Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Jo_The Ripper    23/05/2017    0 recensioni
«E sai perché morirai? Perché mi devi una morte, Molly Hooper. Mi devi la morte di Sherlock Holmes.»
La caratteristica più profonda e universale di tutti gli psicopatici è l’assenza di rimorsi. Non hanno il concetto di colpa. Non hanno coscienza morale. Uno psicopatico intenzionato a uccidere si serve di qualsiasi mezzo per ingannare la vittima al fine di toglierle la vita.
E quando arrivi al livello finale del Grande Gioco non puoi tirarti indietro. Tutto quello che puoi fare è continuare la partita, ponendo sul piatto della bilancia sentimenti nascosti nell’angolo più buio di un Palazzo Mentale, un fantasma riemerso dalle profondità di un passato perduto nel tempo e l’ombra di una nemesi a lungo creduta sconfitta.
«Il grande Sherlock Holmes, che ha la capacità di esaminare il mondo sotto la potente lente del suo microscopio cerebrale, che individua schemi e tracce laddove gli altri vedono solo trame abbozzate, ora sta facendo i conti con gli effetti dell’essere umano.»
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eurus Holmes, Jim Moriarty, John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 7

La festa di bentornato per Molly era stata un vero successo. L’atmosfera calda, gioviale e serena servì alla patologa e ai suoi amici per tornare a respirare una boccata di normalità dopo quelle settimane di agonia e stress. John l’aveva osservata sorridere agli ospiti, parlare in tono spensierato e coccolare sua figlia.
Agli altri poteva apparire un comportamento normale, ma lui aveva visto il suo sguardo continuare a cercare Sherlock e il velo di mestizia appannarle gli occhi ogni qual volta che la porta si apriva.
Quando la vide uscire in giardino, decise di seguirla.

Il pomeriggio stava declinando verso una cupa sera. Una pioggerellina fitta e fastidiosa scendeva copiosa dal cielo con metodica costanza, raccogliendosi in pozze sull’asfalto, mentre un sottile strato di nebbia iniziava ad avviluppare i tetti della città.
Molly stava ferma sotto al portico, avvolta in uno scialle, e teneva gli occhi puntati sulla strada illuminata dai lampioni. Emise un sospiro stanco che si condensò in uno sbuffo bianco.
John tossicchiò per segnalare la sua presenza. Inaspettatamente fu lei a parlare, rompendo il silenzio.
«Lui non verrà.»
Il medico si sentì a disagio e si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. «No.»
«Sai, da quando mi sono svegliata non ho fatto altro che chiedermi perché.» Molly si strinse di più nello scialle e continuò. «Perché darsi tanta pena per poi sparire senza una parola.»
John scosse il capo, non sapeva davvero cosa risponderle. Dannato Sherlock e la sua caparbietà.
«Non è colpa tua, Molly.»
La donna si voltò a guardarlo, sul viso un’espressione abbattuta e, al contempo, consapevole.
«E non è nemmeno colpa sua.»
Lui la studiò per un attimo e poi capì.
«Tu…»
Lei gli posò la mano sull’avambraccio, interrompendolo. Poi gli rivolse un sorriso enigmatico e si appropinquò alla porta dell’appartamento.
«Entriamo, ho un annuncio da fare.»

La notizia lasciò i presenti a bocca aperta. Ci furono recriminazioni, tentativi di dissuasione ma Molly si mostrò irremovibile. John non ne fu sorpreso, anzi, una parte di lui se l’aspettava. Era convinto che quella fosse la scelta migliore per restituirle ciò che aveva quasi perso. A dispetto di ciò, un’altra parte di lui non poteva fare a meno di incolpare Sherlock e il suo puntiglio per aver condotto ad una risoluzione così drastica. Il problema adesso sarebbe stato informarlo e cercare di inculcare in quel cervello geniale un po’ di buonsenso per spingerlo a darsi una mossa.
Se John aveva desiderato uno scossone, l’occasione migliore gli era stata servita su un piatto d’argento.

