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Autore: AlnyFMillen    26/05/2017    2 recensioni
Per questo hai bisogno, hai davvero bisogno di sapere quanto, se una manciata di attimi oppure due vite intere.
Questo per sapere ancora quanto dovrai aspettare, se cento notti oppure migliaia, se un fiume di lacrime o grida strazianti.
Per quanto tempo dovrai restare ferma, immobile, incapace a tremare e sperare, pregare con quell'unica goccia di sangue che ancora ti lasciano scorre placidamente nelle vene.
Sei rotta, ormai. Non funzionerai più bene.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Uno, due, tre, quattro, cinque, sei

Dieci volte, dicevano. Dieci misere volte. Dieci dannate, infinite volte. Quat'è passato dalla tua, di caduta? Quanti anni, quanti mesi, giorni, ore, minuti.... secondi? Quanto? Vuoi saperlo. Devi, ne hai bisogno. Un bisogno in ugual modo impellente, fibrille, urgente e dilaniante.
 
Tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette
< < Alzati Joh' o farai tardi a scuola > >
Ventinove, trenta, trentuno, trentadue
< < Gli Hunger Games non aspettano certo che tu cresca > >
Quaranta, quarantuno
< < E' scaduto il suo tempo, signorina Mason > >
Cinquanta
< < Tick-tack, l'arena è un orologio > >

