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Autore: JoeyTre    25/05/2017    1 recensioni
Che cosa succede quando il passato è un mistero che tormenta il presente? Kim è una ragazza combattiva e sicura di sé, ma un mistero che riguarda le sue origini la trascinerà alla pericolosa scoperta della sua identità.
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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piccola

Cammino piano, lungo una strada in salita. E' tutto tranquillo qui. Forse fin troppo. Non c'è nessuno accanto a me, eppure sento di dover scappare. Ho paura, anche se non so ancora di chi.
Fa freddo, anche se c'è il sole. Ci sono degli alberi ai lati di questa strada deserta, e sembrano bellissimi. Hanno quei fiori rosa tanto delicati, i cui petali vengono portati via dal vento freddo, e cadono vorticosamente per terra, creando un tappeto morbido sull'asfalto gelido.
Non so dove sono, ma devo scappare. O morirò. Proprio come lei.


"Kim! Kim dove sei?"
Spalanco gli occhi quando sento la voce di mia madre che mi chiama dalle scale. Sono in camera mia, ma ho bisogno di qualche secondo per realizzarlo, dato che lo è diventata solo da qualche giorno.
"Sì, mamma. Sono qui" biascico con tutte le mie forze. Ma mia madre non deve aver sentito molto bene, complice forse l'età che avanza senza pietà. Quindi sale le scale, e bussa con forza alla porta della mia stanza. Il rumore mi spacca la testa.
"Andiamo, signorina. Vuoi far tardi proprio ora che sei la nuova arrivata a scuola? Cosa penseranno di te i professori?!".
Giusto, sono la nuova arrivata qui al liceo di Princeton, in California. Proprio un ottimo motivo per buttarmi giù dal letto, devo riconoscere.
"Arrivo, dammi tregua sergente Dohmen".
La sento sbuffare dall'altro lato della porta.
Il lavoro di mia madre è uno dei più fighi del mondo, ma è anche uno dei più terribili in fatto di comodità. E' una ricercatrice per uno studio che riguarda la possibilità di ricavare acqua durante le grandi siccità della California. Per questo motivo, siamo costrette a spostarci di città in città ogni due, tre anni. Un ciclo perfetto per quanto riguarda la distruzione di tutte le mie amicizie.
Mi trascino fuori dal letto e apro la valigia che mi sono portata dietro. Non ho ancora avuto il tempo di sistemare le mie cose. Prendo una maglietta nera e dei jeans scuri. Lego i miei capelli viola in uno chignon spettinatissimo e prendo la mia borsa a tracolla.
"Eccomi, fresca e pronta come una rosa" borbotto mentre scendo le scale.
Mia madre mi guarda di sottecchi, e scuote leggermente la testa. E' avvolta in uno stretto abito da ufficio di uno strano giallo paglierino. Ha i suoi lunghi capelli biondi sciolti, e un paio di vertiginose scarpe con il tacco.
"Sei sicura di voler andare a scuola così?"
"E tu sei sicura di voler andare a lavoro così?" ribatto io, mentre afferro una mela che addento in fretta e lancio uno sguardo di sfida verso di lei. Mia madre alza gli occhi al cielo e si arrende.
"Lo so, lo so. Non abbiamo gli stessi gusti in fatto di moda".
"E questa è solo una delle mille cose che provano che sono stata adottata".
Sorrido, mentre lei si avvicina e mi stampa un bacio sulla fronte.
"Non condividere il profilo genetico è solo un fatto marginale. Tu sei mia figlia e lo sei sempre stata, okay? E ora vai a scuola e...come dicono i giovani oggi? Spacca tutto!".
Questa volta sono io ad alzare gli occhi al cielo, ma trattengo anche una risata.
"Sì, certo, spacco tutto" dico, mentre esco di casa per non perdere l'ultimo autobus della mattina.


