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Autore: Melodia_    25/05/2017    5 recensioni
Arthur sbattè le palpebre, investito dal torrente di parole. “Gwaine?”
Merlin annuì energicamente, nonostante si tenesse in precario equilibrio accanto ad Arthur.
“E’ un mio amico, sa? In realtà, ci siamo conosciuti ieri, abbiamo vinto a carte i biglietti di terza classe. Dio, non penso esistano dei giovani più esuberanti di lui, mi creda! Però è uno a posto, tutto sommato.”
Arthur lo guardò con tanto d’occhi. “Io non sono sicuro che lei sia a posto, in realtà.”
Merlin sorrise. “Beh, non sono io che avevo ispirazione suicide fino ad un istante fa.”
Arthur corrugò la fronte. “Sono intenzionato quanto prima a gettarmi.” Proclamò altezzoso. “Se lei non chiacchierasse continuamente di questo Gwaine, ora i miei problemi sarebbero finiti!”
Merlin roteò gli occhi. “In prima classe sono tutti melodrammatici come lei? Non mi ha sentito, prima? Salta lei, salto io."
Titanic! AU// quando il livello di sadismo raggiunge vette altissime// Merthur
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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I finestrini della macchina erano appannati.
Arthur notò di sfuggita l’impronta lasciata dalla sua mano, quando per troppa foga l’aveva sbattuta contro il vetro.
Merlin giaceva accoccolato sul suo petto, a coprirli nulla, se non i vestiti sparsi un po’ ovunque.
“Tra poco dovremo andarcene.” Disse Arthur a malincuore, carezzando i capelli neri di Merlin.
“Vorrei che questo momento durasse per sempre.” Rispose il ragazzo, giocherellando con le sue dita.
Arthur gli pose un bacio sulla testa e, istintivamente, lo strinse un po’ più forte a sé.
“Mio padre non ci perseguiterà per sempre.” Disse poi sottovoce.
Merlin annuì assente, la punta del suo naso che gli sfiorava una clavicola.
“Scappa con me.” Disse all’improvviso, parlando direttamente contro la sua pelle.
“Cosa?” fece Arthur confuso.
Merlin alzò la testa, guardandolo negli occhi azzurri. “Una volta arrivati a New York, vieni con me.” Ripetè. “Lasciamoci tutti indietro. Cambieremo nome, identità, passato. Non potranno più separarci.. se vuoi.”
Arthur non potè impedire a due lacrime di formarsi agli angoli degli occhi.
“Certo che voglio.” Rispose con la voce che gli tremava. “Certo che voglio venire con te.” Ripetè più deciso, afferrandogli le mani.
Merlin non rispose, ma si limitò a baciarlo, carico di fiducia, di amore, di certezza per il loro futuro.
“Sai, cara, probabilmente è questa la cosa che mi fa più male, che di notte si veste da incubo e mi soffoca.
Non il ricordo di quegli istanti di terrore puro, quando lottavamo per la nostra vita, contro il freddo, l’acqua, il panico crescente, no.
Quelle promesse così sincere e quanto, Dio, quanto ci credessimo in quel futuro.
Stretto a Merlin non avevo più paura di mio padre, non avevo più vergogna di me stesso e sono certo che per lui fosse lo stesso.
Ci sentivamo invincibili in quelle quattro pareti di metallo, come se il resto del mondo fosse intrappolato al di fuori di una bolla.
Ed era tutto così vero.
Mai, neanche per un momento, ci siamo raccontati una bugia.
Fu mentre risalivamo i corridoi nella pancia della nave che sentimmo il primo scossone.
Fu mentre ci stringevamo forte le mani che le luci si spensero di colpo.
Fu mentre ci guardammo in faccia perplessi che notammo quella pozzanghera d’acqua vicino alla scala che portava al locale delle caldaie, così insolita, così fuori posto.
Fu mentre ci avvicinavamo alle scale che capimmo che qualcosa non andava per il verso giusto.
Solo che non immaginavamo ancora quanto.”

