Kaiserreich
6
La
Repubblica, il Regno, l’Impero
Dieppe, Francia
21 Giugno 1919
Il porto di Dieppe, sulla Manica, non era mai stato
così indaffarato come in quel periodo. Non era infatti uno scalo
particolarmente importante né per navi mercantili né per navi militari,
tantomeno per navi da crociera, che raramente navigavano lungo le coste della
Normandia. La causa di un così improvviso cambiamento era la guerra, che ha
l’abitudine di modificare spesso le abitudini degli uomini, nel bene e nel
male. Proprio lì infatti si era radunato il quartier generale della BEF1
dopo la caduta di Amiens nelle mani teutoniche. I Tedeschi infatti erano
riusciti a sfondare le linee dell’Intesa a Chateau-Therry, dividendo le truppe
britanniche dall’esercito francese in rotta a Sud. I Britannici, come chiamati
da un istinto innato si erano ritirati fino alla Normandia, e divenne presto
chiaro che quella che era stata presentata come un’operazione di ripiegamento,
non si trattava che di una ritirata verso la madrepatria oltre il Canale. Sebbene
i soldati fossero felici di tornare nelle loro case dalle loro famiglie, non
curanti della figuraccia che stavano per fare, questo non era il caso di due
uomini lì presenti: il generale Allenby ed Arthur Kirkland, l’Inghilterra in
persona. I due erano nel salone di un hotel della cittadina francese, diventato
un gabinetto per il generale e gli altri ufficiali intenti a bere il tè nella
maniera più britannica possibile, quasi a voler nascondere questo gesto vile
con la tradizione della Madrepatria. Nessuno voleva parlare della ritirata,
tantomeno Inghilterra, ed infatti la conversazione era riguardo alle pratiche
di mare che ogni gentleman britannico dovrebbe conoscere. La chiacchierata di
quel giorno fu bruscamente interrotta dall’arrivo di un soldato. Gli uomini lo
guardarono con aria accigliata, come se la vista di quella persona gli avesse
riportato alla memoria il motivo per cui erano a Dieppe da ormai alcuni giorni.
“Signori, mi dispiace interrompervi, ma il carico
speciale è arrivato.”
Arthur, appena sentì queste parole, vuotò in un sorso
la tazzina, la posò sul tavolino da caffè e si alzò.
“Dov’è ora?”
“Nella sua stanza, Sir Kirkland.”
“Accompagnami.”
Inghilterra uscì preceduto dal soldato, con
un’espressione di disagio e riflessione. Era chiaro che non sapesse cosa dire,
nonostante avesse immaginato questo discorso da tempo ormai. Arrivati davanti
alla porta, Arthur bussò ed entrò nella stanza, chiudendo la porta dietro di sé
e lasciando il soldato a guardia. La stanza era di un gusto molto raffinato,
come l’intero hotel in stile Napoleone III2, ed arredata da mobili
pregiati. Una poltrona rossa, un divanetto dello stesso colore ed un tavolino
da caffè in legno e vetro. Oltre questi si intravedeva un comò in legno e due
porte, una per il bagno e l’altra per la camera da letto. Ma gli occhi
d’Inghilterra erano fissi sulla persona seduta sul divano davanti a lui, e
tremavano dal nervosismo, oltre che dalla naturale reazione alla vista di una
figura così bella: alta, pelle chiara, occhi grandi e verdi come smeraldo,
capelli corti biondi tenuti da un nastrino, vestito celeste che lasciava
scoperte le esili braccia e, soprattutto, un visino dai lineamenti dolci,
raffinati e sorridenti.
“Spero tu abbia fatto un buon viaggio.”
“Bellissimo, l’aria dell’estate e il paesaggio l’hanno
reso incantevole.” Rispose Belgio mentre invitava Inghilterra a sedersi accanto
a lei. Inghilterra obbedì controvoglia, sedendosi e baciando la mano della
ragazza: non si fosse mai detto che Arthur Kirkland non era un gentleman!
