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Autore: BowtiesAreCool    19/05/2017    0 recensioni
AU! Gemme Dell'Infinito
Coppie: Phil/Clint - Accenni Steve/Tony - Accenni Thor/Loki
Dal banco dietro Coulson proveniva un sonoro russare: era inconcepibile come un ragazzo dell'età di Anthony Stark potesse avere tanto sonno arretrato, eppure non c'era lezione mattutina che egli trascorresse sveglio, vigile, attento alle parole del professore. Abbandonato sulla superficie costellata di scritte e graffiti, Tony poggiava gli scarmigliati capelli neri sulle braccia coperte di ematomi, chiudeva le palpebre cerchiate di livida insonnia, quindi spalancava la bocca ad un quieto, letargico russare. Persino gli insegnanti avevano perso ogni speranza di vederlo interessato a quel che avevano da dire.
Con un mezzo sorriso, Phil si girò, sistemandosi i capelli castani sulla fronte, gli occhi azzurri posati gentilmente sul viso dell’amico, e lo scosse appena. “Ehi.” Bisbigliò. “Va bene dormire, ma evita di russare, così disturbi tutti.”
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sette


 
 
Tony non si fece vedere per tre giorni, né a scuola, né alle ronde. Ogni volta che tentavano di contattarlo con la trasmittente, lui chiudeva le comunicazioni. Chiuso in se stesso, non cercava nessuno, non parlava a nessuno. Fu Hannah a chiedere aiuto a Phil, pregandolo di passare a casa: si era fatto taciturno, Tony, ossessionato dal padre, da un vecchio amico del padre, da Peggy e Jarvis non sapeva davvero più che fare per calmare il suo cuore.
E il ragazzo si presentò quel venerdì mattina alla porta di casa Jarvis con un scatola di brownies fatti in casa. "Buongiorno, sono venuto il prima possibile. E' in camera sua?"
L'allampanato Edwin Jarvis, coi suoi capelli brizzolati ed il panciotto, ex RAF, ex maggiordomo di casa Stark, annuì compito e lo fece entrare. "Tony non si è mai mostrato tanto interessato a suo padre." Disse, con la voce un poco nasale. "Non riesco a spiegarmi questa sua... Ossessione."
Phil si limitò a mugugnare pensieroso, per poi annuire. "Ci penso io, grazie per avermi chiamato."
"Grazie a te per essere venuto."
Il ragazzo non bussò nemmeno, scivolando all'interno della stanza come un'ombra. "Ehi, testa di ferro, che stai combinando?"
Tony era immerso fino al collo da scartoffie, vecchie fotografie e il computer era aperto su una sequela infinita di vecchi documentari sulla Seconda Guerra Mondiale. "Non sono affari tuoi."
"Tony..." Phil gli si avvicinò con un sospiro. "Ho fatto i brownies. Puoi dedicarmi cinque minuti, per favore?"
"Hai quattro minuti e cinquantanove secondi."
L'altro prese un respiro profondo. "Capisco che tu sia rimasto turbato da tutta la questione ma non puoi rinchiuderti in te stesso e lasciare il mondo fuori! Hai già eremitaggiato abbastanza, ti voglio fuori da questa casa in tre secondi netti."
"No." L'altro scosse la testa, continuando a sfogliare un vecchio fascicolo. "Io sono cresciuto con i racconti di Peggy su di lui. Mio padre amava più lui di quanto abbia mai amato me. E lei lo amava."
"E allora?" Gli strappò con rabbia il fascicolo tra le dita. "Quel ragazzo ha rinunciato a tutto per essere qui, per aiutarci e tu ti comporti come un bambino capriccioso! Cresci una buona volta!"
"Tu come lo hai saputo?" Gli occhi di Tony erano accusatori, avvelenati. "Come?"
"Me lo ha detto lui." Disse, "L'ho accusato di starti prendendo in giro e che sapevo era il Capitano, per la ferita alla gamba e lui mi ha confidato tutto." Disse, mascherando la verità e omettendo le analisi del DNA che avevano fatto per smascherarlo.
Tony si passò le mani tra i capelli, più e più volte. "Sono così--Furioso. E non ne capisco il motivo."
Phil sorrise intenerito e gli poggiò le mani sulle spalle. "Perché non parli con lui? Steve-- E' davvero la persona più buona che abbia mai conosciuto e sono sicuro sarebbe felice di rispondere alle tue domande. Potreste chiarirvi ed essere amici."
"Lui... Lui vedrà sempre e solo Howard in me."
"Oh Tony ma non dire sciocchezze!" Lo scosse appena. "Tu e tuo padre siete agli antipodi, completamente diversi!"
"Forse no. Forse voglio soltanto nasconderlo." Stark scosse la testa, piazzandosi le dita sulle palpebre.
"Non è vero. Tu sei dieci volte meglio di tuo padre e lo sai anche tu." Lo abbracciò con dolcezza. "Ma se questi sono i tuoi pensieri, mi impegnerò al massimo per mandarli via."
Tony posò la fronte sulla sua spalla. Forse era l'abbandono che temeva: quello di Phil una volta che avesse capito quanto il Capitano fosse splendido e perfetto -Come suo padre, in effetti. Howard stravedeva per lui. O forse, e non voleva ammetterlo, temeva l'abbandono del Capitano. Era terrorizzato dall'idea di finire come Peggy, intrappolata in una ragnatela di ricordi, incapace di salvarsi, di liberarsi, incapace di vivere al di fuori della memoria.
"Io sono qui, Tony. Lo sarò sempre per te." Il ragazzo lo strinse forte, cercando di trasmettergli tutto il suo affetto. "Lo affronteremo insieme, come abbiamo sempre fatto. Te lo prometto."
"Anche se lui è meglio di me?"
Ridacchiò. "Si, anche se lui è meglio di te." Gli fece sollevare il viso e gli sfiorò appena le labbra con le sue, una carezza leggera ma piena di calore. "Tu sei insostituibile, per me. Sei il mio migliore amico."
A quel contatto Tony rimase interdetto, socchiudendo un poco gli occhi con un sorriso malizioso sulle labbra. "Stai dicendo che sono anche il tuo tipo?"
Il ragazzo scoppiò a ridere. "Ti lascerò col dubbio! E ora andiamo! Devi parlare con Steve e stasera potremmo uscire tutti e tre." Si guardò intorno e gli occhi gli caddero su un volantino giallo. "Potremmo andare al circo."
