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Autore: Ayr    26/05/2017    6 recensioni
Mi hanno accusato di tradimento, ma sono solo una vittima innocente degli eventi, incastrata da qualcuno più furbo e spietato di me, che non ha avuto rimorsi nel coinvolgermi in tutto questo e nel far ricadere la colpa sul mio capo, su cui, ora, pende la lapidaria sentenza: verrò destituito dal mio incarico e cacciato da quella che fino a quel momento era stata la mia casa.
Verrò umiliato, un’ultima volta, la più terribile: mi verrà strappato tutto ciò che fino ad ora ho posseduto ed il mio unico compagno di una vita verrà distrutto. Una parte di me morirà inevitabilmente con lui, quando il Sigillo verrà spezzato e rimarrò spezzato anche io.
Non voglio essere ricordato in questo modo, non se ho anche la più remota possibilità di raccontare come siano veramente andate le cose, e di dimostrare la mia innocenza.
Narrerò la mia storia e lascerò che siano i posteri a giudicarla, nella speranza che qualcuno riesca a vedere come io sia stato solo una vittima ingenua di un enorme inganno ben architettato.
[La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul forum di EFP: ‘The Dragon’s Riders Contest!’]
[Steampunk fantasy (o almeno ci provo)]
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III

Krugar rimase a osservare l'uomo, sconcertato: non riusciva a capacitarsi dell'assurdità e dall'appariscenza del suo abbigliamento; aveva sempre pensato ai Dragoron come guerrieri seri, vestiti di nero o inscatolati in armature scintillanti, e l'avere davanti quel cavaliere vestito da pagliaccio lo destabilizzava.
«Non fai più lo sbruffone, ora che non cavalchi più la tua ferraglia sputa fuoco» lo provocò.
La prima volta che si era imbattuto in uno di loro, credeva che i cavalieri fossero indistruttibili e invincibili, ma si era reso conto di essere stato impressionato dai draghi, e che gran parte della loro potenza e apparente invincibilità era data proprio da quelle macchine infernali: sembrava che cavalcare quegli abomini mastodontici li desse sicurezza e anche un pizzico di arroganza e si sentissero onnipotenti, e questa sensazione veniva trasmessa ai loro avversari, che tremavano al loro cospetto e belavano come agnellini.
Il prigioniero, trattenuto dai due della ciurma più nerboruti, sollevò lo sguardo e inchiodò l'orco con il suo unico occhio; l'altro era coperto da una benda nera e il pirata si domandò se, come per molti, fosse solo un decoro o l'avesse perso davvero.

Il cavaliere si limitò a squadrarlo, e nonostante fosse costretto a rimanere inginocchiato e Krugar incombesse minacciosamente su di lui, non aveva perso, come invece tanti altri, la sua sicurezza quasi strafottente, e guardava l’orco con aria di sfida. Krugar pensò che con quel Dragoron si sarebbe proprio divertito: erano in pochi quelli che osavano sfidarlo e ancor meno quelli capaci di tenergli testa, e l’orco si annoiava ad avere sempre a che fare con codardi e pisciasotto che non riuscivano a sostenere il suo sguardo per più di pochi secondi; quell’umano, invece, lo stava provocando, e nemmeno in maniera troppo velata. Sarebbe stato interessante vedere fin dove avrebbe osato spingersi.
«Quindi tu saresti il famoso Krugar Mano Scarlatta, terrore di tutti i cieli e di tutti i mari» iniziò il cavaliere; aveva una voce profonda e suadente, ma all’orco non sfuggì la punta di arroganza che la impregnava, «Me lo immaginavo più…terrificante. Non mi aspettavo un ragazzino.»
Krugar era un giovane orco mastodontico, alto e robusto, con i tratti del volto grossolani e vagamente animaleschi ma privo dei segni dell’età e del tempo inclemente; la pelle era di un verde muschio brillante e le zanne minacciose che spuntavano dalla bocca priva di labbra erano candide, appuntite e impreziosite da anelli d’argento; aveva lunghi capelli rossi raccolti in treccine fermate da anelli d’oro, e una corta barbetta rossa copriva la mandibola forte e decisa mentre una sottile cicatrice attraversava la parte sinistra del volto sfiorando l’occhio, l’unico segno che lo facesse sembrare meno giovane e inesperto.