***

John e la signora Hudson divisero un taxi per tornare a Baker Street. Non parlarono molto, più che altro fu lui a non incentivare i tentativi di conversazione a causa della tensione che provava. Quando il taxi accostò al marciapiede, chiese all’autista di attenderlo.
Il medico alzò la testa verso l’appartamento, le cui luci erano spente. L’occupante, però, era più che sveglio. A testimoniarlo, una toccante melodia che si diffondeva tutt’attorno.
La signora Hudson aprì la porta e si portò una mano al cuore. John la vide asciugarsi furtivamente una lacrima. La donna gli batté piano sulla spalla, incoraggiandolo a salire e andò a barricarsi a passo zoppicante nel suo appartamento.
John imboccò le scale con l’aria grave di un condannato in procinto di salire al patibolo. Le note del violino si susseguivano in un ritmo sempre più tetro e malinconico. Una drammatica cupezza.
Sherlock smise di suonare non appena registrò la sua presenza. Il suo viso era rivolto verso la finestra, dandogli le spalle. Una figura nera allampanata, disegnata dai riverberi delle luci esterne. Con un movimento flemmatico depose il violino e l’archetto e si voltò verso John.
Se ne stava in piedi, con le mani abbandonate lungo i fianchi, in attesa.
Il medico si schiarì la voce ma il detective lo precedette.
«Lei sta per andarsene.»
John schiuse le labbra in un’espressione di stupore all’ennesima deduzione corretta. Non perse tempo a chiedersi come facesse a saperlo. Probabilmente il tempo impiegato a tentare di mettere insieme una frase per dargli la notizia sgradita gli aveva fornito un indizio sufficiente sulla motivazione della sua venuta a Baker Street a quell’ora. Si portò una mano dietro nuca e si massaggiò il collo.
«Sì.»
Il medico cercò le parole adatte per poter dissipare l’ombra calata negli occhi del consulente. Mosse qualche passo all’interno del soggiorno, avvicinandosi a lui.
«Sei ancora in tempo per impedirlo. Va da lei, parlale, risolvi questa faccenda. Non precluderti questa possibilità, Sherlock.»
Il volto di Sherlock era indecifrabile, ma John sapeva che qualcosa si stava muovendo sotto la sua pelle pallida, lottando per emergere.
«Quando?»
La domanda riaccese nel dottore un barlume di speranza.
«Tra tre giorni.»
Sherlock fece un breve cenno con il capo e poi si mosse per riprendere il violino.
«Buonanotte, John.»
Lo congedò prima di riprendere la sua composizione.
John scese a passi svelti le scale e Sherlock, affacciato alla finestra, lo vide entrare nel taxi e allontanarsi nella notte.

Mentre le dita si muovevano con grazia sulle corde del violino, Sherlock rifletté che era tutto molto più semplice quando non aveva legami forti, quando le persone lo evitavano, quando non era famoso. Per lui le prove, ogni singola e impercettibile traccia, erano tutto rispetto ai sentimenti. Collegava i pezzi e li assemblava con arguzia, il suo cervello associava e osservava anche le più piccole ed impalpabili sfumature. Si fidava della logica sottile, usava la razionalità come unica e sola fede. Eppure anche lui, a dispetto dell’apparenza, soffriva di quei comportamenti che l’avevano portato a definirsi un sociopatico iperattivo.
Le persone, i loro sentimenti, le loro emozioni erano davvero troppo complicati.
Non lasciarsi coinvolgere restava sempre l’unica opzione contemplabile.
Poi era arrivato John e con il suo essere così genuino e umano aveva creato un varco nella sua corazza.
In principio era grande quanto una punta di spillo, ma poi era cresciuto, allargandosi in maniera allarmante sotto il peso di sguardi di approvazione, sorrisi ed anche ceffoni, portandosi dietro tutta una serie di fastidiose conseguenze. Sherlock smise di suonare. Si avvicinò al tavolino dei liquori e si versò un dito di brandy. Sollevò il bicchiere e, pensieroso, fece una sorta di brindisi.
Alla verità e a tutte le sue conseguenze.

