riesce nemmeno ad ammetterlo. Le sembra assurdo anche pensarlo, figuriamoci viverlo per davvero: sposare Hook. La sua vita aveva preso una piega folle, e forse quello che sta vivendo è il momento che più si addice ad una dimensione normale. Da quando aveva varcato i confini di quella città ogni cosa aveva preso sembianze diverse, ogni cosa era cambiata ed Emma riusciva ad individuare uno ed un solo istante in cui aveva capito che nulla sarebbe stato più lo stesso.

Emma riesce a ricordarlo come fosse ieri, quel giorno, quel momento. E pensare che aveva già preso la decisione di andare via, di girare i tacchi e tornare indietro, a Boston. È strano come piccole cose o semplici parole, all’apparenza insignificanti, possano cambiare decisioni, destini e perfino le sorti del mondo. Sembrava quasi che quelle che Regina aveva pronunciato quel giorno le avessero dato un motivo per restare, che avessero creato un filo che aveva condotto Emma dal giorno del suo ventottesimo compleanno al suo matrimonio – perché Regina è fatta così, lo è sempre stata, incapace di lasciarsi scivolare le cose addosso con indifferenza. Ha sempre avuto bisogno – e, forse, qualche volta, lo faceva senza rendersene conto – di lasciare un segno, un marchio indelebile del suo passaggio. Le basterebbe, comunque, anche solo uno sguardo.

Invece, quel giorno, aveva deciso di pronunciare proprio quel maledetto “Addio, Miss Swan” che aveva cambiato tutto.



Alza lo sguardo, Emma, e continua a danzare, cercando tra la gente gli occhi di Regina, il suo viso. Ed eccola ancora, la vertigine, farsi largo tra i merletti del vestito bianco, una sensazione di vuoto alle spalle, come se da un momento all’altro potesse precipitare. Di Regina non c’è traccia, non riesce a vederla, a trovarla con lo sguardo. Emma ha bisogno di vederla, ha bisogno di sapere che c’è perché lei, per qualche motivo che ancora non sa spiegarsi, è sempre stata una costante nella sua vita, c’è sempre stata. Poi, d’improvviso, riesce ad intravederla ed è un sollievo immediato, come se l’aria che respira si sia fatta finalmente largo tra i polmoni dopo lunghissimi secondi di apnea.

Però Regina è di spalle, si sta allontanando, se ne sta andando. Ed Emma sente forte il bisogno di seguirla, di fermarla, di vedere i suoi occhi. Regina è quegli occhi – Emma l’ha sempre pensato – caldi, intensi, di una spontaneità viva, con un dolore che non è mai andato via, che è rimasto fermo sotto la superficie e che solo Emma è capace di riconoscere. Perché è il suo stesso dolore. Dev’essere quello il motivo che rende Regina tanto attraente, più del suo corpo o della sicurezza che emana: gli occhi ed il suo modo di indossarli, anche in mezzo alla folla.

«Perdonami» mugugna distrattamente Emma all’orecchio di Hook, allontanandosi da lui con un movimento fluido. È, da sempre, stranamente semplice lasciarsi andare all’istinto di cercarla, forse perché resistere a Regina sarebbe di gran lunga più faticoso. Forse è l’energia che emana, quella che riversa in qualsiasi cosa, che è difficile da frenare – inebriante ed intossicante allo stesso tempo, quando se la sente scivolare sotto la pelle. E poi ha quel profumo autentico ed irresistibile tra i capelli, quando è vicino a lei lo sente scorrere nei nervi come una scossa. È una fragranza che penetra nel cervello ogni volta, la stordisce e non serve a niente trattenere il respiro, perché ogni fibra del suo corpo risponde a quell’odore.

Scappare è sempre stato ciò che sapeva fare meglio. Scappare, fallire, e ricominciare a scappare. Ma adesso sembra tutto diverso, adesso è tutto diverso. Emma ha trovato la sua dimensione, suo figlio, la sua famiglia, l’amore. Emma va avanti a passi cauti seguendo la scia che Regina ha lasciato dietro di sé, sentendo di colpo l’estraneità di quel luogo in cui tutto sembra stranamente fuori posto. Accelera il passo finché non vede Regina fermarsi, la raggiunge ed osserva la sua sagoma ritagliata sullo sfondo del mondo racchiuso in una piccola cittadina del Maine. Emma è ferma a pochi passi da Regina, alle loro spalle c’è una folla in festa, ed il cielo ha preso quelle sembianze di immensità paurosa ed alienante. Sembra quasi inghiottirle.

