Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
Segui la storia  |       
Autore: Yuki Delleran    24/05/2017    1 recensioni
« Com'è potuto succedere?! »
La voce di Shiro, resa sferzante dalla frustrazione, risuonò per il ponte di comando del castello. Il Paladino Nero lo stava percorrendo a grandi passi ormai da diversi minuti, i pugni stretti lungo i fianchi e l'espressione tormentata. Keith sapeva che non lo avrebbe mai accusato direttamente, ma poteva leggere nel suo sguardo tutta la fiducia che aveva riposto in lui venire tradita.
« Avrei dovuto esserci io con lei! »
Keith s'irrigidì e distolse istintivamente gli occhi: non riusciva a sostenerne lo sguardo, non con quel senso di colpa a gravargli sulla coscienza. Si era offerto di andare al posto di Shiro per tenerlo al sicuro, ma mai si sarebbe aspettato un risvolto del genere. Pidge era dispersa, non riuscivano a raggiungerla nemmeno con il canale di comunicazione del castello, e la cosa peggiore era che lui aveva avuto solo una minima esitazione prima di abbandonarla al suo destino. Avrebbe potuto affermare che era rientrato per seguire gli ordini, per essere di supporto a tutti loro, ma la realtà era un'altra: non era stato all'altezza del suo compito.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: Le canzone citata è "Hero" di Enrique Iglesias.
Beta: Lillabulleryu & MystOfTheStars
Word count: 4261  (fdp)

 

