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Autore: Elena Ungini    23/05/2017    0 recensioni
L’agente speciale Steve Rowling lavora da due anni al Progetto A.I.R.E.S.S., con lo scopo di risolvere casi legati al mondo del paranormale. UFO, streghe, vampiri e affini sono all’ordine del giorno, per lui. Nel bel mezzo di un’indagine, si ritrova fra i piedi la giornalista Livienne Parrish, venticinquenne avvenente e disordinata. Nonostante l’odio atavico che Steve prova nei confronti dei giornalisti, è costretto a collaborare con lei, mentre gli intrighi, intorno a loro, si fanno sempre più fitti e pericolosi. Ma il pericolo più grande, per Steve, sono gli immensi occhi verdi di Livienne…
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Filadelfia, Mercoledì 31 maggio 2000
 
Una brutta sorpresa aspettava Steve al suo rientro: Donald lo volle vedere subito nel suo ufficio.
“Se è per quella lista di conti da pagare, le posso dire che mi dispiace, ma ne andava della vita di una mia amica”, si scusò Steve quando si trovò al suo cospetto.
“Lascia perdere: ho altro di cui preoccuparmi, ora. Uno dei nostri migliori agenti è stato ucciso”, tagliò corto Donald, con tono greve.
“Di chi si tratta?”, chiese Steve e, dallo sguardo di Donal, capì che la notizia lo avrebbe sconvolto.
Donald tentennò un istante: sapeva che Steve e Louis erano amici da parecchi anni. Trasse un profondo sospiro, poi snocciolò tutto d'un fiato:
“Mi dispiace, Steve. Si tratta di Louis Carter”.
Steve lo guardava, come se non avesse capito.
“Non è possibile! Non può essere morto! Non il mio migliore amico!”
“Lo so: è incredibile. Tutti noi gli volevamo molto bene…”.
“Dovevamo andare insieme a una festa… mi aveva telefonato per ricordarmelo…”, sussurro Steve, con la voce provata dall'emozione. Rimase in silenzio per qualche secondo, sbigottito, cercando di interiorizzare la notizia.
“Com'è successo?”, chiese, ritrovando il coraggio e la lucidità necessari per affrontare la situazione.
“Qualcuno gli ha spezzato il collo, nel suo appartamento. Nessun segno di effrazione. Sembra che abbia fatto entrare in casa l'assassino”.
“Chi segue il caso?”
“Bellins, come sempre”.
“Voglio affiancarlo. Lo so che non è un caso dei miei, ma voglio scoprire chi è stato”.
“Lascia perdere, Steve: sei troppo coinvolto in questa faccenda. Non potresti seguire il caso a mente serena”.
“È importante, per me!”, insistette Steve.
“Ne parlerò con Bellins, ma non ti assicuro niente”.
“Ora dove si trova Louis?”
“È ancora nel suo appartamento. Lo hanno trovato i vicini stamattina”.
“È avvenuto stanotte l'omicidio?”
“No. È morto da alcuni giorni”.
“Devo vederlo!”
“Steve, non andare là”.
“Sì, invece”. Steve uscì dalla stanza e lasciò Donald seduto a fissare nel vuoto, masticando caramelle alla menta.
Subito dopo, il telefono di Donald squillò e lui rispose.
“Donald? Sono Senfter. Tenga lontano Rowling da questo caso, ha capito?”, gli ordinò.
“Che fa, mi tiene sotto controllo, adesso?”, sibilò Donald, inviperito.
“È da un pezzo che la tengo sotto controllo, Donald. Tenga fuori Steve: non voglio guai”.
“Mi stia a sentire!”, urlò Donald. “Uno dei miei migliori agenti è stato assassinato e io voglio vederci chiaro, in questa faccenda! E se vederci chiaro vuol dire dare l'incarico a Steve Rowling, è esattamente quello che farò, che lei lo voglia o meno!”
“Faccia quello che vuole!”
Senfter gli gettò il telefono in faccia, poi telefonò a uno dei suoi agenti più fidati:
“Greys, Donald vuole vederci chiaro… Fate in modo che ci riesca”.
“In che modo?”
“Se Rowling lavora al caso, arriverà certamente a Tania Drayfus. Se non ci arriva da solo, dovremo farcelo arrivare noi. Sono stato chiaro?”
“Certo”.
“Ora mandatemi Tania: devo parlarle”.
“D'accordo”. Greys attaccò la comunicazione e si affrettò a rintracciare Tania.