“Che sta succedendo?” chiese Arthur, con un filo di voce, sentendo il vociare dei passeggeri della terza classe crescere sempre di più mentre si avvicinavano agli ascensori.
“Non lo so.” Fece Merlin, aggrottando le sopracciglia. “Non capisco, perchè tutte quelle persone sono ammassate là davanti? Gwaine? Gwaine!” urlò, chiamando il nome dell’amico.
Gwaine si girò di scatto, il nervosismo inciso in ogni linea del suo volto, i bei capelli lunghi arruffati ai lati del viso.
“Merlin, sei qua, grazie al Cielo!” esclamò, avvicinandosi all’amico. “Pensavamo che ti fosse successa una disgrazia..” borbottò, passandosi una mano sul viso.
“Perché? Che sta succedendo?” intervenne Arthur.
Gwaine gli rivolse un’occhiata cupa. “Non lo sappiamo con certezza, ma.. la nave potrebbe aver urtato un iceberg. Avete sentito lo scossone di prima? Beh.. non so cos’altro avrebbe potuto far traballare questo mostro. Gli ufficiali ci hanno fatto radunare qua e ci hanno ordinato di prendere i giubbotti gonfiabili, eppure non aprono ancora queste cazzo di porte, cosa state aspettando?!” esclamò il ragazzo a gran voce, agitando il pugno per aria.
La folla per tutta risposta rumoreggiò più forte.
Arthur, da parte sua, non sapeva come reagire.
Un iceberg.
Un maledettissimo ammasso di ghiaccio.
Ricordò vagamente quanti compartimenti allagati avrebbe potuto sopportare il transatlantico senza affondare.
Avevano dato ordine di prendere i giubbotti, eppure non li facevano salire verso i ponti superiori.
Evidentemente, cercavano di dare la precedenza ai passeggeri di prima classe.
Quelli come suo padre. Come Gwen.
La terza classe avrebbe trovato il modo di cavarsela.
Deglutì a vuoto e vide che Merlin era sbiancato tutto di un colpo.
Gli afferrò la mano e strinse forte, sentendo il calore della sua pelle infondergli forza nelle vene.
“Dobbiamo assolutamente uscire da qua. Tutti.” Disse deciso.
Merlin annuì al suo fianco. “Abbiamo un appuntamento a New York che non possiamo assolutamente perdere.” Aggiunse, accennando un sorrisetto.
“Iniziammo a spingere.
A urlare.
Eravamo pressati contro centinaia di persone, uomini, donne con i bambini in braccio, vecchi, giovani.
I minuti passavano inesorabili, ricordo che era intorno alla mezzanotte.
Non sapevamo cosa stesse succedendo, eravamo intrappolati in una scatola di metallo che si stava lentamente riempiendo d’acqua.
So che molti dei passeggeri di prima e seconda classe pensarono ad uno scherzo, che restarono ignari di tutto fin quando non fu chiaro che la nave stava per inabissarsi.
Noi, vivemmo il vero terrore.
Non contavamo.
A furia di spingere, i cardini dei cancelli in metallo presero a cigolare sempre più insistentemente.
Fu allora che un sottoufficiale, poco più di un ragazzino, pallido e spaventato si decise a girare la chiave nella toppa e farci passare.
Ci dissero di lasciar passare prima le donne e i bambini, di non accalcarci sulle lance.
Mi chiedo anche solo come pensassero fosse possibile gestire il panico, quando dietro le sue spalle un mostro d’acqua lotta per inghiottirti.”

Arthur e Merlin furono tra gli ultimi ad uscire all’aperto.
“Certo che fa freschino qua fuori, non trovi?” disse Merlin, battendo i denti e stringendosi addosso il suo cappotto sottile.
Arthur gli mise un braccio intorno le spalle, stringendoselo addosso.
“Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, poi penserò a trovarti qualcosa di più pesante.”
Merlin ridacchiò. “La nave imbarca acqua e tu pensi a fare shopping?”
Arthur sorrise. “Aggiungilo al tuo saggio sui passeggeri della prima classe.”

La situazione sul ponte era surreale.
Arthur notò subito gli ufficiali in divisa bianca aiutare le signore impellicciate a salire a bordo delle lance, riconobbe persino qualche amica della sua promessa.
Lo smarrimento dei passeggeri di terza classe strideva in maniera sorprendente alla tranquilla indifferenza di quelli più ricchi.
Come se si stesse trattando di una divertente messinscena.
Arthur vide uomini conversare del più e del meno affacciati al parapetto, i musicisti accordare i violini per un altro valzer.
“Se continuano a calarle giù semivuote, ben presto non ci sarà più spazio per noi altri.” Disse Merlin teso.
Arthur non rispose. Si limitò a stringere più forte la mano sulla sua spalla.

