Secondo capitolo -
Bella
La verità dovrebbe
essere semplice.
Dovrebbe aggiustare le
cose, piano piano.
Dovrebbe far bene.
Ma per me, non è così.
La verità invece
è difficile, sin troppo.
Charlie mi ha trovata in una culla, vicino ad un convento. Passava di
lì per caso, e si è fermato quando ha sentito i lamenti di un
neonato. Sì, quella neonata
ero proprio io.
Non conosco la mia vera
madre, e non ho mai fatto niente per cercarla. Per non so quale motivo, ha
deciso di abbandonarmi appena sono nata. Se Charlie fosse passato da lì
troppo tardi, forse sarei morta a quest’ora. O se le suore del convento
avessero aperto il cancello prima di lui, chissà ora dove sarei.
Buttata in qualche casa
famiglia.
Charlie non era solo, però. Con lui c’era Renée,
ed ho dei ricordi vaghi di lei.
Renée ha deciso di andarsene quando avevo
appena due anni, perché non ce la faceva.
Quella vita non le andava bene, aveva
bisogno di altro.
Mio padre, però,
non ha demorso. Mi è sempre stato accanto, crescendomi ed educandomi fino ad oggi.
E proprio crescendo, ho iniziato a capire che le cose erano diverse.
Charlie non era come
tutti i papà delle mie amiche: mi veniva a prendere raramente a scuola,
stava sempre chiuso in casa o alla centrale di Polizia. La sua pelle era fredda
come il ghiaccio, e dura. Più
di una volta, quando ero una bambina, mi sono fatta male giocando con lui.
Sbattevo addosso al suo petto marmoreo, e il giorno dopo mi ritrovavo con dei
lividi sul corpo.
Quando – per Charlie – ho raggiunto
l’età adatta, si è messo seduto accanto a me ed ha iniziato
a spiegarmi molte cose.
Cose che all’inizio
pensavo che fossero soltanto fantascienza, ma invece
no.
Charlie Swan, mio padre, era un
vampiro.
Sì, proprio quelli
che non dormono e ti succhiano il sangue.
Non poteva uscire sotto
la luce del sole, non mangiava, non dormiva.
Mi raccontò essere
stato salvato da un altro come lui, durante la Prima Guerra Mondiale. Stava per
morire, ed un altro vampiro era stato abbastanza forte
da morderlo, iniettando dentro di lui il suo veleno. Dopo tre giorni di pura
agonia, si era svegliato, e non era mai più cambiato.
Aveva conosciuto Renée negli anni cinquanta, e si erano perdutamente
innamorati. Lei era a conoscenza del suo segreto, e l’aveva supplicato
più volte di trasformarla. Charlie, irremovibile, non l’aveva mai
fatto. Voleva che passasse una vita normale, da umana. Finché
Renée non decise di attentare alla sua vita,
cercando di uccidersi. Ci riuscì, perché l’unica
cosa in grado di salvarla fu proprio il morso di Charlie. Lui lo fece: la
morse, e lei diventò proprio come lui. Immortale. Vissero insieme decenni felici, finché decisero
di trasferirsi a Forks: era una città piccola,
semplice, e – soprattutto
– piovosa. Sarebbero riusciti a vivere in serenità, almeno per
qualche anno.
Ma proprio lì, subentrai io.
Charlie non se la
sentì di lasciare una piccola bambina sola, e la portò a casa a Renée. All’inizio, erano entrambi felici.
Entrambi vegetariani,
si nutrivano soltanto di sangue animale. Una volta andava
lei, e l’altra lui. Per non lasciarmi mai sola.
Non mi hanno mai fatto
mancare niente.
Ma ad
un certo punto, Renée non resistette
più alla sete di sangue umano, e con un biglietto scritto in una
calligrafia perfetta, lasciato in cucina mentre Charlie era a caccia, decise di
andarsene. Al suo ritorno, trovò soltanto me ad
aspettarlo.
Piccola e indifesa, nella
mia culla in lacrime.
So che ha sofferto molto
per la perdita di Renée, eppure non l’ha
mai cercata. Mai. E’ sempre
rimasto con me.