Non le è mai piaciuta molto la parola rompere, e lo stesso vale per i suoi derivati, aggettivi o nomi che siano. Può sembrare strano, ora che ci pensa: come fa una concezione astratta come l'insieme di più lettere messe perlopiù a caso - o almeno lei la pensa così - suscitare antipatia? E' un atteggiamento insensato, quasi stupido si direbbe, al pari di prendere di mira un elettrodomestico o un oggetto in generale. Forse anche peggio, dato che non si ha nemmeno concretamente la possibilità di averlo sotto gli occhi.
'Non è da Johanna'
Eppure a Johanna succede spesso questa cosa del non sopportare le parole, così come le cose, oltre alle persone. Basti pensare al dannato frullatore senape che tiene in cucina: non ci penserebbe due volte a buttarlo nel primo cassonetto di passaggio, e sempre più spesso si dice che prima o poi lo farà. Sarà il semplice fatto che anche il giallo, la cui colpa è solo quella d'essere un banalissimo colore, rientra nel suo raggio di odio personale, ma prima o poi lo farà. 
Ecco, lo stesso vale per il suo carissimo rompere e i dannati amichetti rotto e rottura. Inspiegabilmente, totalmente, completamente odiosi. Il solo sentirli pronunciare le rabbuia di scatto la giornata, le fa chiudere una o più conversazioni e addirittura sputare i peggiori degli insulti a chi si è preso la briga di inserirli da qualche parte. 
'Tutti idioti, quelli che usano una parola del genere senza aspettarsi delle conseguenze'
Ebbene, lei ce l'avrebbe pure una spiegazione a tutta quest'ostilità, e non è poi di questa difficile intuizione, ma se ne guarda bene dal dirlo in giro. Sia mai che a qualcuno venisse la malsana idea di darle della pazza o, peggio, dell'idiota. Allora si che verrebbero a crearsi seri problemi, e di certo non finirebbe lei per farne le spese. 
La buon vecchia Mason non si sarebbe fatta scrupoli nel dire chiaro e tondo la propria opinione al riguardo, mandando al diavolo chiunque fosse in disaccordo e dandole di santa ragione a chiunque osasse criticarla. 
Non che adesso abbia acquisito poi così tanta diligenza nell'esprimersi, ma cerca di contenere i danni pur di starsene tranquilla per i fatti propri. Insomma: se proprio deve dirla una cosa lo fa, se può benissimo evitare tiene la bocca chiusa. Sta alla sua sanità mentale decidere tra le due opzioni. Che poi nemmeno quella sia più affabile e il solo pensiero che la guerra possa aver ipoteticamente lasciato l'ombra di qualcosa di buono la fa rabbrividire d'orrore, non è il nocciolo della questione. 
Insomma, quelle parole con la r sono in cima alla scala dell'odio, proprio ai primi posti: non le tollera. 
Per questo, quando lo strizzacervelli del Tredici, come piace chiamarlo a lei, le chiede di scrivere su un foglietto quale sia la cosa, o la persona, o qualunque altra entità definibile che più detesta, impiega relativamente poco a decidere. 
'Appunto, relativamente'
Ovvio, c'è stato da pensare a tutto un discorso di pro e contro, perciò non ci ha messo nemmeno poco, e altrettanto sicuramente il suo amico psichiatra - un psicologo sarebbe inutile per un caso grave come il suo - avrà creduto chissà cosa stesse facendo seduta sulla poltroncina grigia del suo studio improvvisato, a fissare la penna stretta tra le proprie mani. Peccato però che non potesse neanche intervenire, col rischio di turbare il tuo equilibro psichico, per cui si limita, proprio come sta facendo in questo preciso istante, a sorriderti con condiscendenza, in un modo che lui crede vagamente incoraggiante. Non sembra accorgersi della parvenza di smorfia assunta da quella sottospecie di sorriso, così vuoto e immobile da parere una mezzaluna spalmata sul volto, a metà tra il mento e il naso.
Sei diventata esperta di sorrisi, ormai. Non che tu sia quel genere di persona che ne prova abitualmente sulla sua stessa pelle, ma sai riconoscere perfettamente tutti i tipi di varietà. Ce ne sono talmente tanti generi che, se non l'avessi associati uno per uno ad ogni persona che conosci, sarebbe piuttosto difficile catalogarli e diverrebbe certo un problema. Credi, per quanto stupido, che dal sorriso si possa capire molto della personalità di una persona. Non stai parlando di quelle stupide smancerie da soap opera strappalacrime, nessuna rivelazione platonica sul senso della vita riflessa sullo smalto dei denti. 
Ecco, per far capire davvero, anche solo in minima parte, ciò che intendi dire, non puoi far a meno di porre qualche esempio.
C'è il sorriso sincero di Finnick, tanto per dirne uno, che ti rivolge ogni volta la determinazione brilla nei tuoi occhi; il sorriso complice di Katniss, quando finalmente trovate un punto d'accordo con qualche bravata; il sorriso folle dei capitolini, in occasione di qualche cena di gala. Il sorriso compassionevole di Peeta, che nonostante sia il più malridotto non ha mancato di rivolgerti; Il sorriso viscido del presidente,  quando ti assegna un lavoro particolarmente sporco; il sorriso timido di Gale, così raro da essere notato solo se si guarda con attenzione.