Steve, intanto, aveva preso la sua macchina e aveva raggiunto l'appartamento dell'amico. Qui, trovò Atos Bellins intento a cacciare via uno stuolo di giornalisti, tra i quali riconobbe subito Cris, del City Magazine. Mostrò il tesserino alle guardie, che lo lasciarono passare. Bellins tornò nell'appartamento con lui.
“Che diavolo ci fai, qui, Steve? Non è meglio che aspetti fuori?”, disse, rivolto all'amico.
“Voglio vederlo”.
“Dai retta a me: lascia perdere”. Steve non lo ascoltò e alzò il lenzuolo che copriva il corpo, ormai in stato di decomposizione. Nonostante fosse abituato a vedere persone ridotte in quello stato, dovette farsi forza, per non cedere all'emozione.
“Secondo te quando è morto?”, chiese Bellins.
“Sono almeno quattro o cinque giorni…”, rispose Steve. Notò che il collo era stato spezzato con un colpo netto.
“Avete trovato l'arma del delitto?”, s'informò.
“No”.
“C'è da presumere che gli sia stato inferto un colpo con le mani?”
“Questo lo stabilirà l'autopsia”.
“Chi la farà?”
“Non tu, Steve. Non te la lascio fare”.
“Non ne avrei il coraggio, Atos”.
Steve ricoprì la salma.
“Ci sono altri indizi?”
“La scientifica non ha ancora finito, ma sembra che non ci sia proprio nulla: nessuna impronta digitale, nessun altro segno”.
“Avete controllato il suo computer?”
“Non ancora: dovremo portarlo al centro specializzato e forzare la sua password. Ma non credo che troveremo qualcosa: non stava lavorando ad alcun caso in particolare. Era in ferie da due settimane”.
“Forse aveva appuntamento con qualcuno. Avete già la lista delle telefonate fatte nelle ultime settimane?”
“L'ho richiesta, ma non è ancora arrivata. Ora calmati, Steve. Sto seguendo il caso e ti prometto che farò del mio meglio per risolverlo. Anch'io volevo molto bene a Louis!”
Steve annuì, avviandosi verso la porta.
“Quando arriveranno i primi risultati, fammi sapere qualcosa”, disse, prima di uscire.
“D'accordo”.
Fuori dallo stabile i giornalisti lo attorniarono, bloccandolo. Steve reagì spingendoli violentemente da parte: non aveva per niente voglia di parlare con loro.
Tornò al suo appartamento: l'orario di lavoro era ormai terminato. Si sedette in poltrona e rimase lì, a fissare nel vuoto. Non aveva fame e non aveva voglia di fare niente. Lasciò spaziare la mente, ricordando i momenti felici passati con il suo grande amico. Un senso di rabbia e di impotenza s'impossessò di lui. "Perché?", si chiese. Louis era un bravo ragazzo, che tutti adoravano. Chi poteva avergli fatto questo? Forse un innamorato geloso, data la sua inclinazione a uscire con tutte le ragazze che gli capitavano a tiro… oppure un ex ergastolano che lui aveva contribuito a sbattere in cella, ma se così fosse stato, Steve non riusciva a capire perché Louis avesse fatto entrare il suo assassino. Sebbene fosse di indole piuttosto pacifica, non era uno sprovveduto e non apriva la porta al primo venuto con facilità.
Lo squillo del telefono lo distolse dai suoi pensieri. Pensando si trattasse di Bellins andò a rispondere.
“Ciao Steve. Sono Livienne. Che è successo?”
“Ciao, Livi”, si limitò a rispondere lui.
“Cris mi ha riferito di averti visto, a casa di quell'agente ucciso. Ha detto che eri sconvolto!”
“Era un mio grande amico, Livi”.
“Mi dispiace. Sai già com'è successo? Non te lo chiedo per il giornale, puoi stare tranquillo: non dirò nulla a nessuno”.
“Non c'è nulla da dire: non so ancora niente”.
“Vuoi che venga lì, Steve?”
“Per fare che?”, chiese, sorpreso.
“Beh, mi sembra che tu abbia bisogno di compagnia, in questo momento”. Il suo tono era straordinariamente dolce e Steve sentì un brivido lungo la schiena.
“Ti ringrazio, Livi, ma non sono un bello spettacolo, oggi”.
“D'accordo, ma se ti serve qualcosa chiamami, okay?”
