Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: Carlo Di Addario    27/05/2017    0 recensioni
[...] Il sindaco Howey camminava a testa alta tra i sudici viali della metropoli, seguito a ruota dagli assessori comunali, vari giornalisti, il radiocronista della città, la banda comunale e un numero sempre maggiore di curiosi.
La fanfara era guidata da Bennie Bentley Benton, il più famoso robotico musicofilo della Costa Atlantica. Si, perché non erano in carne e ossa i vari musicisti che lo seguivano marciando come un sol uomo: cigolanti e sferraglianti, erano delle sorta di tozzi barili bullonati con una sembianza vagamente antropomorfa che, tramite una serie di arti a funzionamento idraulico, erano in grado di suonare uno e un solo strumento, che spesso era parte esso stesso del loro arzigogolato corpo robotico.
----------------------------------------------------------
(Quarto racconto della serie "Sui cieli dell'Atlantico")
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sui cieli dell'Atlantico'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quel giorno c’era una certa agitazione per la città: ovunque, si percepiva una sorta di latente, febbrile, attesa… come se tutti, dal passante che leggeva torvo il giornale, alla signora imbellettata che portava a spasso il cane, stessero aspettando qualcosa.

Il sindaco Howey camminava a testa alta tra i sudici viali della metropoli, seguito a ruota dagli assessori comunali,  vari giornalisti, il radiocronista della città, la banda comunale e un numero sempre maggiore di curiosi.

La fanfara era guidata da Bennie Bentley Benton, il più famoso robotico musicofilo della Costa Atlantica. Si, perché non erano in carne e ossa i vari musicisti che lo seguivano marciando come un sol uomo: cigolanti e sferraglianti, erano delle sorta di tozzi barili bullonati con sembianze vagamente antropomorfe che, tramite una serie di arti a funzionamento idraulico, erano in grado di suonare uno e un solo strumento, che spesso era parte stesso del loro arzigogolato corpo robotico.

I robot trombettisti, per esempio, avevano una tromba che spuntava dal cilindro che ne costituiva la faccia, quasi ne fosse il naso. Quelli con il bassotuba lo avevano direttamente al posto del capo. I tamburelli avevano il tamburo saldato sul ventre e, al posto delle mani, delle vere e proprie bacchette.

Ellen, che si era aggregata alla bislacca comitiva non appena ne aveva udito il rumore dalla finestra, si era però innamorata dei robot fisarmonica: il loro corpo continuava a ondeggiare su e giù, proprio come fossero nient’altro che gigantesche fisarmoniche antropomorfe che, a ogni passo, producevano suoni in scala di Do maggiore, dal Sol bemolle al Mi diesis.

Certo, camminare vicino alla banda, se così si poteva chiamare, era un poco frastornate vista la cacofonia di suoni… ma era uno spettacolo così inusuale che la rampolla dei Newman non poteva perderselo.

Anzi, doveva saperne di più. Così, facendosi strada fra i giornalisti e i loro flash di polaroid, fra gli assessori e i loro pomposi discorsi autoreferenziali, finalmente raggiunse Bennie: vestito come Mozart, con tanto di spelacchiato parrucchino bianco sul capo, continuava a camminare come se quella cacofonia indistinta fosse essa stessa una sorta di sublime melodia, di cui lui era il regista.

Facendo attenzione a non farsi accecare in un occhio dalla stecca che, il musicofilo ingegnere, continuava ad agitarla a destra e manca in trance metafisica, esclamò: “Signor Benton!”

Il regista la guardò di sbieco, indispettito.

Ellen aggrottò lo sguardo.

“Signor Benton?!” domandò nuovamente, alzando la voce.

Nuovamente l’ingegnere la ignorò, iniziando a saltare su un piede solo mentre, a tempo, stavano ora salendo su un gigantesco cavalcavia.

La rampolla dei Newman era confusa… perché la stava ignorando?

Si girò, verso un robot che le stava camminando adiacente con un gigantesco triangolo al posto della gamba sinistra e che, saltando su un piede solo, produceva flebili Si bemolle a ogni saltello.

Presa da una bislacca intuizione, si slacciò il fiocco rosso che teneva in capo e lo avviluppò al triangolo dell’androide, per impedirgli di suonare.

