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Autore: Ilune Willowleaf    15/04/2005    8 recensioni
avete presente Philionel, il padre di Amelia? Si, immagino. E la madre? Di lei non si sa nulla... così, mi sono presa il grande divertimento di immaginare come si possano essere conosciuti e innamorati...
Genere: Avventura, Azione, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Philionel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia di Phil e Jesse
La storia di Phil e Jesse
Ovvero: chi ha sposato il principe più paladino della Giustizia della Penisola?!
-Sposami. -
-Eh?-
-Sposami, Jesse.-
-…
OK.-
Era cominciato proprio come una delle mie tante fughe da casa, per portare la fulgida luce della Giustizia anche nei paesi che non avevano la fortuna di essere nel regno governato da mio padre. Ancora sogghignavo alla faccia stupita delle guardie della mia scorta, come se avessi davvero bisogno di quel mucchio di salami per difendermi, quando ero sceso dalla carrozza per un bisognino, e non ero più tornato! Sicuramente Lucian, il mio precettore, avrà sclerato contro quei poveretti per tutto il tragitto fino a Saillune. E papà gli avrà detto di darsi una calmata, che in fondo ero grande e abbastanza responsabile… o almeno, lo spero…
Beh, ho venti anni, e, almeno in questo momento, non un pensiero assillante per la testa. Ci sarà tempo, per me, per regnare, e farmi venire i capelli bianchi… per ora, volevo solo diventare un vero paladino della Giustizia!!!
A un certo punto, un’esplosione, sul fianco della collina che mi apprestavo a costeggiare seguendo il sentiero, mi fece scattare avanti, tutti i sensi all’erta, pronto a intervenire per far calare il Pungo della Giustizia su chi avesse attentato alla vita di innocenti…
“Perché pensano sempre che una donna sola sia una preda facile? E la smettessero di chiamarmi ‘bambola’, ‘pupa’ o, peggio, ‘bocconcino’…” quella mezza dozzina di sfigati aveva usato questi tre termini in sequenza… proprio la cosa che mi fa più imbufalire. Così, anziché per la spada, optai per un robusto Gray Bomb, seguito da una scarica di Flare Bit. Alla fine, assomigliavano un po’ a una grigliata mista.
Quando mi voltai, mi accorsi che un ragazzo, arrampicato su un albero, stava blaterando qualcosa sulla Giustizia che si sarebbe abbattuta col suo pungo su blablabla.
Gli scoccai una delle mie occhiate peggiori.
-Beh, che vuoi?-
-Beh, che vuoi?-
Quelle tre parole mi smontarono completamente. Altro che Pungo della Giustizia, quella ragazza aveva risolto tutto da sola! Mi sentii un po’ inutile, lo ammetto.
Scesi con un salto, decisi per un carpiato avvitato, uno dei miei preferiti, nonché il più coreografico. Ma, dannazione, il ramo su cui ero non decise di spezzarsi proprio mentre stavo per saltare, facendomi franare naso a terra come un pivello? Il mio morale era sceso ai minimi termini.
Risalì di colpo quando lei si avvicinò, sedendosi sui talloni, punzecchiandomi con un rametto. Per Cephied, che schianto!!!
Più curve di una strada di montagna, tutte nei posti giusti…e quel costumino di pelle nera, che copriva meno di un costume da bagno… per me, abituato alle damine di corte tutte strizzate nei loro vestiti di decine di metri di stoffa, fu peggio di una scarica elettrica nel cervello.
Quando, immagino rosso come un pomodoro, riuscii ad alzare lo sguardo sul suo viso, incrocia lo sguardo di occhi verdi e curiosi, orlati da ciglia rossicce, in un viso fittamente punteggiato di efelidi.
Mi fissava… beh, sai che novità, chi è che non mi fissa? Ho un bel fisico, e sono fiera di mostrarlo. Era diventato rosso come un pomodoro maturo, fino alla punta delle orecchie. Smisi di punzecchiarlo col bastoncino… era un bel ragazzo… mascella robusta, un naso dal profilo nobile, anche se un po’ arrossato dalla caduta, e occhi blu e penetranti. I capelli gli stavano sparati un po’ in tutte le direzioni, non sapevo se naturali o per effetto della caduta. Sorrisi.
-Stai bene?- gli chiesi.
-Sono morto e ora sono in paradiso…- disse. Cielo, che battuta scontata. Mi rialzai.
-Mi spiace per te, ma non sei morto, e io non sono un’amorevole angioletta. -
Con una notevole ripresa, si alzò, si spolverò i vestiti, si rassettò i capelli, che spuntavano in due ciuffoni da dietro le orecchie, mi prese per mano, e mi chiese -Qual è il tuo nome, incantevole creatura?-
Come potevo non chiederglielo? In quell’istante decisi che l’avrei seguita. Ragazze così si incontrano una sola volta nella vita!!!
-Jesse. - mi rispose -E tu?-
-Phil. - decisi di non rivelarle che ero il principe ereditario di Saillune. Di solito, ciò fa uno strano effetto sulle ragazze: le rende terribilmente svenevoli, appiccicose e, temo, interessate più alla corona che porterò un giorno, piuttosto che a me.
