III
Krugar
rimase a
osservare l'uomo, sconcertato: non riusciva a capacitarsi
dell'assurdità e
dall'appariscenza del suo abbigliamento; aveva sempre pensato ai
Dragoron come
guerrieri seri, vestiti di nero o inscatolati in armature scintillanti,
e
l'avere davanti quel cavaliere vestito da pagliaccio lo destabilizzava.
«Non
fai più lo
sbruffone, ora che non cavalchi più la tua ferraglia sputa
fuoco» lo provocò.
La
prima volta che
si era imbattuto in uno di loro, credeva che i cavalieri fossero
indistruttibili e invincibili, ma si era reso conto di essere stato
impressionato dai draghi, e che gran parte della loro potenza e
apparente
invincibilità era data proprio da quelle macchine infernali:
sembrava che
cavalcare quegli abomini mastodontici li desse sicurezza e anche un
pizzico di
arroganza e si sentissero onnipotenti, e questa sensazione veniva
trasmessa ai
loro avversari, che tremavano al loro cospetto e belavano come
agnellini.
Il
prigioniero,
trattenuto dai due della ciurma più nerboruti,
sollevò lo sguardo e inchiodò
l'orco con il suo unico occhio; l'altro era coperto da una benda nera e
il
pirata si domandò se, come per molti, fosse solo un decoro o
l'avesse perso davvero.
Il
cavaliere si
limitò a squadrarlo, e nonostante fosse costretto a rimanere
inginocchiato e
Krugar incombesse minacciosamente su di lui, non aveva perso, come
invece tanti
altri, la sua sicurezza quasi strafottente, e guardava l’orco
con aria di sfida.
Krugar pensò che con quel Dragoron si sarebbe proprio
divertito: erano in pochi
quelli che osavano sfidarlo e ancor meno quelli capaci di tenergli
testa, e
l’orco si annoiava ad avere sempre a che fare con codardi e
pisciasotto che non
riuscivano a sostenere il suo sguardo per più di pochi
secondi; quell’umano,
invece, lo stava provocando, e nemmeno in maniera troppo velata.
Sarebbe stato
interessante vedere fin dove avrebbe osato spingersi.
«Quindi
tu saresti
il famoso Krugar Mano Scarlatta, terrore di tutti i cieli e di tutti i
mari»
iniziò il cavaliere; aveva una voce profonda e suadente, ma
all’orco non sfuggì
la punta di arroganza che la impregnava, «Me lo immaginavo
più…terrificante.
Non mi aspettavo un ragazzino.»
Krugar
era un
giovane orco mastodontico, alto e robusto, con i tratti del volto
grossolani e
vagamente animaleschi ma privo dei segni dell’età
e del tempo inclemente; la
pelle era di un verde muschio brillante e le zanne minacciose che
spuntavano
dalla bocca priva di labbra erano candide, appuntite e impreziosite da
anelli
d’argento; aveva lunghi capelli rossi raccolti in treccine
fermate da anelli
d’oro, e una corta barbetta rossa copriva la mandibola forte
e decisa mentre
una sottile cicatrice attraversava la parte sinistra del volto
sfiorando
l’occhio, l’unico segno che lo facesse sembrare
meno giovane e inesperto.
Era
a torso nudo, ed
ostentava il tatuaggio di un Ardrir che
stringeva le sue spire attorno
al braccio sinistro, si allungava oltre la clavicola e spalancava le
fauci
all’altezza del cuore. Un paio di pantaloni di stoffa nera,
una fusciacca
scarlatta in vita e una collana di denti di drago completavano
l’insieme,
intimidatorio e affascinante.
L’orco
era rimasto
impassibile: era abituato a insulti più pesanti e
provocazioni più irritanti, e
sinceramente le parole del cavaliere facevano parte del repertorio
più classico
e banale, non valeva nemmeno la pena che venissero prese in
considerazione.
S’aspettava che il Dragoron fosse più creativo, ma
l’aveva deluso
profondamente.