Come quel singolo Si bemolle smise di udirsi, Bennie smise di saltellare. Sospirando, si voltò: “Cosa volete?!” chiese truce.

Subito Ellen si riallacciò i capelli, turbata da quell’improvviso tono aggressivo nei suoi confronti.

“Mi domandavo perchè…” s’affrettò a spiegarsi, impapinandosi.

“Perchè…?!” Incalzò Bennie, mentre passavano ora per una squallida via commerciale appestata dai fumi dei ristoranti che vi affacciavano.

La cadetta finì di stringersi il fiocco sul capo e, con ritrovato coraggio, concluse: “…perchè una banda di robot invece che una di persone in carne e ossa??”

La domanda parve tanto giusta e sensata, che Bennie ammorbidì subito lo sguardo. Tenendo ora il tempo muovendo le spalle, si grattò il parrucchino.

“Eh già, bella domanda” rispose vago.

La donna lo guardò sconcertata.

Poi il surreale musicofilo si girò, tornando a ondeggiare a tempo di Re diesis, questa volta.

La cadetta comprese che, l’inventore di quella bislacca e sferragliante banda musicale a cherosene, non le avrebbe dato risposte. Forse semplicemente non le aveva oppure, come sospettava, non voleva dargliele…

All’improvviso, la giovane donna si rese conto che la cacofonia di rumore attorno se era aumentata. Spaesata, si guardò intorno: nel tentativo di farsi ascoltare dal signor Bentley, non si era accorta della fiumana che si era accentrata attorno alla banda! Grandi e piccini, borghesi e operai, barboni e mendicanti, ormai era immersa in un vero e proprio corteo!

Confusa e disorientata, osservò chi sventolava bandiere, chi lanciava coriandoli, chi cantava in coro, chi imitava la ciondolante andatura degli androidi… intravide un bambino sulle spalle del padre lanciare stelle filanti, e poi dei ragazzi in costume, e poi un prete che decantava la bibbia, seguito a ruota da fedeli e postulanti. E chi guardava per aria, chi chiacchierava, e a un certo punto un signore dalla barba bianca la guardò. Ma chi era, il dottor Marx?! Non fece in tempo a rifletterci, che un corpulento netturbino gli passo davanti, seguito da una pioggia di coriandoli.

E la cadetta continuava a camminare, trascinata da quella surreale fiumana, in quello che era diventato una sorta di apocrifo carnevale. 

“Qui è il vostro Philips J. Abrams che vi parla, dal corteo cerimoniale per il ritorno del Modulo 42 dall’orbita geostazionaria!!” sentì di colpo da una radio a tutto volume, tenuta in spalla di un ragazzo vestito punk che si era ritrovato a camminarle adiacente.

Sgranò gli occhi, semplicemente spiazzata da quello appena sentito: quello… quello era il corteo cerimoniale per il ritorno del Modulo 42?! Ma non era possibile… il ritorno del Modulo era previsto per l’8 Marzo!! Ed era il 7, quel giorno…

“SCUSI!” urlò, per farsi sentire dal punk.

Questo, scostando i grossi occhiali da sole sotto la cresta arancio-fluo, la guardò perplesso.

“CHE GIORNO E’ OGGI?!”

Il ragazzo sbuffò, indicandosi l’otto tatuato sul petto in mezzo a due teschi infuocati, sovrastato dalla scritta “March”.

Ellen scosse il capo, mentre un tragicomico sorriso le spuntava in volto e la trombetta di un esuberante bambino le scompigliava i capelli: era proprio l’otto Marzo… da mesi attendeva quella data, e neppure si era accorta che era arrivata…

“Signori e signorine, dopo sei mesi in orbita sopra la città, il ritorno del Modulo 42 sarà un’evento imperdibile! A chiunque sia rimasto chiuso a casa o in fabbrica, sappiate che vi state perdendo un evento che entrerà nella storia della Costa Atlantica!!” esclamò Philips dalla radio, sempre più concitato.