"Pensavo odiassi il circo."
"E' così infatti ma... Steve ha bisogno di distrarsi un po' e magari a lui piace."
"A proposito di piacere..." Tony si schiarì la gola. "Prima che cominciasse questo caos volevo chiedere a Steve di uscire."
"Credo sia un'ottima idea!"
"Sei sicuro? Temevo fossi geloso."
Phil arrossì di botto. "No! Non sono geloso. Solo... Avevo paura di perderti come amico. Avendo lui io diventerei superfluo per te e..." Si grattò il naso in imbarazzo. "Non volevo perderti, tutto qui."
"Come potresti diventare superfluo? Tu sai cos'è un auricolare." Stark rise, quindi gli mostrò una foto di archivio vecchissima, di uno Steve evidentemente sottopeso, con gli occhi grandi e il viso smunto. "Lo hanno riformato tre volte, prima di prenderlo."
Phil afferrò incredulo la foto. "Come ha fatto a diventare così? Non credevo l'esercizio fisico trasformasse così tanto..."
"Credo che le Gemme tirino fuori il massimo potenziale. Io sono diventato ancora più geniale di quanto già non fossi."
"Non è vero, sei sempre stato geniale." Posò la foto e recuperò i biscotti. "Andiamo! Steve si è trasferito da me."
"Trasferito?!"
"Esatto." Aprì la porta. "Viveva in una catapecchia con a stento la corrente elettrica. Dormiva su un materasso tarlato!" Si girò a guardarlo. "Vivrà con noi fino a quando questa storia delle Gemme non sarà finita, poi le mie zie gli troveranno un appartamento."
"Dovremmo insegnargli a vivere in questo mondo. " Propose Tony, alzandosi dal pavimento. "Non credo conosca qualcosa. Anzi."
"Direi che non conosce nulla, quindi... Iniziamo dal circo." Sorrise. "E ora muovi le chiappe, scusati con Hannah e Edwin e andiamo da me."
"Odio quando mi dai ordini."
"Allora continuerò a darteli." Rise. "Ti aspetto in giardino." E in un attimo era già fuori la porta dopo aver salutato i padroni di casa.


*****



Il circo riempiva Central Park, sbocciando tra i suoi rami come un gigantesco fiore di tessuto pesante. Odorava di cerone, popcorn, ghiaccio secco e sudore; era incoronato di lustrini, di festoni e banderuole sghignazzanti all'aria dolciastra, satura di persone e profumi iridescenti. Tra le teste che si ammassavano per entrare, Steve colse quella di Donald Blake; afferrò la giacca di Phil, perché guardasse in quella direzione.
Il ragazzo cercava di mantenere un'espressione neutrale, anche se l'odore gli dava il voltastomaco e la calca di gente lo innervosiva non poco. Si fermò accanto all'amico e girò il viso, riconoscendo subito la figura dell'uomo. "Oh... Vuoi andare a parlargli?"
"No, ma.. "
"Emana una strana sensazione." Concluse per lui Tony. "Inspiegabile."
"Sensazione?" Si girò a guardare l'altro. "Amico o nemico? Magari anche lui ha una Gemma. Se è vero che si cercano l'un l'altra..."
"Avevo avvertito una sorta di scossa quando mi ha toccato."
"Lo avvicineremo alla fine dello spettacolo, allora. Dobbiamo capire se ha una Gemma o fa parte dell'entourage dei nostri nemici."
"Entourage." Commentò Tony. "Mi piace come suona."
Phil ridacchiò. "Andiamo a prendere posto."
Le sedute erano di plastica rossa, cigolante, disposte a cerchio attorno ad un palco di sabbia finissima, su cui già avevano montato le travi e i trapezi per i funamboli.
"E' la prima volta, Steve?"
"Era venuto un circo itinerante a Brooklyn, una volta." Rispose lui, "Assai più piccolo di questo. C'era unicamente un mago che tirava fuori i conigli dal cappello e una donna che faceva saltare i barboncini. Ah, e c'era il prode Maciste, coi baffi a manubrio e una specie di toga leopardata."
Phil si sedette accanto a Tony. "Io ho sempre odiato il circo." Scosse le spalle. "Comunque potrei anche cambiare idea."
"Punto venti dollari che non succederà."
Phil guardò tutta la gente che si andava ammassando sui sedili, i bambini urlanti e la musica alta che cominciava a spandersi per il tendone. "Ti devo venti dollari, allora."
Steve rise, ma parve divertirsi per tutto lo spettacolo: seguì ogni capriola, ogni piroetta, ogni salto, sorrise persino a qualche scherzo sghembo dei pagliacci. Poi, le luci calarono sul cerchio di sabbia. Venne avanti una figura vestita di scuro, con una canotta di ecopelle nera e stivali al polpaccio.
Coulson, invece, aveva seguito lo spettacolo con viso neutrale, piegando, forse, di tanto in tanto le labbra in un mezzo sorriso sghembo. All'avanzare della figura, però, non poté far a meno di sporsi in avanti e osservare il ragazzo -O almeno dall'altezza sembra un ragazzo forse della loro età, forse poco più grande.
Si rivelò essere il ragazzo che lo aveva fermato in mezzo alla strada: i suoi occhi sfolgoravano di grigio e di azzurro, sottolineati dalla matita nera; una croce di tessuto bordeaux gli attraversava il petto, che stretto nella canotta di ecopelle risaltava come non mai. Teneva un arco in mano e portava un parabraccio allacciato al polso destro.
"E' il tizio che voleva darmi i volantini a forza!" Bisbigliò a Tony. "Ma aveva detto che si occupava degli animali!"
Il circense allargò le braccia e fece un inchino. Poi i suoi movimenti si fecero troppo veloci da vedere, da capire. Scagliava frecce con rapidità eccezionale, ogni dardo un lampo che riverberava nei suoi occhi, nelle iridi brillanti di concentrazione. Non mancava un bersaglio, non uno, che lo stesse guardando o fosse girato di schiena.
"Wow... E' bravo... Uno così ci farebbe comodo contro gli alieni."
"Oh, certo. Li userà come puntaspilli."
Phil ridacchiò. "Non è una cattiva idea!"
Tony girò gli occhi al cielo. Sentiva un prurito dietro la nuca, uno strano murmure alla base del collo che zampettava sino alla sommità della testa -Cosa diavolo? Strinse le labbra, cercando di godersi lo spettacolo.