“Arthur! Arthur! Sei qua!” urlò improvvisamente una voce ben nota.
Il giovane, sentendosi chiamare, si girò di scatto.
Gwen gli si lanciò direttamente tra le braccia, perfettamente agghindata per la cena di gala, solo il volto che tradiva la preoccupazione.
“Gwen, non dovresti essere qua, dovresti essere su una delle scialuppe.” Fece Arthur afferrandola per le spalle.
"Oh, lo so, ma non potevo pensare di andare via senza di te e tu dove..” iniziò, per poi rendersi conto della presenza di Merlin alle spalle del fidanzato. “Signor Emrys..” balbettò confusa, lasciando vagare lo sguardo dall’uno all’altro.
Merlin arrossì e distolse lo sguardo.
“Tuo padre aveva ragione, dunque.” Disse soltanto la ragazza, impallidendo.
Arthur gemette di frustrazione. “Gwen, credimi, non è questo il momento di discuterne.”
“Invece io penso che lo sia, Arthur! Perché mi fai questo? Cosa diranno tutti a Philadelphia?!” strillò la fanciulla con le lacrime agli occhi.
“Gwen, lo capisci che la nave sta affondando e che potremmo non arrivarci mai a Philadelphia?” urlò Arthur perdendo la pazienza, facendola sobbalzare. “Devi salire su quelle benedetta scialuppa e pensare a tenerti stretta al salvagente.” Riprese il ragazzo, addolcendo il tono della voce. “Non posso permettermi di vederti morire, capito?”
Gwen, in lacrime, annuì, gli occhi scuri dilatati dallo spavento.
“Signorina Montoya, lasci che l’accompagni alla sua scialuppa, la prego.” Disse Merlin, offrendole la mano.
La giovane gli rivolse un’occhiata indecifrabile, probabilmente un misto di gelosia e paura.
“La ringrazio, signor Emrys.” Disse semplicemente, accettando il suo aiuto.
Vedendo Merlin aiutare Gwen ad arrampicarsi sulla barca, Arthur sentì di amarlo un po’ in più.

Poco prima di sedersi, la ragazza si chinò verso il giovane, il tanto che bastava per sussurragli qualcosa all’orecchio.
Merlin annuì e si allontanò di un passo, rivolgendole un piccolo inchino, per poi riavvicinarsi ad Arthur.
La lancia fu calata verso il basso e i due videro Gwen diventare un puntolino rosso, confuso tra le altre dame, sempre più piccolo nel grande oceano scuro.
“Gwen mi ha avvertito.” Disse Merlin di punto in bianco.
Era teso, il tono di voce che tratteneva una sorta di placida ira. “Tuo padre ha spiattellato a voce alta tutto il suo disgusto per noi froci e ha minacciato di volerci morti.”
Arthur si strinse nelle spalle. “Non me ne sorprendo.” Iniziò, ma la smorfia che fece Merlin lo costrinse tacere.
“Ha una pistola. E a quanto pare, non si farà scrupoli ad usarla su entrambi.”

