Libri > Cinquanta sfumature di...
Segui la storia  |       
Autore: LatersBaby_Mery    27/05/2017    23 recensioni
Dopo aver letto numerose volte gli ultimi capitoli di “Cinquanta sfumature di Rosso” ho provato ad immaginare: se dopo la notizia della gravidanza fosse Christian e non Ana a finire in ospedale? Se in qualche modo fosse proprio il loro Puntino a “salvarlo”?
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anastasia Steele, Christian Grey, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 60


POV ANASTASIA

Per alcuni secondi tutto ciò che riesco a sentire è il rumore della carta e il rimbombo dei battiti del mio cuore nelle orecchie.
Christian, con movimenti convulsi, strappa la busta ed estrae il foglio piegato in tre. Lo apre e il suo sguardo scorre rapidamente lungo quelle righe nere per trovare un’unica parola: in entrambi i casi otto lettere che potrebbero cambiare la nostra vita.
Percepisco il momento esatto in cui Christian legge il responso, perché i lineamenti del suo viso si irrigidiscono e i suoi occhi diventano di ghiaccio.
Ho paura di chiedergli qualsiasi cosa, ho paura anche solo di aprire bocca. Così con un gesto fulmineo e rabbioso gli strappo il foglio di mano e lo esamino.
Otto lettere, in basso a sinistra.
E il sangue nelle vene diventa un fiume gelido, i battiti del cuore mi spaccano i timpani.

POSITIVO
P O S I T I V O
P  O  S  I  T  I  V  O

Ben è il figlio di Christian.
E in un istante avverto sulla spalle il peso del mondo che crolla.
Mi sembra quasi di sentire il rumore di qualcosa che viene frantumato in mille pezzi.
Poi mi rendo conto: sono i miei pezzi, i nostri pezzi, quelli della nostra famiglia.
Tengo lo sguardo fisso su quelle maledette otto lettere per diversi minuti, fino a quando Christian decide di interrompere il surreale silenzio in cui ci troviamo.
“Ana..” mormora avvicinandosi a me.
Io non riesco a connettere, la sua voce mi giunge ovattata, lontana. Mi sento come se stessi in un sogno, o per meglio dire in un incubo, come se tutto questo non stesse accadendo a me.
Con gesti meccanici e rabbiosi ripiego il foglio e lo ripongo nuovamente nella busta, lanciandola sul tavolino del giardino. Cammino nervosamente avanti e indietro, strofinandomi una mano sul viso, e sperando di svegliarmi da un momento all’altro.
“Anastasia..” ripete Christian, con un’espressione mista tra preoccupata e disperata.
Mi volto verso di lui, guardandolo negli occhi e prendendo definitivamente atto del fatto che purtroppo non è solo un brutto incubo: è la dolorosa e terrificante realtà.
“È.. è.. Ben è t-tuo..”  ho il labbro che trema forte, non la riesco a pronunciare a voce alta quella parola.
È una parola troppo grande, troppo importante, troppo colma di sentimento.
Senza neanche rendermene conto comincio a tremare, e la vista pian piano si appanna. Intravedo tra le lacrime Christian che si avvicina a me e cerca di prendermi le mani. Mi scanso come se volessi evitare la più potente delle bombe; anche se, ormai, la nostra bomba è già scoppiata.  
“Ana, tesoro mio.. ti prego..” mormora Christian, tormentato ed emotivamente esausto.
Lui prega me? Davvero? E cosa vuole da me? Pretende che rimanga calma e lucida mentre vedo la nostra vita in preda ad un vero e proprio uragano?
E la cosa peggiore è che quegli occhi grigi che da sei anni sono lo specchio della mia anima, pochissime volte da quando conosco mio marito li ho visti così spenti, colmi di dolore, rimpianto, rabbia repressa, stanchezza e forse anche.. paura.
E quegli occhi mi fanno sentire maledettamente in colpa, mi annientano, mi distruggono. E da qualche parte nel mio inconscio sono spinta a sfogare il mio malessere su di lui, perché non è certo colpa mia se stiamo vivendo tutto questo.
“Che cosa vuoi da me, Christian? Che cosa vuoi che faccia? Cosa??” urlo, sentendo la gola bruciare e il cuore battere all’impazzata.
“Per prima cosa calmati..” suggerisce, con voce bassa ma decisa.
Calmati? Non ha mai sentito dire che ordinare ad una donna di calmarsi quando è agitata sortisce esattamente l’effetto opposto?
“Calmarmi? Christian ma sei impazzito o cosa?? Io sto vedendo crollare tutto quello che ho, tutte le mie certezze.. e tu mi dici di calmarmi??” urlo e piango contemporaneamente, ho praticamente il fiatone e sento la giugulare pulsare oltre il normale.
Christian chiude gli occhi per qualche secondo, elaborando le mie parole. Lo vedo che è stanco, fisicamente ma soprattutto psicologicamente, però questa volta non posso fare nulla per tirarlo su, se io per prima mi sento precipitare verso il baratro.
“Amore.. ascoltami..” fa due passi verso di me, ma io ne faccio due indietro.
So che è assolutamente irragionevole, ma il suo pacato tentativo di calmarmi e farmi ragionare mi dà sui nervi, perché ho l’impressione che lui sia arreso, rassegnato, che accetti senza remore le manipolazioni del destino, un destino piombato sotto forma di una donna che agisce come diavolo le pare, prendendosi il diritto di decidere della nostra vita.
Non so cosa pretendo esattamente da lui; solo.. vorrei che lottasse, con le unghie e con i denti, se non per me almeno per i nostri bambini. Invece lo vedo troppo calmo e troppo in balìa degli eventi, come una zattera che si lascia trasportare dal vento un po’ dove capita.
“No Christian, ascoltami tu!” faccio un respiro profondo, cercando davvero di calmarmi, altrimenti rischio che mi venga un accidente “Si è appena concretizzata davanti ai miei occhi quella che è stata la paura più grande degli ultimi due giorni.. Ho sperato con ogni fibra del mio corpo che non fosse vero, ma adesso.. adesso..” i singhiozzi hanno la meglio sul tentativo di formulare una frase sensata. Ho il respiro affannoso e la gola che brucia.
“Ma credi che io non abbia sperato la stessa cosa con tutto me stesso? Non è colpa mia se quel maledetto test è risultato positivo!!” si altera, indicando la busta sul tavolino. “Non posso fare niente per cambiare le cose, lo capisci??”
Lui non può fare mai niente, ovviamente. Non poteva fare niente per fermare Leila, niente per zittire Elena, niente per annientare Hyde. In quelle situazioni almeno cercava con tutte le sue forze di proteggermi, di non farmi abbassare la guardia continuando però sempre a rassicurarmi.
Adesso, invece, mi sento messa da parte.. Anzi, mi sento.. data per scontata. Come se per lui fosse ovvio che tanto io sono sempre qui, sempre pronta a risollevare lui. Certo, una moglie questo dovrebbe fare, ma se sto cadendo anche io, come faccio??