"Che ne pensi Steve?" Phil aveva occhi ormai solo per l'arciere. "Non trovi sia bravo?"
Il Capitano annuì. "È agile. Veloce. Ottima mira e riflessi poderosi."
"E sembra avere una vista straordinaria."
"Azzarderei una vista priva di punti ciechi."
"Secondo te com'è possibile?"
"Allenamento. Dote naturale. Non saprei dare altre spiegazioni."
Il ragazzo mugugnò pensieroso e fu il primo ad applaudire quando l'altro ebbe finito il suo numero. "Ne è valsa la pena solo per lui."
"Questo vuol dire che ti devo venti dollari?"
Donald Blake, invece, fu il primo ad uscire. Il bruciore che gli aveva fatto temere una patologia cardiaca non era diminuito, anzi, era aumentato fino a gonfiare la testa e inebetire i sensi. Avvertiva oltre la coscienza, oltre lo spazio un fulgore ed un fragore come di tuono ruggire nel petto. Si appoggiò ad un albero, dilatando le narici e inspirando piano per calmare il senso di nausea.
 
"Maestro." Colui che aveva gli occhi viola sapeva che Lingua d'Argento era in ascolto. "Una delle Gemme. È in tumulto. Vieni a prenderla."
"Indicami la strada." Bisbigliò quello, comparso come un'ombra dietro di lui.
 
"No, non ho detto che ho cambiato idea, solo che è valsa la pena venire solo per lui." Scosse le spalle. "Che facciamo? Andiamo a mangiare qualcosa?"
Ma entrambi, invece di rispondere, strizzarono le palpebre e serrarono la mandibola, i denti digrignati. Donald non sapeva come, ma era sicuro ci fosse una presenza dietro di sé. La avvertiva, un esile filo lucente quanto una catena di impulsi elettrici. Si voltò di scatto, deglutendo dinanzi alla figura che gli stava davanti. Accanto ad essa... I suoi occhi erano tanto viola da abbagliare.
Lingua d'argento lo guardò per un lungo istante. "Quale Gemma ti appartiene, mio fragile amico?" Chiese con voce suadente e strascicata.
"Non---Non capisco di cosa stai parlando."
L'uomo fisso l'altro con un ghigno. "Non puoi più nasconderti a me." E gli puntò contro un lungo bastone d'oro con all'estremità una Gemma blu che brillava come il sole. "Sei mio."
Donald arretrò di un passo e il cuore gli balzò ratto alla gola. Avvertì un bruciore intenso al cuore, quindi una scarica che saettò dal petto al braccio destro, al gomito, alle dita. Un tuono gli rombò nel torace e contro il palmo comparve la rozza figura di un manico -Aveva un martello, tra le mani, e non si era mai sentito tanto potente.
"Mi offrirai i tuoi servigi e la tua Gemma." Disse l'uomo con voce strascicata. "E sarai mio."
Donald Blake aumentò di statura. I capelli imbiondirono, la giacca venne sostituta da una armatura a piastre, i jeans da gambali finemente lavorati. Un mantello color sangue danzò sulle sue spalle. Un nuovo vigore gli eruttò in corpo. "Come devo chiamarti...?" Esalò, attratto e repulso dall'altro come da un magnete.
"Maestro."
 
Tony emise un singulto e quando si girò Steve era nelle medesime condizioni. "Una Gemma---"
"Una Gemma? Dove?" Phil li guardò allarmato. "La sentite?"
"Si sta svegliando---"
"Quindi possiamo raggiungerla! Dov'è?"
Stark scosse la testa, con violenza inaudita -La confusione gli batteva dentro il cranio. "Vicina!”
"Andiamo a prenderla, allora!"
Steve scattò fuori dal tendone e Tony a rotta di collo dietro. Nessuno li guardava, nessuno era in vista; il Capitano fece il gesto di chiudere qualcosa in pugno e lanciarlo in aria: un vorticare dorato saettò dal palmo e prese a girare sopra la sua testa, una stella d'argento da cui, per ogni punta, si dipanarono fasci di luce bianca, rossa e blu. Questi avvolsero gli arti, il petto, il capo, il corpo intero del ragazzo; nastri simili si condensarono attorno alla stella. Essa scese, un lucente scudo nell'oscurità della notte e Steve tese il braccio abbagliante per stringerlo tra le dita: il fulgore che lo avvolgeva si frantumò, mostrando l'uomo nel pieno della sua Potenza.
Phil spalancò gli occhi, guardando con sorpresa il ragazzo. Ripresosi, lo seguì, estraendo una pistola nascosta dietro la schiena.
"Via, Rogers." Lo canzonò Tony. "Quella è roba da antichi." Il petto di Stark esplose di una luce incredibile e azzurra. Tutto il suo essere venne avvolto in una guaina di apparecchiature, di minuscoli cavi e fili sottilissimi; un lampo e la guaina divenne nera, mentre puntini minuscoli brulicavano su di essa. Dalla punta delle dita, con un susseguiti di clangori metallici, placche e scaglie dure come carapaci di insetti si arrampicarono e chiusero sul corpo di Tony in fiammate scarlatte, fino a che anche il volto non venne racchiuso dalla maschera dorata del casco.
"...Ho capito che siete due spacconi, ma ora ci diamo una mossa per favore?"
Una patina di spesso ghiaccio copriva le iridi di Donald Blake -Ma era ancora Donald Blake? O era qualcosa di diverso? Di migliore? "Sento qualcosa che si avvicina, Maestro." Disse. "Cosa vuoi che faccia?"
"Chi si avvicina? Le altre Gemme?" Chiese l’altro con una punta di eccitazione.
"Sì. Due Gemme."
"Ottimo! Catturali! Voglio le loro Gemme!"
"Sì, Maestro." Colui che aveva gli occhi viola atterrò con un balzo accanto a Lingua D'Argento. "Ed io?"
"Tu non devi mostrarti." L’uomo gli accarezzò il viso con fare languido. "Sei il mio asso nella manica, ricordi?"
"Sì, ricordo." L'altro socchiuse le palpebre, per godere di quella carezza come avrebbe fatto un cane col padrone. "Rimarrò celato."
"Se non dovesse funzionare tu dovrai irretire il ragazzo e metterlo contro le Gemme. Divisi cadranno."