Ancora prima di aprire gli occhi, Pidge si rese conto di essere sveglia per via del brusio di voci attorno a lei. C'era qualcuno, probabilmente appena fuori dalla stanza in cui si trovava, che stava parlando a bassa voce: concentrandosi, riusciva a distinguere le parole.
« É stato durante la cerimonia per ridare energia alla terra. »
Quella sembrava Allura, chissà di cosa stava parlando?
« L'ho percepito chiaramente, è stato come una sorta di contraccolpo. Ad un tratto il flusso del potere si è invertito, non più da me e dal cristallo della nave, ma direttamente dal centro del pianeta. Mi chiedo se questo abbia qualcosa a che fare con quello che mi hai raccontato. »
« Non me lo spiego. Laggiù non siamo riusciti a combinare nulla, se non a far sentire male Pidge, davvero non saprei. »
Era Shiro, c'era anche lui con Allura. Alle loro voci se ne aggiunse un'altra.
« É stato grazie al guardiano del nucleo che è tornato alla vita. I silvarboriani dicono che si tratta di un miracolo. Non ho basi scientifiche e tecniche per affermarlo, ma che il nucleo si sia riattivato è un dato di fatto e che sia accaduto nel momento in cui vi trovavate là è altrettanto reale. »
Era Lass, senza dubbio. Quindi il nucleo di Silvarboris era di nuovo vivo, la missione era andata a buon fine, anche se non ricordava esattamente cosa fosse successo. Rammentava il caldo, la pressione sempre più fastidiosa, l'aria irrespirabile e il fatto che avesse iniziato a darle alla testa, ma da lì in poi era tutto molto fumoso. Aveva incontrato una strana creatura che assomigliava ad una volpe verde? Possibile? Doveva essersela sognata, non poteva esserci nulla di vivente nel nucleo di un pianeta.
« Sia come sia, Shiro, dovresti andare a riposare un po'. » continuò Allura. « Pidge sta bene, anche le apparecchiature del castello hanno diagnosticato che sta solo dormendo, di certo si riprenderà presto. »
« Lo so, ma voglio essere con lei quando si sveglierà. Avrò tutto il tempo di riposare dopo. »
Pidge sentì alcuni passi allontanarsi e altri farsi più vicini a lei; fu in quel momento che decise che fosse giunto il momento di aprire gli occhi.
Nella vaga confusione che ancora sentiva in testa, si rese conto di trovarsi in una stanza sconosciuta. Non era nel castello, probabilmente si trattava di una delle capanne dei silvarboriani. Le pareti sembravano fatte di rami e foglie e, dal soffitto di arbusti intrecciati, filtrava una pallida luce verde. Spostando appena lo sguardo, vide Shiro seduto accanto al giaciglio su cui era stesa; la prima, inspiegabile sensazione che provò fu di un tuffo al cuore. Confusa, si portò una mano al petto e quel gesto attirò l'attenzione del Paladino Nero, che le fu subito accanto.
« Pidge, sei sveglia? Come ti senti? » le chiese con un tono di voce gentile, posandole una mano sulla fronte.
Quel contatto improvviso e non previsto le provocò un inspiegabile aumento del battito cardiaco, mentre un assurdo rossore le saliva alle guance. Che diavolo stava succedendo?
« Ah... io... bene, credo... »
Da quando balbettava in quel modo ridicolo?
« Shiro, puoi venire un attimo? Dovresti vedere questi dati. »
La voce che proveniva dall'esterno apparteneva senza dubbio a Coran e Shiro si alzò con aria di scuse.
« Vado a vedere di che si tratta e torno, non starò via molto, scusami. Manderò Keith a farti compagnia. »
Detto questo uscì velocemente e Pidge tirò un sospiro di sollievo, sentendo la tensione allentarsi: non aveva idea di cosa fosse accaduto, forse un effetto collaterale di qualche medicina aliena, si augurava comunque che svanisse in fretta.
Keith sopraggiunse solo un paio di minuti dopo, scostando la tenda che copriva l'ingresso, con l'espressione di chi avrebbe preferito trovarsi sulla nave di Zarkon piuttosto che lì. Si sedette accanto al giaciglio e rimase in silenzio, lanciandole alcune occhiate.
Quando l'atmosfera si fece troppo strana, fu la ragazza stessa a spezzare la tensione.
« É successo qualcosa? » chiese con un'ombra di preoccupazione.
Keith scosse la testa.
« No, solo che... non avevo ancora avuto modo di scusarmi personalmente come si deve per... beh, per averti lasciata indietro. E poi sono felice che tu stia bene, Katie. »
Pidge stava per dire che non aveva davvero nulla di cui scusarsi, che la colpa era tutta sua e che non doveva più pensarci, ma sentirsi chiamata in quel modo le bloccò le parole in gola. Una smorfia di disagio si dipinse sul suo volto mentre sviava lo sguardo.
« Facciamo così, ti perdono a patto che non mi chiami mai più in quel modo. »
La sua espressione doveva essere talmente disgustata che strappò a Keith un sorriso, facendolo rilassare.