***

Molly chiuse la zip della valigia con un movimento veloce e la sistemò sul pavimento della sua camera da letto. Aveva lasciato abbastanza spazio all’interno per le ultime cose da aggiungere il mattino successivo. Si diresse verso la cucina e controllò che sul tavolino nell’ingresso fosse ben visibile il passaporto e la prenotazione del biglietto aereo.
Prese il bollitore e mise su l’acqua per prepararsi una tazza di tè. Si sentiva euforica e nervosa per la partenza, stanca per le ultime settimane trascorse eppure certa che non avrebbe chiuso occhio quella notte.
Si lasciò andare ad un sospiro fiacco e si massaggiò le tempie. Da quando era tornata a casa aveva sempre avuto qualcuno a farle compagnia capace di distrarla ma, non appena era sola, la sua mente vagava verso pensieri poco piacevoli, rivolti al passato.

Ripensò a Jim Moriarty. Tutto era cominciato con un “ciao”. Un semplicissimo ciao che l’aveva attirata nella rete di un pericoloso genio criminale. Certo all’inizio non era per niente apparso come un assassino psicopatico, anzi. Si era mostrato gentile e timido. La sua natura ammaliante l’aveva affascinata e aveva fatto in modo che si fidasse di lui al punto di uscirci (– solo un paio di volte, niente di più - tentò di giustificarsi mentalmente). Jim dall’IT era innocuo in ogni senso della parola. E invece lei cosa aveva ottenuto? L’ennesima, cocente, delusione. L’aveva usata, cosa che spesso le persone tendevano a fare essendo lei di indole gentile e accomodante, e gliel’aveva permesso.
Si diede della sciocca, incapace com’era di comprendere il carattere delle persone con una rapida occhiata, di non possedere un briciolo di quella spiccata capacità di dedurre vizi e virtù di chiunque le si presentasse davanti agli occhi.

Ripensò a Tom, all’uomo che aveva lasciato ad un passo dall’altare e che per un solo, breve istante, aveva immaginato potesse essere la cura adatta per dimenticare chi si era radicato nel suo cuore. Ma aveva fallito anche in questo.

Lei ci provava e finiva per sentirsi impotente e sopraffatta, come quegli alcolisti che combattevano contro l’attrazione dai negozi di liquori dopo un periodo di astinenza. L’ombra di Sherlock, un fantasma invisibile ma costantemente presente, la calamitava e attraeva nella sua orbita, condizionando i suoi pensieri attraverso la sua assenza. Esaminando bene i fatti, cosa si aspettava? Che Sherlock Holmes le dichiarasse amore eterno e la baciasse fino a toglierle il respiro dopo aver infranto una finestra del suo laboratorio, come nelle fantasie assurde di Anderson? Che bussasse alla sua porta, la sollevasse da terra stringendola tra le braccia per poi metterla su un cavallo bianco e andare insieme incontro al tramonto? Doveva aver perso qualche rotella grazie a tutti i film romantici che le avevano riempito la testa per anni.
La verità era che provava un’infinita nostalgia. Avrebbe voluto vederlo, anche solo per un momento fugace, prima di separarsi da lui. Le parole tra loro non sarebbero state necessarie. Avrebbe voluto averlo lì, vicino a lei, nel silenzio della sua casa, come quando le stringeva la mano in ospedale. D’altra parte si era sempre accontentata delle briciole del suo affetto.
«Sei proprio un caso senza speranza, Molly Hooper.» Disse ad alta voce a se stessa mentre il bollitore fischiava.
Era talmente immersa nelle sue riflessioni che, quando il campanello trillò, sussultò e versò un po’ d’acqua bollente sul ripiano della cucina. Sbirciò l’orologio e constatò che, a quell’ora, la persona dietro la porta poteva essere solo una.
Aprì trepidante la porta e trovò Sherlock davanti a sé, ritto e impettito con le mani intrecciate dietro la schiena.
«Molly Hooper.»
«Ciao, Sherlock.» Fece lei con aria imbarazzata, spostandosi quel tanto che bastava per permettergli di entrare. Una volta all’interno, lo sguardo del detective si spostò sul suo passaporto.
«Forse sono arrivato in un brutto momento. Ti disturbo?»
Lei scosse la testa ma a lui non sfuggì il suo nervosismo.
«No, no… stavo preparando del tè, ne vuoi?»
«Sì, grazie.»