"Sì, Maestro. Creerò faglie. Divisioni."
"Molto bravo." Annuì. "E ora va. Il nostro amico se la caverà egregiamente.”
Quello che un tempo era Donald Blake si voltò verso la figura -E la trovò affascinante come un serpente. "Come mi chiamo, ora?" Lo interrogò. "Non sono Donald Blake. Non più."
L'uomo lo fissò con un ghigno. "Thor sarà il tuo nome. E ora va e torna vincitore." E quando Phil arrivò, Lingua d'argento era già scomparso e davanti a lui solo il medico totalmente trasformato. "Che cazz--"
"Io sono Thor." Dichiarò con orgoglio, con possanza e il martello, che roteava e fischiava nella mano destra, era carico di elettricità. "Inchinatevi dinanzi al Dio del Tuono, mortali."
"No, grazie." Tony fu veloce ad alzare il braccio e scagliare un colpo di repulsore contro di lui. "Mi fanno male le ginocchia."
"La Gemma non dovrebbe cambiare la personalità! Che diavolo gli è successo?"
"Non credo che sia il caso di chiederlo!" Fu l'esclamazione di Tony -Thor aveva deviato tanto il repulsore quanto lo scudo che Steve gli aveva lanciato e l'aria era satura di elettricità.
Phil deviò un fulmine per un pelo. "Dottor Blake! Siamo suoi amici, si può fidare di noi!"
"Donald Blake era niente meno di un mortale. Era un debole. Io..." Thor si gettò in avanti e scomparve in tumultuare di lampi. "Sono un Dio." Concluse, alle spalle di Phil. E il tuono lo avrebbe ucciso, se Steve non fosse intervenuto a ripararlo dietro lo scudo.
Phil si chiuse su se stesso per proteggersi e poggiò le mani sulle spalle di Steve. "Grazie!"
"È il minimo!" Il Capitano ruotò su se stesso, scagliando lo scudo in direzione di Thor -Il quale, comunque, scomparve in una vampata di saette e scariche. Steve rimase dunque a schiena scoperta e l'avversario, palesandosi dal nulla, lo colpì in mezzo alle scapole, schivando addirittura il repulsore lanciato da Iron Man.
Phil gli sparò contro, svuotando il caricatore. "Steve! Stai bene? Dobbiamo trovare il modo di fermarlo!"
Il Capitano sputò un grumo di sangue a terra, il corpo che vibrava a causa delle scariche. "Il tempo." Digrignò i denti. "Degli spostamenti."
"Tempo degli spostamenti?" Corse ad aiutarlo. "Che vuoi dire?"
"È come---" Steve cercò di mettersi in piedi. "Lo swing--
"Perdonami ma non so di cosa tu stia parlando." Lo sollevò. "Forse è meglio se ci ritiriamo, non credevo fosse così forte."
In quel momento, soltanto Tony era in grado di tenergli testa, grazie all'armatura e al fatto che ogni colpo di Thor era una carica alla batteria dello scafandro (energia o qualsiasi cosa desse l'impulso del movimento). "Su, biondina." Lo invitò. "Non farti pregare. Concedimi un altro ballo."
Phil li oservò. "Se riuscissimo a stordirlo potremmo portarlo allo S.H.I.E.L.D. e rinchiuderlo finché non rinsavisce!"
"Se riuscissi a mettere a segno un solo colpo---" Steve coprì Coulson con lo scudo e quando il tuono si rifranse contro di esso, chiuse gli occhi, cominciando a contare a bassa voce. Ad un tratto sollevò le palpebre, si voltò di scatto e scagliò l'arma -La quale, con grande sorpresa di tutti, si schiantò sotto il mento di Thor.
Phil spalancò gli occhi. "Il tempo tra un attacco e l'altro! Steve sei un genio!"
"Voi giovani lo swing non lo ballate mai?"
"Credo si sia estinto come ballo!" Urlò l’altro, estraendo un’altra pistola e sparando contro il medico.
A Thor sfuggì un ruggito di rabbia e questa volta nemmeno riuscì a sparire: Iron Man, lesto, lo colpì alla mano che reggeva il martello e questo gli sfuggì. Ruotò nell'aria ancora frizzante di scintille, crollando sull'asfalto.
"Bloccalo!"
Iron Man scattò immediatamente in avanti, pronto a---A crollare con un gran rumoreggiare di metallo, di schianti e singulti e scoppi. Thor, guidato dall'istinto, aveva teso la mano e il martello era schizzato verso le dita aperte, fracassando lo spallaccio sinistro di Tony, le braccia, persino le piastre sotto la scapola. Stark venne sbalzato di lato, un inutile pezzo di ferraglia, sussultante. Thor, invece, ruotò il martello e in guizzo scomparve.
"Tony!" Phil urlò e si gettò sull'amico.
"Tony!" Gridò Steve, in contemporanea, e fu accanto a lui in pochi balzi e gli prese il capo e glielo fece appoggiare sulle ginocchia. "Tony?" Lo chiamò. "Tony?"
"Ehi." Phil lo liberò dalla maschera. "Mi senti?"
Il volto di Stark era livido, bianco e impalpabile; respirava a fischi continui e due cerchi neri si allungavano sotto gli occhi. "È svenuto per lo shock. Dobbiamo portarlo via. "
"A casa nostra, muoviamoci!"
"Coraggio, Tony." Steve passò il braccio sotto le ginocchia di Stark e con l'altro gli cinse le spalle. "Coraggio, soldato."
Phil chiamò subito le sue zie per avvisarle e corsero a perdifiato fino alla casa.
 
***
 
Victoria versò il the. Era taciturna e col volto così bianco da far risaltare i tratti dritti del volto, del naso, la linea decisa della bocca. Isabelle era nella camera che avevano predisposto per Tony e Steve era con lei -Si era offerto smozzicando qualcosa sulla medicina da campo e i soldati e i commilitoni e la donna, presa a compassione, lo aveva fatto entrare. "Starà bene. " Disse la donna, posando le dita eleganti sulla spalla di Phil. "È svenuto per il dolore improvviso. Deve solo riprendersi."
Il ragazzo non aveva più detto nulla, chiuso nel suo addolorato silenzio. Scosse la testa alle parole della donna e inghiottì le ennesime lacrime.
Victoria gli si sedette accanto, senza interrompere il contatto fisico e piegò la testa, smuovendo la ciocca rosa. "Credimi. Starà bene."