Nel momento esatto in cui Merlin finì di parlare, qualche metro distante da loro la figura di Uther si stagliò sul nero della notte.
“Dannazione.” Imprecò Arthur tra i denti, notando come la rabbia avesse stravolto i lineamenti di suo padre.
Non ebbe neanche il tempo di pensare che Merlin lo aveva già afferrato per una mano, trascinandolo all’indietro lungo il ponte, dritto verso lo scalone di accesso alla prima classe.
“Non provare a farti ammazzare adesso, signor Pendragon.” lo ammonì Merlin col fiatone, mentre correvano sotto gli sguardi increduli dei pochi passeggeri rimasti nell’atrio dorato, saltando gli scalini a due a due.
“Fatemi passare immediatamente.” sentirono esclamare imperiosamente da Uther, che evidentemente non aveva la loro stessa agilità.
“Dove andiamo?” ansimò Arthur, quando giunsero alle porte degli ascensori. Merlin si guardò rapidamente intorno, poi gli indicò delle scalette sulla sinistra.
“Di là si accede alla sala fumatori e a quella del biliardo, le finestre sono facilmente sbloccabili, da quelle potremmo passare di sopra.” Spiegò velocemente, afferrando Arthur per mano.
Nonostante la situazione disperata, Arthur non potè fare a meno di prenderlo in giro. “E tu, tutte queste cose come le sai?”
Merlin roteò gli occhi, ma sorrise a mezza bocca. “Un certo signor Pendragon era sparito dalla circolazione, senza che io sapessi nulla e, in qualche modo, dovevo pur indagare.”
Arthur aveva appena spalancato la porta che un colpo di pistola risuonò alle loro spalle.
“Pensavo di averti avvisato, di essere stato abbastanza chiaro.” Urlò la voce tonante di Uhter.
Merlin non perse tempo e trascinò Arthur dietro il bancone del lussuoso bar.
Udirono un altro colpo di pistola e un sinistro scricchiolio di legno scheggiato.
“Preferisco vederti morto che frocio.” Sputò ancora l’uomo, sbattendo la porta contro il muro.
Arthur non potè impedirsi di trasalire.
Il sano, vivido terrore che gli aveva sempre ispirato suo padre, nonostante si fosse attenuato nelle ultime ore, vibrava al di sotto delle sue costole.
Merlin gli strinse più forte la mano, respirando appena.
Uther scaraventò una sedia per terra, rovesciò un tavolo, i due ragazzi potevano vederlo dallo specchio dietro il bancone.
“Cosa c’è? Avete paura che il paparino vi faccia del male?” urlò, con una risata orribile, facendolo apparire sempre più simile a una maschera mostruosa.
L’uomo sembrò notare in quel momento un’ulteriore porta, dal lato opposto della stanza, verso cui si avvicinò a passo deciso.
Credendo ormai scampato il pericolo, i due ragazzi si gettarono fuori dal loro nascondiglio, pronti a lanciarsi verso l’altra uscita, ma evidentemente erano stati troppo precipitosi.
Uther non aveva ancora abbandonato la stanza e, al rumore, si girò di scatto.
Arthur pensò che fosse davvero finita e, istintivamente, si parò davanti a Merlin. In quel momento, però, la nave ebbe uno scossone violentissimo e la corrente venne meno del tutto.
“Ma che diavolo..” ebbe modo di imprecare Uther, quando un altro scossone gli fece perdere l’equilibrio, facendolo precipitare oltre le scale di servizio.
Arthur non sentì il tonfo del corpo di suo padre.
Non sentì il sospiro di sollievo uscirgli immediatamente dalle labbra.
Un altro rumore ben più fragoroso coprì ogni altro pensiero.
Il ruggito dell’acqua aveva raggiunto anche il loro livello.
“Mi domando come io e Merlin siamo sopravvissuti tanto da arrivare ancora con tutte le membra intatte in acqua.
Vedi, cara, il Titanic inabissandosi verso il fondo dell’oceano si spezzò in due parti.
Sembra quasi assurdo pensare a come tutte quelle tonnellate di acciaio e legno si siano piegate come un grissino sotto la forza di semplice acqua salamastra.
Mio padre cade in quel buco nero, quasi come se le porte dell’inferno si fossero spalancate sotto i suoi piedi.
Non mi ritengo un grande uomo, ma non posso negare di non aver provato niente né in quel momento, né negli anni a venire.
Di tutte le vite che sono andate perdute quella notte, probabilmente lui era il meno innocente di tutti.
Voglio risparmiarti i dettagli di quei momenti spaventosi, anche perché credo che la scenografia della tua videocassetta sarà sufficientemente esaustiva.
Merlin ed io riuscimmo a malapena ad uscire da una delle finestre, che l’acqua gelida già ci bagnava le caviglie.
Uscimmo fuori e capimmo in un batter d’occhio che la situazione era ancora più disperata di quello che sembrasse.
Le lance non erano state sufficienti e gran parte dei passeggeri era ancora a bordo, attaccata ai corrimani, a qualsiasi cosa, per non farsi trascinare verso il fondo della nave che si inclinava sempre di più.
Gente che urlava, che piangeva, che invocava la madre.
Chi raccomandava la propria anima a un Dio che quella notte non ebbe pietà di noi.
In seguito mi raccontarono che i musicisti dell’orchestra suonarono finchè non fu per loro impossibile reggersi in piedi sul ponte inghiottito dalle onde.
Le note dei violini sembravano aleggiare ancora per aria, quasi a voler addolcire la nostra tragedia.
L’impatto con l’acqua gelida fu spaventoso.
Mi sentii come se mille lame stessero cercando di perforare i miei polmoni, di azzannare il mio cervello.
Ogni bracciata per restare a galla mi costava uno sforzo immane.
Sentivo i muscoli di piombo, la vista mi si era completamente oscurata.
Pregavo solo che finisse.
Dicono che l’inferno sia fatto di fuoco e fiamme.
Per me, da quella notte, l’inferno non è altro che ghiaccio e acqua salata.”