 «Regina» la invita a voltarsi, Emma, e non sa se è una buona idea perché avrebbe dovuto pensarci dieci volte prima di chiamarla, ma è dannatamente difficile pensare quando si tratta di Regina.

La bruna solleva le spalle come attraversata da un fremito ed il secondo successivo è già in posizione eretta, entrata perfettamente e nuovamente nella maschera della leader imperturbabile, nella sua gabbia. Si volta di scatto e dalle sue labbra la voce disegna un «Emma!» soave, è calda ed avvolgente come sempre, ma le sue mani dicono tutt’altro: ogni dito tortura l’altro senza sosta, incapaci di placarsi, alla ricerca disperata di un appiglio o di una liberazione attraverso la carne. Emma non fa in tempo a rendersene conto che Regina ha già ricominciato a parlare «Credo di non aver avuto l’occasione di dirti quanto io sia… Insomma, tutto questo è fantastico, non è vero?».


Just stop your crying, it's a sign of the times
Welcome to the final show
Hope you're wearing your best clothes




Emma tace e si concentra sull’intonazione della voce di Regina piuttosto che sulle parole stesse, vorrebbe capire, anche solo dallo sguardo della bruna, cos’è che le ha provocato il rossore intorno agli occhi, quale e quanto sia profonda la ferita dentro al cuore. «Regina che succede? – domanda corrucciando lo sguardo – Stai tremando, e hai gli occhi rossi…». I suoi occhi verdi non riescono a smettere di fissare i suoi, di fissare lei, come se attraverso essi potesse riuscire a trovare la risposta.  

Regina aggrotta le sopracciglia, sorpresa. Eppure lo sa e avrebbe dovuto aspettarselo che Emma avrebbe capito – o, meglio, percepito – che qualcosa non andava ed Emma non è nemmeno quel tipo di persona che si fa distrarre da preoccupazioni stupide. «Nulla» mente. Mente spudoratamente, perché non sa che altro fare in quella situazione, sente che deve dire subito qualcosa perché Emma non comprenda nulla ascoltando i suoi silenzi. «Non preoccuparti – aggiunge, infine – Va tutto bene, è passato.»

«No, invece!» Emma fa un passo in avanti mentre lo dice. A quella distanza Regina può vedere la leggera imprecisione dell’eyeliner – e, non fosse stato quello il momento meno adatto per farglielo notare, le avrebbe criticato aspramente la sua superficialità anche nel giorno più importante. Può vedere l’ombra scura che le approfondisce lo sguardo, le sfumature dorate che rendono il verde dell’iride più caldo. C’è stato un periodo, qualche anno prima, in cui una simile vicinanza l’avrebbe messa a disagio. «Stai piangendo per Robin, perché lo avresti voluto qui con te?» continua la bionda. «Lo sai che puoi dirmelo. Noi parliamo, noi… Siamo amiche».

«Amiche?!» ripete Regina con un sbuffo, senza nemmeno avere l’accortezza di nascondere il suo ghigno derisorio. Non avrebbe saputo dire cosa si aspettasse da lei in una situazione del genere, ma di certo non quelle parole, non quell’appellativo. «Oh ti prego, Emma, lascia stare. Robin non c’entra niente in tutto questo». Non era stato semplice accettare che Emma passasse le sue giornate in compagnia di quel suo cagnolino travestito da pirata, non era stato semplice reprimere l’impulso di spezzargli l’osso del collo quando le faceva allusioni di un certo tipo, e non era stato per niente semplice indossare il sorriso più falso dietro cui nascondersi il giorno in cui Emma gli ha detto “Lo voglio”. L’aveva fatto per lei, ma sentirsi chiamare amica da lei è qualcosa che proprio non riesce a tollerare.

«E allora qual è il problema?» domanda Emma con insistenza, quasi frenetica. Ha gli occhi leggermente più aperti, la pelle più pallida e le labbra socchiuse. E Regina la trova inspiegabilmente più bella, nonostante l’evidente agitazione che Emma tenta di nascondere mal simulando una posa rigida, priva di una qualsivoglia gestualità.