"E poi?" Gracchiò in un bisbiglio. "Combatterà di nuovo e si farà uccidere. E poi Steve e poi toccherà anche a voi..."
"Non succederà niente di tutto questo." Victoria abbracciava assai poco, algida e regale, ma lo strinse con forza, in uno slancio così umano che da lei nessuno se lo sarebbe mai aspettato. "Non succederà."
Il ragazzo le si strinse disperato. "Si invece e io rimarrò di nuovo da solo."
"Non accadrà." Victoria lo cullò con inusitata dolcezza, mormorando una nenia di quando era piccolo e la tempesta ululava fuori dalle finestre, "Non sarai più da solo."
"Solo se posso impedirlo." Singhiozzò. "Non l'ho protetto, sono inutile senza una Gemma."
"Non sei inutile. Cosa farebbe Tony, cosa farebbe Steve senza di te?"
"Sono stati colpiti perché non sono in grado di proteggermi da solo." Scattò, all'improvviso. "Se io non ci fossi combatterebbero meglio!"
"Philip Coulson." Disse allora lei, con voce rigida e gli occhi in fiamme. "Se tu non ci fossi loro nemmeno saprebbero come fare a sopportare tutto questo, figurarsi affrontarlo!"
Il ragazzo la guardò meravigliato. "Non è vero." Disse poi, "Tu mi sopravvaluti come tutti gli altri."
"No. Sei tu a sottovalutarti. Sono tua madre, ma ufficialmente sono anche il tuo A.S. e non ti direi niente di tutto questo, se non lo credessi."
"Sei di parte, invece!" Saltò su. "Io non valgo nulla!"
"Ora basta." Victoria si mise in piedi e incrociò le braccia sotto il seno. La sua bocca era dura, il suo sguardo simile a vetro. "Vali molto più di ciò che credi. Pensi forse che esistano frotte di ragazzini con un distintivo dello S.H.I.E.L.D. tra le mani? Sai usare più di un'arma, parlare più di una lingua...Credi forse che Fury ti avrebbe affidato tutto questo se non ti ritenesse adatto?"
"Allora perché non sono in grado di proteggerli?" Chiese piccato, incrociando a sua volta le braccia al petto.
"Non puoi proteggere tutti." Rispose lei, un'ombra di dolore scivolò nei suoi occhi, incrinò la maschera di compostezza che aveva sul volto. "E fa male. Credimi. Credi alle parole di chi ci è già passato."
"Lo so ma io non voglio proteggere tutti, solo le persone che amo."
La donna prese un respiro -Era la prima volta che mostrava un istante di debolezza al figlio. Si avvicinò e gli strinse la spalla. "Bevi il tuo the, coraggio."
Phil inclinò il viso. "Voi siete tutta la mia vita, non posso perdervi."
"Tu sei la nostra. Non ci perderai: abbiamo fatto una promessa a tua madre e a te, quando sei arrivato qui."
"E Tony e Steve?"
"Non ti perderanno neanche loro. E tu non li perderai."
"Allora dobbiamo trovare il modo di eliminare le Gemme." Ricercò di nuovo le braccia delle donna. "Aiutami, ti prego."
"Non temere." Le dita di Victoria erano dolci, una lenta e morbida carezza sulla sommità del capo. "Puoi contare su di me."
"Grazie." Continuò a stringersi contro di lei e quando la lasciò aveva uno sguardo più risoluto. "Vado da Tony."
"Sappimi dire come sta."
Il ragazzo annuì ma invece di andare dall'amico, si diresse in camera sua. Pensò e rimuginò tra se e se per alcuni minuti, decidendo poi di tornare al parco. Uscire, però, era fuori discussione –Le donne glielo avrebbero impedito- quindi si calò dalla finestra, correndo a perdifiato fino al luogo dov'era avvenuto lo scontro. Voleva cercare qualunque traccia avrebbe potuto portarlo a scoprire cos'era accaduto al buon dottore e il modo migliore per affrontarlo.
"Ehi---" Lo raggiunse una voce, una voce che doveva conoscere bene visto che lo aveva fermato in mezzo alla strada per dargli dei volantini. "Che fai qui? Se sei venuto per postare qualcosa su Internet su ieri sera vai a chiedere ai giornalisti, noi non sappiamo nulla. Sloggia. Non vogliamo guai."
Il ragazzo si girò sorpreso. "Ehi, ciao." Lo salutò quando lo riconobbe. "Come va?"
"Oh. Ehi!" Il circense sorrise, più rilassato. "Giornalisti a parte, una meraviglia! Il pubblico di Central Park è eccezionale. A te è piaciuto il mio numero?"
"Cosa ti fa credere che sia venuto,? Magari giravo da queste parti per cercare qualsiasi cosa abbia attirato l'attenzione dei giornalisti." Sorrise.
"Ti ho visto tra il pubblico." Gli rivelò lui, andando ad accovacciarsi al suo fianco.
"Oh." Arrossì. "Certo... Ma qui cosa è successo?"
"La gente parla di una zuffa tra un uomo di latta, un tizio con lo scudo, un figurante medioevale e un civile."
Phil perse colorito. "Davvero? Certo che ne hanno di fantasia." Ridacchiò nervoso. "Tu hai visto qualcosa?"
"No, ma..." Clint indicò delle striature nere che si rincorrevano arzigogolate sull'asfalto. "Quelle mi danno da pensare."
Solo allora il ragazzo notò i segni e si avvicinò subito ad esaminarli. Le scariche elettriche avevano lasciato segni indelebili. Peccato non dicessero anche dove fosse scomparso Blake.
"Non sono segni di pneumatici." Commentò per lui il circense. "Troppo piccole e disomogenee."
"Già... Ma tu perché sei qui?" Chiese, girandosi a guardarlo. "Non dovresti occuparti dei tuoi animali?"
"Ho dato loro da mangiare e spazzolato la criniera di Marley." Il circense piegò la testa. "Abbiamo avuto un sacco di problemi coi giornalisti."
Coulson gli si avvicinò. "Come mai?"
"Credono che ci siamo noi, dietro questa storia. O cercano testimonianze varie e variegate."
"Capisco..." Poi scosse le spalle. "Beh... Meglio che vada."
"No, aspetta---Cioè..." Il circense si schiarì la voce. "Ti va un caffè?"
Guardò sorpreso l'altro. "Un-- Sono quasi le due del mattino..."