“Tuttavia, Arthur, mi domando perché siamo qui e non
con Francia a Bordeaux.”
Inghilterra deglutì ed avvampò, e rispose mogio
allontanando gli occhi dalla ragazza.
“Vedi, Belle… la situazione non è più sostenibile… il
fronte è crollato, Francia è a Bordeaux e…”
“E?”
“Ed io ho convenuto col generale Allenby che sia meglio
evacuare le nostre truppe in Gran Bretagna.”
Belle lo guardò con aria stupita. La bocca si piegò in
una smorfia di rabbia e dolore, gli occhi si spalancarono.
“C-come sarebbe? Tu avevi promesso che mi avresti
protetta!3 Ed ora te ne vai? Fuggi come un vigliacco?”
“Ascoltami, per favore… io manterrò la mia promessa,
infatti verrai con me a Londra.”
“A Londra? E dovrei abbandonare il mio popolo?”
“Il tuo popolo sarà più motivato sapendo che tu sei al
sicuro e lontano dai tedeschi. Devi fidarti di me, è l’unica soluzione.”
Belgio lo guardò con rabbia, il labbro tremava e gli
occhi si erano inumiditi.
“L’unica soluzione? L’unica soluzione? Dimmi, ti è
passata per la mente l’idea di combattere? Ah, certo che no, d’altronde la tua
isola è sicura, difesa dalla marina, perché preoccuparsi degli altri? E perché
combattere quando ci sono le tue colonie pronte a farlo?”
Inghilterra, irritato dalle parole della belga, con un
gesto impulsivo le afferrò il braccio e la tirò a sé. La ragazza emise un urlo
mentre tentava di liberarsi dalla ferrea morsa di Arthur.
“Ora ascoltami, ragazzina viziata! Comincia a trattarmi
con più rispetto. Io sono l’Impero Britannico, io controllo il più grande
impero mai visto, e sempre io ho deciso di combattere e di far combattere
centinaia di migliaia di soldati per salvare il culo a te e alla rana! Sono
morti milioni di uomini in questa guerra, hanno bombardato Londra ed Edimburgo4,
sono morti civili perché io ho deciso di aiutarti. Senza di me la guerra
sarebbe stata persa da un pezzo e tu saresti sotto le grinfie di Germania, esattamente
come tuo fratello!5 Dunque se ti dico che non c’è più altra
soluzione tu devi annuire e basta, e devi ringraziarmi baciando queste mani che
hanno scavato trincee ed hanno imbracciato armi insanguinate per proteggerti, e
che sempre per proteggerti hanno firmato l’ordine di evacuazione!”
Belgio ammutolì di fronte alla sfuriata dell’inglese,
tutto rosso ed ansimante. Inghilterra, vedendola impietrita, si irritò ancora
di più, avendo ormai perso il controllo di sé stesso, e le diede uno schiaffo,
forte e violento, che fece ruotare il capo della ragazza di novanta gradi.
“Understood bitch? Kiss my fucking hands!”6
La ragazza, in lacrime, ubbidì, e dopo averlo fatto si
abbandonò al pianto. Arthur, calmatosi, si alzò e si diresse verso la porta. La
aprì, e senza nemmeno voltarsi, le disse:
“Si parte domani all’alba. Fatti trovare pronta.”
E chiuse la porta delicatamente, per poi uscire
dall’albergo e camminare per il lungomare. Camminò per parecchio tempo, ed in
quel tempo non aveva fatto altro che pensare a Belgio. Si sentiva terribilmente
in colpa, e non sapeva come uscir fuori da quella situazione. Le sue domande
vennero messe da parte quando, arrivato all’albergo, gli fu comunicato che un
uomo lo attendeva al telefono. Alzò la cornetta, ed il suo secondo dialogo più
difficile della giornata iniziò.
“Arthur? Esigo spiegazioni.”
