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Autore: _root    23/05/2017    2 recensioni
"Era stato veramente molto bravo, contando che aveva sempre avuto bisogno del sostegno dell’amico per quasi tutto: per tre giorni era stato zitto, giocando da solo in cortile, facendo finta che non ne sentisse la mancanza, come fanno i grandi. Al quarto giorno aveva già il naso incollato alla finestra aspettandosi che prima o poi gli Iwaizumi arrivassero con la macchina e che Hajime corresse da lui portandogli un souvenir – probabilmente una cimice di pietra, bleah."
Un piccolo Tooru Oikawa attende che Hajime torni dalla vacanza estiva.
[Episodio della serie Memories of a long life lived together]
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memories of a long life lived together'
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«Hajime-chaaan!».
 
Solitamente, dopo questo gridolino, gli tirava la sabbia. Hajime aveva già da piccolino sviluppato grandi riflessi: dopo aver mangiato terra per quasi due settimane, schivava in automatico qualsiasi cosa Tooru gli lanciasse e si vendicava strizzandogli il naso con una freddezza impressionante per la sua giovane età.
C’era un non so ché di dolce e protettivo nel modo in cui evitavano sempre di farsi del male a vicenda. E certo che Tooru non era un bambino facile con cui avere a che fare: piangeva spesso, era fin troppo esuberante, un po’ fifone e faceva di tutto per attirare costantemente l’attenzione del piccolo Hajime. Quasi tutti i bambini prima o poi gli avrebbero dato un serio spintone perché li lasciasse in pace, invece lui non si era ancora stancato. Certo, non che non gli avesse mai messo le mani addosso, ma questo era un altro discorso. Hajime poteva. Lo faceva misuratamente e ponderatamente. Era capitato una volta che dei ragazzini più grandi l’avessero fatto cadere con cattiveria (esasperati da un Tooru che insisteva che gli alieni esistessero) e l’avessero fatto piangere: Hajime senza pensarci due volte aveva tirato un calcio nel ginocchio ad uno di loro. Era bassino, ma sapeva piazzarli bene, scapestrato com’era. Certo, poi le avevano prese dalle loro madri perché “Non si risolve niente con la violenza!” – com’era giusto… Tooru gli aveva chiesto scusa in lacrime così tante volte che per farlo smettere Hajime gli aveva tirato una testata.
In realtà non era un bambino violento.
Questo però serve per spiegare che, anche involontariamente, Tooru aveva sviluppato una dipendenza da quel bambino che era più che un amico, era suo fratello, anzi, il suo gemello; da quel silenzioso boyscout che lo malmenava e sapeva come farlo ridere, che si arrampicava sugli alberi e i cui occhi si riempivano sempre di sorpresa quando catturava un cervo volante – e a lui gli insetti, invece, facevano proprio schifo, per inciso. Il fatto che le loro madri fossero molto amiche, poi, contribuiva a far sì che i due bambini passassero quasi tutto il loro tempo insieme.
Ad ogni modo, un’estate i genitori di Hajime decretarono che fosse ormai abbastanza grande per la prima vacanza di famiglia. Mentre gli Oikawa sarebbero rimasti a casa perché la loro figlia grande aveva il campo estivo di pallavolo, gli Iwaizumi avrebbero passato le ultime due settimane di luglio ad Okinawa.
La madre di Tooru glielo ricordò più volte perché il figlio non ci rimanesse male, ma il piccolo non poteva capire veramente cosa significasse finché i giorni non iniziarono a passare.
Capiamoli, è difficile per dei bambini che crescono spalla a spalla stare tanto tempo separati. Avendo poi finito la scuola da poco, avevano passato ancora più tempo a giocare insieme. Il giorno prima della partenza si erano salutati e abbracciati senza problemi. I loro genitori erano lì con loro e sicuramente avevano percepito un sacco di aspettative addosso, ma non capivano perché fossero in ansia per loro, per una cosa così semplice: si erano sentiti proprio due adulti, ad augurarsi buone vacanze senza problemi!
Forse un bambino impara il significato del tempo solo quando la distanza lo svuota senza pietà. Era già capitato che non si vedessero per qualche giorno di seguito, e nella mente di Tooru probabilmente “due settimane” equivalevano all’attesa di “tre giorni”, cioè il maggiore lasso di tempo in cui non aveva visto Hajime. Era stato veramente molto bravo, contando che aveva sempre avuto bisogno del sostegno dell’amico per quasi tutto: per tre giorni era stato zitto, giocando da solo in cortile, facendo finta che non ne sentisse la mancanza, come fanno i grandi. Al quarto giorno aveva già il naso incollato alla finestra aspettandosi che prima o poi gli Iwaizumi arrivassero con la macchina e che Hajime corresse da lui portandogli un souvenir – probabilmente una cimice di pietra, bleah.
Invece nessuno.
I genitori di Tooru inizialmente pensarono che veramente il bambino non soffrisse di nostalgia, complice anche l’apprensione che in quel momento avevano per la figlia per la prima volta ad un campo estivo; al quinto giorno però la madre si accorse che decisamente qualcosa non andava, non solo perché Tooru non aveva più voglia di giocare a nulla, ma in particolar modo perché ogni tanto si fermava, in piedi, e tratteneva il respiro fino a diventare rosso – quasi che dovesse a tutti i costi imbottigliare qualcosa dentro.
«Tooru-chan», lo strinse, «ti manca Hajime-chan?».
Il piccolo strinse la bocca più che poté: «N-NO.», cercò di resistere, con gli occhi gonfi di lacrime.
La madre cercò di non ridere, ma lo circondò da un abbraccio ancora più dolce: «Guarda che a me lo puoi dire… Se vuoi ti confido un segreto».
Tooru tirò su dal naso con incredibile potenza, ma era ancora deciso a non cedere – come fanno gli adulti. Annuì stringendo gli occhi a mezzaluna per non lasciare scappare neanche una lacrima, e lei sussurrò: «A me mancano molto».
A quelle parole Tooru esplose in un lamentoso “Anche a meeeeeeeeh!!!” che si poi trasformò in un pianto incontrollabile, cresciuto da giorni.
«Hajime-chan mi odia!».
«Tesoro, ma cosa dici?», sorrise la madre.
«Sì perché lui si diverte e non gli manco per niente e si è già dimenticato che esisto!».
 