-Behe, Phil, è stato un piacere conoscerti. Ora, se non ti dispiace, dovrei andare…-
-Dove sei diretta?-
-Erch… a Tolemai…-
-Ma guarda che coincidenza, anche io vado in quella direzione!!!- bugia. Quella strada mi avrebbe riportato vicino a Saillune… ma pazienza!
Capii subito che era una balla. E vidi che non aveva la benché minima intenzione di mollarmi la mano. Beh, almeno era carino. Sospirai.
-Beh, se non ti dispiace lasciarmi la mano, io vorrei incamminarmi…-
Arrossì di nuovo, e mi lasciò la mano, scusandosi. Risi. Doveva avere pressappoco la mia età, pensai, ma sembrava un ragazzino alla sua prima cotta.
Camminammo un po’, in silenzio.
-Phil, perché viaggi?-
-Beh, per portare la Giustizia dove essa manca. E poi, anche perché mi piace molto. Si possono incontrare un sacco di persone interessanti. E tu?-
-Beh, perché piace anche a me. Vedere posti nuovi, conoscere nuove persone… c’è tempo nella vecchiaia, per mettere radici da qualche parte…-
-Saillune ti piace?- mi chiese, a bruciapelo. Dall’accento, pareva proprio un Sailluniano.
-Come città o come regno?-
-Entrambe. -
Pensai alcuni istanti su questa domanda.
-Beh, mi piace sia il regno, sia la capitale. È un bel posto, le tasse non sono pesanti e la gente è ospitale. Diciamo che, nel caso un giorno avessi voglia di fermarmi, forse lo farei in qualche città del regno di Saillune.-
Ciò parve rallegrarlo.
Le sarebbe piaciuto fermarsi a Saillune, un giorno o l’altro! Credo che la mia espressione sia stata come quella di un bambino davanti a una torta al cioccolato, con la prospettiva di potersela mangiare tutto da solo senza lavarsi le mani… ma più che cioccolato, Jesse faceva pensare al peperoncino.
Ridendo e scherzando, scoprii che aveva diciannove anni, che era originaria di Zephilia, ma che aveva girato parecchio ultimamente. Era anche brava con la magia, o almeno così si era vantata. Il suo recovery dette però un notevole sollievo al mio naso, ancora rosso e gonfio dalla caduta. Quando disse che col naso a posto ero molto più carino, credo di essere tornato color aragosta…
Ma guarda che carino… solo perché gli ho detto che col naso non tumefatto sta molto meglio, è diventato tutto rosso. È colto, lo si capisce da come parla. Sa tantissime cose. Mi sa però che fa parte di qualche ordine o similiari… infarcisce ogni suo discorso di buoni sentimenti, e ogni tre parole c’è un “giustizia”, “pace”, “amore” o roba simile. Però, tutto sommato, dopo un po’ ci si abitua. Mi ero stancata, in effetti, di girare da sola. Mi ero raccontata tutte le storie che conoscevo, oramai! ^_^
Un piccolo villaggio ai piedi di una collina. Un posto semplice, ideale per passare la notte. Avevo avuto l’accortezza, prima di partire, di imboscare nella mia sacca da viaggio degli abiti da viaggiatore, così non si sarebbe capito subito che sono il principe… cosa che sarebbe stata logica, se girassi sempre con tutti quegli abiti lussuosi e complicati che invece a mio cugino piacciono tanto…
Un ristorantino con vista sulla vallata, e una cenetta niente male… con una vista ancora meglio! E non parlo mica del tramonto sul bosco, ma del viso di Jesse. Mi stavo innamorando di brutto…
“Che strano. Un uomo che mi fissa la faccia anziché il decolté. Quando sorride è carino. Sembra impossibile che abbia solo un anno più di me. Sembra molto più piccolo. Ingenuo, ecco. Perché di fisico… Non mi sono mai interessata troppo seriamente ai ragazzi, ma su di lui un pensierino potrei anche farcelo.”
Questi erano i miei pensieri durante quella cena sul belvedere. Ammetto di aver alzato un po’ troppo il gomito. Non ho una grande resistenza all’alcool, ma quel vino bianco ingannevolmente dolce era assai più alcolico di quanto il mio fegato potesse permettermi.
A fine serata, ero ciucca, e le gambe mi facevano giacomo giacomo. Quando ci alzammo, l’oscurità già calata, per andare nelle rispettive camere, fu il mio turno di cadere come una pera cotta…
Da come beveva, pensavo avesse una resistenza maggiore all’alcool. Invece, non riusciva a reggersi in piedi, e ridacchiava come una sciocchina. Era adorabile.
-Su, coraggio, ti aiuto a tornare in camera. - le disse, prendendole un braccio e passandomelo sulla spalla.
Ridacchiò.
-In camera? Non è che cerchi di fare il furbo, Phil?- chiese, sorridendo.
-Certo che no, Jesse. Sono un bravo ragazzo, io! Ti metto a nanna, e vedrai che con una bella dormita domattina starai meglio. - l’avevo portata praticamente a peso su per le scale, e nella sua stanza. La feci sedere sul letto, e la aiutai a cavarsi gli spallacci. Mamma mia, ma come faceva a portare quei due blocchi di metallo puntuto su quelle spalle così, almeno in apparenza, delicate?