Arthur sprofondava lentamente verso il basso.
Non riusciva a farsi obbedire dalle sue braccia.
Sarebbe stato così facile chiudere gli occhi, riposarsi anche solo per un minuto..
Merlin lo avrebbe preso in giro, la prima classe rammolliva le persone.
Ma avrebbe capito, Merlin.. Merlin..

Arthur si sentì afferrare per i capelli con forza sorprendente.
L’istante successivo i suoi polmoni si riempivano di nuovo di aria e combattevano per espellere anche ogni minuscola goccia d’acqua residua.
Il ragazzo si ritrovò aggrappato a che cos’era? Una porta? Un pannello di legno? Completamente zuppo d’acqua e alla mercè del freddo polare.

“Arthur? Arthur? Stai be-bene?” Fu la voce di Merlin a riportarlo alla realtà, a ricordargli che ormai il Titanic non esisteva più e che loro due non erano altro che un mucchietto di membra disperse nel Mare del Nord.
“Ho freddo.” Articolò, la voce che gli usciva a stento.
“No-non ti preoccupare, tra poco arriveranno i so-soccorsi.” Disse Merlin, la voce incoraggiante, nonostante i denti che battevano forte.
Arthur istintivamente cercò di tirarlo sul suo salvagente di fortuna, ma non aveva neanche fatto mezzo movimento che quello minacciò di ribaltarsi del tutto.
“No-non ti preoccupare.” Fece il ragazzo, scuotendo la testa con forza. “Io già ho fa-fatto i miei bagni nell’acqua ge-gelata, in pri-pri-prima classe non ti avranno a-abituato a dovere.” Scherzò, appoggiandosi con i gomiti al bordo di legno.
Arthur cercò di ridere, ma dalla sua gola non uscì altro che uno stridio, come se le corde vocali gli si fossero arrugginite.
“A-adesso, dobbiamo a-aspettare, arriveranno pre-presto, vero, Arthur? Sto pe-pensando di fare reclamo una vo-volta a New York.” Disse convinto, arricciando il naso.
“So-sono d’accordo.” Fece Arthur debolmente, sorridendo appena.
Merlin gli strinse le mani tra le proprie, scaldandole con il fiato che gli rimaneva.
Intorno a loro, il rumore degli altri passeggeri che si arrabattava per mantenersi a galla, per non morire assiderati, il fischio continuo di uno dei pochi ufficiali accanto a loro, squarciavano l’aria immobile come colpi di cannone.
“Ho così so-sonno.” Balbettò Arthur tremando tutto.
Merlin gli sfregò le mani sulle braccia. “No-non ci provi nemmeno ad ad-dormentarsi, signor Pendragon? Ca-capito? Do-dovessi ca-cantarti tu-tutto l’inno na-nazionale, no-non devi addormentati.” Disse con energia.
Arthur poggiò la fronte contro quella di Merlin e annuì piano.