Steve, in cuor suo, ringraziò Livienne per quella telefonata. Era bello sapere che qualcuno si preoccupava per lui. E lei era così dolce…
“Grazie. Ora devo salutarti, Livi, perché suonano alla porta”.
Riattaccò, andò ad aprire e si trovò di fronte Bellins.
“Scoperto qualcosa?”, chiese ansiosamente.
“Non molto, per la verità: dalle ricerche che abbiamo fatto è risultato che la morte risale a venerdì sera e l'autopsia ha rivelato che il colpo mortale è stato probabilmente inferto a mani nude”.
“Un colpo di karate, quindi?”
“Può darsi. L'assassino doveva essere una persona piuttosto forte, e anche molto alta. Ma veniamo a noi: sono qui per chiederti di aiutarmi nel caso, se te la senti! Donald mi ha chiesto di coinvolgerti nell'indagine, ma naturalmente dipende da te…”.
“Grazie Atos: non vedo l'ora di mettere le mani su questo assassino”.
“Già, anche io… e da un bel pezzo”.
“Che vuoi dire?”
Atos gettò sul tavolo un paio di fascicoli. Steve li sfogliò: riguardavano altri due omicidi, avvenuti rispettivamente una settimana e dieci giorni prima.
“Rody O'Donnor? Il famoso statista? Ma non era morto d'infarto?”, chiese Steve, osservando una delle cartelle. L’altra era di un certo Claus Ferdinander.
“Così abbiamo dovuto dire alla stampa: Senfter non voleva creare inutili allarmismi. In realtà è stata la prima vittima di quello che sembra essere un serial Killer. Il modus operandi è sempre lo stesso: l'assassino si introduce in casa della vittima senza forzare la serratura, uccide il malcapitato e se ne va senza lasciare traccia alcuna”.
“Niente impronte digitali?”
“Nemmeno l'ombra. Probabilmente l'assassino porta dei guanti”.
“Strano! Guanti in questa stagione…”.
“Non molto strano per un assassino”.
“Sì, ma devi pensare che con tutta probabilità Louis gli ha aperto la porta! Non credi che si sarebbe insospettito vedendogli dei guanti addosso?”
“Forse non ci ha fatto caso”.
“Avete controllato le sue telefonate?”
“Sì. Ecco tutta la lista. La puoi tenere: io ne ho un'altra copia”.
“Bene. C'è altro da sapere?”
“Abbiamo controllato il computer. Dal laboratorio dicono che non risulta nulla di strano. Erano giorni che non lo accendeva neppure”.
“Come mai è stato trovato solo dopo quattro giorni? Possibile che nessuno si sia accorto prima della sua assenza?”
“Gli altri inquilini dello stabile pensavano fosse andato in ferie: aveva detto che sarebbe partito proprio il giorno dopo, in treno”.
“Avete già interrogato i vicini di casa?”
“C'è ben poco da interrogare: l'appartamento vicino al suo è sfitto. Le due famiglie al primo piano non hanno sentito nulla e una delle due famiglie al secondo piano era fuori a cena la sera dell'omicidio. Solo l'altra signora, che vive da sola sempre al secondo piano, ha sentito qualcosa, ma stamane era troppo scossa per riuscire a rispondere lucidamente. Vuoi venire a interrogarla con me?”
“Sì, volentieri”.
Si recarono a casa della signora Johnson, che abitava proprio sotto l'appartamento di Louis.
“Buonasera, signora. Ci scusi se la disturbiamo proprio all'ora di cena”, disse Bellins, stringendole la mano.
“Non importa. Non ho per niente voglia di mangiare. Quel caro ragazzo! Mi aiutava sempre a portare su le spese, quando mi incontrava sulle scale. E mi imbucava la posta. Era davvero molto servizievole e gentile con tutti!”, disse, scoppiando ancora una volta in lacrime.
“Signora, noi abbiamo bisogno della sua testimonianza, per riuscire a scoprire chi ha fatto questo”, la incoraggiò Steve.
Lei annuì, soffiandosi il naso.
“Tutto quello che posso dirvi è che quel pomeriggio il signor Carter è rimasto nel suo appartamento fino alle sette, poi è uscito ed è rientrato solamente verso le dieci. Lo so, perché quando è uscito l'ho incontrato sulle scale e mi ha salutata. Era vestito molto bene e ricordo che ho pensato che probabilmente avesse un appuntamento: usciva sempre con delle bellissime ragazze. Poi l'ho sentito rientrare e c'era qualcuno con lui”.