La seguì in cucina, dopo aver appeso cappotto e sciarpa, e si sedette. Molly riempì una tazza, gliela porse e si accomodò di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo. Rimasero lì, senza dirsi nulla, improvvisamente insicuri l’uno dell’altra.
Sherlock si decise a spezzare il silenzio.
«Non hai provato a contattarmi.»
Lei alzò lo sguardo, sorpresa, e poi si strinse nelle spalle.
«Avrei dovuto? Ho pensato che ti avrei infastidito e distratto da… dalle tue riflessioni.»
Sherlock aggrottò le sopracciglia. L’anatomopatologa provava a manifestare uno stato d’animo tranquillo, amichevole e pacato, ma era chiaro come il sole che fosse altrettanto turbata.
«Così stai per partire.»
«Già. Pensa che devo ringraziare l’efficienza di tuo fratello per aver organizzato il mio viaggio.»
Lui inarcò un sopracciglio, improvvisamente contrariato a sentire tirare in ballo suo fratello.
«Mycroft? Cosa ti ha detto?»
«È passato a trovarmi in ospedale e si è scusato con me. Ha detto che era profondamente in debito nei miei confronti e che avrei potuto rivolgergli qualsiasi richiesta, quindi ne ho approfittato.» La patologa bevve un sorso di tè. «Quanto alle circostanze del mio rapimento non ha detto nulla, si è offerto piuttosto di farmi vedere. Ma io ho rifiutato.» Lei gli rivolse un sorriso pieno di amarezza. Un lampo di astio verso se stesso arricciò le labbra di Sherlock.
«Molly…» Fu forse il tono di voce diverso dal solito, un’intonazione che non le era mai sembrato di sentire nel pronunciare il suo nome che le fece accelerare i battiti del cuore. Vide l’intensità di qualcosa a cui non seppe dare una definizione negli occhi del detective, di quel colore cangiante acceso e vivo sotto la luce bianca del suo soggiorno, tanto da tendere pericolosamente alla trasparenza.
«Sì?» Esalò la domanda in un debole soffio.
«Perdonami.» La sincerità e il rammarico nella sua voce erano disarmanti. «Ti devo una spiegazione, se vorrai ascoltarla.»
Molly osservò il suo viso tirato e annuì.

Quando Sherlock terminò il suo racconto, Molly lo fissò sgomenta. Avvertì un improvviso rigurgito acido in gola e mandò giù profonde sorsate di quel tè diventato freddo. La testa stava per scoppiarle. Tutte quelle informazioni, tutta quella crudeltà… si sentiva male, aveva bisogno d’aria.
Si alzò di scatto e Sherlock con lei, gli occhi animati da una viscerale apprensione.
«Resta lì, dammi solo un minuto, va tutto bene.» Lui si bloccò scrutandola scettico e agitato e lei corse verso il bagno.
Aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacquò il viso e i polsi.
Tom. Era stato lui a rapirla e a metterla in quella bara. Per vendicarsi, per pareggiare i conti di quella ferita insanabile dell’orgoglio che gli aveva causato. E poi Eurus Holmes, colei che aveva sottoposto il proprio fratello ad un gioco architettato assieme alla mente criminale più sadica del loro secolo, mettendolo alla prova fino a sfibrarlo, a spezzarlo. Se per lei quelle ore trascorse nella paura e nel continuo altalenare tra veglia e incoscienza erano ormai marchiate a fuoco nella mente, non osava immaginare l’inferno che aveva dovuto affrontare Sherlock. Una corsa contro il tempo, un enigma la cui chiave era un altro enigma e così via, senza un attimo di respiro, nella costante tensione che lei potesse morire da un momento all’altro.
Si osservò allo specchio e vide che stava piangendo. Si lasciò andare ai singhiozzi, scivolando sulle mattonelle fredde del bagno, sperando che lui non la sentisse. Non voleva aggiungere altro al senso di colpa a quello che lo stava già tormentando. Dopo qualche minuto Molly si alzò, si asciugò il viso e tornò nella stanza.

