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Autore: Gearys    18/05/2017    5 recensioni
A Vegeta è rimasta solo lei, la sua bambina, così simile alla madre.
Deciso a salvarla dal mondo in rovina che li circonda si mette in viaggio insieme a lei, prendendosene cura e proteggendola nonostante la situazione si faccia sempre più difficile, fino a precipitare drasticamente...
Ma Vegeta non mollerà, per nessuna ragione al mondo.
Non andrà da nessuna parte senza sua figlia.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mai senza mia figlia
DBZ AU
 
Innanzitutto un grazie a chiunque si sia accontentato della misera introduzione di questa storia e sta per iniziare a leggere.
Vi chiedo di non essere troppo severi nel giudicarla, visto che è la prima fanfiction che scrivo e non ho avuto il parere di nessuno prima di pubblicarla, ma le recensioni costruttive sono sempre ben accette.
Nella storia Vegeta è un umano, Bra si chiamerà Echalotte e mi raccomando: se vi starete strappando i capelli per la mancanza di qualcuno alla fine del prologo non disperate! Il lieto fine arriva sempre!
Ma ci vorrà tutta la pazienza dei lettori che spero seguiranno la storia, prevedo che passerà un po' di tempo tra un aggiornamento e l'altro.
Detto questo, vi auguro una buona lettura!
Spero di aver utilizzato come si deve l'editor del sito e aver pubblicato il testo come si deve...

 

