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Autore: Kat Logan    25/05/2017    4 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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“The ground beneath is shaking
The peace that we've been faking
The ground beneath is shaking
Who knew the silence was breaking.
The silence was breaking”.
 
Silence worth breaking - Brooke Annibale


 
 
 
 
Il dragone venne intrappolato sotto alla stoffa immacolata della camicia dal colletto ben stirato.
Haruka sospirò guardando il suo riflesso allo specchio. Indossò la giacca della propria divisa e il sorriso s’incrinò in una strana smorfia. Qualcosa di somigliante all’incredulità ma che nascondeva sfumature irriconoscibili anche a lei.
Mai avrebbe creduto di potersi vedere in quel modo; forse per una festa in maschera, ma non per davvero.
Nel suo profondo c’era uno scontro tra titani. Coesistevano due morali, due Haruka. L’una opposta all’altra e probabilmente avrebbero combattuto senza sosta sino a disintegrarla.
Si sentiva orgogliosa di quel traguardo; si sentiva degna di Michiru.
E allo stesso tempo credeva non le appartenesse l’immagine allo specchio. Il drago inciso sulla sua pelle non era stata solamente una menzogna per risultare credibile al clan. Per anni, aveva odiato quell’organizzazione con ogni respiro che aveva esalato. La Yakuza le aveva portato via suo padre e i bei ricordi dell’infanzia, eppure lei ne era diventata parte suo malgrado e per quanto lo detestasse sapeva di appartenere più a loro che a un rappresentate della giustizia.
Che stesse tradendo la sua stessa natura?
Le mani di Michiru che arrivarono dalla sua schiena a cingerle la vita interruppero quel turbine nero di pensieri.
«Sicura sia legale?» le domandò mordendosi il labbro inferiore e poggiandosi col mento nel mezzo delle sue scapole.
Haruka ridacchiò divertita.
«Sii più precisa, Michi».
«Tutto questo. Tu. E in particolare tu con questa divisa addosso».
Haruka era sempre stata un concentrato di bellezza agli occhi di Michiru. Abbagliante come il sole estivo.
Ma doveva ammettere che quel vestiario non l’aiutava. Vederla in divisa le dava alla testa.
«Me l’ha data lo stato, perciò è tutto regolare. Anche se detto da una come me suona come una balla atomica».
«Ooh ma dai!».
Haruka abbandonò il suo riflesso per voltarsi ed incrociare le profondità marine che nascondevano le iridi di Michiru.
Michiru si alzò sulle punte lasciandole un bacio sulle labbra.
«Sei sempre la mia Haruka» disse in un sospiro. «Ti amo in tutte le tue varianti, dovresti saperlo».
La bionda si sentì stranamente rincuorata da quelle parole e rinchiuse i suoi turbamenti dietro ad una porta blindata in qualche antro profondo di sé stessa. In fin dei conti Michiru aveva visto sin dal principio la parte peggiore di lei.  Se l’aveva sposata da delinquente non potevano che migliorare le cose.
 
«Il dovere mi chiama, moglie!» annunciò tronfia la bionda.
Michiru dovette concentrarsi per non scoppiare a ridere sguaiatamente.
«Anche il mio. Devo insegnare a delle allegre canaglie che la musica è bella in tutte le sue sfaccettature».
«Non fare innamorare troppi alunni».
Haruka le lasciò un bacio sulla punta del naso.
«E tu troppi delinquenti».
«Non posso prometterlo».
«Ruka…».
La bionda sfoggiò il sorrisetto più furbo di tutto il repertorio.
Michiru adorava quella faccia da schiaffi ma ne era tremendamente gelosa.
«Non è colpa mia se sono irresistibile!».
L’altra la pizzicò ad un fianco minacciandola con sguardo severo fino a farla indietreggiare sul pianerottolo.
«Attenta signora Kaiō».
«Cosa?! Come sarebbe a dire?! Io sono Ten’ō. Sei tu la signora Ten’ō ora, non sono io che ho cambiato cognome!» esclamò con uno schiocco di lingua la bionda.
«E questo chi lo ha deciso?!».
«Io!».
«Ahh, tu?!».
Michiru, accigliata, le lanciò le scarpe.
«No, Michiru dobbiamo parlarne!» protestò Haruka infilandosele ormai fuori dall’uscio con una sola mano mentre l’altra era troppo intenta a gesticolare per la questione appena sollevata.
Michiru le sorrise, ma non si trattava dell’incurvatura dolce che le riservava nei momenti di tenerezza. Era un sorriso da donna. Uno di quelli che non ammettono repliche, un silenzioso punto che chiudeva una faccenda sulla quale non era possibile avere un’opinione differente dalla sua perché si sarebbe dichiarata una guerra persa in partenza.
Non c’era che dire, tra le tante doti di miss Kaiō c’era anche quella di zittirla e metterla al proprio posto in cinque secondi.
 