«Sei
così noioso e
prevedibile, cavalcatore di draghi» sbuffò
l’orco, «Ne ho visti così tanti
negli ultimi tempi e sono esattamente come te: quando sono in groppa a
quei
marchingegni fanno la voce grossa, ma una volta che si toglie da sotto
le loro
chiappe quell’ammasso di metallo e fuoco, diventano
nient’altro che sgorbi
uguali a tutti gli altri, mortali e meschini. Dammi un buon motivo per
cui
dovrei risparmiarti la vita. Se sarà abbastanza convincente,
potrei anche
prendere in considerazione l’opzione», aggiunse
mostrando un ghigno poco
amichevole e rassicurante.
«Se
ti dicessi che
so chi si nasconde dietro il Duca» rispose l’altro
con indifferenza.
Un
silenzio di tomba
calò sul ponte della nave: tutta la ciurma era rimasta
ammutolita e sbalordita,
la dichiarazione aveva lasciato senza parole Krugar stesso.
Il
Duca era il
misterioso e ignoto committente per cui lavoravano e per il quale
avevano
depredato le navi della Compagnia Orientale. Krugar non
l’aveva mai visto in
volto e comunicava con lui solo mediante lettere che venivano lasciate
in punti
nascosti delle Città Sospese: in un anfratto di un muro
sconnesso, tra le
pagine di un libro della biblioteca cittadina e o nel bagno di qualche
bettola.
Il pagamento per i suoi servigi era stato alquanto allettante e
l’orco non
aveva esitato ad accettare quell’incarico: alla fine, si
trattava semplicemente
di alleggerire il carico di qualche mercantile di quei pomposi ricconi
pieni di
sé. Cosa poteva chiedere di più che essere pagato
per un lavoro che faceva da
una vita e in cui si divertiva anche?
La
curiosità aveva
instillato la propria scintilla e stava sbocciando lentamente, facendo
bruciare
l’orco: se avesse saputo di chi si trattava avrebbe anche
potuto patteggiare
con lui, minacciarlo e magari chiedere un compenso più alto
o un paio di
favori; avrebbe potuto ricavare dell’utile dalla conoscenza
di quel nome,
avrebbe anche potuta usarla come informazione da rivendere a qualcun
altro.
Krugar
si grattò la
barba ispida, soppesando la proposta: il Dragoron avrebbe anche potuto
mentire
dichiarando di conoscere il Duca, ma nessuno, a parte Krugar e il Duca
stesso
sapevano l’uno dell’altro.
E
alla fin fine,
anche se avesse dovuto saltar fuori che era stata una messinscena e
aveva
sentito quel nome chissà come e chissà dove, si
trattava pur sempre di un
Dragoron, e grazie a lui, avrebbe potuto scoprir i punti deboli dei
suoi
amichetti. ed eliminare una volta per tutte quelle mosche fastidiose a
cavallo
di ammassi di ferraglia sputa-fuoco.
«Voglio
parlare da
solo con il prigioniero, disarmatelo e portatelo nella mia
cabina!» ordinò,
alla fine.
I
suoi uomini fecero
come gli era stato intimato e iniziarono a perquisire il Dragoron, Adam
cercò
di fare resistenza ma i due energumeni che lo trattenevano erano
più forti e
grossi di lui, così dovette arrendersi e lasciarsi toccare
da quelle mani avide
e viscide che estraevano, come conigli da un cilindro, la
più variegata e
assurda collezione di armi che avessero mai visto: oltre al fucile, gli
sequestrarono una spada, un paio di pistole con coltello
d’argento, due
moschetti e qualche pugnale.
«Ben
rifornito il
damerino» commentò Krugar accarezzando una delle
pistole d’argento, «Queste le
prendo in custodia io. Sono un pezzo davvero pregiato e sarebbe un
peccato
lasciarlo in mano a questi bifolchi ignoranti»
continuò, facendo l’occhiolino
in direzione dei suoi uomini «È da quando ho
svaligiato il vascello di un certo
Treveille che non ne vedevo una, molto carine. Il resto è
vostro.»