Il giovane sorrise, un sorriso scanzonato e irriverente che accese gli occhi grigio-azzurri. "A quest'ora è ancora più buono."
"...Se lo dici tu... Ma, posso chiederti perché?"
"Mi andava di chiedertelo." Fu la semplice risposta dell'altro.
Phil sorrise, non sapeva perché ma si sentiva attratto da quel ragazzo. "Allora andiamo."
"Mi chiamo Clint, comunque." Si presentò, balzando al suo fianco con un rapido saldo.
"Philip ma puoi chiamarmi Phil."
"Ottimo. Perché in realtà mi chiamo Clinton. Però Clint è come mi chiamano tutti."
"Clinton? Che nome strano!"
"Originale, vero?" Clint rise e lo condusse dall'altra parte di Central Park, in un piccolo bar ancora aperto, dove servivano brioche appena sfornate, nonostante l'ora, e cioccolata calda. "Per me un caffè, grazie." Ordinò Clint.
"Una cioccolata." Ordinò invece l'altro. "Quanti anni hai? Sembri molto giovane."
"Diciassette. Quasi diciotto." Il circense gli indicò un tavolo poco distante, vicino ad un quadro ad olio con la veduta del ponte di Brooklyn.
"E non vai a scuola?" Si sedette di fronte a lui, ringraziandolo con un cenno.
"No. Giro col circo e la nostra Cartomante mi dà lezioni private. Compro i libri ogni volta che ci fermiamo in qualche posto."
"Perché? Il circo non mi sembra così eccitante, potresti fare di meglio."
"Mi piace." Disse lui. Poggiò le braccia incrociate sul tavolino e piegò la testa. Aveva una canotta leggera, addosso, e un filo ancora nero sulle palpebre "Vedere ogni angolo d'America. Essere libero, con soltanto l'orizzonte come meta."
"Senza responsabilità o costrizioni..." Phil piegò le labbra in un leggero sorriso. "Sarebbe bello..."
"È un'esperienza come ti capita una sola volta nella vita. Certo, c'è da sgobbare parecchio, ma ne vale la pena."
"E non pensi mai al futuro? Non puoi certo rimanere in un circo per tutta la tua vita."
"Perché no?" Domandò lui.
"Beh..." Scosse le spalle. "Non vuoi avere una casa, una famiglia?"
Clint puntellò il mento sul palmo, le dita che tamburellavano sulla guancia e la curva della mandibola. "È strano che io non ci abbia mai pensato? Se non come un sogno vago, dai contorni sfumati."
"Suppongo dipenda dal fatto che già stando in un circo, tu non abbia mai avuti motivo di pensarci." Socchiuse appena gli occhi. "Arriverà il momento in cui vorrai fermarti, però..."
"Quando sarà, penso che il merito andrà alla persona che mi ha dato emozioni più intense del circo."
Phil sorrise. "Hai detto una cosa davvero molto romantica, sai?"
Il circense sorrise. "In fondo, io sono un tipo romantico."
"Oh, buono a sapersi." Ridacchiò. "Fino a quando ti fermi?"
"Staremo qui un mese."
"Ed è la prima volta? Posso mostrarti la città se vuoi."
"Sarebbe un onore."
Sorrise e scosse le spalle, leggermente in imbarazzo.
Allora il circense gli rivolse quel suo sorriso caldo e amichevole, che alleggeriva l'atmosfera ed il cuore. "Tu, invece? Studi?"
"Si." E Phil non si spiegava quella capriola che il suo stomaco aveva fatto al sorriso dell'altro. "Vado al liceo, ho quindici anni."
"Quindici? Sembri più maturo della tua età."
"Ti ringrazio."
"Dico la verità." Il ragazzo sorrise, quindi si scostò per permettere alla cameriera di posare le loro ordinazioni, insieme ad un piatto di pasticcini. "Cosa stavi cercando là?" Domandò, curioso.
"Cosa ti fa credere che stessi cercando qualcosa?" Rispose evasivo, afferrando subito un pasticcino e riempiendosi la bocca.
"Parevi Sherlock Holmes."
Ridacchiò. "Ero solo incuriosito."
Clint scrollò le spalle, versando un poco di zucchero nella tazza ed occhieggiando nella sua direzione. "Domani nel pomeriggio sono libero." La buttò lì. "Per vedere la Grande Mela."
"Dom-- Oh si! Certo." Annuì. Poi ripensò a Tony e Steve e scosse la testa. "Mi dispiace ma domani non posso... Se hai un numero posso mandarti un messaggio quando mi libero."
Clint nascose l'attimo di delusione prendendo un tovagliolo e scribacchiandovi sopra alcune cifre. "Ecco."
"Grazie." Scrisse su un tovagliolo anche il suo numero e glielo passò. "Questo è il mio se vuoi."
"Perfetto." Il circense gli sfiorò casualmente le dita, nel prendere il tovagliolo. "Avrai mie notizie "
Sorrise, le guance che si coloravano appena. "Okay e se mi libero, ti chiamo!"
"Ci conto, eh." Clint aveva un sorriso incredibilmente sincero e occhi che esprimevano felicità ad ogni ammiccare.
Phil si sentì arrossire e, per stemperare l’imbarazzo, afferrò la tazza e bevve la sua cioccolata.
Anche l'altro sorbì il caffè in silenzio, beandosi della loro vicinanza e del calore della tazza. Ci fu un trillo, poi, dalla tasca di Coulson -Isabelle, recitava lo schermo.
"Cazzo..." Bisbigliò il ragazzo. Aveva completamente dimenticato di essere fuggito di casa. "Perdonami, torno subito!" Disse, saltando su e uscendo di corsa dal locale. "Non arrabbiarti, ti prego!"
Isabelle era furiosa, faceva ancora più paura di Victoria. Lo aspettava appoggiata alla macchina e gli occhi erano così seri da fare male. "Cosa ci fai qui?"
Phil spalancò gli occhi. "I-- Io-- Ero venuto per cercare degli indizi, poi ho incontrato un amico e ha voluto offrirmi un caffè..." Balbettò. "Mi dispiace!"
"Sali." Disse solo la donna, andando al posto del guidatore. "Hai idea dello spavento che ci siamo prese?"
"A-- aspetta! Non ho finito la cioccolata e non l'ho neanche salutato! Posso tornare a casa da solo."
"Non se ne parla. Sali."