« Stai bene davvero. » fu il commento accompagnato da una risatina. « Quando ti abbiamo sentita dire quelle cose ci siamo preoccupati, abbiamo pensato addirittura che l'atmosfera di Silvarboris, fuori dalla barriera, contenesse alcuni componenti allucinogeni. »
L'espressione di Pidge si fece di nuovo attenta: non ricordava di aver detto o fatto qualcosa di strano, a malapena aveva immagini sfuocate della loro missione, di cui non conosceva nemmeno l'esito.
« Di cosa stai parlando? Anzi, raccontami, com'è andata esattamente? »
E Keith glielo raccontò, lasciandola sempre più incredula ad ogni parola e riportandole alla mente, a poco a poco, quello che credeva fosse stato un sogno. Aveva davvero incontrato il guardiano del nucleo, erano davvero riusciti a ridare vita al pianeta e... aveva davvero detto quelle cose a Shiro.
Si coprì il volto con le mani: una cosa del genere non era prevista, non sarebbe mai dovuta succedere e ora si spiegava anche le inaspettate reazioni emotive del suo corpo. Ah, dannazione, era un completo disastro!
A peggiorare quella già precaria situazione, giunse proprio Shiro, di ritorno dalla nave con un sorriso soddisfatto.
« I parametri di attività del nucleo sono costanti, sembra proprio che non ci saranno altri problemi. »
« Anche qui va tutto bene. » lo informò Keith posandogli una mano sulla spalla prima di uscire.
Shiro tornò ad occupare il posto dove si trovava il Paladino Rosso, ma Pidge si ritrasse istintivamente verso il lato opposto del letto.
« Senti... penso che sia davvero una pessima idea... » mormorò facendo di tutto per non guardarlo e, proprio per questo motivo, non avendo idea di come stesse reagendo Shiro. « Voglio dire, non so cosa mi stia succedendo, o meglio, lo so ma questo non significa che lo approvi. É come se una password non prevista avesse sbloccato alcune funzioni nascoste di un programma. Queste funzioni, però, rischiano di mandare in corto circuito l'intero sistema e, insomma, io sono un hacker e so bene che questo sarebbe un grosso problema. Quando si cerca di crackare un programma ma non si hanno tutti i requisiti necessari, il sistema finisce per avere una reazione di rigetto verso l'invasore e, spesso, entrambi gli apparecchi rimangono danneggiati. Questo per dire che io... »
Una mano posata sulla sua la indusse finalmente a voltarsi: Shiro stava sorridendo. Aveva un'espressione leggermente imbarazzata ma l'aria di chi sapeva esattamente di cosa si stesse parlando.
« I requisiti ci sono tutti e sono certo che nessuno dei due apparecchi subirà danni. »
Si schiarì la voce e cercò i suoi occhi.
« Non sono particolarmente bravo con questo genere di metafore, ma quello che volevo dire è: sei sempre stata diretta in tutto quello che dovevi dire, non hai bisogno di fare giri di parole con me. Puoi dirmi quello che vuoi. »
Pidge sentì un nodo stringerle la gola e scosse la testa.
« Tanto sembra che io l'abbia già detto, no?! » esclamò con un tono che uscì più raschiante del dovuto.
Gli occhi le si inumidirono senza motivo e questo la mandò su tutte le furie.
« Maledizione! » esclamò, strofinandoli energicamente. « Maledizione, maledizione!!! »
Shiro le afferrò i polsi, allontanandole le mani dal viso per impedirle di farsi del male.
« Anch'io ero preoccupato, anch'io ero spaventato, ma mi spaventa molto di più l'idea di perderti. Katie... »
Chissà perché il suo nome pronunciato da Shiro non le dava la stessa sensazione di fastidio che detto da altri? Al contrario, nel sentirlo provava un senso di calore e di nostalgia che la faceva stare bene.
« Oh, al diavolo, e va bene. » sospirò. « Nonostante sia contrario a tutti i miei principi, alle convenzioni sociali, alle gerarchie militari e probabilmente a miliardi di altre regole di cui ora come  ora non m'importa un fico secco, mi piaci. »
Lo disse tutto d'un fiato, senza guardalo, e solo una carezza sulla guancia la indusse a riportare lo sguardo sul volto che aveva di fronte: Shiro sorrideva, nonostante le guance arrossate e l'espressione ancora un po' incerta.
« Posso dire che delle convenzioni sociali e delle gerarchie militari non importa un bel niente neanche a me, così come del fatto che se fossimo sulla terra probabilmente mi arresterebbero? E che non sono mai stato più felice che tu fossi sincera con me? »
Pidge si ritrovò a sorridere a propria volta.
« Presto riuscirò a gestire tutto questo, quella volpe verde può stare a vedere! »
« Oh, non vedo l'ora! » rispose Shiro e questa volta non restò particolarmente stupito quando lei gli stampò un bacio sulle labbra.