Krugar
lasciò i suoi
uomini a litigarsi le armi di Adam e fece cenno ai due omaccioni di
seguirlo,
trascinando l’umano sino alla cabina del capitano.
Questa
era un
ambiente raffinato e luminoso che Krugar aveva preferito lasciare
identico a
come l'aveva trovato quando aveva rubato la nave: era un enorme stanza
dalle
pareti rivestite di legno pregiato e il pavimento di quercia scura;
enormi
librerie ne ricoprivano il perimetro, spandendo nella stanza un forte
odore di
pergamena e inchiostro, gli spazi non occupati da queste erano
riservati a
sciabole dall’elsa finemente intagliata, a spade
d’oro o a pistole dal manico
d’osso impreziosito da decori in argento, appesi a ganci e
rastrelliere. Mappe
geografiche, topografiche, carte nautiche ed eoliche e mappe stellari
occupavano gli ultimi spazi rimasti, racchiuse in cornici barocche; una
ciclopica scrivania in ciliegio troneggiava al centro della stanza,
ingombra di
carte, pergamene e libri mastri, mentre un letto era incassato in una
parete,
sotto gli imponenti scaffali ricolmi di libri. Era la cabina
più ingombra e
disordinata che Adam avesse mai visto e mai avrebbe pensato che potesse
appartenere ad un pirata.
Krugar
fece un cenno
ai due scagnozzi che avevano portato Adam e questi uscirono dalla
stanza.
«I
tuoi uomini ti
rispettano molto» commentò l’umano
massaggiandosi le braccia, nel punto in cui
era stato stretto e trattenuto.
«Mi
sono guadagnato
la loro stima e la loro fiducia a fatica, ma darebbero la loro vita per
me.»
«E
ti lasciano qui,
da solo, in compagnia di un Dragoron che fino a un momento prima stava
sparando fuoco contro la tua nave e voleva catturarti?»
«Hai
detto bene:
fino a un momento prima, ma possono cambiare tante cose in un lasso di
tempo
molto piccolo, e ora mi pare che i ruoli sia siano invertiti.»
«Ciò
non toglie che
possa spararti o sgozzarti» replicò
l’altro facendo scivolare lo sguardo
sull’armamentario esposto alle pareti.
«Mi
hanno
soprannominato Mano Scarlatta per un motivo, credi davvero che un
damerino
vestito da pagliaccio mi faccia paura? Soprattutto dopo che
l’ho sconfitto con
tanta facilità?»
Adam
sorrise: a
quell’orco sfuggivano moltissimi dettagli, ma non se ne
sorprendeva: la sua
razza non era famosa per la propria intelligenza.
«Allora
perché non
l’hai ancora fatto?» lo provocò.
«Perché
so chi sei,»
rispose Krugar, lasciandosi cadere sulla poltrona in pelle dietro la
scrivania,
«Duca.»
Il
pirata non si era
disturbato ad invitare l’umano ad accomodarsi, e Adam fece da
sé prendendo
posto sulla poltrona dall’altra parte della scrivania.
«Sei
molto
perspicace, per essere un orco» constatò. Era
rimasto veramente sorpreso di
fronte all’intuito di Krugar: mai se lo sarebbe aspettato da
un ammasso di
muscoli e boria.
«Ti
consiglio di non
tirare troppo la corda. Essere il mio datore di lavoro non ti autorizza
a
prendermi per il culo» replicò l’orco
con un cipiglio minaccioso, «Resti,
comunque, un mio prigioniero.»
«Che
non è legato e
può servirsi come se fosse a casa propria» Adam si
allungò verso un carrello su
cui era appoggiato un vassoio che accoglieva una bottiglia di vetro
contenente
un liquido dorato ed un paio di calici.
Prese
un calice e la
bottiglia e si versò da bere, studiando con la coda
dell’occhio l’orco; questi
non fece una piega e prese l’altro calice, facendosi versare
il liquore.