“Io sono stanca, okei?” alzo nuovamente la voce, in risposta al suo tono di poco fa “Stanca di dover combattere continuamente contro qualche ostacolo più grande di me. Stanca di vedere ogni tanto la nostra vita stravolta. Sai una cosa? Avrei preferito che si fosse fatta viva qualche tua ex, o che magari avessi preso una sbandata per un’altra donna..” nel momento esatto in cui lo dico, Christian mi guarda con gli occhi sgranati, come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco. Per quanto riguarda me.. il solo pensiero mi fa sentire dolore in tutto il corpo, dentro e fuori. Distogliendo lo sguardo da Christian, mi affretto a spiegare. “Perché in quel caso avrei potuto affrontarla ad armi pari.. ma adesso..” lascio cadere la frase, e il rammarico che scorgo negli occhi di Christian mi spezza letteralmente il cuore.
Ed è anche per questo che avverto l’esigenza di prendere le distanze, prendere un po’ d’aria; il mio amato giardino in questo momento mi sembra più claustrofobico e asfissiante che mai. Per cui prendo un lungo respiro, mi asciugo le guance come meglio posso e inizio a camminare spedita verso la porta finestra.
“Dove vai?” tuona Christian.
Mi volto, e lo vedo venire verso di me.
“Ho bisogno di stare un po’ da sola..” lo dico quasi in tono di supplica.
Lui sospira, chiaramente combattuto.
“Ana..”
Lo blocco prima ancora che possa cercare di farmi cambiare idea. “E guai a te se mi fai seguire da Taylor o da Sawyer. Chiaro?” lo minaccio, puntandogli un dito contro.
Senza lasciare che dica altro, mi dirigo in casa. In cucina c’è Gail ai fornelli, che, meravigliosamente discreta come sempre, fa finta di nulla, ma sono sicura che abbia sentito tutto.
“Gail..” mormoro.
Lei non mi lascia neanche parlare. “Tranquilla, per qualsiasi cosa penso io ai bambini..” mi rassicura.
La sua voce dolce e il suo modo di capirmi prima ancora che io apra bocca mi fanno inumidire gli occhi. Vorrei tanto abbracciarla, ma so che se lo facessi inizierei a piangere e chissà quando smetterei. Per cui mi limito a stringerle la mano e a sussurrarle un “Grazie”; dopodiché mi sposto nell’atrio, indosso la giacca e afferro le chiavi dell’Audi.
Apro la porta d’ingresso e scendo rapidamente gli scalini del portico, dirigendomi verso la macchina, senza mai voltarmi indietro.
Faccio velocemente manovra per immettermi nel vialetto, e qualche minuto dopo, quando sono definitivamente fuori dal cancello, mi rendo conto di aver ricominciato a tremare. Accosto accanto al marciapiede e mi copro il viso con le mani, mentre i singhiozzi riprendono a scuotermi.
So che Christian sta soffrendo, ma vederlo così chiaro nei suoi occhi mi distrugge. Vorrei essere in grado di fare qualcosa, di provare qualcosa che non sia rabbia, dolore e frustrazione, ma non ci riesco.
Si alternano violentemente davanti ai miei occhi il foglio del test, la foto di Ben e l’espressione di Christian. Non riesco a credere a ciò che sta accadendo, non riesco a credere che stia succedendo proprio a me, a noi.
Ogni tanto spero ancora che sia tutto un incubo e che da un momento all’altro possa svegliarmi nel mio letto, tra le braccia di mio marito, con i nostri bambini che al sorgere del sole corrono dalla loro cameretta per intrufolarsi nel lettone.
Adesso mi chiedo che cosa succederà, come deciderà di agire Christian, se vorrà raccontare la verità a Ben, se vorrà incontrarlo, se penserà di farlo conoscere a Teddy e Phoebe, se..
Oddio, basta!!
La testa mi sta scoppiando e se non mi calmo non posso neanche prendere in considerazione l’idea di guidare.
Quando mi rendo conto di essere più calma, metto nuovamente in moto l’auto e ingrano la marcia.
Giro senza meta per le strade di Seattle per un quarto d’ora, fino a quando mi rendo conto di aver seriamente bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarmi, e.. perché no, anche di concedermi il lusso di crollare. Per un attimo penso di andare da Kate, ma poi mi ricordo che oggi è sabato e lei ed Elliot sono partiti per un week-end in campagna con le bimbe.
Per cui, alla fine, decido di andare dall’unica persona che è a conoscenza di tutta questa situazione, l’unica che in questo momento può davvero starmi accanto…
Quando, venti minuti più tardi, Grace apre la porta, so che le basta un solo sguardo per capire il motivo per il quale sono qui.
“Anastasia..” mormora, rivolgendomi uno sguardo materno.
E a me basta quello per crollare definitivamente: entro in casa e mi tuffo tra le sue braccia, scoppiando in lacrime. Mia suocera mi stringe e mi accarezza dolcemente i capelli.
“Tesoro..” sussurra, trasmettendomi tutto il suo affetto.
In questo momento ho davvero bisogno di sentirmi amata, compresa, rassicurata. E Grace è in assoluto la figura più vicina ad una mamma che io abbia mai avuto, ringrazio il cielo per avermi regalato una suocera meravigliosa come lei.
Mi lascia piangere per diversi istanti e poi si stacca da me, mi scosta i capelli che mi si erano attaccati al viso e mi accarezza le guance.
“Vieni con me..” mi mette un braccio sulle spalle e mi conduce in salone. “Aspettami un secondo qui” dice facendomi sedere sul divano e sparendo in cucina.
Torna qualche minuto dopo con in mano un vassoio con una teiera, due tazze e una zuccheriera, e lo appoggia sul tavolino.
“Non ti ho neanche chiesto se ti ho disturbata, se..”
“Ana..” mi blocca, sedendosi accanto a me e prendendomi le mani “Per i figli non esiste il verbo ‘disturbare’..” mi rassicura dolcemente “E poi Gretchen non c’è, e Carrick ha avuto un’emergenza in studio.. Quindi siamo sole..” prende una tazza di tè e me la porge.
È calda e diffonde un profumo dolcissimo, ma ciò non è sufficiente a placare il freddo che sento dentro.
Grace prende la propria tazza e la tiene qualche secondo tra le mani, osservando il vapore che ne esce.
Anche questo la rende una suocera speciale: il fatto che, pur sapendo benissimo che ho qualcosa da dire, qualcosa di davvero serio, non mi fa domande e non mi scruta con sguardo indagatore, ma semplicemente mi lascia il mio tempo e aspetta che io sia pronta ad aprirmi con lei.
“Abbiamo avuto il risultato del test..” dico di getto, tenendo la testa bassa, fissando quel liquido giallastro come se contenesse tutte le risposte di cui ho bisogno.
“E.. non è quello che speravamo, vero?” domanda Grace con delicatezza.
Scuoto energicamente la testa, sentendo le lacrime che tornano a riempirmi gli occhi. Grace se ne accorge e posa la sua tazza per avvicinarsi a me e abbracciarmi forte. Come pochi minuti fa, ricomincio a piangere tra le sue braccia.
