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Autore: Thurin    18/05/2017    2 recensioni
Una storia che narra dei tempi mitici del Thedas, dalla sua creazione fino alle vicende dei primi imperi degli elfi, quando il Thedas era dominato dagli Elvhen leggendari ancor prima che il tempo venisse scandito dai calendari della Chiesa. I tempi di Elgar'Nan, Andruil, Mythal, Fen'Harel, dei loro compagni e dei loro nemici. I tempi dell'ascesa e della caduta del popolo Elvhen e di come il Temibile Lupo sia divenuto protagonista in prima persona di tali eventi. Verrà narrata la triste storia di Fen'Harel e di come sia divenuto colui che tutti conoscono come il solitario elfo Solas, del suo odio verso gli Antichi Dei, dei suoi sentimenti verso Mythal e di come questi abbiano segnato il destino di tutte le razze del Thedas. Un destino che nei piani del Temibile Lupo avrà presto il suo compimento.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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LE ERE PERDUTE

 

 

Capitolo I

In Principio

 

 

In principio era il silenzio. Solo il Grande Vuoto esisteva ed il suo silenzio calava sull'infinito in un manto avvolgente eppure gelido ed immoto. In quel silenzio unico e solo esisteva il Creatore. Dal Creatore venne la Parola e dalla Parola la Volontà. Poiché egli nella sua onnipotenza non volle sottostare al grande nulla circostante e come un guerriero indomito fece della sua voce un'arma per squarciare il Vuoto del Cosmo.

«Che sia fine a questo Nulla, che luce nasca ad illuminare il Grande Vuoto»

Così per la sua Parola e per la sua Volontà, il silenzio si riempì di luce, dapprima incontrollata, pura ed abbagliante come un grande ed infinito fuoco; poi a poco a poco il Primo Essere scisse la grande luce in una miriade sconfinata di piccole fiamme, talune maggiori ed altre minori, sicché di varia iridescenza fu colmato il Cosmo e gli astri adornarono il firmamento, come tante gocce di argentea rugiada.

«Questa luce io chiamo firmamento e questi corpi celesti stelle, siano essi eterni per scandire il destino del Cosmo»

Il Creatore cinse dunque fra loro le stelle affinché avessero tutte un unico moto, così nel vasto Cosmo abitato solo dal Primo Essere, venne scissa l'eternità del Vuoto ed il tempo ebbe vita dallo scorrere armonioso e sublime di quei corpi celesti. Quello scorrere che è come una danza perpetua, cantata fin dalle epoche antiche dagli spiriti immortali ed in epoche successive dalle favelle delle razze mortali, fu il primo dono del Creatore al mondo.

La Parola del Creatore era legge e nulla poteva sottrarsi ai suoi comandi, così tramite essa, egli creò ciò che gli Elvhen chiamano Alas, la terra, come prima cosa creò le acque e da esse fece sorgere il suolo asciutto ove porre le sue prime opere.

«Che sia dunque diviso il mare dal suolo emerso ed il mare poggi sul suolo sommerso, che un grande globo racchiuda la terra e le acque si che esse siano poste al di sotto di esso. Ecco io pongo tutto questo nelle spire del tempo e nel moto del firmamento»

Egli costruì la terra all'interno del nuovo universo, lontana dal Cosmo e dall'eternità del Vuoto, volle che fosse nel tempo e che dal tempo maturassero le sue creature; da essa fece germogliare ogni sorta di albero da frutto, arbusto e pianta. Ora il Creatore camminava assiduo sulla terra che aveva creato, plasmandola con la sua Volontà, ed ecco che laddove la sua voce giungeva lieve come il suono del flauto si formarono i deserti e le spiagge sabbiose sulle rive del grande oceano, la grande distesa oggi chiamata delle Colline Semoventi ed il Mare delle Ceneri ai confini occidentali del Thedas. Nei luoghi, invece, ove la sua voce giungeva potente come il corno del cacciatore, ecco nascere le immense catene montuose: dai Picchi di Gamordan nell'estremo sud fino al nord verso le Montagne del Corno, un'unica grande catena di roccia divise quelle che oggi sono le regioni chiamate Anderfels ed Orlais. Grande era la melodia del Creatore e dalla polifonia della sua voce la Parola fluiva potente e chiara, in un canto che mai essere vivente ha udito, né mai udrà nelle aule della terra e nelle stanze del firmamento.