Ellen annuì distrattamente, cominciando a fischiettare per contribuire anche lei a quella chiassosa, confusionaria e grottesca cacofonia: già, era proprio un giorno che sarebbe entrato nella squallida storia della Costa Atlantica… e lei, proprio lei, Ellen Newman, era riuscita involontariamente a ottenere un posto in prima fila, correndo fin da subito dal signor Bennie!

Si sentiva così… così stranita… così felicemente spaesata ed emozionata, col cuore le batteva forte forte nel petto! Nel mentre, tutto lo sgangherato corteo, unico corteo possibile nella decadente e anarchica società dov’era nata, iniziò a salire sulla terrazza panoramica sottostante la rampa di atterraggio del modulo.

Ellen, alzando lo sguardo al cielo, oltre le teste, le tube e le creste, osservò i mastodontici bracci meccanici che avrebbero dovuto agganciare la navicella: erano alti almeno sessanta metri e lunghi il doppio, ricoperti di ruggine ed edera, in un tripudio di pistoni e rotori. A guardarli così, con croste di muschio e licheni, sormontati da nidi e stormi, per un attimo la cadetta si domandò se quelle fatiscenti strutture di metallo sarebbero state realmente capaci di agganciare il modulo e reggerne il peso.

Fu un dubbio atroce.

Ma durò solo un’attimo, tanta era l’euforia generale e l’emozione all’idea di assistere, in diretta, a un’aggancio di un modulo geostazionario! E che modulo, il 42!! Certo che avrebbero retto, dovevano reggere!!

E, con quell’irrazionale convinzione, il corteo finalmente si fermò. Una buona metà della popolazione della città lì, su quella terrazza panoramica, in febbrile e concitata attesa.

Facendosi strada fra la calca, seguito a ruota dal gruppo di assessori, il sindaco salì su un piccolo palco di legno che scricchiolò paurosamente sotto il loro peso.

Constatato che la traballante impalcatura era in grado di reggere il loro peso, a patto che non si muovessero troppo, fece più volte segno alla folla di tacere.

Pian piano, il mormorio si affievolì. Quanto bastasse perchè il sindaco si convincesse che le sue parole al microfono fossero udibili, nonostante, a conti fatti, non lo fossero affatto.

Infatti, fin dal primo momento che cominciò il suo discorso, Ellen non ne capì una singola parola: era come un echeggiante brusio indistinto, che andava a mischiarsi al chiacchiericcio.

E proprio quando stava per coglierne un paio di parole, del solenne discorso…

TU-TUUUUUUUUUUUUUUUU!

Fischiò il treno in lontananza, sovrastando tutto con il suo eco.

“Ahahahahah!!” scoppiò a ridere di gusto la cadetta, vedendo come ogni cosa stesse impedendo a quel viscido serpente con la coccarda di esser capito.

C’è chi rise con lei e chi la guardò di sbieco, chi la ignorò e chi fece spallucce.

E poi la risata, pian piano, cessò.

Cessò insieme al brusio e alle parole del sindaco.

Cessò insieme alla banda e agli schiamazzi.

Perché, nell’aria, stava iniziando a perpetrarsi una grave sinfonia in scala di Fa.

Una gravissima sinfonia, che quasi ovattava le orecchie con il suo sordo boato.

Ellen si voltò di scatto verso la banda, ma gli automi erano fermi, sull’attenti davanti al loro compiaciuto direttore d’orchestra…

La cadetta iniziò a sentirsi un formicolio nello stomaco e le giunture tremolanti. Si toccò istintivamente il fiocco che portava in capo: se non era la banda, a produrre quel rumore, allora…

“Oooooooooh…”

Un mormorio di meraviglia si levò dalla calca.

Tutti alzarono lo sguardo al cielo, Ellen compresa: in lontananza, circondato dal fumo dei propulsori, stava rientrando il mastodontico Modulo 42.

Il boato si fece sempre più assordante, man mano che il modulo atterrava. Sembrava quasi il rumore di… di un pianoforte, nono, di qualcosa di più grave… di un organo…!!

Ellen sgranò gli occhi, dovendosi mettere le mani sulle orecchie tanto era diventato forte il rumore: quello che stava atterrando era il modulo più assurdo che avesse mai visto!! Una sorta di organo gigante, con tanto di capsula per l’equipaggio in vetro come tastiera, i propulsori e gli sfiatatoi come canne in ottone, i pedali come carrelli di atterraggio, il corpo centrale composto di centinaia di ingranaggi che ruotavano fra di loro, facendo ruotare due enormi pannelli solari sovrastati da un groviglio di antenne paraboliche!