“Io non so che cosa fare..” dico tra i singhiozzi. “Non riesco ad affrontare tutto questo..”
Grace sospira, per poi staccarsi da me e accarezzarmi teneramente il viso. “Non ti devi arrendere, Anastasia.. tu e Christian avete superato tante difficoltà.. e ancora una volta dovete restare uniti e far fronte a questo nuovo ostacolo..”
“Io.. non ce la faccio..”
Mia suocera mi osserva dubbiosa. “In che senso?”
Sospiro, e poi mi decido a raccontarle la verità. In fondo sono qui per questo, per sfogarmi. “Christian ed io in questi giorni ci siamo molto allontanati.. Più per colpa mia che sua in realtà..” noto che non obietta, quindi proseguo “La verità è che sento che qualcosa tra di noi si è spezzato.. La rivelazione di Shirley mi ha fatto cadere davvero il mondo addosso, ha fatto crollare tutte le mie certezze, i miei punti fermi.. Ma secondo te è giusto che una persona si arroghi il diritto di decidere della vita degli altri? Otto anni fa ha ritenuto giusto non dire nulla a Christian, condizionando inevitabilmente la vita di suo figlio.. e adesso torna di punto in bianco a sconvolgere la nostra vita e la nostra famiglia? Non è giusto!!”
“Su questo non posso darti assolutamente torto. È vero, non è assolutamente giusto. Ma il rapporto tra te e Christian è un’altra cosa: voi siete marito e moglie, vi amate, avete due bambini meravigliosi.. Non dovete lasciare che questa notizia rovini tutto..”
Notizia mi sembra un eufemismo, io la chiamerei ciclone, uragano, tsunami.. Calamità naturale insomma.
“Tu al mio posto riusciresti a comportarti come se nulla fosse?” le chiedo, guardandola negli occhi.
Grace sospira, guardando nel vuoto. “No, credo proprio di no..” mormora “Però almeno cercherei di non allontanarmi da mio marito, e di non lasciare che lui si allontani da me..”
“Lo so che sto sbagliando..” ammetto “Ma ogni volta in cui ci ritroviamo a parlare io non riesco a comportarmi come sempre.. E’ come se al posto del mio Christian vedessi un’altra persona.. E di conseguenza la situazione diventa tesa e basta nulla per scatenare una discussione..”
“Sì, Christian l’altra sera mi ha accennato qualcosa..” afferma. “Lui sta..”
“Lo so che sta male..” dico, prima che possa dirlo lei, perché sentirlo è ancora più doloroso. “Ed io mi sento una persona e una moglie orribile.. perché glielo leggo negli occhi quanto stia male, e quanto fatichi per tenermi stretta a sé.. Ma nonostante questo io.. ogni volta in cui lo guardo non riesco a non pensare al fatto che lui abbia un altro figlio, un figlio che non è nato da me, da noi.. E questa verità fa male da morire, fa male il fatto che ci è stata schiaffeggiata in faccia da un momento all’altro, senza che avessimo la possibilità di decidere, fa male sapere che questo inevitabilmente intaccherà l’equilibrio della nostra famiglia, dei nostri bambini.. Ed io.. io non riesco ad accettarlo..”
Grace mi asciuga le guance umide di lacrime, e poi mi stringe le mani. “Tesoro mio, hai tutte le ragioni del mondo. Anche io al tuo posto farei fatica ad accettare una cosa del genere, ed è vero che comunque qualcosa nella vostra vita cambia, ma.. come ha sconvolto te, questa notizia ha sconvolto anche Christian: neanche lui avrebbe mai potuto lontanamente immaginare tutto questo.. Non è sua la colpa di tutta questa situazione..”
“Ma tu da che parte stai?” chiedo, con il tono di una bimba capricciosa che ha litigato con la sorellina pestifera.
Grace ridacchia. “Tesoro, non è una gara nella quale devo scegliere dove schierarmi.. Io sono dalla parte di entrambi, come coppia, come unione, come marito e moglie che si amano alla follia. Quello che dovevo dire a mio figlio l’ho già detto due sere fa quando mi ha raccontato tutto. Adesso a te voglio dire che.. sì, probabilmente è anche normale che qualche parte di te identifichi Christian come la causa di tutto, ma.. anche lui è stato investito da questa notizia come un treno in corsa, anche lui si sente completamente perso.. e tu dovresti..”
“Io, io, io.. Sempre io!!” sbotto, alzandomi dal divano e prendendo a camminare avanti e indietro. “Io sono stanca, Grace, stanca!! Prima Elena, poi Leila, poi Jack Hyde, Lincoln.. Ogni volta è sempre Anastasia a dover capire, a dover essere forte per entrambi, a dover proteggere Christian da se stesso.. Ma quando Anastasia crolla come la mettiamo?? Io sono arrivata al limite, non ce la faccio più!!” urlo, e mi rendo conto di avere il fiatone.
Mi fermo per prendere dei respiri profondi, e al contempo ricomincio ad essere scossa dai singhiozzi. Senza dire nulla, Grace si alza e mi abbraccia, lasciandomi sfogare ancora una volta. Devo ammettere che mi sento un po’ più leggera, dopo aver finalmente urlato i miei pensieri, pensieri dei quali mi vergogno, ma che non potevo più nascondere.
“P-perdonami Grace.. n-non volev-vo urlare cos-sì..” farfuglio, appoggiando la testa sulla spalla della mia seconda madre.
“Ssshh, non ti preoccupare..” mi rassicura lei, accarezzandomi i capelli e la schiena “Tira fuori tutto Ana, tutto!!”
Dopo qualche minuto comincio lentamente a calmarmi, mi asciugo gli occhi e nel frattempo Grace mi versa un bicchiere d’acqua fresca.
“Ti va di uscire un po’ in giardino?” mi chiede poi.
Annuisco, perché a dire il vero ho davvero bisogno di prendere un po’ d’aria.
Grace mi prende per mano e mi conduce in giardino; il sole è quasi tramontato, e le temperature sono più basse rispetto alla mattina, ma ignoro il leggero brivido che mi pervade e mi concentro sulla nostra conversazione.
“Io.. mi sento davvero male a pensare queste cose.. Io amo da morire Christian, più della mia stessa vita, e non mi pento di un solo istante accanto a lui, nella buona e nella cattiva sorte. Solo che.. adesso è diverso.. Sento che una parte di lui appartiene a qualcuno che non sono io, né i nostri figli, né la nostra famiglia.. e questo mi distrugge. E la cosa che mi fa più male è che lui è come se.. accettasse tutto il casino che questa situazione sta creando come nulla fosse.. senza combattere..”
Ci sediamo sulle poltroncine sotto al gazebo, Grace mi tiene sempre le mani tra le sue, infondendomi affetto e sicurezza.
“Io penso che i tuoi pensieri siano più che giustificati. È vero: in questi anni, davanti a qualsiasi ostacolo, sei sempre rimasta forte, sicura di te, pronta a tenere Christian per non farlo cadere, ed è più che legittimo che tu ora ti senta stanca, sfinita, esausta.. perché.. le conseguenze di questa novità possono condizionarvi per sempre, e non solo per un periodo.. E questa consapevolezza ti annienta..”