«Invero mi compiaccio di ciò che ho creato, ma ancora non è compiuto tutto quello che il mio cuore desidera ed il mio amore ancora deve plasmare questo mondo»

La forza della voce dell'Uno era tale che le montagne sorgevano dal suolo per stagliarsi verso le stelle quasi a volerle toccare. Fu allora che egli decise di porre un limite a quel mondo, perché non fosse che ciò che aveva creato dalla terra potesse invadere il firmamento; egli allora creò il cielo e le nubi con esso.

«Sia il mondo un globo con le acque sottostanti ed il firmamento sovrastante, sia il cielo un drappo trasparente a coprire il suolo ed il mare, perché non voglio che il mio creato deturpi le stelle, né voglio privare il mondo della loro luce»

Il cielo così fu fatto, come un grande specchio sicché dalla terra si potessero vedere le stelle e la loro danza intorno ad esso e le nubi creò dal calore del suo fiato perché adornassero con ombre soavi il cielo, ma esse ancora erano immote sopra la terra. La dolcezza della Sua Voce plasmò le grandi pianure fertili delle Hinterlands e di Dales, dove nei tempi si stanziarono gli uomini e tanta cura ne ebbero, ché quelle terre parevano loro un fertile giardino ove poter coltivare ciò di cui nutrirsi. Con Voce solida e verace creò le grandi foreste di Brecilian e quella che oggi è detta la Foresta di Arlathan laddove i primi nati fra i figli dell'Uno fonderanno un impero, che grande sarà nella gloria e nel meriggio del suo splendore volgerà a sé le sorti degli Elvhen così come nei giorni della sua rovinosa caduta. Il Creatore nel vedere nascere le verdi foreste, si rallegrò dei grandi arbusti e volle che essi ricoprissero grandi regioni del Thedas, regioni in cui oggi purtroppo il manto verde dei grandi alberi più non prospera e questo con grande tristezza per gli elfi. Nei tempi antichi dai Campi di Ghislain alla regione dei laghi di Nahashin era tutta una immensa foresta, molto prima che gli uomini giungessero dal nord e molto prima che gli elfi fossero creati sulla terra per popolarla.

«Davvero gli alberi sono tra le piante la mia opera più bella, siano essi benedetti e sempre proliferino sulla terra finché i suoi giorni non giungano al termine e con essa anche la loro esistenza»

Tanto care erano agli elfi che per lunghi secoli cantarono della loro fioritura e della bellezza degli alberi al meriggio della loro grandezza. Ed anche nei giorni oscuri della caduta dei grandi regni essi cantarono la mestizia di quei luoghi e l'appassire della loro forza, tristi canti come mai a memoria di elfo o uomo furono composti.

Con un'altra melodia, simile a lama tagliente di spada, il Creatore scisse la terra formando grandi fenditure a voragini, così che le acque del grande oceano furono convogliate in specchi d'acqua più piccoli e fiumi impetuosi traboccarono da questi riversandosi in modo tumultuoso verso il mare. Laddove la terra maggiormente si infranse fu creata la grande insenatura che oggi è detta Mare del Risveglio, poiché da quelle coste si svegliarono i primi elfi figli del Creatore. Creò i grandi laghi Celestine e Calenhad e da loro grandi corsi d'acqua che resero fertili le pianure circostanti del Ferelden. Nel Nahashin creò specchi d'acqua di diversa grandezza abbellendo la flora e rendendola fertile per via dei piccoli ruscelli che collegavano i diversi laghi e pozze d'acqua dolce. Dalle montagne fece sgorgare limpida acqua con grande potenza, generando il Fiume Minanter che attraversa da ovest ad est Nevarra ed i Liberi Confini per aprirsi in un immenso delta sull'oceano orientale di Amaranthine. Ciò che la Sua mente immaginava, la Sua Volontà lo faceva apparire in tutta la sua bellezza e la sua gloria ed egli era compiaciuto del suo operato.