 
***  
 
 
Sadao sprofondò con le scapole nel cuscino trovando un po’ di sollievo dal dolore.
Nei momenti ancora in preda all’anestesia, appena uscito dalla sala operatoria, tutto aggrovigliato su se stesso aveva tentato di aprire più volte gli occhi e in quelle immagini sfocate e distorte gli era parso di scrutare la sagoma di Rei fissarlo.
Non era arrabbiato con lei. Uno come lui d’altro canto non avrebbe mai potuto serbare rancore nemmeno se gli avessero amputato un arto.
Gli occhi rotearono dal soffitto per poi finire su una serie di riviste che alcuni amici gli avevano recapitato per passarsi il tempo in ospedale. Musica, moto e donne dagli abiti un po’ troppo succinti.
Ami aprì la porta senza annunciarsi e il ragazzo con un goffo tentativo cercò di nascondere sotto agli altri giornaletti quello un po’ più sconcio.
«Come andiamo signor Chiba?» domandò con tono garbato lei, richiudendosi la porta alle spalle.
«Uhm…» Sadao si sentì pieno di vergogna. Nemmeno nelle fasi più turbolente della pubertà si era ritrovato a sbirciare certe fotografie. Le donne gli piacevano certo, ma nel modo più puro e  ingenuo che ci si potesse aspettare da un tipo come lui. Provava un imbarazzo tanto profondo che il solo pensiero di passare per il vero proprietario di quel materiale gli paralizzò la lingua.
«Diamo una controllatina?» Ami si avvicinò cauta come se fosse in procinto di allungare una mano verso un’animale ferito.
Sadao tentò di tranquillizzarsi. Invocò tutti i santi da lui conosciuti scongiurando di passare indenne a quella visita senza risultare un maniaco sessuale.
Riuscì  a deglutire  e sillabò un timido: «Si-signor Chiba mi fa sentire un po’ vecchio».
Dalle labbra di Ami scappò fuori una risatina leggera.
«Sadao andrebbe meglio» puntualizzò lui. «In fin dei conti ci siamo già visti al matrimonio di tua sorella. Potremmo essere meno informali se non ti crea disturbo» e prima che la ragazza potesse rispondergli con anche solo un cenno di assenso si affrettò a scusarsi se fosse stato indiscreto con quella sua richiesta.
«Hai ragione, nessun problema» si affrettò a dire Ami per poi svolgere il suo lavoro.
Indossò due guanti puliti, assicurandosi di ricevere un muto permesso per procede.
«Cominciamo dal ventre, okay?». I suoi occhi chiari si scontrarono con quelli scuri di Sadao che ebbe un fremito.
Ami strappò con decisione la benda cerotto sotto alla quale si celava il rammendo impeccabile di Mamoru.
«Sembra non ci sia segno d’infezione. Guarirà bene, vedrai. E niente imbarazzi con le ragazze!». Ami si sbilanciò con un occhiolino e Sadao  tirò le labbra con fare sollevato.
«A meno che…» Ami pulì la ferita, la disinfettò soffiandoci sopra impercettibilmente come si fa con qualcuno con cui si è in profonda confidenza e coprì il tutto con un nuovo bendaggio. «Non frequenti di quelle che pensano siano sexy le cicatrici!».
Il giovane si sentì andare a fuoco. Partiva sempre come un formicolio dalla punta delle orecchie che diveniva rossore in pochi istanti e si palesava dai lobi alle gote sino a parte del collo.
Respirò a fondo tentando di scacciare l’indomabile curiosità che bussava inspiegabilmente al suo cervello.
 
Ami era una di quelle ragazze o no?
 