La partenza era stata fissata per il giorno successivo. Dopo aver verificato varie volte i parametri di attività del nucleo, era ormai certo che fosse tornato a pieno regime e anche Lass sosteneva che nel giro di una generazione, massimo due, Silvarboris sarebbe tornato al suo antico splendore e alle sue foreste lussureggianti. Da parte sua, come ultimo discendente della razza primigenia, nonché “sacerdote” della dea Silva, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per mantenere l'equilibrio ed essere d'aiuto agli abitanti.
Per quella sera i silvarboriani avevano tentato di organizzare un'altra festa, questa volta di addio e ringraziamento ai loro salvatori, ma alla fine ben pochi erano riusciti a prendervi parte: a Pidge era stato vietato di alzarsi dal letto finché non si fosse del tutto ripresa, Shiro era rimasto con lei, ma, una volta sciolta la tensione, era crollato e si era addormentato a sua volta. Allura era convalescente dalla cerimonia e doveva risparmiare le forze in vista del prossimo salto nel wormhole. Hunk, Coran e Lance, dal canto loro, erano stati felici di partecipare, anche se quest'ultimo ancora risentiva del cattivo umore instillatogli da Keith durante la missione.
La festa si protrasse fino ad un'ora tarda e i silvarboriani furono prodighi di canti, balli, e cibo: ora che la vita sarebbe tornata sul pianeta, i suoi stessi abitanti sembravano aver scoperto una nuova energia.
Sulla via del ritorno verso il castello, mentre ancora erano ebbri della musica e di tutte le lodi che erano state loro dedicate, notarono una figura solitaria che li attendeva a lato del sentiero.
« Keith... » lo riconobbe Hunk. « Va tutto bene? Ti sei perso una bella festa. »
Il Paladino Rosso annuì con un'espressione strana.
« Sì, volevo solo scambiare due parole. Lance, ti spiace...? »
A sentirsi tirare in causa, l'altro s'irrigidì per un attimo: Keith era sparito per tutta la sera lasciandogli addosso quella sensazione di irritato disagio, quindi ora cosa voleva? Discutere di nuovo?
Ignorando il suo stato d'animo, Hunk gli rifilò una gomitata complice.
« Allora io credo proprio che andrò a letto. Sono cooooosì stanco! E tu, Coran? »
« Ah, penso che andrò a vedere come sta la principessa, poi seguirò il tuo esempio. Non fate tardi, ragazzi. »
Quell'ultima battuta, fatta in tono paterno, imbarazzò Lance, che si sentì per un attimo perso quando li vide allontanarsi. Il pensiero della vicinanza di Keith lo agitava, e non solo per il battibecco avuto il giorno prima. Non sapeva come comportarsi, a maggior ragione perché l'altro rimaneva in silenzio a fissarlo.
« Di cosa volevi parlare? » capitolò infine Lance, incapace di reggere oltre la tensione.
Keith esitò per un momento, iniziando a camminare nella direzione opposta al castello, come se desiderasse esserne il più lontano possibile, in modo che le sue parole non venissero udite.