Il Creatore aveva plasmato la terra generando: placidi deserti, montagne maestose, profonde gole nella roccia, pianure sconfinate ed immense foreste di alberi rigogliosi; foreste che i primi Elvhen chiamarono Arla, casa, e dove successivamente stabilirono di istituire lo Arlathvhen che nella loro lingua significa: “per amore del nostro popolo”. E sempre, nei giorni antichi, onorarono il Creatore per le sue opere, con canti e poemi sublimi, di cui oggi purtroppo nessuno, nemmeno gli elfi stessi, conserva memoria ed essi sono perduti per sempre. Il Creatore decise di porre un moto alle nubi del cielo, così soffiando su di esse generò i venti e le correnti, e queste percorsero tutta la terra animando di fruscii le profondità delle foreste, creando dune nei deserti e facendo danzare i fili d’erba delle pianure ora placidamente, ora con più forza.

«Sia nei cieli e sulla terra il moto dei venti, che le nubi percorrano su esso le strade del cielo portando acqua limpida e sia aria pura ad alimentare la vita delle piante e di tutto ciò che io ho creato»

Nei cieli il soffio del Creatore raccolse le nubi e generò tempeste dalle quali altra acqua sgorgò a bagnare la terra. Le tempeste furono a lungo considerate da elfi e uomini l'eco della voce e del respiro del Creatore e furono sempre riverite, perché da loro giungeva la vita per la terra e le valli fertili; dalla terra umida nascevano alberi da frutto ed ogni pianta e fiore meraviglioso che ricopre la terra.

 

Dopo aver creato tutto ciò che la sua mente aveva predisposto nel principio del mondo, e averlo racchiuso nel bozzolo del tempo, l'Uno decise di ordinare la natura secondo regole immutabili. Ed ecco ogni pianta avrebbe generato dei germogli dai quali sarebbero nate piante in tutto simili fra loro, lo stesso decise per gli alberi ed ogni fiore e frutto commestibile. Ora però, la terra era ancora buia, illuminata solo dalle stelle del firmamento, prima creazione dell'Onnipotente.

«Sia nei cieli del firmamento un grande luminare, un fuoco perenne che illumini ciò che ho creato, che corra nel firmamento e la sua luce sia più potente di ogni stella»

Il Creatore decise allora di raccogliere tutta la Sua Potenza, con essa si elevò tra i cieli fino ai confini col Vuoto e con gran Voce creò il sole, che gli Elvhen chiamano Elgara. Il grande astro illuminava la terra mostrando le mirabili opere generate dal Creatore: dai meravigliosi riflessi nell’acqua limpida dei mari e dei fiumi, ai variopinti colori delle piante e dei fiori della terra. Le verdi foreste rilucevano in tutta la loro maestosità mentre il cielo si tingeva d'azzurro quasi a voler essere un grande mare sopra la terra stessa. Le Montagne coi loro picchi innevati rilucevano d'argento e la roccia con le sue insenature disegnava ombre spigolose e minacciose a chi volgeva lo sguardo verso di esse. Proprio per questo riverito timore, nessun elfo per lungo tempo osò valicare le grandi catene montuose e proprio per questa ragione si dice che non vennero a contatto col popolo dei nani se non in epoca tarda. I primi uomini veneravano il sole come immagine stessa del Creatore poiché da esso veniva la vita dei campi ed il suo corso nel firmamento sanciva il passare degli anni e delle stagioni, i periodi di semina e di raccolto.