Annuisco, perché ha centrato esattamente il punto.
“Lo sai cosa mi ha detto Christian due sere fa, a casa di Mia?”
Scuoto la testa. “Mi ha parlato molto vagamente, ed io non ho insistito. Ho pensato che fossero cose che volesse tenere solo tra voi due..”
“Sì, forse sì, ma in questo momento poco importano i segreti.. Vedi, quando Christian mi ha raccontato cosa fosse successo, e mi ha detto che la prima cosa da fare era il test di paternità, la sua paura più grande non era il risultato, bensì la tua reazione.. Al solo pensiero di come tu avresti reagito ad un eventuale esito positivo lo logorava, e in questo momento si sta realizzando esattamente ciò che lui temeva di più..”
“Sto sbagliando tutto..” sussurro, sentendomi in colpa.
“No, tesoro mio, no! Non esistono in questa situazione il torto e la ragione, lo sbagliare e il fare bene. Esistete voi due, i vostri caratteri e i vostri modi di affrontare la cosa. Tu hai tutte le ragioni del mondo per sentirti come ti senti, quale persona al tuo posto non si sentirebbe così? Anzi, io ti ammiro perché qualcun altro probabilmente sarebbe già scappato davanti alla prima difficoltà. Ma se ciò non è successo è perché tu e Christian vi amate troppo per lasciarvi abbattere. Per quanto riguarda Christian.. beh.. tu sei il suo punto debole. Lo so che non si dovrebbe dipendere così tanto dagli altri, ma Christian non funziona se tu non sei accanto a lui.. e questo non me l’ha detto lui, ti assicuro che in sei anni me ne sono resa conto da sola..”
Sorrido, pensando a quanto le mamme sappiano guardare nell’anima dei propri figli, a prescindere completamente dal fattore biologico.
“Anche Christian, come te, ha visto il mondo cadergli addosso. E non ha le forze per rialzarlo perché vede scivolargli dalle mani il perno della sua vita: te. Lui.. lui lo sa quante difficoltà hai dovuto fronteggiare soprattutto all’inizio della vostra relazione, e si sente anche in colpa per questo. Sente di non averti saputa proteggere abbastanza in certi momenti, e anche adesso, lui vorrebbe fare qualsiasi cosa per evitarti tutto questo. Ma purtroppo come hai detto tu, tutto dipende da una persona che di punto in bianco ha voluto giocare con le vostre vite come una partita di scacchi, e Christian non può fare nulla per tornare indietro, e nemmeno tu..”
Sospiro, elaborando le sue parole e sentendomi un po’ meno in colpa con me stessa, e meno arrabbiata con mio marito; la sua unica debolezza è il troppo amore che prova per me.
“Hai ragione, Christian dovrebbe prendere in mano le redini della situazione e rendersi conto che non puoi essere sempre forte per entrambi, che per tutti arriva un limite.. ma se lui non riesce a farlo è perché vede te che ti chiudi completamente.. E’ un serpente che si morde la coda, siete entrambi la conseguenza dell’altro..”
Ha ragione, cavolo. Ha ragione su tutta la linea. Fondamentalmente Christian ed io ci siamo soffermati poco su ciò che provasse l’altro, su quali fossero i presupposti dei nostri reciproci comportamenti. E questo ci ha portato ad allontanarci.
“Che cosa devo fare?” domando, quasi disperata.
Grace mi sorride, e con il suo fare dolce mi scosta una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
“Io non posso dirti ciò che devi fare. Perché qualche parte di te lo sa già. Io, come mamma, e non di Christian, ma di entrambi, ti voglio dire solo di.. guardarti dentro, di ascoltare il cuore, perché solo lui può dirti quanto ami tuo marito e quanto valga la pena che tutto questo, benché si tratti di una situazione importantissima e delicatissima, rischi di distruggere tutto quello che avete costruito..”
Mi lascio andare contro lo schienale della poltroncina. Chiudo gli occhi, respirando l’aria pungente della sera che si avvicina, e riflettendo sulle parole di Grace.
Devo guardare dentro di me.
Devo ascoltare il cuore.
E il cuore, si sa, conosce solo un’unica destinazione..
“Io.. devo andare..” mormoro ad un tratto, alzandomi.
Grace si alza a sua volta e mi sorride, mi prende sottobraccio e insieme rientriamo in casa.
“Grace.. grazie.. davvero io..” mi rendo conto di non sapere effettivamente cosa dire. Vorrei dirle tutto e niente.
“Non mi ringraziare tesoro. Per me l’unica cosa che conta è la felicità dei miei figli e dei miei nipoti. E per figli intendo anche te, Kate ed Ethan”
Le sue parole mi scaldano il cuore, e mi fanno sentire meravigliosamente amata.
La abbraccio forte, a lungo, per poi indossare la giacca e uscire.
Mi infilo in macchina e parto, sperando di non beccare troppi semafori rossi.
 

Nel frattempo, alla Big House...

POV CHRISTIAN

Sento il rumore della porta che sbatte, e insieme ad esso quello del mio cuore che si sgretola in mille pezzi. Dio solo sa quanto vorrei inseguirla, scuoterla, urlare e implorarla di ascoltarmi e di parlarmi. Ma temo che così facendo peggiorerei solo la situazione, che di per sé è già alquanto complicata. Forse in questo momento la cosa migliore è lasciarle il suo spazio, lasciarla sola anche se ciò mi distrugge.
Negli ultimi quattro giorni Ana ed io ci siamo allontanati molto, al punto da diventare quasi due monadi. Lei si è chiusa a riccio, ed io davvero non so cosa fare per spronarla a sfogarsi, a vomitarmi addosso tutto il rancore e la rabbia che prova; sarebbe comunque una tortura meno terribile di questa freddezza che si è creata tra noi.
Sembra ironico, ma mia moglie non mi è mai parsa più lontana di ieri sera, dopo che abbiamo fatto l’amore. Ce l’aveva tutta negli occhi, in quelle lacrime che minacciavano di fuoriuscire: la rabbia, la frustrazione, e forse anche un pizzico di odio. Non riusciva neanche a guardarmi negli occhi, e questa è forse la cosa che mi ha fatto più male, mi ha ricordato l’espressione che avevano.. le mie sottomesse.. quando uscivano dalla Stanza dei giochi, con lo sguardo basso, inespressivo, consapevoli di essere solo “una qualunque”. Ma lei non è una qualunque, lei è mia moglie, il mio amore, la mia ragione di vita, la mia linfa, e non riesco proprio a tollerare tutta questa distanza tra noi.
Spero che assecondarla e lasciarle prendere aria possa servire a farla riflettere, a schiarirsi le idee e a calmarsi.
Prendo dei respiri profondi, cercando di calmare il battito del cuore impazzito, e decido di salire in cameretta dai bambini: in questo momento solo i miei figli possono colmare il vuoto che sento dentro.