Finché gli anni
passavano, e lui continuava a non invecchiare.
Doveva trovare un modo,
una scusa.
Grazie ai suoi contatti
inventò una fantomatica Zia Sue, che ovviamente non esiste. Firmò
carte, e per un periodo tutti pensarono che fosse a New York, per la malattia
di Renée. Finse la morte di Renée, la pianse insieme ai colleghi della centrale,
e poi – passati sette anni -,
disse che non ce la faceva.
Non aveva superato il
lutto, e quindi voleva andarsene.
Io, - che ne avevo appena nove – non mi
ero opposta al trasferimento. Charlie si trasferì in Alaska, lasciandomi
con Zia Sue.
Questa, è la
storia che tutta la popolazione di Forks conosce.
La realtà non
è però molto diversa: Charlie è davvero il Capo della
Polizia dell’Alaska, e con le sua velocità sovrannaturale riesce a
raggiungerla in poco tempo.
Lo vedo tutti i giorni,
perché torna sempre. Mi lascia pasti da riscaldare, soldi, si preoccupa
della mia carriera scolastica e delle domande per il College, anche se ancora
manca un anno.
Non è mai stato un
problema per me, la sua diversità.
E’ un vampiro, ma
poteva essere benissimo anche qualcos’altro.
Resterà per sempre
il mio papà, però.
“Bella,
respira.” Dice di nuovo, sedendosi sul divano accanto a me. “Sei
sicura?”
“Papà,
sì!”
“Magari ti sei
sbagliata.” Alzo gli occhi al cielo, sbuffano sonoramente.
“Vivo con un
vampiro da diciassette anni!” Dico soltanto.
Lui annuisce con
ovvietà.
Non posso sbagliarmi. So
come sono fatti. La loro pelle, i loro occhi, il loro profumo.
Profumo.
Ripenso a quello di
Edward, e vado su di giri. Era dolce, ma allo stesso tempo forte. Buono.
“Stai
arrossendo?”
Diamine!
“No… no.”
“Respira, e
raccontamelo di nuovo. Con calma.”
“Jessica era in
segreteria prima della pausa pranzo.” Inizio. “Quando è
arrivata in mensa, ci ha detto che una nuova famiglia si è trasferita a Forks. I figli, frequentano tutti
la scuola. Ha detto di averne visti due in segreteria, mentre prendevano
l’orario.” Prendo fiato. “Ha iniziato a farneticare cose su esseri sovrannaturali,
divinità e roba del genere. Diceva che erano bellissimi, sembravano non
umani. Lì, ho iniziato seriamente a pensare che ci fosse qualcosa di
strano.”
“E quindi, hai
dedotto che sono vampiri?”
“No,
papà! Alla
penultima ora, avevo Biologia. Banner mi ha detto che c’era un nuovo
ragazzo, e che l’aveva messo vicino a me.”
Penso a Edward, e sento il sangue salire sulle guance. Stavolta, Charlie
capisce perché arrossisco. “Papà,
è un vampiro. Non mi ha detto una parola, cercava di starmi il
più lontano possibile. Aveva occhi neri, e la pelle cinerea. Come te.” Indico le braccia di
Charlie.
“Quindi,
non ti ha parlato.”
“No. E’ scappato ancor prima che
suonasse la campanella. Di corsa.” Preciso, ricordando molto bene il modo
in cui Edward è fuggito.
“Questo è
strano.” Non dice niente, ma so che il suo cervello sta lavorando.
“Cosa?”
“Se i ragazzi
frequentano la scuola, devono per forza essere vegetariani.”
“E…?”
“Non riesco a
spiegarmi il comportamento di questo… ragazzo.”
Dicendolo, mi squadra attentamente.
Dannato Edward.
“Non dovrebbe avere
problemi a relazionarsi con gli umani, quindi.”
Finisce lui.
Ed ha ragione.
Se sono a scuola,
significa che non si nutrono di sangue umano. Sennò, sarebbe una vera e
propria strage.
Ma Edward… mi guardava come se mi
volesse mangiare.