Regina per un lungo istante non fa altro che fissare Emma negli occhi, quasi senza battere le ciglia, come se stesse trattenendo il respiro. «Emma… Ho già rovinato un matrimonio, non ho intenzione di ripetermi» dice, poi, tutto d’un fiato. «Non adesso, non con te». Regina ha gli occhi lucidi quando lo dice e sa che non può più nasconderlo, perché ha bisogno di sbattere le palpebre e le lacrime avrebbero la meglio a quel punto. Perciò si volta e si allontana in fretta, lasciandosi la terrazza alle spalle, scende qualche scalino prima di sentire Emma chiamare il suo nome ripetutamente. Non vuole che qualcuno se ne accorga, non vuole che l’attenzione sia rivolta su di lei o su loro due, si ferma e si asciuga le gote umide.


You can’t bribe the door on your way to the sky
You look pretty good down here
But you ain’t really good





Emma è dietro di lei, ha gli occhi verdissimi e spalancati, di una dolcezza strana. Nella penombra sembrano diventare ancora più grandi, più vivi. La musica della festa è lontana, tutti sono lontani. Eccetto Emma. «Regina, aspetta» ripete tra gli ansimi della rincorsa. Regina non le dà più le spalle, le lacrime sono sparite lasciando dietro di loro il dorso di una mano umida ed un’espressione indurita. Emma si prende qualche altro istante per guardarla quasi senza quel suo imbarazzo che l’ha sempre contraddistinta. Osserva la sua fronte corrugata, gli occhi lucidi, le labbra socchiuse solcate dalla piccola cicatrice. Poi arresta lo sguardo e, prima di inumidirsi le labbra con la punta della lingua, «Dove… Perché vuoi andare via?» domanda tornando a fissarla negli occhi.

Regina scrolla le spalle, chiude gli occhi un secondo. «Io… - sembra rifletterci un po’ sulla risposta, aggrottando le sopracciglia – Emma, devo andare, non ce la faccio» ed infine esita ancora. Ormai è quasi un gioco, un continuo ritornare al punto di partenza per evitare di commettere una sciocchezza. Per non affogare in quegli occhi verdi, convincendosi che non ci sia nulla dietro la morbidezza di quegli sguardi. Regina si stringe nelle spalle e supplica Emma con gli occhi di lasciarla andare, perché non riesce a guardarla mentre ha quegli occhi tanto aperti, quasi come quelli di un bambino dallo sguardo triste e dalla pelle candida. Ed è inevitabile pensare a Henry ed a quanto gli spezzerebbe il cuore se, ancora una volta, riuscisse a rovinare ogni cosa.

Eppure, quando Emma scosta dal viso una sottile ciocca di capelli, il gesto è adulto. Uno di quei movimenti che solo con l’esperienza si impara a caricare di sensualità, sicurezza, magnetismo. E quel contrasto così strano – tra leggerezza ed inconsapevole intensità – si traduce in lenta armonia. Tipica di Emma, incredibilmente dolce. «Che significa non ce la fai? Che… Di che stai parlando?» chiede, cercando una certa compostezza, nonostante percepisca distintamente la terra fremere, sicura che da un momento all’altro sarebbe franata sotto i suoi piedi.


If we never learn, we been here before
Why are we always stuck and running from
The bullets?



I battiti del cuore di Regina sono lenti, quasi assenti, e le lacrime pesanti. Chiude gli occhi per un istante e sente una scia calda solcare il viso, sente il corpo tremare e stringe le mani attorno alla stoffa della gonna color cremisi. La bocca trema insieme al suo corpo ed i pensieri si mischiano caotici alle parole di sua madre che echeggiano imperiose nella mente. Quanto più tenta di scacciarle, tanto maggiore sembra il peso di quella verità, che “l’amore è debolezza”. Regina stringe i pugni fino a non sentirsi più le mani, finché le labbra non sanno di sale e si sente di nuovo quella bambina sbagliata. Il fiato si rompe tra i singulti, ma tanto aveva già smesso di respirare da tempo riducendosi ad un guscio vuoto in attesta di cadere in pezzi e sparire.