Salgo al piano superiore e mi fermo sulla soglia, osservandoli mentre cercano di comporre un puzzle, seduti sul pavimento. Teddy mostra a Phoebe come aggiungere i pezzi, e giuro che resterei ore intere a guardarli: lui che la guida, le insegna le cose, la protegge, e lei che lo osserva e lo segue affascinata.
Do un colpetto alla porta aperta della camera per attirare la loro attenzione.
“Papààààà!” urlano in coro alzandosi e correndo verso di me.
Con un po’ di fatica riesco a prenderli in braccio entrambi, li stringo a me e li sbaciucchio sulle guance.
“Mamma dov’è?” domanda Phoebe.
Li metto giù e accarezzo i morbidi boccoli scuri della mia principessa.
Eh, amore di papà, mi piacerebbe tanto sapere dove sia…
“E’ andata in ufficio perché è successa una cosa e la deve risolvere lei” spiego, sperando che sia sufficiente per loro come risposta.
“Perché lei è la più brava!” afferma Teddy, orgoglioso della sua mamma.
Sospiro e sorrido. “Sì, è la più brava” replico, arruffandogli i capelli.
Mi siedo sul tappeto a giocare con loro. È uno dei nostri rituali più belli: quando rientro dalla GEH, almeno per mezz’ora ci mettiamo tutti e quattro a giocare, e non nego che a volte Ana ed io ci divertiamo più dei nostri figli.
Adesso, però, siamo solo in tre, ed io non posso smettere di pensare a mia moglie e a dove diavolo possa essere. Certo, non la biasimo, il risultato di quel l’ha sconvolta, così come ha sconvolto me, solo che stiamo reagendo in due modi diversi: io, che di solito tendo ad alzare muri, cerco di parlarle, di farla sfogare e di sfogarmi, e lei, che di solito è sempre predisposta al confronto e al dialogo, si è chiusa completamente.
Non so davvero cosa fare: da un lato ho Anastasia, e dall’altro quel maledetto foglio che mi ha messo davanti agli occhi una verità che non posso più ignorare.
“Papàà?!” mio figlio mi richiama all’attenzione, distogliendomi dai miei pensieri.
Sbatto le palpebre e mi sforzo di sorridere. “Scusa tesoro” mormoro, tornando a dedicarmi al puzzle dei Minions.
Una ventina di minuti più tardi sento dei passi sulle scale e guardo ansioso la porta, sperando si tratti di Anastasia. Non posso nascondere un pizzico di delusione quando vedo Gail materializzarsi sull’uscio.
“Bimbi, andiamo a fare la doccia e a mettere i pigiamini? Su che tra poco si mangia..”
Teddy e Phoebe, senza troppe obiezioni, rimettono a posto i giocattoli e poi seguono a ruota Gail, che praticamente per loro è una seconda mamma.
Ripongo nel mobile dei giochi le scatole dei puzzle e poi scendo in cucina, apro il frigorifero e mi verso un bicchiere di vino rosso. Il silenzio persistente, interrotto solo dallo sfrigolio degli alimenti nelle padelle, rende più forte il rumore dei miei pensieri.
Ben è mio figlio.
Dio, non riesco a crederci. Mi sento un uomo di merda per ciò che penso, ma.. è impossibile realizzare che una persona praticamente estranea da un momento all’altro debba diventare una delle persone più importanti della tua vita.
Non è così che si diventa padre, con un tampone nella bocca e un foglio stampato.
Si diventa padre davanti allo stick di un test di gravidanza, davanti ad un’ecografia, ascoltando il battito di un cuore che in un attimo diventa il suono più bello del mondo; si diventa padre coccolando la propria moglie, accarezzando e venerando giorno dopo giorno la sua pancia che cresce e l’immenso tesoro che custodisce; si diventa padre tra le mura di una sala parto, stringendo forte la mano di tua moglie, sudando e sentendo lo stomaco serrarsi per l’ansia e il cuore battere impazzito. Si diventa padre nel momento esatto in cui il pianto della vita ti invade le orecchie, il cuore e l’anima; si diventa padre quando ti mettono tra le braccia un fagottino caldo, sporco e urlante, che trabocca d’amore e dà un senso completamente nuovo alla tua vita.
Con Ben non ho mai vissuto nulla di simile, e tutto per colpa di sua madre e del suo egoismo. E, che Dio mi perdoni, non riesco proprio ad immaginare di doverlo equiparare a Teddy e Phoebe.
Mentre mando giù l’ultimo sorso di vino, vedo Jason entrare in cucina, senza giacca e con la cravatta leggermente allentata; sono giorni difficili anche per lui, so che non è semplice star dietro a me, ai miei malumori, ai miei repentini cambi di programma.
“Mr Grey.. se vuole posso provare a localizzare...”
“No” lo blocco, intuendo subito dove voglia andare a parare, e, per quanto la sua proposta sia davvero molto allettante, voglio resistere e lasciare a mia moglie lo spazio che desidera “Grazie, Jason, ma ho fatto una promessa ad Ana, o meglio, me l’ha estorta, ma va bene così..”
Il mio fidato collaboratore annuisce, dopodiché si dirige verso il pensile per prendere un calice anche per sé.
“Jason.. secondo te la sto perdendo?” parlo quasi senza pensarci, mosso dal bisogno di aprirmi con qualcuno. E nessuno meglio di Taylor in questo momento conosce tutti gli sviluppi della vicenda e tutto ciò che accade in questa casa.
Jason si versa un po’ di vino, lo manda giù e poi mi guarda. “Io penso che sia solo un momento difficile, Mr Grey.. Non riuscirei ad immaginare lei e sua moglie separati..”
Me ne esco con una risatina amara. “Neanche io potrei immaginare l’idea di me senza di lei, ma in questi giorni è così lontana che..” prendo un respiro profondo, e il cuore mi fa male al sol pensiero di ciò che sto per dire “..non mi sorprenderei se prendesse qualche decisione.. irrazionale..”
Jason inclina la testa, come a riflettere sulle prossime parole. “Premettendo che sua moglie è troppo testarda e troppo innamorata della propria famiglia per fare qualcosa senza pensare.. Bisogna comunque considerare che.. insomma.. la verità di cui siete venuti a conoscenza non è semplice da affrontare..”
Altro che semplice, è come scalare un monte senza vedere la cima: una sfida immane, ma alla quale non posso sottrarmi.
“E’ difficilissimo.. Nel giro di mezza settimana la mia vita è stata completamente stravolta..”
“Escludendo i soldi, perché non avrebbe senso, ha pensato a qualche motivo per il quale Shirley possa essere tornata proprio adesso, di punto in bianco, dopo otto anni?”
Mi copro gli occhi con le mani, scuotendo la testa.
“Welch non ha scoperto nulla di anomalo.. Lei dice che Ben ha il forte desiderio di conoscere suo padre..”
“Cazzate!” esclama Taylor, camminando su e giù “Un bambino di sette anni, che per giunta ha comunque una figura maschile di riferimento importante nella sua vita, non pensa a queste cose..”
