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Autore: pandafiore    23/05/2017    1 recensioni
{Post Mockingjay / Pre Epilogo}
Dal testo:
“Peeta non rispose; digrignò i denti e spostò lo sguardo ancora più in basso di prima.
Era come se non volesse più toccarla, nemmeno con gli occhi. E ciò la fece stare tremendamente male.
«Vattene.» Sibilò allora Katniss, con quell'orgoglio solo suo, cercando le iridi blu che non incontravano il suo sguardo. «Vattene...» Ripeté più roca e meno convinta forse, sull'orlo di una crisi. Stringeva i pugni pur di non lasciare andare quelle lacrime bastarde.”
{Mini-Long}
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6.

 

Giorno 5.





Quando Katniss entrò in cucina quel giorno, per poco non le venne un infarto nello scoprire cosa le aveva riservato Peeta.
Farina, farina ovunque. E uova. E lievito, da tutte le parti.
E poi lui, seduto beatamente sul piano cottura, ad osservare divertito la sua reazione orripilata.

«Dimmi che non vuoi realmente che io cucini.» Sibilò esterrefatta, ricordando le sue terribili - davvero terribili - doti culinarie. In più, l'ultima volta che aveva cucinato, lui aveva avuto un episodio; non era piacevole ricordare. «Ti prego, dillo.» Aggiunse, e il ragazzo del pane scoppiò a ridere di gusto.
Scese dalla mensola ed esclamò subito, porgendole contento un panno bianco: «Dai, mettiti il grembiule che iniziamo! Facciamo i biscotti!»
E, dopo cinque minuti buoni di discussione, riuscì a convincerla, e fu l'uomo più felice del mondo.

Peeta voleva condividere assolutamente tutto con lei. E, per farlo, doveva partire dalle cose più basilari, come la sua passione per la cucina. Quindi perché non farsi aiutare a preparare dei bei dolcetti? Ci sarebbe stato di che ridere, pensò.

Già il modo in cui Katniss palpava tra le dita il soffice impasto gli fece capire quanto buffa fosse tra i fornelli, e l'adorava sempre più.
«Sei proprio una frana...» La prese in giro, affiancandola. Lo sbuffo di disapprovazione e nervosismo di Katniss fu solo l'anticipazione del successivo lancio dell'impasto sul tavolo; «Io mi dedico alla crema.» sospirò poi, mettendosi a cercare ginocchioni un contenitore all'interno della mensola sotto al frigorifero.
Peeta rise e si avvicinò subito a lei, scendendo a sfiorarle i fianchi, per invitarla ad alzarsi; a questo tocco quasi innocente, Katniss fece un balzo notevole ed un improvviso rossore le invase le guance.
«Vieni dai, ti aiuto io con l'impasto... la crema può aspettare. E poi le terrine non sono nemmeno lì dove stai cercando.» La voce suadente, ma al tempo stesso sorridente, di Peeta fece tremare la ragazza, che abbandonò la sua rigidità e si lasciò trasportare nuovamente fino al tavolo, con la testa piuttosto vuota, se non quella grossa paura che un episodio potesse tornare a distruggerli, a farli crollare. Rimettere insieme i pezzi, a quel punto, sarebbe stato quasi impossibile.

Tentarono entrambi di ignorare questi brutti pensieri e si misero ad impastare, in silenzio.
Le uova si incollavano alle dita di Katniss, lei sbuffava ed una ciocca corvina di capelli continuava a scenderle davanti agli occhi, creandole un fastidio immenso. Quando Peeta notò tutto questo, sorrise teneramente e si mise alle sue spalle, avvolgendo la sua schiena con il proprio petto. Raccolse quelle esili ed eleganti mani femminili tra le proprie, rudi e grossolane, che ricoprivano tutto, e le spiegò il movimento da fare per ottenere qualcosa di  decente. Katniss era affascinata da tanta bravura, ma al tempo stesso imbarazzata da una tale vicinanza. Percepiva, infatti, in modo molto nitido quel respiro caldo e spezzato sul proprio collo, alla radice dei capelli, ed ogni sospiro era diventato una tortura; non aveva il coraggio di muovere nemmeno un dito, e forse non voleva nemmeno realmente farlo.

La perfezione illusoria, il silenzio finto e scricchiolante si ruppero nel preciso istante in cui fu Peeta a cedere, appoggiando incautamente le sue rosee labbra sul collo bianco di Katniss, così dolce e profumato.
La Ghiandaia sussultò e, subito dopo, si lasciò voltare da quei palmi sporchi di farina ma così delicati. Si sedette con cautela sul tavolo, dopo aver spostato alcuni ingredienti, ma il mattarello cadde lo stesso a terra, ignorato da entrambi, che sorrisero.
La situazione, però, si stava ripetendo, uguale identica, alla notte dell'episodio, eppure questa volta sembrava loro di poter capire quando avrebbero dovuto fermarsi, si sentivano più maturi, più forti. Ma forse ci si sente sempre così, in situazioni del genere: non erano affatto più maturi, ma si sentivano tali. Si sentivano dannatamente invincibili, per loro il futuro era improvvisamente diventato qualcosa di controllabilissimo - era buffo, addirittura, che per gli altri non fosse così già da molto tempo.