La prima cosa che fece quella santa della madre fu assicurarsi che non fosse di disturbo far sentire i bambini per telefono per gli Iwaizumi – che probabilmente avevano bisogno di approfittare di quella vacanza per condividere anche del tempo come coppia, non solo come genitori, afferrate il concetto? Non è una cosa che si può fare a tutte le età dei propri figli, ci sono fasce predefinite.
Ma comunque saltò fuori che gli Iwaizumi stessi speravano in una richiesta del genere, ma temevano di disturbare gli Oiwaka proprio in una settimana all’anno in cui si erano ritrovati a badare solamente Tooru. E meno male per i due piccoli, perché così non solo si rassicurarono a vicenda sul fatto che non si fossero scordati l’uno dell’altro, ma, a quanto pare, quella telefonata ogni due giorni dava ad entrambi una carica particolare.
La madre di Tooru una volta filmò di nascosto una loro conversazione, pregustando già il momento in cui gliel’avrebbe mostrata quando sarebbe diventato grande.
«Hajime-chan, ma ci sono altri bambini lì…? Eh? Non vale! A me non regali mai niente! Mi porti qualcosa quando torni, eh? Vero? Non voglio niente che sembri un insetto… No che non va bene la sabbia!».
Ogni volta che chiudeva la comunicazione, Tooru aveva un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
«Allora, tesoro, come stava Hajime-chan?».
Il figlio saltellò da lei riportandole il telefono.
«Oggi ha fatto piangere una bambina, ma poi le ha regalato una conchiglia! Anch’io ne volevo una, ma gli ho detto di no perché adesso non è più speciale se regala le conchiglie a tutti!», poi abbassò la voce, segno che stava per rivelarle un segreto: «… Mamma, lo sai, Hajime-chan dice che non ha pianto perché gli mancavo, ma secondo me non è vero», disse, sorridendo sotto i baffi.
 
Non era poi così strano che a Tooru mancasse più Hajime che la propria sorella, dal momento che li separavano molti anni di differenza. Ormai la ragazzina aveva le proprie amiche e non condivideva quasi più nessuno degli interessi o dei giochi del fratellino, cosí lui trovava nella madre la propria compagna di giochi.
«Tooru, che ne dici se andiamo al parco, a giocare con il bambino dei nostri vicini di casa?».
A questo punto il figlio roteava gli occhioni color cioccolato e sviava il discorso. Fu un vero shock per la madre apprendere che si trovava già in quella fase d’età in cui imparava a rigirare la frittata nonostante il suo candore, ma poco alla volta riuscì a fargli stringere amicizia con altri bambini. Giocava tantissimo con il pallone della sorella. Per il resto, si era ingegnata con un sacco di attività che facessero vivere al meglio l’attesa del ritorno degli Iwaizumi.
«Che dici, ritagliamo qualche altra immagine per il cartellone di Hajime-chan?».
«Sì! Voglio metterci degli alieni e una foto del pallone da pallavolo!».
Tooru sapeva che il massimo che avrebbe ottenuto dall’amico sarebbe stato un “Non dovevi”; sicuramente Hajime avrebbe distolto lo sguardo e arricciato la bocca, ma sapeva che quella era la sua espressione imbarazzata e contenta. Non vedeva letteralmente l’ora di fargliela fare!
 