Come se non lo sapessi. Dev’esserci di sicuro sotto qualcosa, ma non saprei neanche da dove cominciare per scoprirlo.
“Anche a me sembra assurdo..” affermo “Ma, a prescindere dal motivo, c’è un test che conferma la mia paternità su quel bambino, e non posso comportarmi come se nulla fosse..”
“Non vivrebbe più in pace con se stesso..”
Annuisco. “Esattamente. Mi guarderei ogni giorno allo specchio e scorgerei l’immagine di un vigliacco..”
Jason annuisce a sua volta. “E sua moglie questo lo sa bene.. Se lei si comportasse come nulla fosse, ignorando tutto ciò che ha scoperto, Anastasia non vedrebbe più l’uomo che ha sposato..”
“Ma anche adesso non vede più l’uomo che ha sposato.. Sembra che al mio posto ci sia un alieno. Mia moglie non riesce a parlarmi, a guardarmi negli occhi..”
Mi sento male al solo ricordo delle sue mani tremanti ogni volta in cui tocchiamo l’argomento, del suo sguardo spento, distante, di ghiaccio.
“Sua moglie non riesce a.. ad accettare tutto questo..”
“Lo so! E ha tutte le ragioni del mondo, però.. Vorrei solo che non si chiudesse, che mi parlasse, che mi urlasse contro anche.. tutto meno che questo silenzio gelido..” sospiro, passandomi nervosamente una mano tra i capelli.
“Bisogna capirla..”
“E a me chi cazzo mi capisce, eh??” urlo, pentendomene subito dopo.
Taylor, abituato ormai da anni al mio caratteraccio e ai miei scatti d’ira, non si smuove affatto.
Respiro affannosamente, camminando avanti e indietro e strofinandomi una mano sul viso.
“Io capisco perfettamente il suo stato d’animo, lo so quanto sta soffrendo.. Ma, cazzo, anche io sto di merda, anche io sto male. Sono quattro giorni che la mia mente non trova pace, neanche quando dormo, perché di notte ho gli incubi. Io pensavo.. non lo so cosa pensavo.. Però, avrei voluto, avrei sperato, che almeno Ana mi chiedesse ‘Ma tu cosa pensi? Come ti senti? Sei sconvolto, spaventato, preoccupato?’.. Di certo non pensavo che mi sarebbe saltata al collo, ma che almeno, non so, avremmo affrontato tutto questo insieme.. E invece lei si è chiusa completamente, si sta allontanando da me.. E io.. io non so più che cosa fare..” mi fermo, appoggiando i gomiti sul bancone della cucina e passandomi entrambe le mani sul volto.
“Mr Grey… Christian..” si corregge poi Jason, poggiandomi una mano sulla spalla “Lei sa bene che sua moglie sta male, e credo che a lei per prima non piaccia la situazione che si è creata tra voi.. Solo che.. in questo momento è sconvolta, e.. probabilmente lei è il suo capro espiatorio, non so come spiegarmi, come se volesse farle pesare tutto questo, pur sapendo bene che lei non ha alcuna colpa..”
“Me la sta facendo pagare..” mormoro.
“Io non la vedrei così..”
Lo guardo, interrogativo, e lui si affretta a spiegare. “Cioè, secondo me Anastasia non la incolpa della paternità di Ben.. Ma, in qualche modo, con il suo comportamento vorrebbe far scattare qualcosa in lei..”
Aggrotto le sopracciglia, leggermente confuso. “In che senso?” chiedo dubbioso.
“Posso essere sincero?”
“Jason, e che cazzo..” sbotto.
Lui ridacchia, per poi tornare serio e schiarirsi la voce. “Lei e Anastasia state insieme da quasi sei anni, e in questi sei anni quante ne avete passate?”
“Tante..”
“Leila, Mrs Robins… ehm.. Elena, Hyde, Lincoln.. E ogni volta sua moglie era lì. Sempre forte, sempre determinata, sempre pronta a mettere in secondo piano se stessa per difendere lei, il vostro amore e la vostra famiglia..”
Sgrano gli occhi, chi avrebbe detto che Taylor è così maledettamente saggio.
“Magari sua moglie è semplicemente stanca.. Stanca di lottare ogni volta contro un ostacolo più grande di lei..”
“E dove rientra il ‘voler far scattare qualcosa in me’?” domando, cercando di mettere a posto i tasselli del suo discorso.
“Lei cos’ha fatto a parte supplicarla di non chiudersi? Di parlare e di restarle accanto?” chiede, guardandomi negli occhi.
La mia risposta è un lungo silenzio, perché solo adesso mi sto rendendo conto che in realtà non ho fatto altro, a parte quello che lui ha appena detto.
“Anastasia vorrebbe che lei fosse pronto a combattere per entrambi, che la rassicurasse, che le dicesse che qualunque cosa accada la vostra famiglia viene prima di tutto.. Sì probabilmente lo sa già, ma questo momento è troppo delicato per poter dare qualcosa per scontato..”
Mi guardo intorno, sentendomi oppresso dalle mura di questa cucina, ma in parte anche leggermente più leggero per aver sfogato i miei pensieri, e per aver trovato in Jason un confidente così saggio, acuto e.. amichevole.
Mi ha aperto gli occhi su degli interrogativi apparentemente banali, ma che effettivamente avevo del tutto oscurato; ero troppo impegnato a trovare una logica a tutta questa situazione assurda e a cercare di tenere stretta a me mia moglie, che non mi sono neanche chiesto quali fossero realmente le ragioni alla base del suo comportamento.
Credo proprio che Jason abbia ragione, e mi sento un emerito coglione, perché non sono riuscito a capire quanto Anastasia fosse emotivamente esausta di lottare, stanca di essere forte, stanca di dover sempre tenere me a galla, senza potersi concedere il lusso di lasciarsi cadere.
Adesso basta, però, adesso devo essere io a combattere per mia moglie, devo essere io a tenerla forte per non farle raggiungere il fondo, o per risalire insieme a lei.
Sto per aprire bocca, quando un allegro scalpiccio di piedini mi interrompe.
“Papiii, ti piace il mio pigiama nuovo??” chiede la mia principessa, mostrandomi il suo nuovo pigiamino rosa con le principesse.
Sorrido e cammino verso di lei, prendendola in braccio. “Sei bellissima amore mio!” le schiocco un bacio sulla guancia e lei stringe le braccia intorno al mio collo.
“Vieni a fare le cossuzioni con me?” chiede poi.
“Certo amore”
Prima di spostarmi in salotto, dove Teddy e Phoebe tengono il loro armamentario di costruzioni, mi volto verso Taylor.
“Jason.. grazie!” dico, non sapendo davvero cos’altro aggiungere. Tutta la gratitudine e l’affetto che provo verso di lui sono racchiusi in quella semplice parola.
Jason mi rivolge un cenno del capo e mi sorride, dopodiché vengo praticamente rapito dai miei figli.