La voce di Francia risuonò vicino all’orecchio
dell’inglese.
“Non ti ci mettere anche tu, ho avuto una conversazione
con Belgio e non è andata benissimo.”
“Cosa è successo?”
Inghilterra raccontò brevemente l’incontro con la
belga, con aria affranta.
“Mon cher, non ci sai fare con le donne.”
“Ah, shut up!”
“Ad ogni modo, non mi hai ancora fornito spiegazioni
sul perché tu sia a Dieppe.”
Arthur, che sperava di aver fatto dimenticare a Francis
l’accaduto, rispose in maniera più neutrale possibile. Era inutile nascondere
l’ovvio.
“Sto scappando. Domani salperemo verso Londra.”
Francis rimase in silenzio per un po’, per poi
cominciare a ridere.
“Ahahaha! Arthur, il tuo humor è sempre il migliore!”
“Francia, sono serio.”
Francia smise immediatamente di ridere. Le uniche volte
che lo chiamava così, era quando era serio. Molto serio.
“Hai veramente intenzione di andartene? Di lasciarmi
qui da solo contro Germania e Prussia?”
“Le nostre posizioni non sono più difendibili, dobbiamo
andarcene o verremo annientati!”
“Annientati? Io verrò annientato se tu te ne scappi!
Insieme potremmo ancora organizzare un’offensiva per ricongiungerci a Parigi.”
“Parigi è sotto assedio, Francia! Le tue truppe sono ammutinate
e la tua gente protesta. Non possiamo vincere, è finita.”
“E tu mi lasci qui, a vedere la mia Nazione
sgretolarsi. Non ti senti un po’ in colpa?”
La risposta era sì, ma non ebbe il coraggio di
rispondere. Sospirò invece.
“Buona fortuna, Francia.”
Arthur attaccò la cornetta, e si diresse verso la sua
camera. Aveva bisogno di riposare e di pensare, come chiunque si fosse trovato
nei suoi panni. Ma la sua fu una notte agitata, nella sua mente riecheggiavano
i singhiozzi di Belle e la voce di rimprovero di Francia, come fossero spiriti
venuti a punirlo. Si alzò alle quattro del mattino più stanco di quando era
salito nel letto, così stanco da non prestare attenzione ad una fatina che gli
svolazzava intorno con aria preoccupata. Salito sulla nave, vide gli uomini
felici, impazienti di tornare a casa. Ma Inghilterra, per quanto provasse a
desiderare la sua poltrona, la sua vita a Buckingam Palace, la sua famiglia
(quest’ultima non era un pensiero così rassicurante), la sua mente rimaneva
ancorata alle parole di Francis e Belle. Erano ormai la sua croce.
Parigi, Francia
1 Ottobre 1919
Tre figure erano appoggiate sulla ringhiera che scorre
sulla cima della Torre Eiffel, osservando Parigi velata dalle nubi grigie che
ricoprivano il cielo. La città sembrava spenta, vuota e morta. Tuttavia,
Germania, Prussia ed il Kaiser Guglielmo II la trovavano ancor più bella del
solito. Il centro della città, non toccato dai combattimenti al contrario delle
banlieau7, manteneva intatto il suo fascino che da secoli ammaliava
i visitatori dal mondo intero. Ma qualcosa era diverso quel giorno: dalle torri
di Notre-Dame, dalla cima dell’Arco di Trionfo, dagli obelischi e dalla Torre
stessa, la bandiera dell’Impero Tedesco si sollevava al fievole vento. Parigi
era occupata.
“Allora, quando comincia la parata?”
“Tra poco, vostra maestà.”
“Kesesese! Non si preoccupi, sarà Magnifica! D’altronde, si rifarà a quella a
cui ho partecipato nel 18718! Ti ricordi, West?”
“Ja, ricordo bene.”