«Come sta lei?» trovò una strana pace in quella domanda.
Ami alzò lo sguardo dalle ferite del ragazzo per poi soffermarsi ad osservare la sua espressione.
Se qualcuno avesse sparato per ben due volte a lei, non era certa sarebbe riuscita a rimanere così tranquilla e ad informarsi sulle condizioni del suo aggressore. Questo nonostante Ami fosse dotata di grande empatia e sensibilità nei confronti altrui.
«Starà bene». Non si sbilanciò, conscia di non essere tenuta a dare informazioni riservate su altri pazienti ma parve percepire l’insofferenza dell’altro nel sondare il secondo colpo che gli aveva leso la spalla.
«Credo la dimetteranno a breve».
«Potrei…».
«Andare a trovarla?» l’anticipò Ami finendo il proprio operato.
Sadao si lasciò sfuggire un cenno impercettibile dal capo.
«Non credo sia una buona idea…».
 
 
E due piani sopra alle loro teste  la profezia di Jadeite si compì.
 
 
***
 
Il commissario anziano entrò seguito dai due poliziotti che avevano pattugliato per tutto il tempo dinnanzi alla porta della stanza di Rei.
La ragazza perse interesse per i fiori che le erano stati donati da Jadeite e senza alcun timore sostenne lo sguardo dell’uomo di fronte a lei.
Il supervisore in questione avrebbe fatto venir la tremarella a chiunque ma lei – sebbene non avesse perduto completamente il senno – non parve mostrare alcun segno di preoccupazione.
«Agente Hino…».
«Si, signore» così avrebbe risposto Setsuna e così fece lei.
«Ho sentito che l’era stato intimato un periodo di riposo. Era stata sollevata dall’ultimo incarico ma lei ha ben deciso di fare in altro modo…».
Rei dovette spegnere la miccia che s’accese minacciosa alla bocca dello stomaco. Era sempre stata dotata di una personalità accesa, alle volte poco diplomatica ma qualcosa la bloccò esattamente com’era solita fare Setsuna; capace di sedare il più delle volte il suo animo infuocato.
«Mi sono presa una vacanza subito dopo aver terminato il mio lavoro».
Il viso dell’uomo era una maschera rigida che non lasciava trapelare alcuna intenzione. Sfilò dal taschino della giacca un fazzoletto bianco e pulì rigorosamente le lenti dei propri occhiali riponendoli attentamente sul setto nasale dopo la silenziosa pausa che la propria persona aveva imposto.
«Non potrà tornare in servizio» disse senza mezzi termini.
Un’ istinto omicida si fece strada in Rei tanto che nemmeno una buona dose di valium le avrebbe impedito di saltargli alla gola, tuttavia qualcosa la fermò.
Un ricordo.
Un piccolo, lontano, insignificante ricordo. Quasi un abbaglio. Una sorta di miraggio che la memoria le ripropose facendo sì che il presente si placasse per un breve istante fino a bloccarsi.
Stand-by.
Setsuna che pettinava i sui lunghi capelli scuri davanti allo specchio del bagno e il pendente bordò che dal suo lobo si annodava ad una lunga ciocca facendole strizzare le palpebre in un moto di leggero fastidio.
Rei si era nascosta quella volta. Rimase dietro la porta socchiusa della stanza a spiarla divertita e a scommettere con se stessa quanto ci fosse voluto a farle perdere la pazienza.
«Ti ho vista. Lo so che sei nascosta lì dietro».
 
«Cosa?». Il ricordo sbiadì con la voce di Rei.
Setsuna non l’aveva mai scoperta in realtà.
«Agente Hino facciamo così» l’uomo sembrò intenzionato a darle un’ultima chance  e nonostante Rei pensasse di aver già perso tutto si diede un’altra possibilità ascoltandolo.
«Siccome mi è stato detto che lei è un’agente promettente e non voglio assumermi la responsabilità di stroncare un futuro talento delle forze dell’ordine dovrà impegnarsi a dovere. Distintivo e pistola le verranno restituite solo dopo un adeguato percorso. Quando la terapista riterrà opportuno il suo rientro allora potrà prestare nuovamente servizio. Non una sola seduta saltata, sono stato chiaro?».
 
Niente vie di fuga.
Prendere o lasciare. E faticosamente Rei si diede un’altra opportunità.
 