Scendo il salone e mi avvicino alla grande vetrata da cui si vede in lontananza la penisola olimpica. È sempre un paesaggio meraviglioso, soprattutto di sera, con la luna che lo governa sovrana e le miriadi di luci che lo illuminano. Mi appoggio al vetro freddo, chiudendo gli occhi e ascoltando il silenzio. Sono le nove e mezza passate, e Anastasia non è ancora tornata. Non so dove sia ma sono fondamentalmente tranquillo, perché prima ho avuto modo di sentirla, quando i bambini hanno insistito perché la chiamassimo: non volevano saperne di cenare senza di lei.
A me ha detto semplicemente “Sto bene, torno tra un po’”, a loro suppongo abbia rifilato qualche scusa riguardo al lavoro o cose simili per giustificare la sua assenza. Alla fine i bambini si sono tranquillizzati e hanno mangiato senza alcuna obiezione.
Temevo che farli addormentare senza Ana sarebbe stata un’ardua impresa, invece erano così stanchi che a metà della favola erano già nel mondo dei sogni.
Io, invece, mi sento nel bel mezzo di un incubo. Questa distanza che si è creata tra me e Anastasia mi distrugge ogni minuto di più, e il non sapere adesso dove sia e quando abbia intenzione di tornare mi fa impazzire.
Ho riflettuto molto sulle parole di Jason, e ho bisogno di parlare con Anastasia non appena rientrerà; se non vorrà ascoltarmi.. beh, passerò alle maniere forti. Basta scappare e basta nascondersi! Dobbiamo fare entrambi un passo verso l’altro: Ana deve smettere di chiudersi e deve affrontare a viso aperto la faccenda, insieme a me; ed io devo smetterla di crogiolarmi nei vari “Non so cosa fare”, “Non è colpa mia”, e devo avere gli attributi per prendere in mano la situazione e proteggere la mia famiglia a tutti i costi.
Con un sospiro mi allontano dalla vetrata e mi siedo sul divano, sentendo improvvisamente addosso tutta la stanchezza non solo di oggi, ma degli ultimi quattro giorni; una stanchezza fisica, perché ho perennemente i nervi contratti e la notte dormo poco e male, ma una stanchezza anche, e soprattutto, psicologica.
Sul tavolino è aperto a metà il plico della relazione che stavo leggendo prima di cena, quando i miei figli mi hanno concesso un attimo di pausa. Lo afferro e riprendo a leggere, sperando che il lavoro mi aiuti a non guardare costantemente l’orologio, nella lacerante attesa che Anastasia torni a casa.
 

POV ANASTASIA

Quando vedo da lontano il cancello di casa, un miscuglio di emozioni divergenti si agita dentro di me: da una parte l’ansia di dover affrontare un discorso per il quale non mi sento affatto pronta, e dall’altra la voglia di tuffarmi tra le braccia di mio marito, sfogare tutto ciò che sento dentro, e chiedergli scusa per non averlo capito abbastanza, per avergli attribuito la colpa di tutto ciò che stiamo vivendo, senza mai chiedergli come si sentisse, cosa provasse.
La chiacchierata con Grace è stata un vero balsamo per la mia anima: lei mi capisce davvero come una mamma, sa essere presente senza essere invadente, e non si schiera a priori dalla parte di Christian semplicemente perché è suo figlio, ma cerca di capire sempre le ragioni di entrambi, di farci riflettere e portarci pian piano a capire da soli cosa possiamo aggiustare.
Una volta andata via da casa Grey-Trevelyan, ho avuto bisogno di un po’ di tempo per stare da sola, sentire l’eco dei miei pensieri e cercare di mettervi ordine. Mi sono sentita tremendamente in colpa quando i bambini mi hanno telefonato e ho dovuto dire loro una bugia, ma poi mi sono detta che tutto ciò che sto facendo, lo sto facendo anche per loro: sono piccoli, ma sono sicura che avvertano la tensione che c’è in casa, e se le cose tra me e Christian vanno meglio, anche loro sono più sereni.
Giunta davanti al cancello elettronico, digito il codice ed esso si apre, consentendomi di attraversare il vialetto e raggiungere la mia bellissima e amata casa.
Parcheggio l’auto, salgo le scale del portico e apro la porta. Vedo la luce in salone accesa, ma non sento alcuna voce, così mi chiudo la porta alle spalle cercando di fare meno rumore possibile: quasi sicuramente i bambini stanno già dormendo. Poso la borsa e la giacca nell’atrio e mi sposto in salone, dove vedo Christian appisolato sul divano con dei fogli addosso. Mi avvicino, guardandolo con dolcezza: sembra proprio un bimbo. Tolgo i fogli che giacciono sul suo petto e li appoggio sul tavolino, da quel che vedo sembra qualche relazione di lavoro; probabilmente Christian si è messo a leggere in attesa del mio ritorno.
Prima di svegliarlo e parlargli, però, voglio dare un bacio a Teddy e Phoebe. Salgo in cameretta e come ogni volta mi fermo ad osservare i miei cuccioli: sono così teneri, dolci, innocenti, così belli che a volte stento a credere che questi capolavori li abbia fatti io.
Mi avvicino prima a Teddy e poi a Phoebe e lascio loro un tenero e leggero bacio sulla guancia, sistemandogli le coperte. Li guardo ancora una volta, sentendomi felice ed orgogliosa, dopodiché esco dalla cameretta socchiudendo leggermente la porta.
Sono a metà delle scale quando un urlo strozzato mi fa sobbalzare. Riconosco immediatamente che proviene da Christian, e scendo correndo il resto delle scale, precipitandomi in salotto.
“No! Ti prego no!” geme Christian, agitandosi sul divano.
Mi chino accanto a lui e cerco di scuoterlo, invano.
“Ti prego non farmi questo.. non mi lasciare..” i suoi sono lamenti disperati, quasi dei singhiozzi.
“Christian, tesoro svegliati!” esclamo, toccandogli le braccia e le spalle, tentando si svegliarlo.
Lui continua ad agitarsi. “No Ana no!” grida ancora.
Sussulto, e lo scuoto più forte, chiamandolo con maggiore insistenza. “Christian!! Ti prego svegliati, sono qui!” urlo a mia volta.
“No!!” geme un’ultima volta, prima di spalancare gli occhi.
“Christian, va tutto bene..” cerco di tranquillizzarlo, accarezzandogli il viso e le braccia.
Dio, è bruttissimo vederlo nuovamente preda degli incubi, soprattutto sapendo che hanno qualcosa a che fare con me.
Christian si guarda intorno, spaesato; ha il fiatone e la fronte imperlata di sudore.
“Ti prego non partire..” mormora.
Lo guardo accigliata. “Partire?”
“La valigia.. i bambini..” farfuglia. Credo che stia ancora in una fase di transizione tra veglia e sonno.
“Christian” dico con dolcezza, accarezzandogli la nuca “E’ stato solo un incubo. Va tutto bene..”
Mio marito mi scruta per qualche istante, e poi mi stringe forte a sé.
“Oh, Ana..” mormora, ancora agitato e tormentato.