Mi cinse il collo con le braccia.
-Mmm… fermati un po’, Phil…- mi disse. Ero rosso come un pomodoro. Il suo profumo era così… così sensuale, che non fu facile per me staccarmi.
Fece l’offesa.
-Cattivo…- mise il broncio. Era A-D-O-R-A-B-I-L-E.
-Adesso mettiti il pigiama e vai a dormire. Domattina mi ringrazierai. - sorrisi. Poi feci una cosa che non credo avrei avuto il coraggio di fare se lei fosse stata sobria e io non fossi stato alticcio: la baciai. Sulla punta del naso.
La vidi arrossire, forse in un attimo di lucidità, e prima che potesse decidere di scagliarmi addosso un vaso o di saltarmi addosso e violentarmi lì sul posto, mi eclissai in camera mia.
Mi svegliai nel letto, vestita, a parte gli spallacci e gli stivali, ordinatamente piegati sulla e sotto la sedia.
Mi sentivo la bocca come se ci avesse fatto il nido uno strano animale, e lo stomaco che reclamava a gran voce qualcosa di caldo e dolce… un bel tè, magari.
Sciolsi la treccia alta in cui raccolgo la mia chioma rossa, e spazzolai i capelli, cercando di fare mente locale su quanto accaduto la sera prima.
Dunque, avevamo cenato. Colpo di spazzola.
Chiacchieravamo. Colpo di spazzola.
E bevevamo. Colpo di spazzola.
Una bottiglia in due. Ma io ho bevuto assai più di lui. Colpo di spazzola.
E poi? Ah, si, poi ci siamo alzati… e sono caduta. Non mi reggevano le gambe.
La mia mano rallenta i colpi delicati e precisi di spazzola.
I ricordi si fanno sfocati. Le scale, e io che canto qualche canzone… spero non una di quelle sboccacciate, come la conta delle osterie…
Phil che mi accompagna in camera…
Mi alzo di scatto, controllando centimetro per centimetro letto, tappeto, pavimento…
No, nessuna macchia di sangue.
I ricordi si fanno più nitidi. Cielo! L’avevo invitato a rimanere! Avevo cercato di sedurlo!!! Non berrò mai più una goccia d’alcol, promesso.
Ma poi… mi ha tolto il mantello, io non lo piego così…
E mi ha baciato. Sul naso. Ed è andato via.
*arross arross arross*
“Con che coraggio lo guarderò in faccia, stamattina?” mi chiedevo. Ero nel panico.
Un bussare deciso mi strappò per qualche istante alle mie seghe mentali.
-Jesse? Sei sveglia? Ho ordinato la colazione, di sotto, e hanno fatto le focaccine con le uvette e il miele! Vieni, finché sono calde!-
Focaccine con uvette e miele… come faceva a sapere che sono le mie preferite? Il mio stomaco non era d’accordo col mio pudore, che avrebbe voluto farmi seppellire in quella camera nei secoli dei secoli (amen!), e dopo una luuunga battaglia (circa 3/10 di secondo) vinse lo stomaco. Mi infilai gli stivali saltellando come un grillo, afferrai il mantello, e uscii di corsa, travolgendo quasi il povero Phil per le scale.
Essere investiti da qualcuno che scende le scale di corsa di solito non è piacevole… ma se quel qualcuno è Jesse, con un’espressione estatica al profumino delle frittelle, beh, non è poi così male!
Due secondi dopo, era al nostro tavolo, a ingozzarsi di frittelle. Ricordavo che ieri mi aveva accennato che erano i suoi dolci preferiti, così le ho fatte preparare per colazione. Incredibile cosa possa fare un “per favore” e l’aria di chi corteggia galantemente una fanciulla.
Una frittella le si era impuntata in gola, e le porsi pronto una tazza di tè. Mi ringraziò con un sorriso.
Attaccai anche io la colazione, e per qualche minuto non ci fu conversazione, ma solo il tintinnio di coltelli e forchette. Mamma mia, come erano buone!!!
Quando mi fui fatta fuori una dozzina di frittelle (con buona pace della linea… per fortuna, camminare tanto e usare la magia aiutano molto a mantenere un fisico da schianto), osai alzare lo sguardo su Phil. Aveva finito anche lui, e le briciole appiccicose di miele sui baffetti gli davano un’aria assai meno seria… o forse era il sorrisone?
-Ti senti meglio, stamattina?-
-Alla grande. Non c’è niente che una buona dormita e una colazione a base di frittelle all’uvetta e miele non possano guarire!- rispose, altrettanto allegra.
-Ieri sera eri ciucca bene. Prometti di non arrabbiarti se ti confesso una cosa?- mi chiese, serio. In quel momento ero troppo felice e satolla di frittelle per arrabbiarmi…
-Che cosa?-
-Beh, ieri sera eri alticcia… così ne ho approfittato per fare una cosa che non avrei mai avuto il coraggio di fare se fossi stata sobria…-
Stavolta furono le mie guance a farsi di fuoco. No, non poteva celarsi un maniaco, dietro quel faccino da bravo ragazzo…
-Ti ho dato un bacio sulla punta del naso…- mi confessò, rosso.