Questa affermazione non fermò Prussia dal raccontare
l’evento, o almeno la sua versione dei fatti. Gli storici dubitano infatti che
tutte le donne di Parigi si siano messe in fila pronte al concedersi al
Magnifico prussiano. Ma, tornando ai tre sulla torre, Prussia fu interrotto dal
Kaiser, che aveva udito un rumore di motori in lontananza.
“Ecco! Comincia la parata!”
Facendo capolino dalla strada circondata dai palazzi,
una serie di carri AT7V si mossero sull’ Avenue Bouvard. In perfetta sincronia,
avanzavano sfoggiando le lucenti pareti metalliche sfoggiando la bandiera
dell’Impero e la croce teutonica, simbolo di orgoglio. Dopo di loro, passarono
un MkIV9 e due Schneider CA1 M1610, catturati e riparati
per essere prede di guerra. Altri armamenti dell’Intesa passarono su carri
trainati da cavalli bardati del tricolore imperiale tedesco. E poi, al suono
della banda militare, posta proprio a lato dell’Avenue, si levò il suono secco
dei soldati in marcia: passarono i reggimenti di cavalleria, con gli stalloni
dal portamento fiero, con le lance in mano; passarono gli artiglieri, che
spararono i bengala colorati usati per chiamare supporto; passarono la fanteria
semplice e le truppe d’assalto, che si fermarono battendo i piedi e gridando:
Sieg, Reich!11; passarono i reparti addetti alla guerra chimica, con
le inquietanti maschere addosso; passarono i genieri, le auto meccanizzate e il
battaglione polacco. Ad ogni passaggio il Kaiser mormorava “magnifico”, mentre
Germania e Prussia osservavano fieri. Per finire, guidati dal celeberrimo aereo
rosso12, lo stormo aereo passò liberando in cielo il tricolore
imperiale, aprendo la strada ad uno zeppelin gigantesco, che oscurò la strada
sottostante. Lo zeppelin si allontanò lentamente, e Parigi tornò vuota dopo
quelle ore di vivacità macabra.
Bordeaux, Francia
4 Ottobre 1919
Il palazzo sede del comune di Bordeaux si era
trasformato già da alcuni mesi nella residenza del governo francese, guidato,
dopo le dimissioni di Clemenceau, da Aristide. Le dimissioni del presidente non
avevano placato il caos imperante nel Paese, tormentato da disordini, proteste,
scontri e violenti scioperi, tutti organizzati dall’UGT. Dopo poco tempo, gran
parte dell’esercito iniziò un ammutinamento, e solo una mediazione riuscì a
scongiurare che il nuovo fronte stabilito lungo la Loira diventasse sguarnito.
Ma ormai era tutto perduto: il parlamento era paralizzato dall’area più estrema
della sinistra, che invocava una rivoluzione come stava accadendo in Russia.
Con la caduta di Parigi, Francia vedeva sempre più inevitabile lo scoppio di
una rivoluzione. Seduto davanti ad una scrivania, illuminata da una lampadina
che brillava in mezzo al buio di una notte senza luna, Francis teneva fra le
mani il fatidico foglio che avrebbe posto fine ai suoi dolori e a quelli del
suo popolo. Il foglio della resa. Lo stava osservando con gli occhi azzurri, e
bellissimi quando era nelle migliori condizioni, spenti e le occhiaie nere
molto visibili. Era malaticcio, tanto da non leggere più cosa c’era scritto sul
foglio, ormai lo sapeva. Ciò che non riusciva ad accettare era come si fosse
arrivati a tutto questo. Come aveva potuto perdere? Se Napoleone lo avesse
visto in questo stato, si sarebbe vergognato di essere il suo imperatore. Tuttavia
se c’era una cosa che lo mandava su tutte le furie, oltre la presa di Parigi,
era la fuga di Inghilterra. Più ci pensava e più si arrabbiava, quasi a fargli
venire il voltastomaco dal disgusto. Si era fidato dell’inglese, e lui se n’era
svignata nel momento del bisogno preoccupato di difendere la propria
intoccabile isola. Ed ora Francia era solo, con una rivoluzione alle porte.