Sherlock era ancora lì, in piedi dove l’aveva lasciato. Quando la vide aveva l’aria di non riuscire a decidere se avvicinarsi a lei oppure andarsene. Molly gli si accostò quieta e intrecciò piano le sue dita fino a farle scomparire nella mano grande del detective. Lui seguì il gesto e poi appuntò gli occhi al viso di Molly, che recava ancora le tracce del pianto.
Strinse di più la presa sulla mano fredda della patologa.
«Ora conosci tutta la storia, Molly Hooper. La storia di una famiglia che potrebbe far passare le tragedie di Shakespeare per fiabe della buonanotte.»
«La responsabilità di quello che è successo non è tua, Sherlock, e dovresti smetterla di credere diversamente.»
Lui accennò un ghigno sarcastico senza calore e le parlò con voce vibrante di rabbia repressa.
«Ogni azione ha delle conseguenze. Le conseguenze delle mie scelte hanno portato alla morte di alcune persone, Molly, e ci è mancato poco perché tu subissi lo stesso destino. Mia sorella voleva divertirsi a testare i suoi contesti emotivi: principi morali, etica, amici, famiglia e…» Tacque per un istante e la patologa si scoprì a trattenere il fiato. «… tu.» Concluse senza guardarla negli occhi.
Molly avvertì di nuovo il pianto alla gola e, per un infinitesimale momento, desiderò che Sherlock non avesse mai bussato alla sua porta.
Con un movimento delicato e graduale portò entrambe le mani sulle guance del consulente, fino a voltarlo nella sua direzione. Se quella doveva essere la notte dei chiarimenti, ebbene non si sarebbe tirata indietro.

«Io sono innamorata di te, Sherlock. Non era nelle mie intenzioni e non so nemmeno bene quando sia successo. Il problema è che mi ci sono trovata dentro fino al collo e quando l’ho realizzato era ormai troppo tardi. Sapevo fin dall’inizio a cosa andavo incontro perché avevo imparato a conoscerti. La Sherlock Experience… Ti piace, ma finirà per ferirti, mi dicevo. Ed è successo. In passato i tuoi modi arroganti e scostanti, la tua saccenteria, la presunzione, la completa incuranza, la manipolazione, il rendermi bersaglio di quelle deduzioni che mi facevano sprofondare in un baratro di imbarazzo di fronte ai nostri amici mi umiliavano e colpivano. Ma io l’ho sempre vista quell’umanità, la vulnerabilità e la fragilità che ti ostinavi a voler nascondere. L’ho scoperta nei piccoli gesti, persino nelle parole che non mi rivolgevi.» Lei prese una pausa mentre lui continuava a tenere gli occhi ancorati nei suoi in un misto di aspettativa, mortificazione e pentimento. «Il giorno che sei partito per smantellare la rete criminale di Moriarty è stato uno dei più infelici della mia vita ed ero tremendamente afflitta. Tutto d’un tratto eri sparito, morto, coperto d’infamia, cancellato come se non fossi mai esistito. Il 221B era buio, freddo e vuoto. Mi ha fatto talmente male che ho deciso che non ti avrei accolto di nuovo nel mio cuore quando fossi tornato, perché avevo paura che se l’avessi ascoltato, non sarei stata più capace di ignorarlo di nuovo.»
«Mi dispiace.» Intervenne lui in tono mesto. Molly lasciò andare il suo viso e arretrò di un passo.
«Te lo ripeto: non è colpa tua. E poi non interrompermi, altrimenti non riuscirò mai ad arrivare al punto.»
Lui annuì al suo rimprovero bonario e tacque.
«Il punto è, Sherlock, che nonostante tutto quello che c’è successo in questi anni, compresa la nostra ultima disavventura, io non ho mai smesso e non mi sono pentita di amarti per quello che sei. Tu sei degno, di ogni tipo di amore che vorrai accettare.» Il volto di Molly si aprì in un sorriso dolce e gentile che lo lasciò attonito, senza parole.
Sherlock osservò la dottoressa del Barts. Era una foglia di pianta aghiforme. Piccola, esile, pronta ad essere inghiottita dalle altre, ma resistente al freddo dell’inverno.
Qualcuno su cui contare e che, a dispetto di tutto, aveva scelto di amare lui.
Sherlock aveva appreso negli anni che le azioni impulsive conducevano a complicazioni, e le complicazioni potevano avere risvolti sgradevoli.
Ma lui era lì, da lei. Aveva scelto di esserci perché era arrivato il momento di affrontare le implicazioni di una confessione estorta con un macchinoso inganno.