Prologo
In tanti anni di storia nessuno si era preoccupato di dare un nome a quel Paese.
Da sempre erano in tanti a contenderselo ma non c'erano mai stati un re o una qualsiasi altra forma di governo.
Perciò non c'era nessuno che imponesse leggi comuni e ogni uomo degno di essere chiamato "signore" perchè possedeva una proprietà abbastanza imponente e un esesrcito abbastanza voluminoso e ben armato poteva permettersi di fare quel che gli pareva quando gli pareva, ladri e briganti infestavano le strade e ognuno doveva imparare a difendersi da solo.
Da ambita culla per un nuovo futuro senza tirannie e inquisizioni quel pezzo di terra grande quanto una regione si era tramutato in uno sconfinato campo di battaglia.
Vegeta non lo aveva mai ritenuto un problema.
Anzi, combattere gli piaceva. Lo eccitava.
Sin da bambino era stato era stato abituato a sporcarsi le mani di sangue impugnando una spada più grossa di lui, ad ignorare la puzza dei cadaveri, a sopportare il dolore e a sfogare i propri istinti carnali su prostitute e prigioniere di guerra, senza riguardi.
E avrebbe continuato forse fino alla fine dei suoi giorni se una notte non ci fosse stata quella donna ad attenderlo nella sua tenda, lasciata lì come gioccattolo per una notte.
Stava raggomitolata in un angolo buio, tutta tremante, coperta appena da una veste lacera, sporca di terra e di sangue, il volto rigato di lacrime su cui ricadevano alcune ciocche dei capelli turchini scompigliati. Vegeta non dimenticò mai l'occhiata carica di terrore gli rivolse. Si era sentito particolarmente viscido, come quegli stupidi vermi che non riusciva proprio a sopportare.
Allora le si era avvicinato lentamente, facendo il possibile per non spaventarla, si era inginocchiato e con una delicatezza che mai aveva adoperato le aveva sfiorato una guancia, poi, ancor più delicatamente, le aveva preso il volto tra le mani e i loro occhi si erano incontrati. Ossidiana contro acquamarina.
Vegeta aveva avvertito una fitta al petto, in alto a sinistra.
Le prime parole che rivolse alla donna furono un sussurro: <<Come ti chiami?>>
Bulma, gli aveva risposto lei, con una voce tanto flebile e tremolante che lo sciolse.
Non aveva detto altro. Si era scostato, sempre lentamente, e si era rimesso in piedi, osservandola. Nonostante le condizioni in cui si trovava era bella. Tanto bella.
E lui la desiderava, non gli importava dei coaguli di sangue e terra sul suo viso e sul suo corpo.
Sarebbe stato facile strapparle di dosso quella veste che ben poco copriva.
Ma non l'aveva più toccata.
Le aveva lasciato la sua coperta per timore che la notte avrebbe sofferto il freddo e si era sistemato sulla stuoia che usava come letto.
Il mattino seguente aveva ritrovato Bulma in quello stesso angolo, addormentata, raggomitolata nel groviglio della coperta.
Non permise mai a nessuno di avvicinarsi a lei.
La tenne sempre al sicuro come un avaro avrebbe fatto con una montagna d'oro, si prese cura di lei senza malizia.
Gli piaceva il modo in cui il suo cuore, prima freddo come l'acciaio della sua spada, si scaldava al solo pensiero di quella donna, ma non fu in grado di identificare quel sentimento di cui nessuno gli aveva mai parlato prima finchè non fu proprio Bulma a dargli un nome, la notte in cui si concesse al guerriero.
<<Ti amo>> aveva sussurrato con il respiro spezzato, scatenando un incendio nel petto già ardente di Vegeta.
Lui aveva ricambiato quelle parole con un bacio passionale carico dell'amore che provava per lei, con nuove carezze, con una stretta protettiva e con la promessa di portarla lontano da quel mondo doloroso e pericoloso in cui lui aveva sempre vissuto.
La notte seguente, raccolti alla svelta i suoi pochi averi, fuggì a cavallo insieme alla sua donna, lanciandosi al galoppo nel buio. Nessuno se ne accorse. Gli uomini erano ubriachi e dormivano sonni profondi, probabilmente anche i due che avrebbero dovuto fare la guardia.
In un piccolo villaggio Vegeta e Bulma trovarono accoglienza e una casa in cui vivere.
Non si sposarono, ma in un Paese come quello poco importava.
Dopo non molto tempo tempo Bulma diede alla luce una bimba, orgoglio suo e del suo uomo, che lavorava intere giornate nei campi con gli altri paesani per mantenere quella famigliola che aveva messo su.
C'era qualcosa però che non gli dava pace.
Una piccola fitta di rimpianto lo coglieva ogni mattina all'ora di uscire di casa per andare a lavoro.
Il guerriero che era in lui agonizzava sotto il peso di quella vita così... comune. Monotona.
Forse persino un poco... umiliante.
La sua unica gioia erano Bulma e la creaturina paffuta cui lui stesso aveva dato un nome. Echalotte.
Tenne celato il suo malessere come meglio poteva, temendo di deludere Bulma, ma lei si accorse comunque che nel suo uomo qualcosa non andava e Vegeta dovette sputare il rospo.
Contrariamente a quanto si aspettava la donna non la prese male. Lo baciò, lo accarezzò, lo confortò con dolcezza e fu lei a suggerirgli di impugnare di nuovo la spada.
Vegeta le fu immensamente grato ma non trovò mai un modo per ripagarla per lo sforzo di stare a guardare mentre il suo uomo andava via per tornare chissà quando.
E chissà se srebbe tornato.
Fortunamente Vegeta tornò, indossando un'armatura da mercenario ammaccata, medicato in più punti con bende sporche del suo sangue ormai secco e portando con sè un buon guadagno che sarebbe bastato a tirare avanti per un bel pezzo.
Sorrdieva quando giunse al villaggio, ma quello che si trovò davanti non era lo scenario che si aspettava e il sorriso si tramutò in una smorfia di terrore.
Del pacifico villaggio da cui era partito restavano in piedi solo alcune case. Le altre erano ridotte a rovine bruciate.
A terra giacevano i corpi di uomini e annimali, già assaliti dalle mosche.
Si lanciò in una corsa folle attraverso l'abitato fantasma, raggiungendo casa sua.
Era ancora al suo posto, ma la porta era stata sfondata e all'interno tutto era a soqquadro.
Cercò ovunque, gridando il suo nome.
Ma Bulma non c'era.
Distrutto, sedette sul letto cigolante, si prese la testa fra le mani e per la prima volta in vita sua scoppiò in un pianto disperato, gettando a terra con odio la spada.
Esaurì tutte le lacrime.
Convinto di aver perso ogni cosa e deciso a non combattere mai più, lo stuzzicò l'idea di farla finita all'istante.
Ma sollevando di nuovo lo sguardo si accorse di un particolare che prima non aveva notato.
Nell'angolo, tra l'armadio e il muro, stava un cesto di vimini che gli era sembrato contenesse una semplice coperta.
Ma adesso proprio sotto quella coperta facevano capolino due occhietti azzurri e un nasino all'insù.
Vegeta non ci mise molto per realizzare chi fosse, balzare in piedi, toglierle di dosso la coperta e prenderla in braccio stringendola forte, pungendole le guance con l'accenno di barba che non aveva ancora rasato.
Aveva perso Bulma, ma il frutto del loro amore era ancora lì, con lui.
Avrebbe lottato con le unghie e con i denti per difendere sua figlia e questa volta, a costo di affrontare da solo tutte le guarnigioni sul confine, sarebbe riuscito a portar via da quel mondo cupo la persona che amava.
Si riallacciò la spada al fianco, prese per mano sua figlia e mosse a testa alta i primi passi verso una meta ancora molto lontana. 


 
   
 
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