Per volere del Primo Essere anche il sole fu legato alle altre stelle del firmamento e con esse prese a danzare intorno alla volta del cielo, fu così che dal tempo si scandirono il giorno e la notte. Ad illuminare la notte venne posta come sorella del sole la luna. Egli la plasmò mischiando la terra con la luce delle stelle la pose nel firmamento a danzare col sole e gli altri astri. Così anche la notte ebbe il suo araldo ad annunciarla ed il continuo sorgere e tramontare dei due grandi corpi celesti nel firmamento della terra scandì il ritmo dei giorni. Ora però il moto dei due astri era dissimile, sicché a volte la luna rincorrendo il sole lo raggiungeva ed ecco il giorno volgere in tiepida notte per alcuni istanti e questo era visto come grande segno di sventura per gli uomini, mentre per gli elfi era cagione di meraviglia poiché per loro gli astri danzavano come innamorati appassionati.

«Invero sono compiaciuto della mia opera e voglio darle un nome, essa si chiamerà: Thedas»

Il Thedas rimase per lunghi eoni come il grande giardino del Creatore, dove egli poteva camminare liberamente e godere della pace e della tranquillità di quel mondo. I tramonti oltre le montagne dell'Arl Dumat erano come dipinti di rara bellezza, le aurore boreali all'estremo nord delle Donarks tinteggiavano con drappi multicolore le pianure glaciali di quella regione impervia e selvaggia, la spuma del grande oceano di Amaranthine cullava la mente e placava l'animo inquieto del suo Creatore. Poiché egli era affatto inquieto in quella solitudine ed un'ombra aduggiava il suo animo, ché camminare in quell'immenso giardino senza alcuna creatura animale, non sembrava rendere maggior gloria all'opera dell'Onnipotente.

«Di tanta bellezza ho riempito questo giardino, eppure il mio cuore ancora agogna nel desiderio di creare la vita. Ecco questa è la mia Volontà, che vi siano esseri che camminano, nuotano e volano su tutta la faccia della terra»

Fu allora che egli plasmò dalla terra gli animali per adornare il suo creato; ne creò molteplici di diverse forme e dimensioni, che si adattassero ad ogni regione del Thedas. Le valli brulicarono di cervi ed altri animali erbivori di diverse razze e dimensioni, dal pellame morbido e dei colori degli alberi e foglie. Animali leggiadri e sfuggenti verso coloro che mostravano malevoli intenti, bestie tuttavia mansuete con cui gli elfi amavano conversare nei tempi andati, quando ancora era in loro potere capire il linguaggio degli esseri creati dall'Onnipotente. Al fianco degli erbivori egli pose anche temibili predatori, tigri dalle lunghe zanne, orsi maestosi e potenti creature dall'animo sfuggente che poco amavano familiarizzare con altre creature se non della loro specie, solitari ed in branco vivono tutt'ora e neppure gli elfi ne compresero appieno il linguaggio. Riempì il mare di pesci, grandi e piccoli, immense creature marine ed altre delicate e ricolme di rara bellezza, i colori dei pesci del mare hanno ispirato molti canti di uomini ed elfi che sempre guardavano alle grandi acque con timore e passione, desiderosi di esplorarne i più reconditi segreti. Gli acquitrini brulicarono di falene e piccoli insetti che portavano il polline dei fiori, sicché la stessa natura potesse diffondersi al meglio su tutta la terra, e le piante si diffusero ancor maggiormente grazie al lavoro operoso delle api che mischiando ed impollinando diversi fiori, crearono a loro volta nuove specie di piante sempre più belle. Nei cieli pose gli uccelli dotati di piume colorate e variopinte, di diversa grandezza ne creò: piccoli usignoli che rischiarano il giorno col flebile canto mattutino, allodole, e fringuelli campestri che riempiono l'aria dei loro cinguettii in una grande armonia di suoni e timbri, gufi notturni dagli immensi occhi penetranti ed aquile rapaci eppure ricche di maestà e grazia.