Phil la guardò quasi oltraggiato. "No! Non sono più un bambino! Se posso portare una pistola posso anche prendere un caffè con un amico!"
"Non alle due di notte! Non dopo che hai rischiato di perdere la vita!"
"Non verrò!" Si impuntò il ragazzo -Ed era la prima volta che osa rivolgersi così alla donna. Le diede le spalle e rientrò nel locale. "Perdonami."
"Ehi, tutto bene?" Clint sollevò gli occhi nei suoi.
"Ho litigato con mia zia e ora è venuta a prendermi. Ma non importa, voglio restare ancora un po'."
"Sei sicuro che non ti crei problemi?"
Scosse le spalle. "Non importa. Mi piace parlare con te."
"Anche a me-- " Clint girò la testa, verso l'entrata. "Quella con l'espressione da belva è tua zia?"
Phil arrossi. "Si--" Bisbigliò. Poi ingollò la cioccolata e prese un paio di dolcetti. "Perdonami, è meglio che vada. Puoi chiamarmi... Insomma... Se ti va..."
"Mi va di sicuro." Rispose Clint e il suo sorriso sfolgorava, ampio, caldo. "Dai, non scatenare la Civil War."
Il ragazzo ridacchiò. "Parleremo anche di questo." Lasciò dei soldi sul tavolo. "Offro io."
"Io ti offrirò la cena!" Gli gridò dietro, mentre Isabelle squadrava entrambi con freddezza.
Lo salutò con la mano e raggiunse la donna. "Andiamo."
"Non usare quel tono con me, ragazzino."
Sbuffò. "Scusa."
Isabelle non gli rivolse la parola per tutto il tragitto e, una volta a casa, gli disse solo che Tony stava bene e che i conti con lui li avrebbero fatti dopo.
Phil si era limitato ad annuire prima di raggiungere gli amici in camera. "Ehi... Come stai?"
Tony, ancora pallido, alzò il braccio ed il pollice destro. Steve era seduto accanto a lui, le dita strette a quelle dell'altro.
Gli si avvicinò e gli accarezzò il viso. "Abbiamo attirato l'attenzione. Ci sono stati i giornalisti sul posto."
"I giornalisti? E io non c'ero? Nessun obiettivo a catturare il mio profilo?"
Sorrise alla domanda e gli baciò la guancia. "Troverò il modo di fermarlo, te lo prometto."
"Ma non fare tutto da solo." Tony girò gli occhi su di lui.
"Non devi preoccuparti di questo. Ma voi non avrete più scontri finché non sapremo come batterli."
"Non possiamo." Fece il Capitano, "Verranno a cercarci."
"Qui sarete al sicuro."
"Ma tu e le tue zie no."
Phil sospirò. "In realtà voi siete al sicuro, nessuno vi ha mai visto in faccia. Io, al contrario, non porto una maschera. Sono io quello che può essere trovato."
"I Chitauri avvertono il nostro odore e Thor la Gemma." Gli fece notare Steve. "Ti proteggeremo, Phil."
"No." Il ragazzo scosse la testa. "Sul campo dovete pensare a voi, non a me. Io sto diventando un peso."
"Eccolo che ricomincia." Stark cercò di sistemarsi seduto, ma Steve glielo impedì. "Non sei un peso."
"Si, invece! Io dovrei proteggere voi, non il contrario!" Accarezzò il viso di Tony. "È colpa mia se stai male, ora. Troverò il modo di sconfiggerli, voi cercate di controllare al meglio il potere delle Gemme."
"Non è colpa tua. Non immaginavo potesse richiamare a sé il martello." Stark prese un respiro. "Siamo una squadra."
Ma Phil scosse la testa. "Devo proteggervi e lo farò. Voi dovete solo cercare di non farvi trovare finché non avremo la soluzione. Ti prego."
Il Capitano lo guardò, serio in volto, e gli occhi tradivano la presenza dell'uomo che era stato durante la guerra. "Credimi." Lo avvisò. "Ci troveranno comunque."
"Lo impedirò io." Phil girò gli occhi su di lui. "Dovete solo fidarvi di me."
"E tu devi fidarti di noi."
"Mi fido ma siete troppo esposti. Datemi solo due giorni, vi prego."
"Cosa vorresti fare in due giorni?"
"Proverò a trovare un modo. Ora Tony deve riposare." Si sporse a baciargli il viso. "E dormi davvero."
"Tranquillo. Se me lo permetti." Intervenne Steve. "Veglierò io il suo sonno."
Phil gli lanciò un'occhiata poco convinta. "Okay." Disse poi. "A domani."
"A domani."
 
***
 
"Abbiamo dovuto tracciarti." Lo apostrofò Victoria, dabbasso, seduta rigida sul divano. "Ti rendi conto?"
"Potevate chiamare." Rispose il ragazzo di rimando, seduto sul divano con le braccia incrociate al petto -Si sentiva un bambino sgridato per aver mangiato troppo cioccolata.
"Eravamo preoccupate---"
"Terrorizzate." Corresse Isabella. "Temevano che quell'essere ti avesse catturato o fatto del male o peggio."
"Volevo cercare qualche traccia e sapevo che non mi avreste mai fatto uscire."
"Non da solo. Phil, cerca di ragionare: non puoi fare tutto da solo."
"Perché no? Fury non mi ha affiancato nessuno!"
"Perché la situazione si sta aggravando." Gli spiegò Victoria, che non aveva perso l'espressione tesa, né il livore alle nocche delle mani, strette, artigliate alle braccia. "E hai sempre e comunque avuto Iron Man al tuo fianco."
"Non posso fare sempre affidamento su di lui." Sbuffò l’altro. "Perché diavolo non lo capite?!"
"Perché sei comunque un ragazzo." Isabella scosse la testa. "Dotato, pieno di buona volontà, con QI e capacità assai al di sopra dei tuoi coetanei, ma sei un ragazzo."
"Sono un agente. Me lo ripetete da anni!" Si sollevò di scatto. "Avete sempre detto che l'agenzia e il mio dovere vengono prima di tutto. I miei genitori sono morti per questo! Non sono più un ragazzo da anni, non lo sono a vostro piacere!"
"E noi non vogliamo che tu faccia la loro stessa fine!" Victoria non aveva mai perso la pazienza, mai, davanti a nessuno di loro -Forse unicamente davanti ad Isabella. "Non se possiamo proteggerti! Non se possiamo impedirlo! Non ci siamo riuscite con Meredith, non commetteremo lo stesso errore!"