Dio, fa che siano realmente vegetariani.
“Bells, ascoltami attentamente.” Annuisco, puntando
gli occhi in quelli dorati di Charlie.
“Devi
fare attenzione.
Alla loro presenza, dovresti apparire soggiogata o impaurita, capito? Non puoi
far finta di niente. Sono vampiri. Tu
sai come sono fatti, e non puoi comportarti come se fosse una cosa normale. Per
ora, devi far finta di niente. Cerca di stare il più possibile alla
larga da loro. Io cercherò d’informarmi. Tu, comportati
normalmente. Niente sguardi strani, non fissare troppo, non fare domande.” Annuisco di nuovo. “E non arrossire, per
favore.” Aggiunge poi, schioccandomi un’occhiata tra il divertito e
il rimprovero.
Dannata Isabella Swan!
E dannati vampiri!
Non dormo bene, e gli
incubi mi accompagnano per tutta la notte.
Sogno Edward. E poi
Charlie. E poi, Edward e Charlie insieme che mi mangiano.
Letteralmente.
Mi sveglio con le borse
che arrivano fino al mento, ma grazie a Dio è
venerdì. Ormai non so più se andrò in Alaska con
papà per il fine settimana.
Questa storia dei nuovi vampiri mi ha destabilizzata
abbastanza, tant’è che nemmeno mi fermo a parlare con i ragazzi,
quando arrivo a scuola. Tiro dritta verso la segreteria. Voglio chiedere a Miss
Robinson se posso spostare l’ora di Biologia, per non dover stare con
Edward.
Ascoltare quello che ha
detto Charlie è stato facile, ma metterlo in pratica un po’ meno.
Non posso stare con lui. Non così
vicino.
“Ciao!”
Sobbalzo, voltandomi verso quella
voce.
“Ciao?”
Domando, strizzando gli occhi.
La conosco? No.
E’ un vampiro?
Sì.
“Tu devi essere
Isabella!”
“Bella
basta.” Sorrido alla ragazza con i capelli corvini, che ha cominciato a
camminare accanto a me.
“Io
sono Alice. Alice
Cullen.” Precisa, allungando la mano coperta
dal guanto.
Furba.
“Bella.”
Ripeto di nuovo, sorridendo.
“Letteratura alla
prima ora?” Chiede, indicando l’aula a cui
ci stiamo avvicinando. “Anche io!”
“Oh, no. Stavo
andando in segreteria.”
“Come mai?”
Fantastico, mi mancava
soltanto una versione vampiro di Jessica.
“Devo chiedere due
cose alla segretaria.” Borbotto.
“Non ti
sposterà l’ora di Biologia.” Sgarro
gli occhi, posizionandomi di scatto davanti a lei.
“Come scusa?”
“Non te la cambierà, Bella.” Ripete di nuovo, sempre con
quell’aria allegra.
“Come fai
a…” Ma le parole mi muoiono in bocca, quando Alice afferra
delicatamente il mio braccio e mi trascina verso un’aula vuota.
“Lo so che lo sai.” Dice soltanto.
“Cosa
dovrei sapere?” Sbuffa, ma accompagna tutto da una sonora risata.
“So che lo sai.” Ripete di nuovo, fissandomi con quegli occhi
dorati.
Dorati. Sono vegetariani.
Non parlo, e continuo a
scrutarla. Un misto di sensazioni si impossessano di
me: come fa? Perché? Cosa dovrei fare?
“Non ti preoccupare, Bella.” Dice stavolta, dolcemente.
“Non so di cosa
stai parlando.” Rispondo allora, voltandomi verso la porta.
Fai finta di niente.
Comportati normalmente.
“Lo so
anch’io, Bella!” Mi blocco, ma resto sempre voltata.
“Come?”
“So che tuo padre
è un vampiro.” Resto paralizzata, senza muovermi di un centimetro.
“Io e la famiglia saremmo molto felici, se stasera
veniste a cena. Vi aspettiamo.” Dice infine, superandomi per
uscire e senza aspettare risposta.
Cosa diamine sta succedendo?