Il Primo Essere creò dunque gli animali perché popolassero la terra, ma pose un freno ed un limite al loro numero: così fu posto che i predatori carnivori si cibassero degli erbivori poiché ad essi era fatto dono di grande fertilità eppure non dovevano crescere eccessivamente; ai carnivori fu posto un limite alle loro nascite, affinché essi non distruggessero gli animali erbivori. In questo equilibrio il Creatore pose l'armonia del regno animale e tutte le razze presero dimora ove l'istinto comandava loro di abitare. Tuttavia per gli uccelli del cielo nessuna terra era fissa dimora, giacché dai cieli posavano lo sguardo su ogni regione della terra e col loro volo oltrepassavano fiumi, mari ed alte montagne, per prendere dimora ora in quella regione, ora in quell'altra, e così facendo si diffusero in tutto il creato. Solo i grandi volatili presero dimora presso le montagne e dalle immense cime di quelle dominavano sulle valli quasi a volerle rivendicare come proprie.

«Ora anche il regno degli animali è disegnato sotto la mia Volontà e nessuna potenza potrà modificare ciò che io ho voluto, se non sarà tramite la mia stessa Volontà o per dono che io faccia»

Ed ora che il giardino era così ricolmo delle bellezze della fauna e della flora rigogliosa, il Creatore volle porre dei custodi a ciò che aveva creato, affinché i figli che sarebbero nati e avrebbero abitato la terra non avessero a timore quel mondo nuovo. Creò dunque degli spiriti, nati dalla sua Volontà e dalla sua Onniscenza, essi non erano che pallidi riflessi della grandezza del Creatore, immortali ma depositari di una conoscenza frammentata, ognuno con un particolare potere ed abilità, tutti con lo scopo di proteggere e custodire il grande giardino del Creatore. Ad essi il Creatore parlò

«Ecco io vi rendo custodi di questo giardino, ché per tema del mio amore, i figli che nasceranno da esso non dovranno averne timore»

«Quale compito dunque ci spetta oh Grande Potenza? Noi di te siamo parte eppure di nostra volontà ci hai dotato, a che scopo tutto ciò?»

«Ciò che voglio da voi è che custodiate in bellezza ed armonia questo giardino, avete libertà di disegnare nuove forme e nuova vita in esso, poiché questo è il mio Volere»

Allora gli spiriti si allietarono ed intonarono un inno di lode al Creatore, poiché grande era il suo disegno ed il suo volere, ma non in tutto il l'Uno volle metterli a parte del disegno finale, sicché anche per gli spiriti più potenti e saggi, l'onniscenza del Primo Essere era celata e nessuno di essi conobbe mai il tempo ed il luogo della venuta dei figli del Creatore. Tuttavia non tutti gli spiriti accolsero quella libertà con riconoscenza, alcuni di essi erano affatto superbi e già nei loro cuori era un piano di prendere possesso di quel giardino e farlo loro. Al Creatore non sfuggirono questi pensieri, poiché egli tutto leggeva nel cuore degli spiriti, essi venivano da lui ed a lui nessun segreto potevano celare, neppure se sepolto nei reconditi anfratti dei loro cuori. Così ancora parlò

«Avete piena libertà poiché anche voi siete frutto del mio amore e figli miei, di vostra coscienza agite come meglio credete»

poi ancora rivolgendosi a coloro sui cui cuori aduggiava il desiderio di cupidigia

«scoprirete infine tutti voi, che nulla di ciò che farete andrà a mio discapito, ed ogni progetto dei vostri cuori finirà sempre a mia maggior gloria»

Alcuni degli spiriti più puri non compresero quelle ultime parole, ma in cuor loro gli spiriti adombrati dalla malvagità dei loro desideri covarono ancora di più invidia verso la bellezza del mondo e sempre più si accrebbe in loro il desiderio di conquistarlo per loro stessi.

 

Fu così che gli spiriti presero dimora nel mondo, il Creatore lasciò che essi plasmassero la materia del mondo mentre egli, celato alla loro presenza, dava compimento all'ultima sua opera, predetta ai suoi diletti ma senza nozione del tempo e del luogo ove essa avrebbe avuto la sua origine. L'Uno si mise dunque all'opera per compiere la sua creazione più grande, ovvero esseri mortali in tutto simili a lui e fatti a sua immagine ed intento, dotati di doni unici che ne mostrassero la gloria del loro Creatore. Egli avrebbe creato interi popoli, essi sarebbero stati i suoi figli, in tutto simili a lui ed in verità con una parte del suo cuore.