La voglia di distruggere tutto brucia sotto la pelle, sui polpastrelli, e vorrebbe incenerire ogni cosa, vorrebbe lasciarsi andare a quelle abitudini che aveva imparato a superare grazie a Henry, ad Emma. In realtà, tutto quello che vorrebbe fare è lasciarsi stringere tra le braccia e farsi convincere che va tutto bene, impedendo al suo corpo di esplodere o distruggersi con i propri sentimenti. Ma in quel momento c’è solo Emma che sta guardando ancora Regina con stupore e preoccupazione e non può fare niente perché non sa. Emma non sa che Regina non sta bene perché quel destino dannato l’ha distrutta, un pezzo alla volta.

«Emma!» esclama Regina tra i denti stretti. «Perché non capisci?! – grida di nuovo, sentendo gli occhi lucidi ed i polmoni bruciare – Mi fa male stare qui, mi fa male vederti così… Felice».

Tracciare i giusti confini non è mai facile. Dare il giusto nome ad ogni situazione, ad ogni impulso, capire cosa si stia facendo. Serve un grado di astrazione notevole, sangue freddo e nessuna paura di ciò che si può trovare tra le pieghe della realtà. Regina non ne è capace, l’ha compreso da tempo. Per Regina è molto più facile cedere, lasciarsi andare alla marea, ed era stato dannatamente piacevole e al contempo doloroso lasciarsi travolgere da quell’oceano di capelli d’oro. Mentre adesso la frustrazione ha un sapore amaro sulla lingua e questo non aiuta Regina a mantenere la calma, e pronunciare le parole giuste. Perciò, «Con lui» specifica.

Non è difficile, adesso, leggere tensione sul corpo di Regina. Anche se Emma non avesse avuto quel suo potere che, stranamente, sembrava funzionare sempre particolarmente bene con la bruna, avrebbe immediatamente intuito che ci fosse qualcosa di diverso nella sua postura. Emma è sempre stata consapevole del fatto che a Regina piacesse fissare lo sguardo in chi aveva di fronte, un segno di sfida – per chi sapeva coglierlo – e lei l’aveva sempre ricambiato con altrettanto ardore. Però adesso Regina ha gli occhi distanti, cerca qualcosa che la distragga dallo sguardo della bionda. Emma è fin troppo consapevole della tensione di Regina, della modalità del suo sguardo, e dei movimenti nervosi con cui si tocca le braccia e le incrocia al petto.

«Non fraintendermi – mormora d’improvviso Regina – Voglio dire, sono felice che tu stia bene, ma…» fa una piccola pausa, alza gli occhi al cielo e stringe il labbro inferiore tra i denti per un lunghissimo attimo. «Vorrei esserci io al suo posto» dice tutto d’un fiato.

È finita. È tutto finito, lo era da tempo, forse dall’ultima notte sull’Isola che non c’è. Regina aveva avuto un presentimento che si era rivelato totalmente esatto quando aveva saputo del bacio tra Emma e Hook. Poi le cose sono cambiate, ha commesso l’errore di ascoltare ancora una volta qualcuno che le dicesse cosa fare, anziché ascoltare le fitte allo stomaco, i tumulti del cuore. E adesso è troppo tardi, è tutto finito. Perciò che importa, che importa se Emma verrà a conoscenza dei suoi sentimenti? Che importa se si mostrerà ancora vulnerabile, anche se solo davanti a lei? Che importa, ora che Emma ha sposato Hook?

«Avrei voluto essere io ad aspettarti all’altare, avrei voluto essere io a farti le mie promesse» confessa e non riesce a far smettere la voce di tremare. Regina non guarda Emma negli occhi, come se le iridi fossero troppo pesanti per sorreggere quelle verdi della bionda, come se avessero visto troppo. Emma non è sicura di comprendere quello che Regina le sta dicendo, perciò non la interrompe quando la bruna le dice «Mi sarebbe bastato anche dirti che sono innamorata di te, seduta da Granny’s davanti ad una tazza di caffè caldo».

A quel punto Emma intuisce che quello che sta dicendo Regina è qualcosa di importante, ma non è del tutto certa di aver compreso e, dunque, «Come?» domanda in un mormorio sottile.