« In realtà volevo scusarmi. » mormorò dopo alcuni istanti, mentre Lance si affannava a seguirlo per non perdersi nemmeno una sillaba. « Mi dispiace, non avevo capito che fossi... geloso. »
Se Lance era stato anche solo minimamente ben disposto, dopo l'ultima parola l'intenzione evaporò.
« Ehi! Non ero affatto geloso, che scemenza! Cosa te lo fa pensare? » sbottò arrossendo. « Geloso di te, poi! Bah! »
« Non ho mai detto che fossi geloso di me. Anzi, pensavo lo fossi di Shiro. »
Un'affermazione che bastò a gettare Lance nel panico: si era tradito con le proprie mani? Quante chance di fraintendimento aveva? Poteva ancora negare? Di certo Keith non avrebbe capito che si riferiva a...
« Eri davvero geloso di me? »
Colpito e affondato.
« Niente affatto! »
Keith stava sorridendo, incredibile ma vero, e non si trattava affatto di un'espressione di scherno. Aveva un'aria terribilmente carina, con le guance leggermente arrossate e lo sguardo sfuggente; Lance provò l'impulso di gettarsi in uno dei cespugli che costeggiavano il sentiero, per evitarsi tutto quell'imbarazzo. Questo, però, gli venne impedito da Keith stesso che, abbandonando la strada tracciata, si addentrò in una piccola radura, lasciandosi poi cadere sull'erba fresca. Lance rimase in piedi accanto a lui, sulle spine.
« Beh, è un peccato, ne sarei stato felice. » fu il commento che lo raggiunse.
Ne sarebbe stato felice? Non poteva certo significare quello che Lance stava pensando e che gli stava procurando una preoccupante tachicardia. Keith, tuttavia, non sembrava intenzionato a lasciargli il tempo di metabolizzare.
« Senti, Lance... » continuò. « Mi canteresti ancora la canzone dell'altra sera? »
Rassicurato all'idea di muoversi finalmente su un terreno conosciuto, Lance tirò un sospiro di sollievo e si sedette sull'erba al suo fianco, portandosi sulle ginocchia lo strumento che, fino a quel momento, aveva tenuto appeso ad una spalla.
« “Sale el sol”? Certo, volentieri. I silvaboriani mi hanno anche regalato la chitarra! Era ora che anche tu iniziassi ad apprezzare Shakira e... »
« No, quella dove dicevi di poter essere il mio eroe. »
Ora ne era certo, Keith lo faceva apposta, stava tentando di fargli venire un infarto. Inoltre, non avrebbe dovuto sapere niente di quelle tre parole che aveva accennato, visto che, teoricamente, si era addormentato.
« Non credo che... » fu il suo ultimo, strenuo tentativo di sfuggire alla situazione, stroncato da un: «Per favore... » pronunciato con un tono talmente fievole che Lance si sarebbe sentito un verme a rifiutare.
Imbracciò quindi la chitarra e tentò di concentrarsi il più possibile sugli accordi, per non pensare a quello che la canzone, che lui stesso, stava dicendo.