Il Creatore dunque prese la linfa degli alberi, la terra rigogliosa ed il soffio dei venti, li plasmò ed infuse in essi il soffio vitale, ed ecco nascere i primi esseri simili al Creatore: gli Elvhen, maschi e femmine. Dal viso affusolato, orecchie lunghe e sinuose, occhi grandi e profondi, un cuore ricolmo di amore per la terra ed il cielo ma soprattutto per le foreste ed i loro alberi. Forse per la linfa di questi da cui deriva il sangue degli Elvhen, si dice che non potrebbero vivere in pace se non nelle verdi foreste del Thedas. Il Creatore pose questi suoi primi figli, i suoi primogeniti, lungo le coste del Mare del Risveglio, pronti a destarsi nel giorno stabilito da lui. Poi prese la terra delle fertili colline, il limo degli acquitrini e l'acqua salata del grande oceano, li plasmò ed infuse in essi il soffio vitale, ed ecco nascere i secondi esseri simili al Creatore: gli Umani, maschi e femmine. Dal viso più spigoloso, orecchie rotonde, occhi affusolati e dai variopinti colori, un cuore colmo di curiosità e desiderio di esplorare i confini della terra. Forse perché creati dalle varie parti della terra in essi è insito il desiderio di fare propria tutta la terra su cui mettono piede. Il Creatore pose questi suoi secondi figli all'estremo nord, tra i ghiacci boreali al di là di Rivain, sull'Isola di Seheron, pronti a destarsi nel giorno da lui stabilito.

 

Compiuta anche quest'ultima opera il Creatore si ritirò dunque oltre il firmamento ai confini del Grande Vuoto laddove poteva ammirare la bontà della sua opera ed ecco egli vide che mai avrebbe potuto creare nulla di più bello.

«Davvero ciò che ho creato è buono e bello ed in tutto risponde al disegno della mia Volontà, il mio cuore ricolmo di amore è sazio per questa opera ed ora attende solo che i tempi si compiano»

E come colui che rimira la sua opera costata immensa fatica e tribolazione, e lasso dal lungo travaglio si concede un poco di riposo, egli decise di concedersi un giusto riposo e per diversi eoni il grande giardino non vide passeggiare il suo Creatore fra le sponde dei mari o sulle montagne innevate. Avveduti della dipartita dal mondo dl loro Creatore, gli spiriti intonarono una nenia alla luce delle stelle, ché da quel primo tramonto senza che l'Uno fosse nel mondo, iniziava la loro opera di custodi del giardino e si preparavano al tempo e all'ora della venuta dei figli del Creatore. Ma non tutti si accostarono a quella musica, gli spiriti dal cuore corrotto dal desiderio si apprestavano a mettere in atto i loro piani, e la notte intorno alle loro dimore era più buia e fredda, laddove quella delle dimore dei loro fratelli risplendeva della luce della luna e delle stelle.

Così il mondo fu creato, come riportano i canti degli antichi saggi e dei cantori dei primi elfi e uomini, quando ancora gli spiriti camminavano nel Thedas e pace e prosperità vi era fra tutti i figli dell'Uno; ma oggi quei giorni sono affatto dimenticati e nei cuori degli Elvhen e degli uomini più non risuonano quei canti soavi, né il ricordo degli spiriti benevoli si conserva nella memoria dei popoli del mondo. Come sole che asciuga la pioggia il tempo ed i destini del Thedas erano in mano ai figli del Creatore ed a loro fu data la libertà di scegliere il loro destino. Invero però essi non sfuggirono, né tutt'oggi sfuggono alla Volontà della Grande Potenza, ché tutto è stato fatto per mezzo della Volontà e la Volontà dell'Onnipotente permarrà nel mondo fino al suo ultimo tramonto. Quel giorno che solo il Creatore conosce e che vedrà il suo ritorno per riportare a sé tutte le cose.

   
 
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