I baci diventarono sempre più intensi, si mordevano, si cercavano e si bramavano. Non potevano più stare soli, dovevano unirsi, completarsi, come il sole e la luna, come la notte ed il giorno; uno non poteva esistere, senza l'altro.

Eppure il terrore, c'era quel fottuto terrore che attanagliava loro le viscere, soprattutto quelle di Katniss. Era spoglia degli indumenti superiori, i baci di Peeta scendevano sulle cicatrici della sua pelle, del suo seno, verso l'ombelico, e le sue cosce stringevano forte il ragazzo che amava: sembrava tutto meravigliosamente perfetto.
Eppure qualcosa stonava, nell'aria. L'ansia, la tensione ed il disagio che le percorrevano a brividi la spina dorsale non la tranquillizzavano affatto, anzi.
«È esattamente come l'altra volta.» Sussurrò, tra un bacio e l'altro, interamente irrigidita, riferendosi alla notte dell'episodio.
«Posso contenermi.» Rispose lui; un altro bacio. «Sai che posso farlo...»
«No...» Ribattè Katniss «Tu non puoi contenerti, Peeta. Non riuscirai a contenere il mostro, lo sai.» Queste parole, così vere e schiette, sembravano averlo colpito come una lama affilata. Si bloccò ed indietreggiò appena, per un istante senza più aria nei polmoni.
«Sono... sono un mostro per te?» E lo chiese con gli occhi lucidi, grandi ed azzurri di un bimbo.
«No, no...» Perché ogni volta che parlava, povera Katniss, sbagliava?
«Ma lo hai detto. Hai detto che non riesco a contenere il mostro. È questo che pensi realmente?»
«Peeta...» Mugugnò lei, in imbarazzo.
«Dimmelo.» Quei dolci palmi non la toccavano più, e lei si sentiva di fargli schifo, ora.
«No. No, non penso questo. Ma quella parte di te è mostruosa... dai, lo sai.» Le salirono le lacrime agli occhi e mai come allora ebbe un ricordo più nitido: percepì infatti nuovamente le dita di Peeta strizzarle la gola come se fosse un animale, e dovette scrollare la testa con energia prima di riuscire ad acquistare un minimo di lucidità da formulare almeno un'altra frase: «Mi... mi fai paura quando vuoi uccidermi...» Ed infine scoppiò, volto distrutto di una ribellione ormai così passata, che aveva portato tante morti, tanta distruzione. Non ce la fece più a tenersi tutto dentro, ed il pianto che seguì fu solo uno dei tanti che aveva sempre voluto fare ma, per orgoglio, aveva soppresso.
Peeta, dal canto suo, capì.
Capì cosa intendeva Katniss, con la sua definizione di "mostro", con quell'irrazionale paura che le leggeva nelle iridi di metallo, e si dispiacque di non poter essere tutto ciò che lei desiderava e che si meritava.

Con un dolore sordo al centro del petto raccolse la camicetta di Katniss e gliela riadagiò sulle spalle, coprendo le nudità; voleva anche abbracciarla, provava dolore nel vederla in quelle condizioni, ma non voleva spaventarla. Si rivestí a sua volta, con calma, e si passò stancamente le mani sul volto, respirando a fondo, in cerca di quiete. I singhiozzi di Katniss, però, riempivano l'aria e gli giungevano alle orecchie in modo penetrante e stridulo, come il verso delle vecchie Ghiandaie chiacchierone.
Ad un certo punto, non resistette più: la prese in braccio e la strinse forte, come se non ci fosse un domani. «Cazzo, scusami, Katniss...» Sussurrò e piangeva anche lui, dentro «Scusami per quello che sono diventato... per quello che mi hanno fatto diventare.»
Di tutta risposta, lei lo strinse a sé ed affondò il naso nella sua spalla profumata. Era una stretta che poteva significare di tutto, ma Peeta capì il vero motivo, intrinseco e così intenso, che le parole non avrebbero saputo esprimere: Katniss lo amava per quel che era, qualsiasi cosa fosse. E non c'era nulla da perdonare, ma lo perdonava lo stesso, per qualsiasi cosa lui chiedesse pietà.
Peeta le baciò le labbra, di nuovo. Erano soli in quella casa, niente li avrebbe né sentiti, né disturbati, ma nessuno dei due aveva più la minima intenzione di spingersi oltre, non in quell'istante.
A quel punto, però, potevano definirsi più maturi, avevano finalmente affrontato quell'argomento che da troppo tempo omettevano a tutto: l'episodio. Perché non erano necessari né psicologi né dottori, ma solo loro due: loro due che dovevano parlare, confrontarsi, o perlomeno avere il coraggio di guardarsi negli occhi... di piangerle assieme, quelle dolci lacrime amare.





Buonasera ♥,
come va? Perdonate la mia assenza -anche- in questa storia. Rimedierò, sicuramente. ♥
Che dire di questo capitolo? Non poteva esserci un miglioramento senza la svolta costituita da un confronto verbale tra i due, dunque eccola qui. Spero vi sia piaciuto tutto; in ogni caso - positivo o negativo che sia - se mi riferite che ne pensate, ve ne sono molto grata.
Infine, volevo annunciarvi che mancano pochissimi capitoli alla fine di questa mini-long (penso 3!)
Grazie a tutti e buona serata!!

   
 
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