Rimasi senza parole. Con la mascella penzolante. Non per l’innocente gesto in sé, ma perché io mi stavo di nuovo tormentando con seghe mentali enormi, mentre lui arrossiva per un gesto così innocente e … dolce.
Sorrisi.
-Beh, allora devo ricambiare…- mi allungai sul tavolo, baciandolo sulla punta del naso.
Adesso era lui ad avere gli occhi pallati e la mascella sul piatto.
-Non… non sei arrabbiata?-
-Non… non sei arrabbiata?- le chiesi, stupefatto.
-Perché dovrei esserlo?- mi sorrise di rimando, piegando la testa di lato. Era troppo carina… -Mi hai riportato nella mia camera mentre ero alticcia, mi hai messo a letto senza spogliarmi, e hai resistito alle mie avances da ubriaca… non credo che molti uomini sarebbero così rispettosi. Un bacio sul naso…- sorrise -ti avrei perdonato sorridendo anche un bacio sulla guancia.- appoggiò il mento sul dorso delle mani.
-Beh, allora la prossima volta oserò sulla guancia!- risi.
-Non credo accadrà di nuovo che io mi ubriachi… ho imparato al lezione!- rise.
Ci alzammo, e dopo un po’, raccolti i bagagli e pagato il conto, ci apprestammo ad andarcene.
Mi prese per mano. MI PRESE PER MANO!!!
Come due scolaretti delle elementari!!!
Era rosso come un pomodoro… ormai cominciavo a pensare che quello fosse il suo colore naturale ^_^;;;
Ma la cosa più assurda era che io CI STAVO! Cioè, non strattonai per staccarmi, non divincolai le dita… anzi, le strinsi. E arrossii anche io.
Che mi stava prendendo? Mi sentivo una ragazzina alla prima cotta…
Non so con che coraggio le presi la mano. E non so dove trovai la faccia tosta per non lasciarla, malgrado il mio imbarazzo fosse totale. Se mi avesse visto qualcuno che mi conoscesse, sarei morto di vergogna sul posto. Per mano come i bambini! Ma non avrei lasciato quelle belle dita affusolate per nulla al mondo.
Decisi che avrei aspettato ancora un paio di giorni, poi le avrei chiesto di sposarmi. Beh, si un po’ precipitoso… ma mi piaceva tutto di lei. La risata, il modo di sorridere… come fissava accigliata chi le diceva qualcosa di sgradevole… come quel carrettiere che la chiamò “bella cavallona”… non credevo che un uomo potesse volare così in alto con un doppio uppercup. Non so cosa mi sia preso… di solito non sono così manesco… beh, non sempre. Diciamo che in casi simili avrei preferito metodi meno definitivi… ma nessuno, NESSUNO poteva insultare la MIA Jesse.
“Mia”? Ommamma, ero proprio cotto.
Pensavo fosse capace solo di parlare… quel’uppercup al mento di quell’insolente carrettiere mi ha fatto cambiare un po’ idea. È forte, e ha anche tecnica. Quando gli ho chiesto perché non usasse più spesso quella forza, mi ha risposto che di solito la usa per difendere chi ne ha bisogno… e grazie al cielo, a Saillune ciò capita di rado.
La mia stima per lui cresceva di giorno in giorno. Non avevo mai incontrato un ragazzo così.
Dopo un paio di giorni di cammino e di notti all’addiaccio (con tanto di raffreddore annesso… il mio naso si screpolò tutto, ma Phil trovò delle erbe con cui fece un decotto a dir poco miracoloso!), arrivammo in vista di Tolemai.
È una piccola cittadina, poco più di una macchiolina sulle carte geografiche del regno (manco della penisola! Lì non compare neanche!), ma era il paese natale della mia maestra di magia bianca, che, pace all’anima sua, era finita male in uno scontro contro un demone, e col suo ultimo alito di vita aveva chiesto di essere seppellita nella tomba di famiglia.
Erano passati sei mesi dalla sua morte, ed adesso, per la prima volta, avevo avuto il coraggio di venirla a trovare. Prima, le ferite erano troppo fresche, e dolorose.
Mi raccontò perché era voluta venire in quelle quattro case in croce che rispondono al nome di Tolemai. Francamente, conoscevo il nome di questo villaggio solo perché lì, in quella valletta, producono una varietà di uva per la quale il mio fratellino Cristopher va pazzo, e che papà gli fa portare apposta, ogni autunno.
Più ci avvicinavamo, più il suo volto si faceva dolce, perso in ricordi, che, intuivo, dovevano avere un sapore dolceamaro.
Sembrava più giovane e più… delicata.
Arrivammo che era ormai il crepuscolo inoltrato.
Camminammo per le strade, a dir poco spettrali. Le finestre chiuse e sbarrate, le porte serrate, un appestante odore di aglio nell’aria. Su alcuni stipiti c’erano stracci neri, paramenti a lutto forse.