Se trovi qualcuno con lo stesso modo di sorridere di qualcuno già conosciuto, lo cataloghi subito come simile. Non per questo decidi però di fidarti o meno, ovviamente.
Spesso hai incontrato uomini somiglianti allo psichiatra, primi fra tutti coloro presenti al funerale di tua madre, e i loro sorrisi sono forse i peggiori. Preferisci il silenzio austero degli altri abitanti del distretto, già di per sè ipocrita, a questo.
Devi lottare con tutte le tue forze per non scrivere sorrisi accanto a rompere sul pezzetto di carta, stai quasi per farlo, tanto per la voglia di vedere se l'uomo che ti sta davanti avrà ancora la stessa odiosa espressione stampata in faccia quando avrai finito di spiegargli il perchè di quella scelta. E invece pieghi il foglio in quattro parti ben precise, passando l'unghia dell'indice sull'estremità più alta per appiattirla. 
L'hai sempre fatto con precisione maniacale, non è un effetto collaterale delle torture. Semplicemente, essendo cresciuta nel Distretto Sette, carta e legname, non puoi fare a meno di ricercare un contatto con le tue origini. Può apparire strano a chi non ti conosce, si direbbe quasi tu abbia paura di crescere davvero, di affrontare la realtà nonostante tutto quel che hai passato. Sembra infantile, magari lo è, ma non per questo smetterai di squadrare attentamente il piccolo ritaglio tra le tue mani. 
'Non è da Johanna'
Eppure è proprio Johanna, o quello che ne rimane, a fare una cosa del genere.
Con occhio critico verifichi che i quattro angoli combacino perfettamente, l'uno sull'altro, poi poggi il tuo operato sul tavolino e attendi.
Passa poco tempo prima che la mano lesta dello strizzacervelli lo raggiunga. Stringe il foglietto tra il pollice e l'indice, stringendolo leggermente, lo spiega con lentezza mentre continua a fissarti.
Non ci tieni a vedere la sua espressione appena riuscirà a leggere, con quei suoi occhietti da ratto, ciò che hai scritto, ma ti costringi a mantenere fisso lo sguardo. Questo no, Johanna non è una codarda, non lo sarà mai. Potesse anche cadere il mondo, restasse sfigurata, rotta, rinchiusa in quella camera di torture a vita. Lei, pavida, mai. 
Se continui a ripetertelo, forse potrai ritrovare un briciolo della donna che eri.
E' più difficile di quanto sembri: osservare le dita ossute dello psichiatra stropicciare il rettangolino di carta, le sue labbra raggrinzite stringersi l'una con l'altra, come un professore quando vuole giudicare il compito di un alunno. Durante le sedute non hai mai riflettuto su quanti anni abbia, ma potrebbe benissimo avere la stessa età del tuo odioso insegnate della scuola media.
Da un carnefice a un altro, partendo da un Hunger games, finendo a quello dopo.
Nella testa, lo percepisci nitidamente, la vocina fastidiosa dell'uomo chiede se davvero è così che interpreti le sue sessioni, ed è sicuro che questo non sia normale. 
Le prime volte hai opposto resistenza, più avanti hai compreso quanto fosse inutile. Così ti limiti a fissarlo con una nota di astio nello sguardo, apaticamente fai ciò che dice, attendendo il suono dell'orologio. Quando le lancette sfioreranno le dodici, sarai finalmente libera di andartene e affogare in pace nei tuoi incubi, senza che nessuno annoti sul suo taccuino quante volte tu ti sia svegliata urlando.
L'uomo fa per aprire bocca e parlare, ma finalmente il supplizio finisce e tu scatti in piedi. Senza aspettare di essere congedata, gli strappi il foglietto di mano e ti dirigi a passo di marcia verso la porta con la consapevolezza che non potrà mai aprirsi su null'altro se non su dei corridoi, tanto grigi quanto vuoti.
Pic
La mano si poggia sulla maniglia.
Swish
Spinge verso il basso ancora una volta. 
Tack
Ti spezza per la millesima volta


Tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette
< < Alzati Joh' o farai tardi a scuola > >
Ventinove, trenta, trentuno, trentadue
< < Gli Hunger Games non aspettano certo che tu cresca > >
Quaranta, quarantuno
< < E' scaduto il suo tempo, signorina Mason > >
Cinquanta
< < Tick-tack, l'arena è un orologio > >


Spalanchi l'anta e la lasci chiudere dietro di te, cosciente del fatto che già domani dovrai far ritorno in quella stanza, così come il giorno dopo e quello dopo ancora.
Vuoi che finisca, che la tua testa torni semplicemente a posto e, anche se sai che è impossibile, non puoi far a meno di desiderarlo con tutte le forze rimanenti. Te lo ripeti, ce la farai, ma ti serve un tempo massimo, prima di crollare di nuovo.
Per questo hai bisogno, hai davvero bisogno di sapere quanto, se una manciata di attimi oppure due vite intere. Questo per sapere ancora quanto dovrai aspettare, se cento notti oppure migliaia, se un fiume di lacrime o grida strazianti. Per quanto tempo dovrai restare ferma, immobile, incapace, a tremare e sperare, pregare con quell'unica goccia di sangue che ancora ti lasciano scorre placidamente nelle vene.
   
 
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