 


E così eccomi alla Princeton High School. Un edificio grigio e tristissimo, con un giardino altrettanto più brutto. Rimpiango per un attimo la mia scuola precedente, dove ho speso gli ultimi due anni più belli della mia vita. Mi piaceva perfino un ragazzo, cosa alquanto rara. Gli avrei persino chiesto di accompagnarmi al ballo, se solo mia madre non mi avesse distrutto tutto con l'ennesimo trasferimento. Credo sia arrivato il momento di farmi forza. Inspiro profondamente.
I primi giorni in una nuova scuola sono sempre i più complessi. Non ho idea di dove siano le aule, di come siano i professori. Per non parlare del fatto che sono la nuova attrazione della settimana, e per questo dovrò sopportare le più svariate domande sul fatto che sono continuamente in giro per la California.
"Forza Kim, ce la puoi fare" mi dico, e mi sento anche una stupida mentre lo faccio. Ma d'altronde, non ho altra scelta. Devo superare questa giornata. Cammino verso l'entrata della scuola, ma qualcosa a lato della via attira la mia attenzione. Un albero dai fiori rosa. Esattamente come nel sogno che faccio da quando sono piccola. Mi blocco, perché le sensazioni che provo sono forti e nuove. E' come se avessi paura. Un presentimento orribile. Inspiro profondamente.
"Ehi, Kim Dohmen?"
Mi volto di scatto. Una ragazza di colore dai lunghi capelli ricci agita una mano per salutarmi. Stringe con l'altra una serie di libri, e indossa un vestitino lilla con piccoli fiori bianchi e gialli. Le dona tantissimo. In verità, penso sia davvero bella.
Sorrido forzatamente, più per cortesia. Non ho molta voglia di fare nuove conoscenze, sono ancora intrappolata in quel limbo in cui mi mancano i miei vecchi amici e non accetto l'idea di essere in una nuova città. In una nuova vita.
"In carne ed ossa. Chi la cerca?" rispondo.
"Sono Melanie Klayers, e sono a capo del consiglio studentesco. Mi hanno assegnato il compito di accoglierti qui alla Princeton High".
Annuisco.
"Beh, benvenuta, prima di tutto" continua Melanie, in evidente imbarazzo a causa del mio silenzio.
"Grazie, prima di tutto".
"Se vuoi seguirmi, ti mostro l'aula di matematica. Il professore è uno stronzo abissale, ma insomma... ti ci abituerai".
"Lo spero. Sono una frana in matematica".
"Benvenuta nel club" mi dice poi, mentre mi indica una enorme porta in legno massiccio.
"E questa sarebbe la nuova arrivata?".
Qualcuno alle spalle pronuncia queste parole con tono sprezzante.
Mi volto giusto in tempo per gettare il mio sguardo inceneritore nei confronti del ragazzo che mi fissa dall'alto dei suoi 190 centimetri. Degluisco.
"Che problemi hai?" sbotto, infastidita.
Il ragazzo mi scruta ancora per qualche secondo, in silenzio. Nel suo sguardo beffardo colgo una leggera sfumatura di insofferenza. Mi odia, senza nemmeno conoscermi.
"Nessuno, a parte che non mi aspettavo una come te".
"Andiamo Jake, lasciala stare" s'intromette Melanie, in evidente imbarazzo.
"Così come?" continuo io, incrociando le braccia. Il fastidio nei confronti di questo idiota è diventato odio.
"Insomma, guardati. Con quei capelli rosa e quell'aria dark. Chi cazzo ti credi di essere?" mi dice sicuro di sé.
"Speravo mi sbagliassi sul tuo conto" dico, avanzando verso di lui. Melanie cerca di fermarmi sfiorandomi un braccio, ma il suo tentativo sembra vano.
"Invece sei proprio lo stronzo che credo tu sia" dico, sferrando un pugno che colpisce la sua guancia destra.
Il colpo mi provoca un dolore acuto alla mano, ma a mio vantaggio gioca il fatto che nessuno dei presenti si aspettasse un risvolto del genere. A dire il vero, nemmeno io. Jake strabuzza gli occhi, portandosi una mano alla guancia colpita.
"E tu, capelli lilla, sei nei guai fino al collo".
"Viola" lo correggo, con aria di sfida "i miei capelli sono viola".
   
 
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