Cos’era successo? E perché quell’odore di aglio, tanto forte da stomacare?
Un sasso mi fischiò vicino all’orecchio, e uno mi ferì la guancia. Un grido di sorpresa mi fece voltare verso Jesse, sul cui braccio pallido era fiorita una striscia di sangue. Le feci scudo col mio corpo, mentre le pietre e le teste d’aglio (? O.O) fischiavano attorno a noi.
Una macchia di luce, e un’altra, e un’altra ancora.
Erano torce. E noi eravamo circondati da una folla di contadini.
Erano magri, pallidi, dalle profonde occhiaie, e stringevano in mano paletti aguzzi e forconi. Paletti? Mi sarei aspettato piuttosto mannaie…
-Vampiri! Vampiri! Dagli ai vampiri!- quello che era cominciato come un grido isolato, divenne il grido cacofonico di un centinaio di voci arrochite.
“Vampiri? Quegli sciocchi ci hanno scambiati per VAMPIRI?! Come si può scambiare una fanciulla dolce e delicata come me per uno schifoso NON MORTO?!” ora ero davvero infuriata. Il che può essere MOLTO pericoloso. Mi accinsi a castare un Grey Bomb, ma la mano di Phil mi trattenne -No. Non hanno colpa. Sono spaventati. - mi disse. Di colpo mi parve assai più maturo. Allungò un braccio a farmi scudo, mentre con l’altro mi circondava le spalle. Sentii un sussulto, quando una pietra lo colpì al gomito.
-Dannazione, qui si mette male… - mormorai.
-Mi vedo costretto a fare una cosa che non avrei voluto fare per nulla al mondo in questo viaggio. - lo udii, come in risposta alla mia constatazione.
“Si picchia?” pensai, esultante. Sono sempre stata una mezza teppista…
Invece, lui cavò di tasca una cosa.
Un sigillo.
Il…IL SIGILLO REALE!!!
E quelli… QUELLI SI INGINOCCHIARONO!!!
Profondendosi in profondissime scuse verso il… il… PRINCIPE PHILIONEL EL DI SAILLUNE ?!?!?!
Credo che in quel momento la mia faccia dagli occhi pallati e dalla mascella penzolante potesse competere, e vincere, al campionato mondiale delle facce più idiotamente stupefatte. Dico davvero, eh…
L’immagine mentale del “giovane principe” che mi ero fatta fin da bambina (biondo, occhi celesti, in calzamaglia bianca e calzoncini a sbuffo azzurri, sul bianco destriero) mi crollò addosso come una tonnellata di mattoni sul coppino…
Mi domando quante fanciulle hanno avuto o avranno la stessa sorpresa, con Phil… Anzi, Philionel El di Saillune, mi corressi.
C’è però da dire che aveva un’aria davvero regale, mentre rassicurava i contadini che chiedeva al capovillaggio cosa diamine stesse accadendo…
Beh, per aver scoperto che sono il principe ereditario di questo paese, mi aspettavo una faccia un po’ meno pallata di quella che Jesse esibì per due minuti buoni.
In effetti, nessuno dei principi sailluniani corrisponde allo stereotipo del principe-azzurro-biondo-e-snello, dato che siamo tutti ben piantanti, mori e con gli occhi blu, tranne Randy che, almeno per ora, è biondo, ma sta sviluppando un nasone che è il pianto di mamma…
Comunque, il capovillaggio ci portò a casa sua, e di fronte a una tazza di tè caldo ci raccontò tutto (mentre, nel frattempo, la gente si era di nuovo sprangata in casa).
Da alcuni mesi si verificavano strani casi di anemie, morti improvvise, dapprima di piccoli animali, poi di grossi capi di bestiame, e infine di persone. Tutti venivano trovati dissanguati. Una ragazza, prima di morire, aveva fatto in tempo a scrivere nella povere la parola “Vampiro”, e secondo il mago del villaggio, la cosa coincideva.
Avevano tentato di trovare il nido del vampiro, ma inutilmente.
Promisi che avrei fatto tutto il possibile per aiutare il villaggio, subito, di persona.
-Ma oramai è tardi, Altezza, e voi sarete stanco… permettete che vi offra ospitalità nella mia umile dimora…-
Quella gente era spaventata e frustrata, ma erano bastate poche parole di Phil per far tornare il sorriso e la speranza su quei volti smagriti. Sorrisi. Si, biondo o bruno, aveva l’animo del buon principe.
A conti fatti, non mi sono mai piaciuti i biondi…
Ma cosa andavo pensando?
Phil aveva promesso il suo aiuto per debellare il vampiro, e in cuor mio non potei che approvare. Ma approvai anche l’offerta di tè prima, e di letto poi, del capovillaggio.
Aveva due stanze per gli ospiti, e mi potei concedere, prima del sonno, anche una bella rinfrescata con dell’acqua e una pezzuola.