“È sicura?”, chiese Steve.
“Sì. Stamattina non lo ricordavo, ma poi, ripensandoci, mi è venuto in mente che l'ho sentito ridere e scherzare con qualcuno. Ha aperto la porta e sono entrati. Non so altro”.
“Non ha sentito altri rumori? Non sa quando è uscita la persona che era con lui?”
“No: erano già le dieci, come ho detto. Sono andata a letto e mi sono addormentata”.
“Mi saprebbe dire se la persona che era con lui fosse un uomo o una donna?”, chiese ancora Steve.
“No, purtroppo no”.
Dopo che l'ebbero lasciata, quando furono in macchina, Atos chiese a Steve il perché di quell'ultima domanda.
“È semplice. Prova a pensarci bene, Atos: un dongiovanni come lui, che quasi tutte le sere ha una ragazza diversa, esce ben vestito alle sette di sera, ora in cui di solito si va a cena fuori… secondo te, con chi si trovava? Con un uomo, forse? Per non parlare del "dopo" cena! Credi che, dopo una seratina romantica, avrebbe portato un uomo nel suo appartamento?”
“Beh, non conosco i gusti di Louis, ma non credo fosse un omosessuale”.
“Non lo era. Te lo posso garantire. Sono quasi certo che quella sera sia stato fuori con una donna, e che se la sia portata in casa”.
“Quindi pensi che l'assassino sia una donna?”
“Può darsi”.
“Sono poche le serial killer donna”.
“Sono poche, ma ce ne sono comunque state. E poi, al giorno d'oggi, non ci si può più stupire di niente”.
“Ma dovrebbe essere una donna forzuta, per rifilare un colpo come quello!”
“Oppure una donna che conosce bene il karate”. Steve prese il tabulato delle telefonate di Atos e le controllò:
“Ecco qui, guarda. Louis ha telefonato al mio ufficio proprio il giorno 26, cioè venerdì. Andiamo alla sede dell'FBI. Devo farti sentire una cosa”.
Mentre raggiungevano il suo ufficio, Steve diede ancora un'occhiata allo stampato con le telefonate fatte da Louis.
“Strano. Hai detto che non stava lavorando a niente di importante e che erano giorni che non usava il computer, ma da quello che posso vedere si è collegato spesso a Internet”.
“Avrà dato un'occhiata a qualche sito hard, oppure avrà chattato con qualche ragazza”.
“Può darsi”.
Una volta giunti nel suo ufficio, Steve fece ritornare indietro il nastro della segreteria e fece ascoltare ad Atos il messaggio registrato da Louis, il giorno della sua morte:
“Ciao, Steve, sono Louis. Volevo ricordarti che venerdì due giugno si terrà la festa di addio al celibato di Links. Spero che vorrai accompagnarmi. La serata si preannuncia molto interessante: so che ha invitato certe ballerine… A proposito di donne… stamattina, in un bar, ne ho conosciuta una sensazionale: ha due tette da spavento e stasera è libera. Non chiamarmi dopo le sette: sarò molto impegnato”.
“Quindi, Louis ha conosciuto una donna in un bar, la mattina del giorno che è stato assassinato. E quella sera aveva un appuntamento con lei”, ricapitolò Steve. Prese il telefono e chiamò un collega:
“Prische, devi scoprire dov'è andato a cena Carter la sera del ventisei giugno. Controlla la sua carta di credito e i ristoranti dove è solito andare: vedi se c'era qualche tavolo prenotato a suo nome. Se non trovi nulla, telefona a tutti i ristoranti della città e dintorni. Non può essere andato molto lontano, comunque: alle dieci era già a casa”.
“Ora dobbiamo scoprire in che bar si è recato quel mattino: forse la donna è una cliente abituale”, disse ad Atos, una volta che ebbe riattaccato.
“Sappiamo che quel mattino si è recato dal suo commercialista, per ritirare alcuni moduli che doveva compilare”.
“A che ora c'è andato e con che cosa?”
“Non è andato in macchina. Probabilmente ha preso l'autobus”.
“Louis era un tipo molto amante dell'ambiente: non ha certo gettato i biglietti dell'autobus per la strada. Li avete trovati in casa sua?”
“No, che io sappia”.
“Vieni con me”.
Ritornarono all'appartamento di Louis, dove Steve si mise a cercare nel cestino dei rifiuti.
“Siamo fortunati: eccoli qua”, esclamò Steve.