I minuti passavano lenti, quasi crogiolandosi nella loro disperazione.
Merlin ripeteva come un mantra che presto li avrebbero trovati, che sarebbe tutto finito.
Che la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata pretendere una coperta e una cioccolata fumante.
Ma, man mano, la sua voce si faceva sempre più incerta e gli spasmi alla gola più incontrollabili.
Le voci intorno a loro andavano affievolendosi.
Tra le ciglia ghiacciate, Arthur notò le labbra di Merlin essersi fatte viola, di una colore quasi nerastro.
Istintivamente premette la bocca sulle loro mani intrecciate.
Ogni pensiero sfumava nel cervello, ogni sentimento e azione che non fosse strettamente collegata al freddo, al dolore nelle ossa e nella pelle, sembrava non poter esistere.
Eppure Merlin era l’ultimo filo che lo legava al mondo dei vivi.
“Ti-ti amo ta-tanto.” Disse di punto in bianco.
Voleva che il ragazzo lo sapesse.
Doveva saperlo.
“No-non mi di-dirai addio, te-testa di fagiolo.” Disse Merlin ogni parola sembrava costargli uno sforzo immenso.
“Tu de-devi vivere. No-non puoi rinunciare. No-non ora che sei libero.”
Arthur scosse la testa. “Ho tr-troppo freddo.”
Merlin sciolse per un attimo la presa dalle sue mani e gli strinse i capelli tra le dita.
“Vi-vincere quei biglietti è sta-ta la cosa più be-bella che mi sia su-successa in vi-vita mia, lo sai, Arthur?” disse, la voce che gli tremava ad ogni respiro. “E non ca-cambierei niente. Capito? Nie-ente.”
Merlin gli carezzò la guancia, i suoi occhi azzurri che ancora non si rassegnavano, ancora carichi di amore. “Promettimelo. Promettimi che vivrai. Promettimi che, qualsiasi co-cosa succeda, andrai avanti. Promettimelo.”
Arthur annuì a scatti. “Te lo prometto, Merlin. T-te lo prometto.”
Merlin sorrise e chiuse gli occhi. “Ti amo a-anche io.”

Passarono quelle che sembrarono ore.
Arthur pensava a tratti di essere morto e che l’oceano silenzioso che lo circondava non fosse altro che l’anticamera dell’inferno.
Una luce illuminò per un momento il suo viso.
“Ecco, questi sono i dannati che vengono a prendermi.” Pensò il ragazzo, socchiudendo le palpebre.
“C’è nessuno qui? Rispondete!”
Ci siamo noi, avrebbe voluto dire Arthur, ma si sentiva la gola come piena di ovatta.
“C’è nessuno?” ripetè ancora la voce.
Arthur alzò la testa e la vide, la sagoma della scialuppa che si stagliava dietro il fascio di luce.
“Me-Merlin! Me-Merlin!” chiamò con un filo di voce. “Ve-vengono a prenderci! Me-Merlin!”
Arthur scosse il ragazzo, le cui mani erano ancora serrate al suo polso.
“Me-Merlin.” Ripetè ancora, scuotendolo.
Il giovane non si mosse.
Merlin aveva gli occhi chiusi, la pelle pallida che scintillava sotto la luce lunare.
Il ghiaccio incrostato nei suoi capelli sarebbe potuto passare per cristallo, degna corona di una creatura eterea, angelica.
Arthur avrebbe voluto avere la forza di piangere.
Continuava a scuoterlo, tremando, sentendo il panico raggiungere il suo culmine ed esplodere dietro le palpebre.
“No-non mi lasciare.” Sussurrò, stringendo la mano gelata dell’altro, aspettando invano che ricambiasse la stretta, che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.
 
“E’ stato per la promessa che, dopo un tempo infinito ho smesso di guardarlo.
In lontananza, il fischietto dell’ufficiale brillava debolmente sotto la luce della luna.
Sarei voluto morire, Sarah, e e sarebbe stato così facile.
Ero stanco, come non lo ero mai stato prima di allora.
Merlin era morto.. che ragione avevo di continuare ad andare avanti?
Avrei potuto pensare a tua nonna, al fatto che nonostante tutto una parte della mia famiglia mi aspettava ancora a braccia aperte, ma non ci riuscivo.
In così pochi giorni, un ragazzo normalissimo era riuscito a farmi vivere davvero.
E non ho amato nessun altro, non dopo lui.
E’ per quell’amore che ho trovato la forza di staccare le nostre mani: la sua destra si era congelata con la mia.
Nella mia testa rimbomba la promessa che mi aveva strappato.
Penso che già in quei minuti avesse capito che non si sarebbe salvato, che il gelo avrebbe avuto la meglio.
Probabilmente, lo sapeva già quando ha rinunciato a salire su quella piattaforma di legno.
L’ho visto sparire nelle acqua dell’oceano, i capelli neri che gli ondeggiavano sulla fronte e il viso illuminato dalla luna.
Sembrava un angelo in un inferno di ghiaccio.
Sono scivolato in acqua, meccanicamente ho strappato il fischietto dalle labbra congelate dell’uomo e ho iniziato a soffiare.
Il resto probabilmente lo puoi immaginare.”

