Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |      
Autore: dramatic_rose    22/05/2017    0 recensioni
Mi svegliai di soprassalto. Le avevo sognate di nuovo.
Non riuscivo più a darmi pace da quando tutto era finito. Ero solo un'ombra tra le altre ombre, e provavo a vivere normalmente la mia vita di sempre, eppure sapevo che qualcosa non si sarebbe mai più riaggiustato.
Ma iniziamo dal principio.
Avevo 18 anni, ero follemente innamorata; anzi, ripensandoci ora, a distanza di anni, ero folle e basta. Avevo una sorta di ossessione. E presto quell'ossessione mi avrebbe rovinato la vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO I

 

Ho sempre amato i piccoli dettagli della vita, come il capo di una pagina arricciato per il troppo uso, le stelle luminose che si attaccano ai soffitti, i colori dei fiori agli angoli delle strade, gli sguardi dei passanti. Soprattutto questi ultimi: adoro estraniarmi e contemplare la stranezza umana.
Ciò comprende perdermi specialmente in me stessa. Ho un dedalo di pensieri così complesso che tutt'oggi non ho compreso come uscirne.
Era una domenica, ed ero assorta in queste infelici elucubrazioni, quando Kalì mi chiamò. Si era fatto tardi ormai, ed era ora di rientrare. Avevo passato la giornata nel solito bosco, dove nessuno si avventurava mai. Li, si trovava una piccola casetta di legno, di cui mi ero appropriata quando avevo compiuto da poco 10 anni. Era malmessa e grande quanto uno sgabuzzino; sembrava essere sempre stata li, una sorta di rifugio eterno per le anime inquiete e solitarie. La sistemai pian piano nel corso degli anni, rendendola sempre più mia con i piccoli dettagli. Ogni volta che la guardavo, vedevo riflessa quel poco di me stessa che avevo compreso. La chiamavo la Tana.
- Dai vieni, dobbiamo tornare.- disse mia sorella tirandomi una manica, poi fischiò per richiamare Phoebe. Mi alzai scuotendo le foglie e il torpore di dosso. Solo Kalì sapeva della Tana. E non perché avessi in lei completa fiducia, bensì per rassicurare mia madre quando sparivo la domenica pomeriggio.
Ci incamminammo lungo la via deserta, fino in fondo al viale delle ville in mattoni. Abitavamo in periferia, in un piccolo appartamento. Quando rientrammo, mamma aveva già preparato la cena. La carne fumava ancora nei piatti.
-Scendi, giù, ho detto giù!- sbraitava contro il cane, che aveva tentato di salire sul tavolo - Finalmente siete tornate, ragazze. Mangiate, sennò si fredda!-
Guardammo la televisione in cucina. Kalì non la finiva più di chiacchierare, come sempre. Io invece sono il suo completo opposto: non amo raccontare i miei pensieri, né me stessa in generale. Penso che alla gente piaccia troppo giudicare per dare loro in pasto ciò che ho di più intimo. Eppure, non sono sempre stata così diffidente.
-...e tu, cosa hai fatto oggi invece?- mamma chiede rivolgendosi verso di me. Un tentativo lo fa sempre.
- Io, uhm, ho studiato.- Mi guarda con la forchetta a mezz'aria, incoraggiandomi a proseguire:- E, uhm, niente, basta.-
-Dovresti smetterla di studiare così tanto, May. Trova una svago, una passione! Buon dio, hai solo 18 anni!-. Annuisco. Finisco la cena, tolgo il mio piatto e do la buonanotte. Loro due invece rimangono a tavola ancora un po'. Anche se di spalle, avverto lo sguardo preoccupato di mia madre, i suoi occhi stanchi e così espressivi.
Non è che io non abbia una passione, vorrei urlarle, è solo che a volte sembra tutto così vuoto, senza senso. Ero felice, qualche anno fa. Poi è arrivato il mondo degli adulti, sono cresciuta, e sono stata colpita così tante volte che la mia passione per la vita si è come affievolita. Potrà sembrare esagerato, eppure per me è stato così.
E ancora oggi cerco di capire per quale motivo io sia così diversa dagli altri, perché non riesca a trovare la felicità.

 

***

Qualcosa di morbido mi sveglia. Socchiudo gli occhi, vedo la luce filtrata dalle serrande.
È già l'alba, dannazione. Sento un peso sul braccio: è Bluma, il nostro gattone grigio, accoccolato. Il nome lo ha scelto mia madre, significa “fiore” in yiddish, adorabile. Così come quello di mia sorella, Kalika, significa “bocciolo” in hindi e il mio, Maylea, “fiore selvatico” in hawaiano. Ha una passione smisurata, infatti, per il mondo della floricoltura, ed è riuscita a fare di ciò un lavoro aprendo un piccolo negozio.
Nonostante i genitori, nonostante mio padre.
Lo bacio sulla fronte. L'orologio segna le sei; mi lavo e mi vesto in fretta, con la solita ansia di perdere l'autobus. La casa è così silenziosa, Kalì e la mamma dormono ancora.
Rabbrividisco. Fuori si gelava, nonostante ormai fosse Aprile. Studiavo all'università pubblica, poiché non potevamo permetterci un College. Eppure, ero più felice così, senza troppi impegni e senza troppe aspettative.
Ero al primo anno di Studi letterari moderni e contemporanei. Il mio obiettivo era quello di insegnare - a chiunque, a dirla tutta - a riflettere sulla realtà più profonda delle cose, a viverle in modo più intenso, e soprattutto ad aprire la mente su ciò che accade nel mondo. Il tutto, attraverso la letteratura. Scesi dall'autobus assorta, come sempre, quando mi accorsi che, dal marciapiede opposto, un ragazzo mi stava fissando con insistenza. Infastidita, sostenni lo sguardo. Alla fine distolse quei meravigliosi occhi verdi e, in realtà, quasi mi dispiacque.
In aula mi sedetti accanto alla mie compagne di studi, Jessy e Linette, ma non ascoltavo i loro discorsi. Mi stavo estraniando, di nuovo. Il professore entrò e iniziò le lezione. Prendevo appunti, come al solito, come tutti. Quando all'improvviso mi sentii strana.
Avevo un fastidioso formicolio alle braccia, come se si fossero addormentate. Provai a scuoterle, ma niente.
Mi alzai e silenziosamente uscii dall'aula, sotto lo sguardo interrogativo delle mie amiche. Mi sentivo mancare. Non mi era mai successo prima e iniziavo a spaventarmi.
Con respiro affannoso giunsi in bagno, mi sedetti a terra nonostante lo schifo assoluto e tentai di tranquillizzarmi. “Ho fatto colazione stamattina” pensavo in preda all'agitazione “non può essere un calo di zuccheri, non ho la febbre, non ho il ciclo...”.
E poi successe.
Una luce immensa, perlata, scaturì dalle mie mani, su cui si erano incise delle rune mai viste prima. Sentivo un'energia folle scorrermi nelle vene. Era una droga. Si affievolì pian piano, fino a spegnersi del tutto.
Ero senza parole e soprattutto felice, in estasi.
Mi misi in piedi, sulle gambe tremanti, e aprii la porta guardando ancora le mani, tornate normali e senza rune. Ma, appena alzai lo sguardo, vidi che il ragazzo della fermata era li di fronte a me.
Prima che potessi dire una sola parola, con un gesto fulmineo, mi aveva colpito con qualcosa di appuntito nel collo. Caddi svenuta.
Poi, fu il buio.

***

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: dramatic_rose