Phil strinse le mani a pugno. "Non avete protetto lei, non ci riuscirete neanche con me!"
"Phil!" Isabella era scattata in piedi, il viso una maschera di orrore -Gli occhi di Victoria, dapprima inaspriti dalla rabbia, dall'amore divennero vitrei e si spezzarono, tanto che per un istante un bagliore di umanità, di quella umanità che soffre e della sofferenza ha paura, affiorò dalla contrazione della mandibola, dal tremore che in un attimo aveva percorso le ciglia. "Vai in camera tua." Isabella si girò a guardarlo ed era delusa, amareggiata, e il suo cuore era intirizzito nel petto. "Se ancora provi del rispetto per noi, ti prego, vai in camera tua."
Il ragazzo guardò le due donne e abbassò il viso, rilassando le spalle. "Mi dispiace, non dovevo dirlo."
"Ma lo hai fatto." Ribatté Isabella. "Vai in camera tua. Ne riparleremo domani."
"Mi dispiace." Ripeté di nuovo, salendo poi in camera sua. Si lasciò cadere sul letto e si sentì così stupido per aver detto quelle cose che gli veniva da piangere. Afferrò il cellulare e, senza pensarci, scrisse un sms a Clint.
"Scusa se sono andato via di fretta e grazie per la chiacchierata, mi hai fatto dimenticare i miei problemi per un po'."
La risposta dell'altro arrivò quasi subito, annunciata dallo squillare contento del telefono e dal nome dell'altro che balzellava sullo schermo. "Se io potrò impedire / a un cuore di spezzarsi." Recitava. "Non avrò vissuto invano / Se allevierò il dolore di una vita / o guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto / a rientrare nel nido /non avrò vissuto invano. Puoi contare su di me, se ne hai bisogno."
Phil sorrise.
"Grazie. Ho litigato con le mie zie e sono un po' giù."
"Ahia. I problemi familiari sono i peggiori: il mio telematico orecchio è pronto ad ascoltarti."
"Posso chiamarti?"
"Certo!"
E Phil premette il pulsantino verde con un sorriso. "Ehi. Come mai non dormi ancora?"
"Ehi!" la voce dell'altro era allegra e Coulson poteva immaginarsi il suo sorriso frizzante, gli occhi grigio-azzurri brillanti per la gioia. "Sono sopra la gabbia di Marley che guardo le luci di New York davanti a me, è uno spettacolo da mozzare il fiato."
"Davvero? Mi piacerebbe vederlo. Scusa ancora per prima."
"Puoi rimanere dopo lo spettacolo tutte le volte che vuoi. E non ti preoccupare, ho visto l'espressione di tua zia e mi sono sentito tremare."
"Già... Ma io ho parlato un po' a sproposito e... Temo di averla fatta davvero grossa, questa volta."
"Ti sei fatto prendere dalla situazione e hai vomitato parole che in realtà non pensavi. Però pensa a questo: sono le tue zie, no? Credo ti conoscano. Sanno quando dici qualcosa che pensi davvero e quando invece non sei in te."
"Tu dici? Io non ne sono tanto sicuro."
"Perché?"
"Hanno fatto del loro meglio per crescermi eppure... Gli ho rinfacciato di non essere così brave..."
Ci fu un silenzio dall'altra parte della cornetta, dispiaciuto e carico di empatia. "Oh, Phil. Mi dispiace. Sai, credo che sia ancora riparabile, non devi temere."
"Lo spero davvero." Bisbigliò. "È l'unica famiglia che ho..." Poi si schiarì la voce. "Scusa, non volevo annoiarti con i miei problemi."
"Annoiarmi? Ma stai scherzando? Una cosa che ho imparato vivendo al circo è aiutare, sempre e comunque, e saper ascoltare: in una famiglia allargata come siamo qui, poi, figurati!"
Sorrise. "Litigate spesso?"
"Guarda, l'ultimo litigio cui ho assistito è stato venti minuti fa. Stavamo facendo una bevuta, no? Una di quelle bevute in cui ti ubriachi più per la compagnia che per l'alcool che ti passano, ecco. E ad un certo il nostro Maciste, che ha la dentatura delicata, dice che ha lasciato lo stappa-bottiglie nella roulotte, ma che nella roulotte non ci può andare, ché il suo gemello che fa il pagliaccio e la domatrice se la stanno spassando a pieni voti. Allora che succede? Che il domatore di leoni, che è un bravo Cristo e ha paura dei ragni, gli dice che ha i denti mosci come altre parti anatomiche e giù baruffe che levati, davvero. Uno spettacolo!"
La risata di Phil fu appena soffusa. "Tu sei cresciuto lì?"
"Sì. Mi hanno cresciuto come uno di loro."
"È bello."
"Ma sì, dai. Poteva andarmi molto peggio: in fondo mi vogliono bene e loro sono una compagnia come si deve." Un quieto sospiro dall'altra parte. "Sai, sembra che la città stia respirando. Ci sono tutte queste luci e nessun rumore, praticamente, è come vedere il torace che si abbassa ed alza."
"Non voglio disturbarti, allora. Meriti un po' di riposo dopo lo spettacolo."
"Ma io mi sto riposando. Sono come uno jedi, mi riposo con la meditazione."
Ridacchiò. "Domani credo di essere libero a meno che le mie zie non mi proibiscano di uscire."
"Verrei sotto alla tua finestra, gnaulando come un gatto alla ricerca del pesce e parleremmo dal giardino alla balaustra."
"Grazie è... Una cosa molto romantica."
"Spero non ti dispiaccia, molto spesso mi faccio prendere la mano e straparlo."
"No, no anzi. Mi piace. Insomma-- Mi fa piacere, ecco."
Oh, Coulson poté indovinare un enorme, raggiante sorriso sollevare la bocca dell'altro. "Magnifico."
"Mi piacerebbe vederti..."
"Domani." Gli propose lui. "Domani sarò tutto per te."
Seguì qualche attimo di silenzio. "Buonanotte Clint."
"Buonanotte, Phil. Ti auguro una notte meravigliosa come quella in cui siamo immersi ora."
"Grazie. Anche a te."
Clint chiuse la telefonata ed abbassò le palpebre.

Le foglie sussurravano tutt'intorno ed il mondo era silenzio.
 
   
 
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