Il materasso era soffice e caldo, e ben presto mi addormentai…
Fu una voce a destarmi. Una voce familiare, una voce che tante volte aveva salutato il mio risveglio…
-Jesse! Jessica! Svegliati, piccina!!!-
Anita? Come era possibile? Era morta… la mia maestra era stata uccisa da un demone…
Eppure era lì, di fronte a me. Con la sua bella tunica bianca immacolata, e i boccoli biondi (quanto glie li avevo sempre ammirati e invidiati!) che scendevano come oro su spalle e schiena.
-Jesse, sveglia, piccolina!- mi allungava la mano, invitante.
“È un sogno”, pensai. Il mio corpo non mi rispondeva, proprio come in un sogno, mentre mi alzavo dal letto, scostando le coperte, e camminando a piedi nudi sull’assito scricchiolante verso la donna che tanto ha sempre fatto per me.
Sentii le sue braccia circondarmi, gentili, come quando mi aveva presa con sé, dopo la morte dei miei genitori.
Ma le sue mani erano fredde, e le labbra che si posarono sulla mia fronte avevano una sfumatra bluastra. Un intenso odore di gigli aleggiava attorno a lei, ma non riusciva a celare quello sottile e persistente di terra umida e grassa.
-Jesse, la mia piccola sorellina… la mia allieva prodigio…- mi sussurrò -Mi hai seguito in tanti posti, mi seguirai anche adesso…-
Sentivo con orrore le sue labbra fredde scendere sul mio collo, sentivo i denti canini aguzzi e taglienti come rasoi… ricordo che gemetti quando mi lacerò la gola, iniziando a bere il sangue che scendeva…
Mi svegliai di colpo, in un bagno di sudore, eppure gelato come se fossi stato per ore sotto la pioggia. Il guanciale era umido, così come le coltri. Mi alzai, ma il mio pensiero non cercava di ricordare cosa avessi sognato.
Jesse.
Jesse, dovevo andare da lei.
Jesse era in pericolo!
Non chiedetemi come lo sapessi. So solo che avevo questa certezza.
Uscii nel corridoio, incurante degli sbuffi freddi e umidi che mi gelavano il petto nudo.
Non pensai neanche per un istante a cosa avrei detto, o fatto, se l’avessi trovata pacificamente addormentata nel suo letto… e io lì sulla porta, solo coi pantaloni, nel cuore della notte.
La mia mano calò decisa la maniglia della stanza.
Chiusa.
A chiave.
Dannazione!
Forse… forse stava dormendo davvero…
Stavo per andarmene, dandomi dell’idiota, quando un gemito mi fece voltare indietro.
Proveniva dalla stanza di Jesse.
Jesse!
Non pensai un attimo alle conseguenze: mi buttai con tutti i miei ottanta e oltre chili di peso e muscoli sulla porta, che cedette con uno schianto.
La scena che mi trovai di fronte mi paralizzò per un istante.
Una donna alta, bionda, dall’aria esile, reggeva il corpo di Jesse come una bambola. La bocca, contorta in un ghigno ferino, era lorda di sangue… sangue che gocciolava dalla gola della rossa…
-JESSE!- urlai, scagliandomi contro la donna bionda. Contro il vampiro.
Riuscii ad assestare uno dei miei pugni, ma mi sembrò di colpire un’asse di quercia ben stagionata, e la donna non accusò alcun colpo…
Stringeva a sé Jesse, possessiva.
Mi ricordai di una cosa che avevo in tasca… un emblema sacro di Cephied, dono di mia madre. Benedicendo la premura di quella santa donna che è mia mamma, lo afferrai, e lo scagliai contro il vampiro. Questa urlò, contorcendosi, quando il simbolo sacro le bruciò e le ustionò la mano, e lasciando cadere Jesse, fuggì dalla finestra, mutata in un osceno pipistrello.
Il mio urlo e quelli del vampiro avevano destato tutta la casa, e pochi minuti dopo il capovillaggio e sua moglie accorsero, per trovarmi già chino su Jesse. Non sono mai stato un genio nella magia bianca, ma grazie a Cephied quelle ferite non erano profonde, e dopo una notte e una mattinata di veglia e recovery, Jesse riaprì gli occhi, pallida, debole, ma ancora viva.
Mi svegliai con un mal di testa atroce.
Phil dormiva con la testa poggiata sulle braccia, sul mio letto.
Quando tentai di alzarmi, un terribile capogiro mi costrinse a coricarmi di nuovo.
Cos’era accaduto?
Lentamente, i ricordi della notte tornarono a galla.
Anita! Anita era…
Piansi.
L’Anita che avevo conosciuto e amato, l’Anita a cui dovevo tutto, era diventata un vampiro. E aveva cercato di uccidermi.
I miei singhiozzi destarono Philionel. Non mi chiese perché piangessi. Non mi chiese nulla. Mi abbracciò, e tra le sue braccia piansi tutte le mie lacrime per il destino peggiore della morte cui era incorsa colei che era stata per me maestra, madre, sorella, amica.
Jesse pianse per quella che mi parve un’eternità.
La moglie del capovillaggio le portò qualcosa da mangiare, e mentre si sforzava di mandare giù qualcosa, Jesse ci raccontò tutto della sera precedente.
Il capovillaggio mandò immediatamente una squadra a controllare al cimitero, nella tomba di Anita… che fu trovata vuota.