«Io non sono mai stato bravo a capire e ad esprimere i miei… sentimenti.» Esordì. «La gente tende spesso a travisarli, ma tu, Molly Hooper, hai sempre la capacità di spiazzarmi.» Lei ricambiò il suo sguardo meravigliata. «La notte in cui mi hanno sparato, la prima persona che ho visto camminare davanti a me nel palazzo mentale sei stata tu. Mi hai guidato e persino schiaffeggiato per fare in modo che mi concentrassi sulla maniera corretta di cadere per evitare di morire dissanguato.» Lei arrossì e lo gratificò di un sorriso timido. «Mi fai fare cose che altrimenti non mi sfiorerebbero neppure, redarguendomi con un solo sguardo. Ti mostri paziente quando sono fastidioso, esigente, petulante nei momenti in cui sprofondo nel tunnel della noia. Tu sei rimasta anche quando ti ho rattristata, amareggiata e tradita con i miei comportamenti sgradevoli e irresponsabili che sapevo ti risultavano tanto detestabili. Ed è del tutto normale che tu abbia pensato di non contare per me.» Molly vide un’ombra grigia e malinconica passare negli occhi di Sherlock. Prima che potesse ribattere per rassicurarlo, lui continuò il suo discorso.
«La notte del rapimento ho lottato costantemente contro la paura che fosse troppo tardi. Temevo di non essere all’altezza dell’intreccio ordito da mia sorella. Quanto potevo essere stato stupido, incapace e ottuso nel non cogliere con maggiore prontezza gli indizi? Ogni secondo era vitale e prezioso ed io l’avevo sprecato. Quando ho aperto la bara tu non reagivi, non respiravi e in quel momento la razionalità è venuta a mancare. Ho perso il controllo. Nei giorni successivi, mentre vegliavo al tuo capezzale, mi sono vergognato di me stesso, perché sono sempre stato pieno di boria verso le mie capacità ma non sono riuscito ad arrivare prima da te.»
Sherlock deglutì cercando di tamponare l’improvvisa arsura alla gola. Teneva i pugni stretti lungo il corpo perché la rabbia e il rimorso contro se stesso ancora bruciavano. Molly, d’altra parte, era totalmente assorbita dal suo discorso e, con aria mite e conciliante, continuava ad ascoltarlo.