«Hai capito bene, Swan!» è la risposta quasi irritata della bruna. «Non mi piace ripetermi, ma è così. Io credo… - prende un respiro profondo – Io ti amo, Emma Swan». Regina adesso la guarda, ha il coraggio di tenere la testa alta, come se gli occhi si fossero svuotati di colpo, come se fossero tornati a brillare. Mentre Emma non sa che dire, ha la bocca socchiusa e sbatte le palpebre più volte come per svegliarsi da un sogno. «Mi sono innamorata di te tanto tempo fa» afferma la bruna ed Emma comincia a capire che sta succedendo davvero, Regina le sta dicendo davvero quelle cose. «L’ho capito troppo tardi e l’ho ammesso a me stessa quando, ormai, tu… – la voce si spezza un istante – Tu adesso ami lui ed io non…»

«Perché?» la domanda di Emma arriva forte, terribilmente vera. E per Regina è come tornare a respirare, come se per tutto questo tempo fosse stata in apnea, come sentire la vita sciogliersi nel sangue ed il cuore ricomporsi in pulsazioni rapide. Reali.

«Perché, cosa? Perché dirtelo?». Regina fa un leggero sbuffo con le labbra, alzando gli occhi al cielo, mentre le dita affondano nella carne delle proprie braccia e continua a parlare. «Perché credo che dirtelo non possa cambiare nulla» aggiunge, infine.

«No» risponde immediatamente Emma. «Perché adesso.» precisa con tono secco. 

È immersa nel suo sguardo mentre ascolta la sua voce, ha una sensazione nel petto, come se un vetro che prima le separava sia andato in frantumi all’improvviso e per questo gli occhi di Emma sembrano più vivi. Sente le narici pizzicate dall’odore di pioggia e vede il cielo di Storybrooke farsi più denso. «Io… Non… Non so perché adesso, non so perché non te l’ho detto prima» sussurra piano, pianissimo, come se tutto il suo corpo fosse fatto di cristallo e anche una frequenza minimamente più alta della voce avrebbe potuto creare una crepa indelebile. «Forse per paura di rovinare tutto, anche se… Ho già rovinato tutto».

Regina allenta la presa dalle proprie braccia, pensa che Emma sia bella in un modo toccante, intenso. Il vento spettina i loro capelli mentre il buio che avanza rende i loro lineamenti più morbidi e gli occhi più accesi. La voce di Regina, per Emma, è familiare, bassa, calda. Regina non ha bisogno di sentire altro, ha solo bisogno di andare via senza che qualcun altro se ne accorga. Era già stato difficile trovare una scusa plausibile con Henry e Zelena, ma Emma sapeva rendere le cose terribilmente complicate.

Regina aveva sempre avuto un’abilità invidiabile nel tener tesa la corda tra loro due, nel trovare un equilibrio tra il detto ed il taciuto. Tra i gesti e la voce e gli sguardi. Emma si sporge in avanti, verso di lei, e per un attimo Regina ha la certezza che stia per baciarla, che stia per succedere davvero, ma è solo un brivido – uno sguardo triste lungo il tempo di un respiro. Occhi fermi, fissi nei suoi. Poi, lentamente, l’abbassarsi delle ciglia bionde. Emma ha paura, ha paura di restare sola, di ritornare ad essere sola. Paura di non essere abbastanza forte. Paura di far del male a qualcuno. Paura di trascinare Regina con sé. E Regina l’ha capito, non riesce nemmeno a biasimarla perché è quello che prova lei stessa. Perciò non trova altra soluzione che cambiare direzione, e andare via.


They told me that the end is near
We gotta get away from here




L’istante successivo Regina sente solo la mano di Emma stringersi attorno al suo polso e tirarla a sé, e dopo si ritrova sbilanciata in avanti con il corpo contro quello di Emma. E intanto pensa che mai come in quel momento si era sentita così consapevole del suo corpo, del suo vibrare, dei suoi contorni. Con Emma ad avvolgerla è come sentire la vita pulsare sotto la pelle e, per un attimo, Regina si concentra su quel battito senza pensare a niente, senza pensare alle conseguenze, sforzandosi di non rompere nessun altro incanto. I suoni e le voci sono ovattate nel sottofondo e c’è odore di acqua, nell’aria, di erba bagnata. Un’armonia che sembra quasi cullarla, come un calore lungo la schiena.