Era a torso nudo, ed ostentava il tatuaggio di un Ardrir che stringeva le sue spire attorno al braccio sinistro, si allungava oltre la clavicola e spalancava le fauci all’altezza del cuore. Un paio di pantaloni di stoffa nera, una fusciacca scarlatta in vita e una collana di denti di drago completavano l’insieme, intimidatorio e affascinante.
L’orco era rimasto impassibile: era abituato a insulti più pesanti e provocazioni più irritanti, e sinceramente le parole del cavaliere facevano parte del repertorio più classico e banale, non valeva nemmeno la pena che venissero prese in considerazione. S’aspettava che il Dragoron fosse più creativo, ma l’aveva deluso profondamente.
«Sei così noioso e prevedibile, cavalcatore di draghi» sbuffò l’orco, «Ne ho visti così tanti negli ultimi tempi e sono esattamente come te: quando sono in groppa a quei marchingegni fanno la voce grossa, ma una volta che si toglie da sotto le loro chiappe quell’ammasso di metallo e fuoco, diventano nient’altro che sgorbi uguali a tutti gli altri, mortali e meschini. Dammi un buon motivo per cui dovrei risparmiarti la vita. Se sarà abbastanza convincente, potrei anche prendere in considerazione l’opzione», aggiunse mostrando un ghigno poco amichevole e rassicurante.

«Se ti dicessi che so chi si nasconde dietro il Duca» rispose l’altro con indifferenza.
Un silenzio di tomba calò sul ponte della nave: tutta la ciurma era rimasta ammutolita e sbalordita, la dichiarazione aveva lasciato senza parole Krugar stesso.
Il Duca era il misterioso e ignoto committente per cui lavoravano e per il quale avevano depredato le navi della Compagnia Orientale. Krugar non l’aveva mai visto in volto e comunicava con lui solo mediante lettere che venivano lasciate in punti nascosti delle Città Sospese: in un anfratto di un muro sconnesso, tra le pagine di un libro della biblioteca cittadina e o nel bagno di qualche bettola. Il pagamento per i suoi servigi era stato alquanto allettante e l’orco non aveva esitato ad accettare quell’incarico: alla fine, si trattava semplicemente di alleggerire il carico di qualche mercantile di quei pomposi ricconi pieni di sé. Cosa poteva chiedere di più che essere pagato per un lavoro che faceva da una vita e in cui si divertiva anche?

La curiosità aveva instillato la propria scintilla e stava sbocciando lentamente, facendo bruciare l’orco: se avesse saputo di chi si trattava avrebbe anche potuto patteggiare con lui, minacciarlo e magari chiedere un compenso più alto o un paio di favori; avrebbe potuto ricavare dell’utile dalla conoscenza di quel nome, avrebbe anche potuta usarla come informazione da rivendere a qualcun altro.
Krugar si grattò la barba ispida, soppesando la proposta: il Dragoron avrebbe anche potuto mentire dichiarando di conoscere il Duca, ma nessuno, a parte Krugar e il Duca stesso sapevano l’uno dell’altro.

E alla fin fine, anche se avesse dovuto saltar fuori che era stata una messinscena e aveva sentito quel nome chissà come e chissà dove, si trattava pur sempre di un Dragoron, e grazie a lui, avrebbe potuto scoprir i punti deboli dei suoi amichetti. ed eliminare una volta per tutte quelle mosche fastidiose a cavallo di ammassi di ferraglia sputa-fuoco.
«Voglio parlare da solo con il prigioniero, disarmatelo e portatelo nella mia cabina!» ordinò, alla fine.