«Non
ho mai detto
che li tratto male» replicò Krugar, prendendo un
sorso della bevanda.
Adam
lo imitò e il
liquore scese come una lingua di fuoco lungo la gola
dell’uomo, mandandolo in
estati.
«Perché
il Duca
avrebbe deciso di attaccare il pirata che ha assoldato?»
domandò Krugar,
mettendosi più comodo: si lasciò scivolare contro
lo schienale della poltrona e
allungò le gambe sulla scrivania, quella destra era di
titanio ed era attaccata
al resto della coscia attraverso una cinghia di cuoio; un sistema di
tubi e
molle ne permetteva un movimento che somigliasse a quello di una gamba
normale,
non ugualmente fluido, ma pur sempre meno rigido di una gamba di solo
metallo o
di legno.
«Sono
pur sempre un
Dragoron e devo sottostare agli ordini dei miei superiori, sarebbe
parso
sospetto se avessi rifiutato l’incarico.»
«Avresti
sempre
potuto addurre una scusa plausibile.»
Adam
gli lanciò
un’occhiata scettica, «Meglio così:
è più semplice e le cose più semplici,
di
solito, sono anche le più efficaci.»
«Ti
sei lasciato
catturare» non era una domanda, ma una constatazione e il
Dragoron non si prese
la briga di rispondere.
«Sei
piuttosto
astuto, per essere un umano» continuò
l’orco con un sorriso storto, Adam
scrollò le spalle, senza raccogliere la provocazione.
«Per
cosa ti serve
tutta quella roba?» domandò Krugar.
«Credo
che siano
fatti miei, non trovi?» replicò l’altro.
«Non
mi sembri nella
posizione per fare il sostenuto: sei sempre mio prigioniero, vorrei
ricordartelo. Inoltre sei un Dragoron che sta pagando il pirata che
dovrebbe
arrestare, situazione alquanto inusuale, sarebbe un peccato se questo
piccolo
segreto si diffondesse…»
«Non
mi sembra tu
sia nella posizione per potermi minacciare: sarebbe la mia parola di
cavaliere
contro la tua di pirata e ricercato» rispose
l’altro secco.
«Sei
un gran bel
tipetto» scoppiò a ridere l’altro
«Sapevo che mi sarei divertito con te.»
Krugar
sollevò il
calice nella sua direzione e buttò giù il liquore
rimasto in un colpo solo, in
una specie di brindisi.
«Posso
almeno sapere
perché hai deciso di lasciarti catturare?»
«C’è
un’ultima cosa
che mi manca, per completare il mio progetto, ma non potrei mai
procurarmela da
solo. È troppo rischioso, anche per un Dragoron e solo un
pirata esperto e
coraggioso potrebbe aiutarmi» ammiccò Adam.
Krugar
scoppiò a
ridere «Le tue tecniche con me non funzionano, umano. Non
sono una di quelle
fanciulle che ti porti a letto, e i tuoi occhiolini o le tue sviolinate
con me
non attaccano.»
«Va
bene, va bene,
ho capito. Cercherò di dire semplicemente quello che devo:
ciò che mi serve è
molto raro e prezioso, e in pochi conoscono dove poterselo procurare,
ancor
meno riescono ad arrivarci, o a prenderlo. Io sono a conoscenza
dell’ubicazione
del luogo, ma come Dragoron non posso andarci e, comunque non potrei
andarci da
solo: è troppo pericoloso. Per questo mi serve il tuo aiuto:
sarai la mia
copertura e la mia scorta.»
«Si
può sapere di
cosa diamine si tratta?» sbottò l’altro,
esasperato. Detestava quando i suoi
interlocutori tergiversavano: lui era un orco che amava la
semplicità e la
sostanza, i convenevoli e le moine erano per le dame e i nobili
effeminati.
«Andrò
dritto al
sodo, allora: ciò che mi serve è un cuore di
drago.»