 
*** 
 
 
Haruka sorvolò sui bisbigli e le occhiate; aveva ormai imparato. Nel suo breve addestramento c’erano già stati i giudizi e le chiacchere alle sue spalle.
Ora che si trovava al distretto c’era già chi la conosceva per la sua collaborazione con la polizia per guadagnarsi la libertà anziché la prigione ed era inutile pensare che tutti l’avrebbero accolta come un’eroine dimenticandosi dall’oggi al domani del suo passato da criminale.
Sebbene si fosse guadagnata una bella pulizia della propria fedina penale, la divisa non le avrebbe reso la vita più facile. Anzi, probabilmente avrebbe dovuto sudare più di una normale leva per farsi accettare e rispettare.
Non posso credere di essere qui dentro di mia spontanea volontà. Un respiro profondo, il coraggio a raccolta e una serie di lunghi passi diretti all’ufficio che era stato per lungo tempo di Setsuna.
Sarebbe dovuta andare nell’ufficio del Keishi-sei [1] a presentarsi ma non curante delle regole come suo solito e guidata dall’abitudine procedette per il corridoio fermandosi appena dietro l’angolo.
Era cambiato tutto e allo stesso tempo niente. Il neon che emetteva il fastidioso sfarfallio era sempre presente con il suo ronzio, così come l’immancabile tazza sporca di caffè amaro sopra una pila di fogli macchiati giacenti sulla scrivania. Al posto però del capo reclinato di Setsuna, intenta a massaggiarsi le tempie per trovare la concentrazione anche negli orari più improponibili della notte, vi era la zazzera bionda di Jadeite e un sonoro sbadiglio.
«Non avresti voluto trovare me qui».
Haruka sobbalzò presa alla sprovvista.
Non conosceva bene il ragazzo ma non aveva mai avuto l’impressione fosse un tipo particolarmente attento.
«E scommetto anche non dovresti essere lì dietro ma altrove a fare già il tuo lavoro» aggiunge alzandosi quasi mal volentieri dalla sedia.
Jadeite si stiracchiò e mollemente la raggiunse.
Haruka alzò leggermente il mento nel trovarselo di fronte. Era poco più alto di lei e sebbene fossero due persone completamente agli opposti non poté fare a meno di pensare – come a sua insaputa aveva fatto Akira quando si ritrovò a chiedere aiuto al poliziotto – che potevano benissimo apparire come due gocce d’acqua.
«Non occorre presentarsi…».
«Direi di no» disse asciutta lei per poi riprendersi completamente da quella stasi mentale e fisica in cui si era ritrovata per qualche istante.
«Bene, farò le veci del nostro superiore. Tanto è uguale per tutti voi novellini».
Haruka dovette mordersi la lingua. Se l’avessero bendata sarebbe sicuramente riuscita a centrare più bersagli di lui con il numero minore di cartucce o almeno era quello che lei nella sua testa sosteneva.
«Sedia, monitor, scartoffie e telefono» indicò lui.
Altri quattro ragazzi erano appena arrivati come lei e tutti sembravano darsi tanto da fare come se ne andasse delle loro vite.
«So usare tutte quattro le cose. Le scartoffie forse sono quelle che prediligo meno, ma…okay».
«Una noia, vero?».
Haruka rispose con una scrollata di spalle e prese posto.
«Ho indetto una gara» disse tutto tronfio Jadeite.
La bionda lo guardò con l’aria di chi fissa un’idiota che non sa di esserlo e non si mostrò particolarmente interessata alla faccenda.  Ma lui, che parlava anche se gli altri non erano interessati a quello che aveva da dire, continuò.
«Vedi come sono tutti presi questi qui? E’ perché chi scova il caso migliore viene sul campo con me anziché rimanere chiuso qui un ufficio. Fossi in te comincerei a correre. Loro sono già in vantaggio!».
 
E con un altro sbadiglio si defilò lasciando Haruka con una vera e propria caccia al tesoro.
 
 
*** 
 
 
«CE L’HO!» gridò Misato alzando la mano come fosse a scuola. La schiena ritta e il rumore della sedia che striscia sul pavimento. Aveva rischiato di cadere all’indietro per la frenesia che aveva messo in quel gesto e con la cornetta ancora attaccata all’orecchio dava filo da torcere agli altri tre ragazzi in netta difficoltà
Haruka distolse gli occhi dalla marea di fogli che aveva sparso sul piano del tavolo senza dare troppo l’aria di chi s’interessa a quello che sta accadendo.
«Sentiamo.
Jadeite incrociò le braccia.
«Abbiamo uno scippatore! Ha rubato la borsetta ad una ragazza facendola cadere a terra sul binario della metropolitana. Alcuni passanti si sono fermati a prestarle soccorso e uno di loro ha visto l’uomo salire sulla linea 5 direzione Funabashi».
«Che noia».
Il luccichio negli occhi della ragazzetta si spense d’improvviso. Strinse i pugni, sbatté i piedi sotto alla scrivania e con un verso di disappunto si rimise all’opera.
Haruka la trovò forte e ridicola allo stesso tempo.
 