I suoi uomini fecero come gli era stato intimato e iniziarono a perquisire il Dragoron, Adam cercò di fare resistenza ma i due energumeni che lo trattenevano erano più forti e grossi di lui, così dovette arrendersi e lasciarsi toccare da quelle mani avide e viscide che estraevano, come conigli da un cilindro, la più variegata e assurda collezione di armi che avessero mai visto: oltre al fucile, gli sequestrarono una spada, un paio di pistole con coltello d’argento, due moschetti e qualche pugnale.
«Ben rifornito il damerino» commentò Krugar accarezzando una delle pistole d’argento, «Queste le prendo in custodia io. Sono un pezzo davvero pregiato e sarebbe un peccato lasciarlo in mano a questi bifolchi ignoranti» continuò, facendo l’occhiolino in direzione dei suoi uomini «È da quando ho svaligiato il vascello di un certo Treveille che non ne vedevo una, molto carine. Il resto è vostro.» 

Krugar lasciò i suoi uomini a litigarsi le armi di Adam e fece cenno ai due omaccioni di seguirlo, trascinando l’umano sino alla cabina del capitano.
Questa era un ambiente raffinato e luminoso che Krugar aveva preferito lasciare identico a come l'aveva trovato quando aveva rubato la nave: era un enorme stanza dalle pareti rivestite di legno pregiato e il pavimento di quercia scura; enormi librerie ne ricoprivano il perimetro, spandendo nella stanza un forte odore di pergamena e inchiostro, gli spazi non occupati da queste erano riservati a sciabole dall’elsa finemente intagliata, a spade d’oro o a pistole dal manico d’osso impreziosito da decori in argento, appesi a ganci e rastrelliere. Mappe geografiche, topografiche, carte nautiche ed eoliche e mappe stellari occupavano gli ultimi spazi rimasti, racchiuse in cornici barocche; una ciclopica scrivania in ciliegio troneggiava al centro della stanza, ingombra di carte, pergamene e libri mastri, mentre un letto era incassato in una parete, sotto gli imponenti scaffali ricolmi di libri. Era la cabina più ingombra e disordinata che Adam avesse mai visto e mai avrebbe pensato che potesse appartenere ad un pirata.
Krugar fece un cenno ai due scagnozzi che avevano portato Adam e questi uscirono dalla stanza.

«I tuoi uomini ti rispettano molto» commentò l’umano massaggiandosi le braccia, nel punto in cui era stato stretto e trattenuto.
«Mi sono guadagnato la loro stima e la loro fiducia a fatica, ma darebbero la loro vita per me.»

«E ti lasciano qui, da solo, in compagnia di un Dragoron che fino a un momento prima stava sparando fuoco contro la tua nave e voleva catturarti?»
«Hai detto bene: fino a un momento prima, ma possono cambiare tante cose in un lasso di tempo molto piccolo, e ora mi pare che i ruoli sia siano invertiti.»
«Ciò non toglie che possa spararti o sgozzarti» replicò l’altro facendo scivolare lo sguardo sull’armamentario esposto alle pareti.
«Mi hanno soprannominato Mano Scarlatta per un motivo, credi davvero che un damerino vestito da pagliaccio mi faccia paura? Soprattutto dopo che l’ho sconfitto con tanta facilità?»

Adam sorrise: a quell’orco sfuggivano moltissimi dettagli, ma non se ne sorprendeva: la sua razza non era famosa per la propria intelligenza.
«Allora perché non l’hai ancora fatto?» lo provocò.
«Perché so chi sei,» rispose Krugar, lasciandosi cadere sulla poltrona in pelle dietro la scrivania, «Duca.»
Il pirata non si era disturbato ad invitare l’umano ad accomodarsi, e Adam fece da sé prendendo posto sulla poltrona dall’altra parte della scrivania.
«Sei molto perspicace, per essere un orco» constatò. Era rimasto veramente sorpreso di fronte all’intuito di Krugar: mai se lo sarebbe aspettato da un ammasso di muscoli e boria.

«Ti consiglio di non tirare troppo la corda. Essere il mio datore di lavoro non ti autorizza a prendermi per il culo» replicò l’orco con un cipiglio minaccioso, «Resti, comunque, un mio prigioniero.»
«Che non è legato e può servirsi come se fosse a casa propria» Adam si allungò verso un carrello su cui era appoggiato un vassoio che accoglieva una bottiglia di vetro contenente un liquido dorato ed un paio di calici.