“Come si chiama giovanotto?”
Arthur sbattè lentamente le palpebre.
La Statua della Libertà era davvero così enorme e scintillante come dicevano.
L’uomo ripetè la domanda, poggiandogli una mano sull’avambraccio.
Arthur si riscosse lentamente.
Morgana probabilmente lo stava cercando, confusa tra i parenti dei pochi superstiti.
“Pendragon.” Disse piano. “Arthur Emrys Pendragon.”




Lo zio Arthur si poggiò mollemente allo schienale del divano, socchiudendo gli occhi, il volto contratto in un’espressione di dolore che il tempo non aveva saputo curare.
Sarah piangeva in silenzio, con amarezza.
Non trovava le parole. Merlin era morto, ma il dolore era di Arthur.
Un uomo cinico, freddo, sarcastico che, da più di ottant’anni, conservava gelosamente nel suo cuore un sorriso spezzato.
Lo zio riaprì gli occhi e mise una mano sulla gamba della nipote, sentendola singhiozzare.
“Merlin era un ragazzo normalissimo, non credere. Eppure mi ha salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Se non fosse stato per lui, la mia vita sarebbe finita in quel primo giorno di viaggio.” Disse pacatamente.
Sarah rabbrividì.
Arthur sulla prua della neve, con i capelli frustrati dal vento, senza altra miglior uscita di quel salto nel vuoto.
Istintivamente poggiò la testa sulla sua spalla, sentendo che la storia non era ancora finita.
“Dal giorno della sua morte, lo rivedo ogni notte, il mio grande, radioso peccato*.” Aggiunse sorridendo l’uomo, lo sguardo perso nel vuoto.
“Non ho mai raccontato questa storia a nessuno, non mi è rimasto nulla di Merlin, se non il suo cognome prima del mio, neanche una foto. Ha vissuto per tutti questi anni nei miei ricordi e ogni cosa l’ho fatta in nome di quella promessa. A volte se chiudo gli occhi, riesco quasi a vederlo.”
Sarah si sporse a passare un pollice sulla guancia rugosa dello zio.
Una sola lacrima luccicante era scesa dagli occhi azzurri di Arthur.
“Lo ami ancora? Dopo tutti questi anni?” chiese la ragazza, poggiandogli la testa contro la spalla.
Arthur sorrise. “Per altri mille ancora.”













*citazione dal film Poeti dall'Inferno

note di Lidia:
...
...
ehm...
buonsalve a tutti ^^' facciamo finta che non sia successo niente, okay? a parte il fatto che abbia accoppato Uther /QUANTO SONO STATA FELICE DI FARLO AHHHHH/ 
sapevamo già dall'inizio come sarebbe andata a parare, mi dispiace T-T Spero solo che questo momento di puro angst non sia venuto fuori troppo male e che abbia saputo trasmettervi tutto il mio dolore T-T 
Non so davvero commentarlo, sono sconvolta da me stessa AHAHAHAH
Solo, l'ultima frase di Arthur è una cit sadicissima direttamente da "A Thousand Years" che è l'inno dei Merthur e sì, sono una persona molto angst, me ne rendo conto x.x
E niente, spero che vi sia piaciuta anche quest'ultima parte (fatemi sapere nelle recensioni uu) e colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che hanno commentato, aggiunto la storia alle seguite, ricordate e preferite, non potete capire quanto abbia urlato (SONO SERIA) e quanto conti per me ** Grazie di cuore, vi voglio bene <3
Un bacione, angstissimamente vostra Lidia <3


 
   
 
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