E solo allora realizzò che era proprio l’astronave, tramite i suoi propulsori e sfiatatoi, a fare quell’armonico rumore in chiave di Fa!

La giovane donna scosse il capo, con un sorriso di pura meraviglia sul volto, mentre il cuore le pulsava forte nel petto e il suo corpo era percosso da fremiti… perché quella, quella non era solo la chiave di Fa… quella che l’arzigogolato e assurdo modulo spaziale a forma di organo stava “suonando”, mentre scendeva al suolo… era l’Inno alla Gioia, di Beethoven!!

Chi, chi era stato il folle genio che aveva orchestrato quell’assurdo concerto?! Ma certo! L’unico così folle da aver costruito una banda di androidi musicali… l’unico così musicofilo da farsi trasportare dalle note a tal punto da estraniarsi dal corteo saltellando su un piede solo… l’unico uomo, in quel momento, che stava guardando con un sorriso di puro compiacimento quello spettacolo… Bennie Bentley Benton, il più famoso robotico della Costa Atlantica!!

Purtroppo, in mezzo alla folla com’era, in quel confusionario miscuglio di teste e persone, non riuscì più a scorgerlo… ma poco importava, perché tanto una sola tutti guardavano: un colossale modulo-organo spaziale che calava dai cieli, con la sua assordante propulsione melodica.

Ormai era lì, prossimo ad agganciarsi ai bracci meccanici, e tutti trattennero il fiato.

Anche Ellen si sentì il cuore in gola, mentre tutto l’ambiente iniziava a riempirsi di denso fumo nero… e se i bracci meccanici non avessero retto…?

La cadetta accennò un isterico sorriso, tremando come una foglia… be, sarebbe stata protagonista di una delle più tragiche, cruenti e irreali stragi che la Costa Atlantica avesse mai visto.

SBADACRASH!!!

Fu come un tuono lontano. O come i fuochi artificiali per il quattro Luglio.

Lo scricchiolante eco dei bracci meccanici rimbombò grave, per tutta la città. 

Vari stormi di corvi e rondini si levarono in volo, gracchiando spaventati.

E poi, ogni rumore cessò.

C’era ora, dopo tanta cacofonia, un silenzio irreale, per le vie della città…

Il fumo iniziò quindi a diradarsi e, ben presto, tutti poterono osservare sopra le loro teste, agganciato ai bracci meccanici, il Modulo 42.

Era attraccato.

“…”

“Eins, zwei, drei!” esclamò Bennie in tedesco, iniziando ad agitare le bacchette che teneva in mano.

La banda robotica, solerte e silente, iniziò a suonare una pomposa melodia di trombe e tromboni, tamburelli e fisarmoniche, con il Si bemolle di un triangolo.

Ellen si si sturò un orecchio con la mano destra e si rigirò il nastro del fiocco con la sinistra: non riusciva a distogliere lo sguardo dal modulo: lì, a sessanta metri sopra la sua testa… lì, a farle ombra dal sole…

Si perse nell’osservarne gli sfiatatoi e le canne, i bulloni e le ventole, i pistoni e i rotori, di una struttura talmente complicata che neppure riusciva a comprenderne davvero la geometria, ora che lì così vicina al suo capo!

E mentre la Marcia di Radetzky echeggiava nell’aria, e dal corteo si levava un concitante ed esultante applauso, sulla parte inferiore del modulo la capsula dell’equipaggio iniziò a calare al suolo, tramite uno scricchiolante sistema di carrucole.

E lì, fra i gloriosi cosmonauti che stavano venendo accolti come eroi nazionali, scafandro sotto braccio ed espressione felicemente spaesata, Ellen scorse una giovane donna poco più grande di lei, esile e di media statura, coi biondi capelli corti, arruffati e spettinati.

“Eleonora…” mormorò, commossa.
 

Copyright: All right reserved  (Tutti i diritti riservati​)

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Carlo Di Addario