Prese un calice e la bottiglia e si versò da bere, studiando con la coda dell’occhio l’orco; questi non fece una piega e prese l’altro calice, facendosi versare il liquore.
«Non ho mai detto che li tratto male» replicò Krugar, prendendo un sorso della bevanda.
Adam lo imitò e il liquore scese come una lingua di fuoco lungo la gola dell’uomo, mandandolo in estati.

«Perché il Duca avrebbe deciso di attaccare il pirata che ha assoldato?» domandò Krugar, mettendosi più comodo: si lasciò scivolare contro lo schienale della poltrona e allungò le gambe sulla scrivania, quella destra era di titanio ed era attaccata al resto della coscia attraverso una cinghia di cuoio; un sistema di tubi e molle ne permetteva un movimento che somigliasse a quello di una gamba normale, non ugualmente fluido, ma pur sempre meno rigido di una gamba di solo metallo o di legno.
«Sono pur sempre un Dragoron e devo sottostare agli ordini dei miei superiori, sarebbe parso sospetto se avessi rifiutato l’incarico.»
«Avresti sempre potuto addurre una scusa plausibile.»

Adam gli lanciò un’occhiata scettica, «Meglio così: è più semplice e le cose più semplici, di solito, sono anche le più efficaci.»
«Ti sei lasciato catturare» non era una domanda, ma una constatazione e il Dragoron non si prese la briga di rispondere.
«Sei piuttosto astuto, per essere un umano» continuò l’orco con un sorriso storto, Adam scrollò le spalle, senza raccogliere la provocazione.
«Per cosa ti serve tutta quella roba?» domandò Krugar.
«Credo che siano fatti miei, non trovi?» replicò l’altro.

«Non mi sembri nella posizione per fare il sostenuto: sei sempre mio prigioniero, vorrei ricordartelo. Inoltre sei un Dragoron che sta pagando il pirata che dovrebbe arrestare, situazione alquanto inusuale, sarebbe un peccato se questo piccolo segreto si diffondesse…»
«Non mi sembra tu sia nella posizione per potermi minacciare: sarebbe la mia parola di cavaliere contro la tua di pirata e ricercato» rispose l’altro secco.
«Sei un gran bel tipetto» scoppiò a ridere l’altro «Sapevo che mi sarei divertito con te.»
Krugar sollevò il calice nella sua direzione e buttò giù il liquore rimasto in un colpo solo, in una specie di brindisi.
«Posso almeno sapere perché hai deciso di lasciarti catturare?»

«C’è un’ultima cosa che mi manca, per completare il mio progetto, ma non potrei mai procurarmela da solo. È troppo rischioso, anche per un Dragoron e solo un pirata esperto e coraggioso potrebbe aiutarmi» ammiccò Adam.
Krugar scoppiò a ridere «Le tue tecniche con me non funzionano, umano. Non sono una di quelle fanciulle che ti porti a letto, e i tuoi occhiolini o le tue sviolinate con me non attaccano.»
«Va bene, va bene, ho capito. Cercherò di dire semplicemente quello che devo: ciò che mi serve è molto raro e prezioso, e in pochi conoscono dove poterselo procurare, ancor meno riescono ad arrivarci, o a prenderlo. Io sono a conoscenza dell’ubicazione del luogo, ma come Dragoron non posso andarci e, comunque non potrei andarci da solo: è troppo pericoloso. Per questo mi serve il tuo aiuto: sarai la mia copertura e la mia scorta.»
«Si può sapere di cosa diamine si tratta?» sbottò l’altro, esasperato. Detestava quando i suoi interlocutori tergiversavano: lui era un orco che amava la semplicità e la sostanza, i convenevoli e le moine erano per le dame e i nobili effeminati.
«Andrò dritto al sodo, allora: ciò che mi serve è un cuore di drago.»

   
 
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