Prima che se ne accorgesse, due settimane passarono. Ogni mattina aveva l’incarico di segnare con una grossa X i giorni sul calendario, ed erano già al 29 luglio. Il 30 era vicinissimo, e Tooru aveva apparentemente rimosso tutta quella questione dell’“essere adulti”, così prima di andare a dormire non ebbe paura di gridare che si sentiva veramente felice. Era così agitato che non riusciva ad addormentarsi.
Probabilmente fu proprio questo stato sovreccitato che gli procurò un sonno disturbato. Stranamente, invece che una dormita riposante, fu svegliato da uno strano incubo: un tirannosauro giocattolo enorme aveva distrutto con le sue grandi zampe il vialetto di fronte a casa sua e gli Iwaizumi non trovavano più la strada con la macchina – e gli alieni non avevano potuto fare niente per evitarlo.
Tooru stesso rimase stranito da quanto fosse bizzarro quell’incubo perciò non si spaventò particolarmente. Restò un po’ seduto nel letto e poi decise di andare a prendere un bicchiere d’acqua. Quando però scese le scale, vide che la luce in cucina era ancora accesa e delle persone stavano chiacchierando. Riconobbe la voce dei genitori di Hajime e quella dei suoi che ridevano in tutta tranquillità –  istintivamente però non si mosse e restò in silenzio per ascoltare. Qualcosa non quadrava, infatti: se erano tornati, perché Hajime non era con loro…?
«… Sì, è stato estremamente rilassante», disse il padre del suo amico, «Temevamo che Hajime detestasse il mare, invece si è trovato benissimo. È proprio uno scapestrato!».
«Oh, già, mi dispiace così tanto per il povero Hajime-chan», udì parlare sua mamma, «e che siate tornati prima, sarà stato stressante fare il viaggio con la febbre».
«Sì, ma gli si era abbassata e per un giorno abbiamo deciso di non rischiare. In realtà poi si è fatto una bella dormita e non si è quasi accorto del viaggio! Russava come un ghiro, quel piccoletto! Finché siamo qui lo guardano i miei genitori».
«Pensate che è la prima volta che si ammala!», disse la madre di Hajime, questa volta. «Per carità, è stato improvviso anche per noi, ma ha raggiunto i 38 solo per poco, per il resto è sempre stata relativamente bassa, poco sopra i 37… Ma Hajime non sapeva cosa stesse succedendo e si è lasciato spaventare».
«Hajime che piange? Povero piccolo!», risero i genitori di Tooru, inteneriti.
«Macché piangere!», rise il padre dell’amico, «Prima mi ha fatto segno di avvicinarmi, poi mi ha detto che se non ce l’avesse fatta avrei dovuto salutare Tooru-chan da parte sua! Come se stesse facendo testamento, capite?».
«Quand’è che nostro figlio è diventato più serio di noi, caro?», rise.
«Questa poi! Pensate che l’altro giorno Tooru-chan mi ha detto…».
 
Aveva ascoltato abbastanza. Lasciò come un’agile spia la propria postazione sulle scale, le risate e il profumo del tè in soggiorno e tornò in camera sua. Alle orecchie dell’assonnato Tooru tutta quella scena non aveva avuto l’effetto che avrebbe fatto a qualsiasi altra persona: Hajime era a casa con la febbre e a quanto pare era così debole da non sapere se sarebbe sopravvissuto! Il suo amico poteva morire e aveva bisogno di lui! Sicuramente i suoi genitori non gliel’avrebbero detto per non farlo spaventare, ma ormai sapeva la verità! Doveva agire!
Come avrebbe fatto a vivere senza Hajime se veramente fosse morto? Ma… come avrebbe potuto aiutarlo, in verità? Si faceva sempre proteggere, si stufava presto di stare con gli altri bambini, giocava spesso più con le femmine che con i maschi… E se per caso fosse stata colpa sua che avesse preso la febbre?! Se l’avesse stancato, con le sue telefonate e le sue richieste?
Si rannicchiò sotto le coperte, provando vergogna per essersi comportato da bambino piccolo. Nel buio della sua cameretta si sentì profondamente debole e solo.
Un momento, però: non poteva finire così! Doveva trovare un modo per dimostrare ad Hajime di essere un adulto, così da infondergli la forza che gli serviva! Sarebbe certamente guarito e sarebbero diventati grandi insieme! Ma certo! Toccava a Tooru, questa volta, prendersi cura di lui!
Elaborò un piano e, ripassando la propria strategia, si addormentò.




Angolo dell'autrice:
Sono stata presa d'ostaggio dal fluff e da questi due adorabili bambini. Una mia amica mi ha addirittura detto che non sembro io, ed era un complimento sincero! Non ho ancora finito di spremere tutto l'angst powa di cui sono capace, ma non lo farò in questa fic. I nostri pargoli sono al sicuro, ve lo garantisco. Un grazie a chiunque leggerà e/o lascerà una recensione!
 
   
 
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