« Would you dance if I asked you to dance
Would you run and never look back
Would you cry if you saw me crying
Would you save my soul tonight

Would you tremble if I touched your lips
Would you laugh oh please tell me this
Now would you die for the one you love
Hold me in your arms tonight »


Mentre pronunciava le ultime parole della strofa, Lance sentì la propria voce tremare leggermente e si augurò che Keith non lo notasse. In ogni caso, per nulla al mondo si sarebbe voltato a guardarlo. Sapeva benissimo che, in caso contrario, non sarebbe mai riuscito ad arrivare alla fine.

« I can be your hero baby
I can kiss away the pain
I will stand by you forever
You can take my breath away »


E sarebbe stato disposto a farlo davvero, se Keith gliel'avesse permesso, se avesse capito cosa si celava dietro le sue battute, i battibecchi, gli scherzi o semplicemente le parole di una canzone.

« Would you swear that you'll always be mine
Would you lie
Would you run and hide
Am I in too deep
Have I lost my mind
I don't care you're here tonight

I can be your hero baby
I can kiss away the pain
I will stand by you forever
You can take my breath away »


Lance abbassò la chitarra e la posò sull'erba, mentre l'eco dell'ultima nota si perdeva nell'aria. Keith lo stava fissando e i suoi occhi avevano un'espressione vagamente persa: aveva davvero capito? Lance non lo sapeva, non riusciva ad immaginarselo, sentiva solo un nodo in gola che quasi gli impediva di respirare. Non aveva la più pallida idea di come fosse riuscito a cantare fino a un attimo prima.
Poi, finalmente, Keith parlò, con un tono di voce fin troppo calmo per il momento che era.
« Faresti quello che volevi fare l'altra sera? »
« Quello che...? »
Lance gracchiò quella mezza domanda senza riuscire ad articolarne una più sensata.
« Sì. Ho avuto l'impressione che stessi per fare qualcosa, ma alla fine hai rinunciato e ti sei messo a dormire. Fallo adesso, per favore. »
Keith chiuse gli occhi, lì di fronte a lui, e Lance ebbe la certezza che il suo cuore stesse per esplodere. Le mani gli tremavano in modo imbarazzante mentre si posavano sulle sue guance e gli scostavano appena i capelli. Probabilmente Keith lo avrebbe ucciso, ma ormai erano in ballo. Prese coraggio e si sporse in avanti, avvicinando il proprio volto al suo, fino a posargli le labbra sulla fronte.
Si ritrasse di scatto, con le guance in fiamme e il desiderio impellente di darsela a gambe.
Un istante dopo, Keith lo stava fissando e quei grandi occhi scuri esprimevano soprattutto confusione.
« Beh? Tutto qui? E io che credevo volessi baciarmi. »
« Scusa tanto, Kitty-boy, se pensavo che non fossi... d'accordo... Lo sei...? »
L'esclamazione, iniziata con un tono scocciato, si affievolì fino all'ultima, stentata domanda. Lance davvero non sapeva quale forza astrale lo portasse a parlare ancora.
« Sarei qui, altrimenti? »
E Keith, dannazione, Keith stava facendo di tutto per farlo uscire di testa.
Nessuno dei due aggiunse altro, si limitarono a fissarsi per una manciata di secondi ancora prima di decidere che non c'era più spazio per le parole.
« Vada come vada! » si ritrovò a pensare Lance, mentre le sue labbra cercavano quelle di Keith più appassionatamente di quanto pensasse.
Pochi istanti dopo, senza nemmeno capire come, si ritrovò steso sull'erba, con Keith sopra di lui che gli baciava il collo ed era talmente piacevole e coinvolgente che dalle sue labbra sfuggì un gemito che somigliava troppo ad un'invocazione.
Lance faticò a riconoscere la propria voce e, se fosse stato un po' più presente a sé stesso, se ne sarebbe vergognato a morte. In quel momento, però, quel particolare aveva ben poca importanza rispetto al calore delle labbra di Keith sulla sua pelle e quanto, nonostante questo, gli dessero i brividi. Che fosse per il contrasto tra i loro due elementi? L'acqua spegneva il fuoco, ma non sembrava decisamente quello il caso, si ritrovò a pensare, mentre affondava le dita nei suoi capelli scuri e lo attirava di nuovo verso la propria bocca.
« PALADINI! Questa è una comunicazione d'emergenza! Rientrate immediatamente al castello! »
La voce di Allura rimbombò nel silenzio della notte, amplificata dagli altoparlanti, spezzando i respiri affannati di entrambi, e a Lance scappò un lamento, questa volta di frustrazione.
« Non ci credo... » mormorò lasciando ricadere la testa all'indietro, nell'erba.
Neanche a dirlo, Keith era già in piedi, con i capelli solamente un po' arruffati e un'espressione vagamente infastidita che non differiva di molto da quella abituale.
« Che fai ancora lì, Lance? La principessa ci sta chiamando. » lo apostrofò, come se non gli fosse saltato addosso appena un minuto prima.
Lance si produsse in una smorfia, portandosi le mani al petto in un gesto teatrale.
« É mortificante, lo sai, Kitty-boy? Mi sento usato e gettato via. »
La mano che Keith gli allungò per aiutarlo ad alzarsi, venne prontamente accettata, mentre questi gli rivolgeva un'occhiata perplessa.
« Gettato via? Cosa ti fa credere che non riprenderemo il discorso appena sistemata anche questa faccenda? Magari nella mia stanza, questa volta. »
L'aveva detto senza la minima traccia di ironia o malizia e Lance si ritrovò a scuotere la testa e sospirare, prima di baciarlo di nuovo, a bruciapelo.
« Su, andiamo a sentire cosa vuole ancora l'universo da noi! »