“Strano! Avrei giurato che stamattina non c'erano…”, disse confuso Atos. Aveva frugato nel cestino di persona, ma non li aveva trovati.
“Evidentemente stavo ancora dormendo…”, ammise.
“Louis ha preso l'autobus sei, alle nove e quarantacinque, si è recato dal commercialista ed è tornato a casa con l'autobus dodici, partendo alle dieci e quarantasette. Domattina rifaremo insieme il percorso fatto da Louis, così potremo magari scoprire in quale bar si è fermato”.
Si salutarono, per ritrovarsi la mattina dopo, alla fermata dell'autobus accanto alla casa di Louis. Salirono sul mezzo pubblico alle nove e quarantacinque. Alle dieci precise erano in centro. Scesero e coprirono a piedi il tragitto che li divideva dall'ufficio del commercialista. Alle dieci e dieci erano a destinazione. Entrarono e si rivolsero all'impiegata seduta alla scrivania.
“Buongiorno. Siamo dell'FBI e stiamo indagando sull'omicidio di uno dei vostri clienti”.
“Il signor Carter? Ci è dispiaciuto moltissimo, quando lo abbiamo sentito alla televisione. Se posso esservi utile…”.
“La mattina del giorno dell'omicidio, Louis è stato qui. Potrebbe dirmi per quanto tempo è rimasto in quest'ufficio?”
“Circa dieci minuti, non di più”.
“Le ha detto per caso dov'era diretto, dopo?”
“No, mi dispiace”.
Steve e Atos ritornarono in strada, dove ripresero a camminare.
“La fermata del dodici è più avanti, proseguendo per questa strada. Probabilmente Louis è entrato in uno dei bar su questa via”.
Iniziarono a percorrere la strada, diretti alla fermata del dodici. Entrarono nel primo bar che trovarono e mostrarono la foto di Louis al barista.
“Sa per caso dirmi se quest'uomo è stato qui, venerdì scorso?”
“No, mi dispiace. Va e viene tanta gente, ma non mi pare di averlo mai visto”.
“La ringrazio. Arrivederci”, disse Steve. Proseguirono fino a giungere davanti al secondo bar, che era un ritrovo per i motociclisti.
“Conoscendo Louis, è questo il bar dov'è stato: adorava le moto!”, disse ad Atos, entrando. Si rivolse al barista, mostrandogli la fotografia:
“Quest'uomo potrebbe essere stato qui, venerdì mattina. Se lo ricorda, per caso?”
“È un nostro cliente abituale, viene spesso qui, specialmente il mattino. Purtroppo non so dirvi se venerdì è passato: io non ero qui, c'era Tania al mio posto!”
“Chi è Tania?”
“Una delle ragazze che lavorano per me. Di solito vengono ad aiutarmi solo alla sera, quando c'è più gente, ma quel mattino ho ricevuto una convocazione urgente, da parte del mio avvocato… sa, mia moglie e io ci stiamo separando… per fortuna Tania è passata di qui e si è offerta di sostituirmi. È stata talmente gentile che le ho dato la serata libera. Riguardo al suo amico, può rivolgersi direttamente a lei per chiederle se l'ha visto: abita in fondo alla via, al numero quindici. Di cognome fa Dreyfus”.
“La ringrazio molto”. Steve e Atos si sedettero a un tavolo e ordinarono qualcosa da bere.
In quel momento entrarono nel locale due motociclisti, vestiti completamente di pelle. Steve notò che portavano anche dei guanti.
“Ci sono!”, esclamò.
“Che vuoi dire?”
“Che questo è il posto giusto dove cercare l'assassino. Ragiona, Atos: ci sono solo due bar su questa strada e Louis è un grande appassionato di moto, inoltre, è un cliente abituale di questo locale, per cui è sicuramente venuto qui a bersi un caffè. Qui ha conosciuto una ragazza, una motociclista, che se ne va in giro vestita come quei due che abbiamo visto prima. Indossa quindi un paio di guanti di pelle. Quella sera escono insieme, forse utilizzando proprio la moto della vittima. La parcheggiano poco distante dall'appartamento, che raggiungono a piedi. Lei indossa ancora i guanti. Lui la fa entrare e lei lo uccide, a sangue freddo. Poi se ne va via tranquillamente”.
“Potrebbe essere… ma l’alibi? A che scopo ucciderlo?”, domandò Atos, forse parlando più a se stesso.
“A un serial killer non serve un alibi”.