«In ospedale mi sono chiesto più volte se ero pronto a lasciarti andare, a perdere la tua mente curiosa, attenta e precisa, quel modo di vestire estroso e stravagante, la tua pessima capacità oratoria e gli altrettanto pessimi giochi di parole. Sono giunto alla conclusione che l’ipotesi della tua perdita era impensabile.»
«Sherlock…» Cominciò lei con voce incrinata dal pianto che faticava a trattenere. Per un breve istante sostenne il suo sguardo e in quel momento dovette ammettere a se stessa che stava silenziosamente incoraggiando le sue speranze mai sopite.
Sherlock cominciava a sentirsi stranamente più leggero. Quella era la conversazione più lunga e rivelatrice che avesse avuto con qualcuno da quando ne aveva memoria.
«Quando ti sei svegliata ho stabilito che allontanarti era la scelta più saggia per non portarti a rivivere momenti dolorosi. Sarebbe stato più facile per te odiarmi per tutto quello che non ero riuscito a fare, ne avresti avuto tutto il diritto. La verità è che non ero pronto a leggere nei tuoi occhi il disprezzo nei miei confronti. Alla fine ho formulato svariati scenari di cosa sarebbe potuto succedere. Conoscendoti, ho realizzato che avresti scelto di partire. Avresti riorganizzato la tua vita e ti saresti ricostruita, lasciandoti tutto alle spalle.»
Molly sentì il nodo alla gola farsi più stretto. Sherlock era davvero convinto che lei l’avrebbe lasciato indietro, per il suo stesso bene.
«Tu conti, Molly Hooper. Mi hai visto, quando attorno a me c’era solo oscurità. Mi hai ascoltato, quando ero circondato dal silenzio, quando il resto del mondo mi ha voltato le spalle a causa dei dubbi insinuati da Moriarty. Sei un fenomeno pieno di contraddizioni che riesce a rendermi una persona migliore. Io sono migliore, quando sei con me.»
Curvò le labbra in un sorriso fragile e Molly, il respiro appena percettibile, sentì le lacrime rigarle le guance. Non perse altro tempo e chiuse la distanza tra di loro, allacciandogli le braccia al collo e intrecciando le dita dietro la nuca.
Sherlock la cinse e attirò la testa sul suo petto, posando le labbra tra i suoi capelli.
Rimasero in silenzio per diversi minuti.
Il detective sentì le lacrime della patologa bagnargli la camicia e si rabbuiò. Si allontanò quel tanto che bastava per prendere il fazzoletto dalla tasca e asciugargliele con un gesto misurato e lieve. Molly chiuse gli occhi e respirò piano. Quando li riaprì, vide Sherlock portarsi un dito alla tempia, picchiettandola, una mano ancora le cingeva la vita.
«C’è qualcosa qui… ma è una massa abbozzata, in fase embrionale, che non sono sicuro di sapere come gestire.»
Molly rafforzò la presa sui suoi fianchi e gli regalò un sorriso delicato.
«Sono certa che con un po’ di aiuto riuscirai a venirne a capo. Dopotutto mi è stato fatto notare che sei una persona molto intelligente.»
Cercò di mantenere un tono leggero ma lo sguardo di Sherlock si fece profondamente serio.
«Non partire.»
Lei lo conosceva a menadito e ciò che lesse nei suoi occhi l’aveva visto quando aveva chiesto il suo aiuto prima della caduta. Sembrava supplichevole. La pregava di non andare via, e le si spezzò il cuore sapendo che avrebbe dovuto dirgli di no.
«Sherlock, io devo farlo, ho bisogno di una pausa. Tutto quello che è successo ha messo le cose in prospettiva: mi ha fatto capire che il tempo è un lusso da dosare bene e che non è eterno. Ci sono tanti posti che non ho visitato, cose che non ho fatto… Mi dedicherò a me stessa per un po’. Così avrai anche tu l’opportunità di fare in modo che quello che hai qui…» Disse portando una mano alla sua fronte. «Riesca a trovare un accordo con quello che hai qui.» Continuò fino a farla scivolare sul suo cuore e rimase lì, ascoltando i battiti regolari sotto la pelle.
Sherlock assunse un cipiglio rassegnato e deluso. Avrebbe voluto che lei ci ripensasse ma non aveva diritto di mettere bocca nelle sue scelte.
Lei meritava ogni occasione di essere felice, di questo era assolutamente certo.
«Quanto starai via?»
Molly capiva l’avversione di Sherlock verso la sua partenza, specie quando era stato tutto così improvviso per lui. Un pensiero però le balenò nella mente: aveva bisogno di essere rassicurato sul fatto che non sarebbe sparita nel nulla per un lasso di tempo indefinito. Decise di prendersi un po’ gioco di lui.
«Sicuramente meno di due anni.»
Sherlock la lasciò andare, incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio, in una posa fintamente irritata. Lei scoppiò a ridere.
Lui guardò il suo sorriso divertito con soddisfazione.
«Questa era una pessima battuta, Molly Hooper. Nonostante ciò ti auguro buon viaggio e spero che troverai ciò che stai cercando.» Affermò abbassandosi verso di lei e lasciandole un bacio delicato sulla guancia, fratello degli altri che le aveva dispensato in passato.
Molly avrebbe voluto trattenerlo lì, sulla propria pelle, e cancellare quel sentore di addio che aleggiava ancora nel punto in cui le sue labbra si erano posate, ma lo lasciò andare. Sollevò lo sguardo verso di lui e gli indirizzò un sorriso grato e speranzoso.
«Anche tu, Sherlock.»
La lieve piega delle labbra del detective ed un cenno del capo furono la sua ricompensa, prima di vedere la sua schiena scomparire dietro la porta d’ingresso.