Già, una rivoluzione. Molti degli estremisti si facevano già chiamare
Giacobini, e tutto ciò non faceva altro che angosciare Francia: lui non voleva
una replica del Terrore12. Mise il foglio da parte sulla scrivania,
si accese una sigaretta, e prese un foglio completamente bianco. Cominciò a
scrivere con inaspettata energia, fermandosi di tanto in tanto per prendere una
boccata di fumo. Quando finì la lettera, la mise in una busta, poi prese il
documento della capitolazione e lo firmò senza nemmeno rileggerlo un’ultima
volta. Fatto ciò, suonò una campanella e si alzò andando vicino alla finestra.
La stanza, piccola e buia, aveva una sola finestra che dava sulla strada ed una
sola porta, da cui entrò una ragazza. Era alta, sul metro e settanta circa, ed
era incredibilmente bella. La pelle, leggermente scura, era in sintonia con i
capelli, lunghi e bruni, le ricadevano sulla schiena sotto forma di voluttuosi
boccoli. Sul viso, ovale e dai lineamenti dolci, erano incastonati due occhi
celesti, luminosi e furbi e coperti da ciglia lunghe e scure. Le labbra, rosse
e carnose, erano piegate in un sorriso amorevole, che sviava lo sguardo dal
naso, sottile e dritto, che stonava con la sua rigidità sul viso della giovane,
formosa e dalle gambe lunghe. Indossava una camicia da notte color oliva, da
cui uscivano fuori le mani, affusolate, e i piedi piccoli, nascosti in delle
pantofole verdi.
“Francis, mi hai chiamato?” Chiese Corsica. Francia si
voltò verso la sorellina, e annuì sorridendo inconsciamente alla ragazza.
“Oui, ti ho chiamato per dirti di prendere questo.”
Francis le porse il documento firmato.
“Consegnalo al presidente in mattinata.”
La ragazza prese il foglio sospirando sconsolata e si
rivolse al fratello con aria di biasimo.
“Mon ami, non stai bene, non dovresti fumare. Piuttosto
vieni a dormire, è molto tardi.”
“Non, rimarrò qua ancora un po’. Devo pensare… anzi,
già che ci sei, portami un cognac.”
Corsica si avvicinò ad un comodino dove c’erano vari
liquori, prese la bottiglia di cognac e riversò il contenuto in un bicchiere di
vetro, che porse a Francia.
“Ecco, ma non andare a dormire troppo tardi, o ti
sentirai troppo debole.”
La ragazza fece per andarsene, ma Francis la fermò
posando la sua mano sulla spalla di lei.
“Aspetta, c’è un’altra cosa.” Le diede in mano la
lettera.
“Quando scoppierà la guerra civile, in caso di
sconfitta della Repubblica, organizza un referendum al più presto per far
entrare la Corsica, Nizza e la Savoia in Italia. E consegna questa lettera a
chi guiderà il governo in esilio.”
Corsica prese la lettera sconcertata, senza staccare
gli occhi da Francis, che aveva un sorrisetto in volto oscurato dai capelli
biondi.
“Cosa dici? Non ci sarà alcuna rivoluzione, la guerra è
finita e-“
“Fa come ti dico. Questa è l’unica speranza della
Repubblica, tradita dal Regno e sconfitta dall’Impero. Bonne nuit, mon amie.13”
Corsica uscì dalla stanza un po’ inquietata, ma non
diede subito molto peso alle parole del fratello, dando la colpa al suo stato
di salute cagionevole. Davanti alla finestra, Francia continuava a ripetere:
“La Repubblica, tradita dal Regno e sconfitta
dall’Impero.”
Note:
1 La BEF, ovvero the British Expeditionary Force, la Forza
di Spedizione Britannica, era il nome dell’armata composta dalle divisioni
britanniche e del Commonwealth, operante in Francia.