L'allegro cicaleccio della festa era arrivato fino alla capanna dove Pidge stava riposando e in parte alla ragazza era dispiaciuto non potervi partecipare. A giudicare dalle risate, dalla musica e dalle canzoni, doveva essere stata una serata divertente. Tuttavia, a ben pensarci, non avrebbe scambiato quelle ore tranquille con niente al mondo: aveva sudato sette camicie per convincere Shiro a sdraiarsi accanto a lei sul giaciglio. Alla fine, complice la stanchezza e la giornata lunga, l'aveva avuta vinta. Shiro era crollato addormentato poco dopo e lei era rimasta ad osservarlo per un po', prima di raggomitolarglisi contro, come la sera prima.
Venire a capo di quel sentimento così contorto, di cui aveva preso coscienza in modo troppo anomalo, non sarebbe stato facile, ma ci si poteva lavorare. Inoltre, averlo vicino la faceva sentire bene e le dava gioia, quindi di tornare indietro non se ne parlava.
Avendo dormito per buona parte della giornata non si sentiva più così stanca, per questo si soffermò a guardare l'altro riposare, mentre la sua mente vagava. Il guardiano del nucleo le aveva detto che, a volte, la salvezza del singolo poteva essere parte della salvezza dell'intero universo: era un pensiero interessante dal punto di vista di qualcuno che si era sempre sentito ripetere che il valore di pochi individui rispetto alla sopravvivenza della massa era relativo. Capiva l'importanza della regola che era stata loro imposta; non la condivideva, come spesso le sue azioni e quelle degli altri del gruppo avevano dimostrato, ma poteva comprenderla. Invece quel nuovo ideale era affascinante nell'importanza che dava all'individuo nella sua singolarità: il guardiano del nucleo aveva dato valore ai sentimenti di una semplice umana senza nessun potere e venuta da chissà dove. Sapere che erano state quelle emozioni, impalpabili e prive di sostanza, e non qualche potentissima magia a salvare il pianeta, era una sensazione straniante ed euforizzante allo stesso tempo.
Persa nei suoi voli pindarici, non si era resa conto che le sue dita si erano messe a giocherellare con i capelli di Shiro, attorcigliando e lisciando alcune ciocche del ciuffo bianco che gli ricadeva sulla fronte. Solo quando sentì un paio di occhi scuri puntati su di sé, tornò con i piedi per terra.
« É così interessante guardarmi dormire? » chiese Shiro con un mezzo sorriso e Pidge avrebbe potuto imbarazzarsi, arrossire e balbettare qualche scusa come da cliché della ragazzina innamorata, ma aveva avuto due ore di tempo per ragionarci su e il solo pensiero di quelle reazioni la faceva rabbrividire. Quella consapevolezza non sarebbe bastata a cambiare il suo modo di essere.
« Sì, è uno spettacolo niente male. » rispose, ricambiando con un'espressione furbetta. « Spero di poterlo ammirare spesso. »
A quelle parole, ebbe la soddisfazione di vedere Shiro sviare lo sguardo.
« Beh, non avevi detto di apprezzare il mio essere diretta? Quindi adesso mi chiedo cosa stai aspettando a darmi il bacio del buongiorno. Fin adesso ho fatto tutto io. »
Trattenne una risata quando vide lo sguardo di Shiro vagare verso la tenda che copriva l'ingresso, in cerca di una qualsiasi risposta.
« É ancora notte. » fu il misero tentativo.
« Fiscale. »
Pidge gonfiò le guance fingendosi offesa, almeno finché Shiro non le sfiorò la guancia con una mano, posandovi poi un bacio leggero.
Probabilmente non era l'unica a doversi abituare a quella nuova condizione e Shiro, nonostante fosse quello grande e grosso, sembrava più in imbarazzo di lei.
« Ci dobbiamo lavorare, eh? »
« Ci lavoreremo... »
Pidge scoppiò a ridere e si sporse in avanti, ma proprio in quel momento la voce di Allura raggiunse anche il villaggio dei silvarboriani, incitando i Paladini al rientro.
« Il castello ha captato una richiesta di aiuto, dobbiamo muoverci subito! Rientrate immediatamente! »
Pidge sbuffò leggermente.
« Coran non aveva detto che Allura era stremata dalla cerimonia? » brontolò, non riuscendo a trattenere un tono vagamente polemico.
« Katie... »
« Lo so, lo so, e anch'io sono d'accordo che la missione sia la cosa più importante. Solo speravo di avere un po' più di tempo. »
Shiro le sorrise con espressione comprensiva, scese dal letto e si sporse in avanti per sollevarla tra le braccia. Pidge, colta alla sprovvista, lanciò uno strillo sorpreso e si aggrappò al suo collo, d'istinto.
« Cosa stai facendo?! Mettimi giù! »
Shiro ridacchiò per un attimo ed ignorò le proteste, avviandosi verso l'uscita.
« Sei convalescente, non posso permettere che ti affatichi. E in questo modo guadagniamo un po' di tempo. »
Senza aggiungere altro si mise in marcia verso il castello e a Pidge non restò altro da fare che assecondarlo e godersi il calore del suo abbraccio mentre un sorriso spontaneo si dipingeva sul suo volto.

Quella notte, alla sola luce delle stelle che scintillavano sullo sfondo nero dell'universo infinito, il Castello dei Leoni partì da Silvarboris lasciandosi alle spalle una scia incandescente e la gratitudine di un intero popolo. Con sé portava la grande luce della speranza, la salvezza di tutti. Quella sera, su quel pianeta sperduto, ad essa si erano unite nuove piccole luci sbocciate nel cuore di ognuno.

 

 

 

 

Yuki - Fairy Circles

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender / Vai alla pagina dell'autore: Yuki Delleran