-Gigli. Odorava di gigli. - disse Jesse, stringendo le coperte.
-C’è solo un posto dove crescono i gigli. - affermò la moglie del capovillaggio -All’ansa del fiume, accanto alla grotta. -
Mi alzai.
-Bene. Andrò, e la distruggerò. Di giorno, i vampiri dormono, e sono indifesi!-
-No. Ci vogliono diverse ore per arrivarci, e sarebbe già scuro. Partiremo domattina all’alba, principe. - si permise di dire il capovillaggio. Si, in effetti era sensato.
-Va bene. Ma stanotte resterò a fare la guardia a Jesse. Sembra che la vampira abbia particolare interesse per lei. -
La vidi arrossire, anche se non ho mai saputo se per l’idea di dormire nella stessa stanza con me, o se piuttosto per il fatto che una donna non-morta avesse interesse per lei.
Feci portare anche dell’aglio, per sicurezza, e malgrado la puzza atroce, la notte trascorse tranquilla.
Dormire nella stessa stanza con Phil! Beh, lui si mise su una sedia, vicino alla testata del letto, dopo aver tappezzato porta e finestra di aglio (bleha, io non sopporto l’aglio… ma meglio l’odore di aglio che il morso di un vampiro. Ancora mi doleva…), sonnecchiando, pronto a intervenire, tutta la notte.
Che dolce.
Il mattino arrivò troppo presto per i miei gusti, dato che avrei voluto dormire ancora. Phil mi propose (non riesco ancora a chiamarlo Philionel… mi suona troppo pomposo e importante per questo ragazzone un po’ grezzo…) di restare al villaggio a riposarmi, ma rifiutai con forza.
Non so perché volessi vedere con i miei occhi la fine di Anita. Ma dovevo andare anche io.
Camminammo di buona lena tutta la mattina. Gli uomini che avevano deciso di venire con noi conoscevano la strada più breve, ma era anche la più ardua. A un certo punto non ce la feci più, e Phil, senza dirmi nulla, mi caricò in spalla.
Lo lasciai fare.
Cominciavo a trovare quella sua cavalleresca mania di proteggermi quasi piacevole.
Arrivammo alla grotta. Riconobbi subito l’odore dei gigli d’acqua, che crescevano sul praticello di fronte, tra l’imboccatura e il fiume. Il loro profumo era quasi stordente.
Ci addentrammo nella grotta, con delle torce, i sensi all’erta.
Era fredda, umida, dallo strano odore dolciastro di putrido. Piccole carcasse animali costellavano il pavimento, e un cadavere umano in stato di avanzata putrefazione, che fu riconosciuto come una piccola vagabonda che girava in zona fino a tre mesi prima, giaceva scomposto in un angolo.
In fondo, c’era della terra che non apparteneva alla grotta. Quella della grotta era argillosa e giallastra, portata dalle piene del fiume. Questa era nera e grassa, come terra di cimitero. ERA terra di cimitero.
Fiori freschi, fiori appassiti, fiori putrefatti circondavano il mucchietto di terra. Il profumo di quelli freschi si mischiava all’odore di putrefazione. Era disgustoso.
Gli uomini si misero all’opera, e iniziarono a rimuovere quella terra nera, impastata di fiori.
Jesse, accanto a me, guardava senza vedere quel mucchio nero e bianco. Tremava. Le presi la mano, e mi rivolse un’occhiata tra lo spaventato e il deciso.
-Eccola. - disse uno degli uomini, spostandosi per permetterci di vedere.
Era la donna che avevo scacciato nella notte, la riconobbi subito. La tunica bianca era sporca di terra e di sangue, e un profondo segno rossastro, come un’ustione da poco guarita, le sfregiava il braccio destro, che avevo colpito col mio amuleto sacro. La bocca era atteggiata in un placido sorriso, ma era incrostata di sangue secco.
Nessuno dei contadini pareva avere il coraggio di avvicinarsi. Quel volto bellissimo e al tempo stesso orrendo parve togliere loro ogni forza di volontà.
Strappai di mano a uno di loro un aguzzo paletto di rovere, e cercai una grossa pietra.
Se loro non avevano il coraggio, beh, allora l’avrei fatto io!
Poggiai il paletto sul cuore di quella creatura… mi accorsi che mi tremava la mano…
Quando una mano snella e pallida si posò sulla mia. Era Jesse, sorrideva, appena appena.
-Non posso lasciarla in questo stato di non-morte. La sua anima deve trovare il giusto riposo. - sussurrai. Phil annuì, sorridendo a sua volta. Non credo abbia idea di quanto quel suo sorriso mi dette il coraggio di fare quello che facemmo. Guardai come una punizione per il mio gesto il volto di Anita, mentre Phil abbassava la pietra, e trafisse il cuore fermo e freddo, facendo schizzare sangue… tutto quel sangue, e l’urlo di Anita, così inumano, così… demoniaco.
Urlò, e urlò, mentre il sangue scorreva fuori di quel corpo sempre più secco, e le mani sempre più deboli artigliavano l’aria. Il sangue scorreva, e rendeva la terra un fango orrendo e appiccicoso, macchiava le mani, i visi, i corpi di Phil e me, mentre lacrime scendevano sulle mie guance.