2 Esattamente come lo stile vittoriano, anche lo stile
Napoleone III è uno stile architettonico in voga nel continente europeo intorno
alla metà dell’ottocento. Entrambi gli stili sono molto raffinati ed ideati per
edifici pubblici o appartenenti alla ricca borghesia o alla nobiltà.
3 Belle si riferisce al trattato di Londra, che sancì l’indipendenza
del Belgio, garantita dai britannici. L’invasione del Belgio attuata dai
tedeschi per il piano Schlieffen, secondo cui passando attraverso Belgio e
Lussemburgo le forze tedesche sarebbero state in grado di prendere Parigi,
scatenò infatti l’entrata in guerra della Gran Bretagna.
4 Inghilterra si riferisce ai bombardamenti che, tra 1915 e
1917, colpirono le principali città del Regno Unito. I bombardamenti tedeschi
avvenivano grazie agli zeppelin, ma la vulnerabilità di questi contro i caccia
fece diminuire lo sfruttamento di questa strategia.
5 Il fratello di Belgio è Lussemburgo, fratello minore che è
un personaggio ufficiale dell’opera, in quanto ritratto da Himaruya.
6 “Capito, puttana? Bacia le mie fottute mani!”
7 Le banlieau sono le periferie francesi, molto diverse
dalle normali periferie delle città europee sotto un punto di vista
social-culturale.
8 A Parigi, nel 1871, fu celebrato il trionfo prussiano
nella guerra Franco-Prussiana sugli Champs-Elysées. Sempre a Parigi, Guglielmo
I fu proclamato primo imperatore del Secondo Reich tedesco.
9 Il MkIV (leggasi mark 4), è stato il primo carro armato
della Storia. Inglese, fu utilizzato per la prima volta nel 1916 durante la
battaglia della Somme, con l’intenzione di sfondare le trincee tedesche.
Vennero adoperati due carri, di cui uno si impantanò subito, mentre l’altro
arrivò alla prima linea di trincee, terrorizzando i soldati tedeschi.
Nonostante l’utilizzo del carro, la battaglia, che durò per mesi, risultò in un
sanguinosissimo pareggio costato in totale 1 milione e mezzo di vittime in
totale.
10 Lo Schneider CA1 M16 era un carro pesante di produzione
francese.
11 “Vinca l’Impero!” in tedesco.
12 Il Terrore fu un periodo molto sanguinoso e caotico per
la Francia, che subito dopo la Rivoluzione era impegnata a difendersi dagli
imperi stranieri e dal disordine interno. Durante questo periodo, che durò tra
1790 e il 1795, Robespierre, leader del partito giacobino, fu un dittatore che
mandò alla ghigliottina oltre 30.000 persone.
13 “Buona notte, amica mia.” In francese.
Rieccomi! Non preoccupatevi, non sono fuggito, ma tra vari
impegni non sono riuscito a pubblicare questo capitolo la scorsa settimana,
decidendo dunque di avvantaggiarmi il prossimo capitolo. Beh, spero che non me
ne vogliate. Parlando di questo capitolo, la Francia è caduta, ed una
rivoluzione è alle porte. La guerra in Europa è ufficialmente finita, ma
dovremo aspettare ancora un po’ di capitoli prima del trattato di pace definitivo,
che secondo la timeline di Kaiserreich avvenne l’11 Novembre 1921. Quindi, ecco
le domande di fine capitolo: cosa c’è scritto nella lettera di Francia? E a chi
è indirizzata? Beh, bisognerà aspettare per scoprirlo. Detto questo, il biplano
rosso è quello del celeberrimo Barone, che in realtà morì in combattimento nel
1916. Possiamo chiamarla una licenza letteraria ;). Beh, non ho altro da
aggiungere, e non mi rimane che invitarvi a recensire, ringraziarvi per la
lettura e ricordarvi che, se vi foste annoiati, non s’è fatto apposta.