Steve telefonò all'FBI e si fece cercare il numero della famiglia che abitava al secondo piano dello stabile di Louis. Poi chiamò.
“Pronto?”, rispose una voce di donna.
“Signora Dumbell, sono Steve Rowling, dell'FBI: avrei bisogno di un'informazione circa il caso Carter”.
“Come ho già detto al suo collega non ero in casa quella sera: eravamo tutti a cena fuori”.
“Lo so. Per questo mi serve il suo aiuto: so che avete un garage sotto il vostro stabile e so anche che ci vengono parcheggiate tutte le autovetture dei residenti. Ha per caso notato se la macchina del signor Carter era ancora in garage quando voi siete partiti?”
“Sì. Ora che ci penso era in garage. Ne sono sicura”. Steve la ringraziò, poi si rivolse ad Atos:
“Louis è uscito alle sette. I signori Dumbell, invece, sono usciti alle otto meno un quarto e la macchina di Louis era ancora nel garage. Questo significa che abbiamo fatto centro: se non è uscito in macchina, avrà raggiunto il luogo dell’appuntamento a piedi e poi sarà salito con la ragazza in moto. Dobbiamo solo trovarla. Scommetto che è lei, l'assassina”.
Telefonò al suo amico Prische.
“Scoperto niente, Luke?”
“No. Louis non ha usato la sua carta di credito e non ha fatto alcuna prenotazione. Non so dirti dove sia andato a cena”.
“Non importa. Forse non è difficile scoprirlo”. Steve si rivolse al barista:
“Se un appassionato di moto volesse andare a cena in un ristorantino dove si possa sentire a suo agio, tra altri motociclisti, dove dovrebbe andare?”
“Al Motor Club, ovviamente. Non è molto ben frequentato ma è sicuramente il locale più amato dai motociclisti della zona”.
“Lei mi è stato di grande aiuto”, disse Steve, lasciandogli qualcosa di mancia e uscendo. Raggiunsero il Motor Club, ad alcuni isolati di distanza. Il locale era parecchio frequentato, anche al mattino. Non era proprio un ristorante, piuttosto una birreria ben fornita di panini e stuzzichini vari, che rimaneva aperta fino a tarda notte. Steve si rivolse a una delle ragazze che servivano ai tavoli.
“Ha per caso visto quest'uomo, recentemente?”, chiese, mostrando la foto di Louis.
Lei lo guardò bene, poi rispose:
“Sì, mi pare di sì. È stato qui qualche sera fa, con una ragazza”.
“Ne è sicura?”
“Sì. Lo ricordo perché mi ha dato una grossa mancia. È stato molto generoso”.
“Saprebbe descrivermi la ragazza che era con lui?”
“Perché lo vuole sapere?”
“Siamo dell'FBI e stiamo indagando sull'omicidio di quest'uomo. La ragazza che era con lui potrebbe sapere qualcosa, o addirittura essere la sua assassina”.
La cameriera trasalì, spaventata.
“Io non credo: quella ragazza è una cliente abituale del nostro bar… l'ho già vista altre volte”.
“Con altri uomini?”
“No. Viene sempre da sola. Ricordo che mi è sembrato strano vederla con un uomo…”.
“Ce la può descrivere, per favore?”
“È alta e bionda, capelli corti. È magra, ma piuttosto nerboruta, come se facesse qualche sport. Avrà circa vent'anni, suppongo. È carina e… anche ben fornita, non so se mi spiego”, aggiunse.
“Si è spiegata benissimo. Ricorda qualcos'altro?”
“No, mi dispiace. Non so neppure come si chiama”.
“Non importa. Abbiamo dati a sufficienza per avviare le ricerche. Potrebbe presentarsi alla polizia domattina, per un identikit della ragazza?”
“D’accordo”, balbettò “chiederò la mattina libera al mio capo”.
“Benissimo. Andiamo, Atos: voglio interrogare anche la ragazza che lavora al bar. Forse ci saprà dire qualcosa di più”, disse Steve, uscendo.
“Aspetta, Steve. Non possiamo certo incolpare una donna solo perché è uscita a cena con un uomo! Anche se riuscissimo a trovarla, non abbiamo prove per incastrarla. Inoltre, non possiamo certo collegarla anche agli altri omicidi”, obiettò Atos.
“No, ma dimentichi che è un serial killer: non può fare a meno di uccidere. Non appena le capiterà l'occasione colpirà di nuovo. Forse potremmo crearla noi, quest'occasione. Ora interroghiamo la ragazza che lavora al bar. Forse potrà dirci chi è la nostra indiziata”.