Regina sente il cuore battere nelle tempie, fissa sbalordita Emma negli occhi e quasi affoga in quella distesa infinita di verde, azzurro, grigio e perfino screziature di nocciola in cui prendono vita le ombre. Lascia andare un sospiro e sente le mani di Emma abbandonare la solita leggerezza per serrare la presa con fermezza e attirarsela vicino. Per un attimo, l’impulso di Emma è soltanto quello di abbracciarla: lasciar perdere qualunque altro gesto e tutto quel che le circonda, e semplicemente stringerla. Tanto forte da potersi perdere in lei, da imprimere nella mente la forma del suo corpo per poterla richiamare in altri momenti.

Ma quel desiderio irrazionale di bambina si scioglie in un brivido appena Regina trova le sue labbra e le sfiora e le schiude, e quel brivido si dissolve in un bacio, perché la fisicità esplode di colpo, avida, senza lasciare spazio a nient’altro. Liberando il cervello da ogni pensiero, ogni emozione, e richiamare a sé solo l’istinto. Emma ne è convinta, Regina bacia nello stesso modo in cui fa l’amore: invade la bocca con affondi decisi, fluidi, e le sue mani la avvolgono in una carezza calda, che la insegue, come se le cambiasse la pelle. La velocità è perfettamente calibrata, la decisione – l’autorità – di chi è sempre abituato ad imporre il proprio ritmo e a gestire quello dell’altra. A gestire ogni cosa, anche Emma.

Eppure, quando si tira indietro, ha gli occhi scuri di chi non rivendica nessun controllo. E la voce è spezzata, stranamente flebile, roca. «Sei meravigliosa, Emma» sussurra con il fiato ancora corto. Per qualche lungo minuto, Regina non fa altro che guardarla, fronte contro fronte, naso contro naso, labbra che trovano le sue in tocchi casuali, separate da una parete sottile fatta di aria, di fiato caldo. Emma sta per dire qualcosa, ma la bocca di Regina le si avventa contro, unendosi alla sua in un bacio lento e morbidissimo. La obbliga al silenzio, divorando il respiro che si mischia al suo, la bacia schiacciandosi contro di lei, quasi con un’invadenza crudele come se volesse marchiarla come sue, come se non volesse lasciarla andare.

Ma poi, invece, la lascia andare. Lentamente.

Emma ha appena sposato Hook e non saprebbe dire perché restare tra le braccia di Regina le porti un senso di pace, anziché di disperazione. Solo qualche ora prima il pensiero di un’eventualità simile avrebbe avuto i contorni di un incubo, mentre ora è tutto più dolce, tutto troppo vivo – pronto per fare male. Emma non può far altro che trattenere un sorriso ed inspirare a fondo, assaporando la leggerezza dell’aria, lasciandosi incantare dal respiro di Regina. All’improvviso sopraggiunge quel tipo di languore che nasce quando ci si rende conto che non ha senso opporre resistenza, che la corrente scorre e trascina via, che il cielo di Storybrooke non la giudica se per una volta smette di pensare. E per un attimo l’attraversa il pensiero che, forse, questo finale non è poi troppo sbagliato.

Mentre chiude gli occhi, Emma pensa che sarebbe bello se tutto fosse così facile, se bastasse una carezza a rimettere a posto il mondo, un sussurro per dare una nuova forza. Per proteggere i confini del cielo e renderli meno fragili, per rendere lei più sicura. Quando solleva le palpebre Regina è già andata via, lasciando al suo posto una nebulosa di fumo violaceo. Emma si tocca le labbra con le dita, con la sensazione delle sue labbra premute contro quelle di Regina che ancora brucia di fuoco vivo, e con gli occhi a guardare Hook al centro della sala che la sta aspettando.






















Note dell'autrice:
So che tutto il fandom è ditrutto per il finale della stagione (la cui seconda parte, onestamente, non ho avuto proprio il coraggio di vedere), ma non disperate: Emma e Regina vivono il loro amore soprattutto grazie a noi. Noi sappiamo che loro si amano, che si sono amate e che sempre si ameranno. Lo sanno anche Lana & Jen, e sicuramente lo sanno Adam & Eddie. E se anche il finale è stato quel che è stato, spero di avervi "addolcito un po' la pillola" con questa OS. Spero anche che vi sia piaciuta e... Whar else? Alla prossima! :*
PS:(Per chi non la conoscesse, la canzone che ho citato nel testo è "Signs of the times" di Harry Styles)
   
 
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