***

Molly osservava il cielo di Londra di un grigio fumo pregno di umidità dal finestrino del suo taxi con un piccolo sorriso a incresparle le labbra. Si sentiva pronta per quella nuova avventura, a lungo rimandata.
Al suo arrivo in aeroporto, trovò John, la signora Hudson e Greg ad attenderla all’ingresso del check-in. Le augurarono buona fortuna, la abbracciarono stretta e lei dovette utilizzare tutto l’autocontrollo di cui disponeva per evitare di piangere. Quando fu il turno di congedarsi da John, il medico sembrava agitato e sulle spine. Molly indovinò le sue speranze rivolte alla comparsa a sorpresa di Sherlock. John doveva avercela a morte con lui per averle deluse.
Lo abbracciò con calore e gli sussurrò all’orecchio.
«È tutto chiarito, John. Prenditi cura di lui mentre sarò via. Ha ancora molto da imparare.»
Il medico osservò il sorriso commosso della patologa e sentì la tensione sciogliersi. Le mise le mani sulle spalle e annuì.
«Ho la sensazione che quell’idiota debba raccontarmi qualcosa… ma lo farò. Buon viaggio, Molly.»
Non appena li vide allontanarsi, Molly si fece forza per tenere a bada il nodo che le serrava la gola. Consegnò la valigia e si diresse verso il gate prestabilito. Si sedette in attesa dell’imbarco con il viso rivolto verso la pista di atterraggio.

Dalla parte opposta alla sua, nascosto in piena vista tra la massa brulicante di viaggiatori di Heathrow, stava Sherlock Holmes. Non era necessario per lui essere lì, specie dopo il confronto della sera precedente, eppure sentiva di doverlo fare. Era una sensazione dal retrogusto misterioso che ancora non riusciva a spiegarsi.
Teneva gli occhi puntati su Molly, studiando il suo viso: appariva serena, immersa in un sogno ad occhi aperti. La sua espressione stanca per le poche ore di riposo era addolcita dalla curva delle labbra, perse nella contemplazione degli aerei in movimento. Aveva le gambe accavallate e stringeva la borsa come una bambina con il suo giocattolo preferito. Il detective rimase a lungo ad osservarla e, quando vide l’imbarco aperto, si decise a tirare fuori il cellulare dalla tasca e digitare un sms. Una volta inviato lo ripose e aspettò la sua reazione.

Molly avvertì la vibrazione all’interno della borsa, prese lo smartphone e sbloccò la tastiera. I suoi occhi si dilatarono per la sorpresa. Il messaggio ricevuto era da parte di Sherlock. Quando lo lesse, un sorriso spontaneo e radioso nacque sul suo volto, illuminandolo.
«Sai dove trovarmi, SH.»
Si alzò in piedi e cominciò a cercarlo con lo sguardo ma lui si era già posto fuori dal suo campo visivo per non essere avvistato. Molly si portò il telefono al petto e chiuse le palpebre, assaporando la sensazione di completezza e appagamento che le si spandeva nel cuore.
Sherlock rimase fermo, con le mani nelle tasche del Belstaff, fino a quando non la vide oltrepassare il gate. Sembrava felice, Molly Hooper. E lui si sentì all’improvviso curiosamente in pace con la vita.

***
Eccoci qua al penultimo capitolo di questa fanfiction. Dunque, non potevo mica lasciare i nostri due piccioncin ehm, protagonisti, lontani l’uno dall’altra! Un chiarimento era d’obbligo, non c’era possibilità di scampo.
Allora, magari sarete deluse dal fatto che non ci sia stata una grande dichiarazione d’amore eterno, baci appassionati e una sessione di ginnastica acrobatica da letto… però sarei andata spaventosamente OOC nella mia versione di Sherlock. Come già detto nel precedente capitolo – e ribadito anche in questo  (lo so, sono ripetitiva, deve essere l’età!) - , lui è ancora incerto e non sa gestire bene le sue emozioni. È come un bambino piccolo che ha bisogno di essere costantemente guidato, ergo, sarebbe stato terribilmente fuori luogo. Anche Molly, per quanto desideri essergli vicina, aveva bisogno di questo cambiamento.
E amare qualcuno significa anche lasciarlo andare (tanto lo sappiamo tutti che quei due si amano u_u).
Spero che abbiate apprezzato questo capitolo e che le mie teorie vi sembrino verosimili.
Ci rivediamo la settimana prossima, abbiamo ancora un breve epilogo prima di mettere un punto definitivo a questa storia.
See ya!^^

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Jo_The Ripper