Steve suonò alla porta diverse volte, ma Tania non venne ad aprire.
“Evidentemente non è in casa”.
Improvvisamente, il rombo di una moto che parcheggiava lì accanto li fece voltare. Ne scese una ragazza, vestita di pelle, con guanti neri. Si tolse il casco e li squadrò, con aria truce:
“Che ci fate davanti a casa mia? Cercate rogna?”, chiese.
“No. Stiamo cercando Tania Drayfus”, rispose tranquillamente Steve.
“Allora l'avete trovata”.
Steve notò che era bionda, con i capelli corti ed era piuttosto alta: somigliava molto alla descrizione fornita dalla ragazza del Motor Club.
“Lei lavora al bar in fondo alla strada, non è vero?”
“Sì, perché?”
“Riconosce quest'uomo?”, disse, mostrando la foto di Louis.
“No. Mai visto prima”.
“È venuto nel vostro bar, venerdì mattina”.
“Non ne so nulla, mi dispiace. Io lavoro di sera”.
“Ma venerdì mattina era al lavoro. E deve averlo visto per forza”, insistette Atos.
“Non lo ricordo, mi dispiace”.
Detto ciò, entrò nel suo appartamento. Atos voleva fermarla, ma Steve lo trattenne.
“Lasciala andare: ho l'impressione che sia lei, la nostra indiziata”.
“Appunto! Non dovremmo farcela scappare”.
“Non voglio insospettirla. Intanto, cerchiamo di sapere qualcosa di più su di lei”. Steve telefonò a un collega, incaricandolo di pedinare Tania come fosse la sua ombra, poi lui e Atos si recarono nell'ufficio di Steve, dove cercarono notizie su Tania Drayfus.
“Senti senti!”, esclamò Steve, leggendo il curriculum della ragazza. “Tania cresce vittima delle violenze del padre, fugge di casa all'età di sedici anni, rifugiandosi dal fidanzato che le promette una vita migliore e invece la immette nel giro della prostituzione. Lei cerca di fuggire e viene ridotta in fin di vita da quello che continua a definire il suo fidanzato. Ce n'è d'avanzo per creare un serial killer! Ma non è finita qui: ricoverata al Pennsylvania Hospital, viene dimessa dopo tre mesi, ma ritorna a prostituirsi. Un anno fa finisce in galera durante una retata della polizia, e viene affidata al progetto di riabilitazione per ex detenute gentilmente sponsorizzato dal signor O'Donnor”.
“Quell'O'Donnor?”
“Proprio lui! Il programma della sua campagna pubblicitaria che precedeva le votazioni conteneva questo progetto, svolto in collaborazione con assistenti sociali e professori che insegnavano alle ex detenute dei lavori o addirittura le aiutavano a conseguire alcuni diplomi”.
“Accidenti! Abbiamo trovato un collegamento con il primo omicidio!”, esclamò Atos.
“Già. Tania viene istruita e reinserita nella società. Guarda caso, durante il progetto segue anche un corso di Karate. Una volta finito il corso, il signor O'Donnor in persona si preoccupa di trovarle un posto di lavoro, al Milady bar. Da allora, Tania lavora lì. Nella scheda viene definita una donna perfettamente reinserita, dedita al lavoro e volonterosa”.
“Già. Durante il giorno! Poi, la sera, si trasforma in Mister Hyde!”, esclamò Atos.
“Dobbiamo tenderle una trappola: conosci qualcuno che s'intende di arti marziali?”, chiese Steve.
“L'agente Matlok. È cintura nera di karate”.
“Perfetto. Basterà che vada a fare un giro in quel bar e si faccia amica la "signora"”.
Così, la trappola fu tesa: l'agente Bryan Matlok si recò quella sera stessa al Milady bar e chiacchierò a lungo con Tania. Dopo la mezzanotte, quando la ragazza smise di lavorare, le chiese di uscire insieme a lui.
La ragazza accettò. Ben presto raggiunsero l'appartamento di Matlok, o, perlomeno, quello che lui definì il suo appartamento. In realtà, era un bilocale che l'FBI utilizzava per casi come questo. Una volta entrati nella stanza, lui si voltò e diede le spalle alla ragazza, che non esitò a sferzare il suo mortale colpo. Naturalmente Bryan aveva previsto tutto e si voltò di scatto, bloccando il braccio della ragazza e immobilizzandola.