Poi il grido, l’atroce urlo inumano, scemò, e rimase a guardarmi con quegli occhi colmi di rabbia, mentre tutto il corpo si disfaceva in polvere… Anche gli occhi divennero polvere, e allora scoppiai a piangere.
Poi accadde qualcosa di incredibile.
Dal mucchietto di cenere e polvere, si levò una specie di fumo biancastro. Quel filo di fumo assunse un aspetto vago, fumoso, ma una figura che conoscevo…Anita!
Mi sorrise, dolcemente.
-Grazie…- mi sussurrò, prima di svanire, aria nell’aria.
Sentii Phil che mi circondava le spalle con le braccia.
-Abbiamo fatto la cosa giusta, Jesse. - mi sussurrò, aiutandomi ad alzarmi.
Era finita.
Basta, Jesse, mi dissi. Smetti di piangere, torna la ragazza tutta d’un pezzo che sei sempre stata!
-Se avete finito di tremare, possiamo anche tornare al villaggio, non trovate?- mi rivolsi ai contadini, prostrati a terra dall’urlo atroce e inumano.
Questi, lentamente, si rialzarono, e dopo poco tornammo al villaggio.
Ma prima raccolsi alcuni di quei gigli, posandoli sulle ceneri biancastre.
Durante il ritorno, non spiccicò parola. Era ancora debole e malferma sulle gambe, il salasso di sangue non le aveva fatto granché bene (ho l’impressione che sia già un po’ anemica di suo), e non oppose resistenza quando me la caricai di nuovo in spalla.
Al villaggio organizzarono una grande festa. Balli e canti e danze in nostro onore.
Ma Jesse non si vedeva.
La cercai, e infine la trovai, in camera.
-Phil! Non si entra nella stanza di una ragazza senza il suo permesso!- schivai per poco una ciabatta volante.
Sorrisi. Era tornata la Jesse peperina di prima. Francamente, le fanciulle graziose e delicate da proteggere sono graziose, ma dopo un po’ stufano. La Jesse peperina mi piaceva molto di più di quella depressa e piangereccia.
Bussai sulla porta aperta.
-Posso entrare?- chiesi.
La sentii sbuffare -Beh, dato che oramai ci sei…-
Sedemmo sul letto, in silenzio. La musica saliva dalla piazza fino a lì, ma era attutita, perché la finestra dava sul giardino, nel retro.
-Jesse…-
-Si?-
beh, stavolta glie lo chiedevo. Davvero.
-Sposami.-
-EH?-
-Sposami, Jesse. -
-…
OK. -
EH? NON CI POSSO CREDERE!
MI HA CHIESTO DI SPOSARLO!!!
E IO GLI HO RISPOSTO DI SI!!!
Non credo di essere stata perfettamente lucida, in quel momento.
Ma devo dire che non me ne sono pentita.
Adesso mi guardo allo specchio. Stanno dando gli ultimi tocchi al velo, e l’abito bianco ondeggia puro e virginale attorno alle mie caviglie. Spero solo di non fare un volo micidiale, con questi tacchi…
Le avevo chiesto di sposarmi. Beh, certo non mi aspettavo che rispondesse “OK”. Ma oramai, conoscendola, non posso dire che non avrei dovuto aspettarmelo.
Mamma non l’ha presa molto bene, dato che sognava per me una principessa d’alto rango, o quantomeno una nobile. Ma Jesse l’ha conquistata. Papà… papà ha detto che sono un ragazzo dannatamente fortunato.
Anche se non avessero approvato, comunque, me la sarei sposata.
Rido, pensando a quando l’ho presentata come mia fidanzata a una festa. C’è stato un vespaio di damine e attempati tutori e genitori. Addio principe d’oro!!! Se l’è preso la rossa tutta pepe!
Beh, è ora di andare. Un’ultima occhiata all’abito… perfetto. Waow, sono davvero elegante. Infatti mi sento legato come un salame…
È ora di andare. In fondo, avevo detto che, se mi fossi fermata da qualche parte, un giorno, avrei scelto Saillune. Beh, mi sono fermata proprio bene!
Oh, Phil sembra davvero impacciato, in quell’abito!
…perché mi sento le spalle trafitte da decine di occhiate malevole? Saranno le ragazze a cui ho “soffiato” Philionel, presenti in chiesa? ^^;;;
-Philionel El di Saillune e Jessica Mizar, io vi dichiaro marito e moglie. –
E il resto, è storia.
Piaciuta? Spero di si! È venuta molto più lunga di quanto non avessi preventivato all’inizio, ma, si sa, le storie sai quando le inizi, ma non sai quando le finisci!!!
Uno speciale GRAZIE a Samiel, il mio ragazzo, con il quale mi sono divertita un sacco a immaginare come Philionel potesse essere stato da ragazzo, come potesse essere la madre di Naga e di Amelia, e soprattutto di come due così avessero potuto incontrarsi e innamorarsi!!!
Ombra e acque fresche
Ilune Willowleaf
  
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