Gli squilli del telefono ricominciarono incessanti.
 
Questa volta fu Haruka a rispondere.
Tutti i presenti trattennero il fiato pronti a saltarle addosso se solo fosse stata la fortunata di quella stramba lotteria.
Jadeite la intimò a parlare con un’occhiata.
«Un’incendio» sillabò lei per poi riattaccare.
«Di nuovo?!» il biondo sbottò passandosi una mano tra i capelli.
Haruka molestò con i denti la matita che aveva usato per tutta la mattinata. Non era nervosa, ma solo pensierosa.
Qualcosa le stava dicendo di non lasciar perdere.
«Non è solo uno…».
Jadeite pronto ad andarsene per trovare qualcosa che servisse a sedare la noia di stare in centrale senza Sadao e Rei la guardò come se la cosa dovesse essere ovvia e priva d’importanza.
«Certo che non lo è. Ho già fatto mobilitare i vigili del fuoco per questa faccenda».
Haruka come presa da isterismo si mise a cercare tra i documenti e gli appunti che le erano stati dati, poi si alzò e corse alla mappa della città appesa alle proprie spalle. Infilzò con alcune puntine determinati punti della metropoli in corrispondenza dei quali si erano verificati gli incendi che i civili avevano segnalato alle autorità.
«Dì un po’ Jade» un sorrisetto irritante accompagnò il nomignolo coniato al momento per il suo superiore.
«Sai come funzionava la caccia un tempo?».
Il ragazzo tentennò. Era più che altro concentrato su quella punta di fastidio che le provocava il modo di fare della nuova arrivata.
«Si usava il fuoco per stanare gli animali…barbaro, non è vero?!».
Impauriti, erano costretti ad abbandonare le proprie tane…
«Non ti sto seguendo».
«Sto dicendo che questi incendi hanno una logica. Sono…una mappa nella mappa!».
«Un percorso…» Jadeite acquistò improvvisamente interesse e si sporse in avanti per guardare meglio il “disegno” di Haruka sulla pianta della città.
Venivano condotti esattamente nella direzione in cui il cacciatore voleva… la mente di Haruka era in continuo movimento, i pensieri non accennavano a sostare mentre le sue pupille guizzavano da una puntina all’altra in cerca della risposta all’enigma.
Il suo dito strisciò sulla carta lucida.
Il telefonò trillò ancora una volta.
Misato pronunciò il nome del nuovo posto in cui le fiamme erano state appiccate.
Jadeite segnalò il nuovo punto d’interesse e fu allora che Haruka ebbe in pugno la soluzione.
La risposta all’arcano che mai avrebbe voluto trovare.
«Cazzo…».
Il ragazzo la fissò.
Haruka dimenticò come si respira e si fiondò a recuperare la giacca abbandonata sulla spalliera della sedia.
«Le prede siamo noi».
 
 


Note dell'autrice:
 Lo ammetto, è stato un parto questo capitolo e nemmeno mi piace. Tuttavia ho deciso di postarlo perché starci a rimuginare sopra di più non sarebbe servito a molto e sarebbe passato almeno un mese, perciò...no. Sono tanto fuori di melone che non riesco nemmeno a fare un discorso compiuto ma spero mi perdonerete per questo. Voglio solo passar oltre e procedere col racconto, nonostante il tempo per scrivere inesistente. Vorrei che la mia testa potesse "mettere giù" i capitoli senza l'uso delle mie mani così sfornerei velocemente e soprattutto come lo immagino (perché metterlo giù a parole non è davvero la stessa cosa).
p.s. Jadeite sta venendo fuori più mongoloide del normale, poveretta Haruka che deve averci a che a fare!

[1] I gradi della polizia giapponese sono differenti da quelli italiani. Esistono traduzioni ufficiali in inglese (che non hanno corrispondenza con quelli giapponesi) e benché traducibili in italiano non hanno relazione con quelli della polizia nel nostro paese. Ergo…prendeteveli in originale :D
   
 
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