Dalla stanza accanto uscirono Atos e Steve, che stavano seguendo la scena tramite una minuscola videocamera nascosta nella stanza. Ammanettarono la ragazza e la portarono in prigione. La mattina seguente, la cameriera del Motor Club riconobbe Tania in un confronto diretto. Alla fine di un estenuante interrogatorio, Tania confessò i tre omicidi e il movente che l'aveva portata a uccidere il primo uomo.
“Avevo deciso di cambiare vita. Avevo trovato persone che mi avevano aiutata, che mi avevano fatto sperare in un'esistenza migliore, senza più prostituzione, senza più padroni che mi ordinassero cosa fare e con chi andare… invece, dopo soli tre mesi di tranquillità, O'Donnor mise fine a tutti i miei sogni: mi invitò a casa sua, dicendo che voleva conoscermi meglio. Io rifiutai di andarci, perché quell'uomo non mi piaceva. Lui mi disse che mi avrebbe fatto licenziare, se non fossi andata a casa sua. Ci andai ma, come avevo sospettato, lui voleva solo il mio corpo, voleva costringermi ad andare a letto con lui. Avevo giurato a me stessa di non fare mai più quella vita e ho mantenuto il giuramento. Gli sferrai un colpo di karate. Non volevo ucciderlo, solo fargli capire che non poteva avermi. Ma poi mi resi conto che era morto. E provai un senso di libertà, di felicità estrema: avevo trovato il modo di liberarmi dei miei aggressori. Da allora non sono più riuscita a fermarmi: ho ucciso altre due volte, e l'avrei fatto ancora, se non mi aveste fermata”.
L'agghiacciante confessione della ragazza non servì comunque a colmare la sete di giustizia di Steve: lasciò la stanza sconvolto, con lo stomaco ancora sottosopra, per niente convinto che la verità fosse venuta a galla.
La sera seguente, seduto sulla sua poltrona preferita, davanti alla televisione spenta, in compagnia del suo amico Atos che sorbiva tranquillamente un whisky, Steve si trovò a riflettere ancora su quel caso: troppe cose erano rimaste irrisolte e qualcosa non quadrava.
“Sai Atos, ho come l'impressione che le cose si siano svolte come se avessero seguito un corso già prestabilito; come se qualcuno avesse fatto in modo che andassero così”.
“Che vuoi dire?”
“Pensa a tutte le coincidenze che sono accadute: Louis frequenta il bar solo al mattino, Tania solo alla sera. Ma quel giorno, proprio quel mattino, il barista deve assentarsi improvvisamente. Guarda caso, Tania passa di lì e si offre di prendere il suo posto. In questo modo incontra Louis. Per un altro caso strano, ha anche la serata libera, così decidono di uscire insieme. Non ti sembra un piano ben costruito?”
“Costruito da chi? Andiamo, Steve! Non essere paranoico. Abbiamo trovato l'assassino, accontentati. Alle volte le coincidenze capitano!”
“E i biglietti dell'autobus, allora? Quelli che tu non avevi trovato? Pensa se qualcuno si fosse preso la briga di metterli lì apposta!”
“Ma perché dopo? Perché non metterli lì subito, una volta commesso l'omicidio?”
“Non lo so. Ma non è l'unica cosa strana: ho letto il fascicolo riguardante il secondo omicidio, quello di Claus Ferdinander: lui non ha mai frequentato quel bar e apparentemente non ha mai avuto a che fare con Tania. E poi ci sono le telefonate a Internet che ha fatto Louis: cosa stava cercando? Perché alla scientifica ci hanno detto che non usava il computer da giorni?”
“Purtroppo, tutte queste domande sono destinate a restare senza risposta: Louis non potrà più illuminarci in merito, ormai, e neppure Tania”.
“Già. Ancora mi chiedo come abbia potuto entrare in possesso di un'overdose di cocaina in un carcere di massima sicurezza!”
“Che vuoi, Steve: nelle nostre carceri gira di tutto…”.
“Già… ma non ti pare strano che abbia improvvisamente deciso di togliersi la vita, prima ancora di poter rispondere a tutte le domande su questo caso?”
“Tu credi che l'abbiano fatta fuori?”
“Non lo escludo”.
Atos sorseggiò il suo whisky, poi fissò l'amico, perplesso. Infine commentò:
“A ogni modo, prima di morire, Tania ha confessato e il caso è ormai definitivamente chiuso”.
“Non per me, Atos. Non per me”.
   
 
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