“E’ stato solo un brutto sogno..” ripeto, con la speranza di riuscire a calmarlo.
Christian sospira. “Sembrava.. sembrava così reale..”
A malincuore mi stacco dalle sue braccia e gli prendo il viso tra le mani; quello sguardo scosso e impaurito mi provoca una fitta al petto. “Che cos’hai sognato?” chiedo a bassa voce. Credo che la cosa migliore per fargli superare quest’incubo sia farlo parlare.
Mio marito prende un lungo respiro. “Ero rientrato dalla GEH, salivo in camera per salutare te e i bambini e.. c’era.. c’era una valigia aperta sul letto, e tu ti affrettavi a riempirla, dicendo che avevi bisogno di partire, stare lontana da me per un po’ e..” respira affannosamente, chiudendo gli occhi per scacciare quelle immagini “..E i bambini sarebbero venuti con te.. Io tentavo di parlarti, di farti ragionare, ma più io cercavo di avvicinarmi e più tu ti allontanavi.. fino a che ti dissolvevi nel nulla..”
Ha gli occhi lucidi, e il panico che vi leggo dentro è un’ulteriore conferma di ciò che mi ha detto Grace: io, nel bene e nel male, sono il punto debole di Christian, e questa consapevolezza da un lato mi destabilizza, ma dall’altro mi riempie il cuore d’amore.
Gli prendo il viso tra le mani, sfiorandogli gli zigomi e guardandolo negli occhi.
“Amore mio” mormoro, e vedo già il suo sguardo illuminarsi a quelle parole “E’ stato solo un bruttissimo incubo.. Io non vado da nessuna parte..” lo rassicuro.
Poso con dolcezza le labbra sulle sue, e Christian mi stringe forte a sé, senza veemenza, senza possessione, semplicemente con amore e tenerezza. Accarezza le mie labbra con le sue, mentre la sua lingua incontra timida la mia, e sposta le mani dai miei fianchi al mio viso.
Quanto mi è mancato quel contatto, quella dolcezza, quel sapore. Quanto mi è mancato mio marito.
Poco dopo, però, con la stessa tenerezza con cui l’ho iniziato, interrompo il bacio e appoggio la fronte contro quella di Christian. È arrivato il momento di affrontare la realtà.
“Christian io.. devo parlarti..”
Lui annuisce e sospira. “Anche io..” dice poi.
Sospiro a mia volta, e mi rendo conto di non sapere bene cosa dire.
“Io.. devo chiederti scusa..”
Mio marito sgrana gli occhi. “Ana, ma..”
Gli poso due dita sulle labbra. “Devo chiederti scusa perché ho lasciato che la rabbia e lo shock mi accecassero, e così mi sono completamente chiusa in me stessa, senza pensare a come stessi tu. Questa notizia ha sconvolto prima te che me, ed io non ti ho mai chiesto come ti sentissi, cosa provassi.. Ho pensato solo a me e al risentimento che covavo dentro.. Ho respinto qualunque tuo tentativo di avvicinarti a me, di guardare più a fondo, semplicemente perché ce l’avevo con te, nonostante sapessi perfettamente che non è colpa tua..”
Christian accenna un sorriso, e mi sfiora le guance, immergendo gli occhi nei miei.
“Piccola mia, sono io che devo chiederti scusa.. Perché.. ti ho dato troppe responsabilità.. Ho dato per scontato che ancora una volta tu accettassi che il mondo si ribaltasse restando sempre forte e lucida. Non mi sono resa conto che ne hai passate troppe in questi anni, che sei stanca, e che anche tu hai il diritto di crollare.. Io.. non sono stato abbastanza forte da difenderti..”
Quell’ultima frase fa venire giù le lacrime che erano spuntate nei miei occhi già a quel “Piccola mia”. Non so come abbia fatto, con chi abbia parlato, ma ha capito perfettamente come mi sento.
“Non è colpa tua..” mormoro con la voce incrinata.
“Invece sì! Ti imploravo di non chiuderti, di affrontare la cosa insieme.. Però non mi sono mai chiesto veramente il motivo di fondo del tuo comportamento, lo adducevo alla rabbia e basta..”
Sorrido tra le lacrime, accarezzandogli il viso. “Abbiamo entrambi la nostra fetta d’errore.. L’importante è che ce ne siamo resi conto..”
Christian scuote la testa. “Io.. Io lo so che sono stato un egoista, che avrei dovuto avere le palle e la mente lucida per tenerti il più possibile fuori da tutto questo ma..” si blocca, e mi rendo conto che sta trattenendo le lacrime “Io senza di te non sono niente.. Non so che cosa fare..” scoppia a piangere, ed io lo stringo forte a me.
I suoi singhiozzi scatenano anche i miei, mentre ci stringiamo in un abbraccio disperato e innamorato.
“Va tutto bene, amore mio.. Va tutto bene..” lo rassicuro, accarezzandogli i capelli. Credo che sia la prima volta in quattro giorni che mio marito si concede il lusso di lasciarsi andare, di sfogarsi per tutto il casino che stiamo attraversando.
“Perdonami..” sussurra ancora Christian.
Gli prendo il viso tra le mani e lo guardo negli occhi. “Ssshh” sibilo, asciugandogli le guance umide. “Non starai mai senza di me. Io sono sempre qui amore mio, anche se qualche volta sembra che mi allontani un po’.. Io sono sempre qui. E adesso affronteremo tutto quello che verrà, insieme.”
Christian si rilassa e mi sorride. “Ti amo” dice prima di baciarmi con passione.
“Ti amo anch’io” rispondo, appoggiando poi la testa sul suo petto.
E finalmente ritrovo il mio porto sicuro, la mia casa.

Mezz’ora più tardi, dopo una doccia calda, siamo nel nostro letto. Christian ha la testa appoggiata sul mio seno, ed io intrufolo le mani nei suoi capelli, accarezzandogli teneramente la cute. Siamo in silenzio, ma riesco ad avvertire la tensione di mio marito; preferisco non fargli domande e attendere che sia lui a parlare.
Infatti, poco dopo, la sua voce spezza il silenzio.
“Ana..” sospira “Che cosa devo fare??” solleva il viso, puntando gli occhi nei miei.
Lo guardo, perdendomi in quell’argento liquido, gli sfioro una guancia con il dorso della mano. “Questa sera non pensare a niente.. Libera la mente da tutto..” sussurro, sorridendogli.
Christian si solleva, arrivando alla mia altezza, e appoggia le labbra sulle mie, regalandomi un bacio che, da lento e dolce, diventa pian piano voluttuoso e passionale. Il desiderio mi incendia in tutto il corpo, e profondi brividi mi attraversano la spina dorsale non appena la mano di Christian si intrufola al di sotto della maglietta del mio pigiama.
“Quanto mi sei mancata..” sussurra mio marito, e so perfettamente che non si riferisce al sesso.
“Tu di più” replico, sfilandogli la maglietta.
E per una notte rispettiamo la reciproca promessa, e non pensiamo a nulla che non siamo noi, e il nostro amore.
 

Due giorni dopo...

POV CHRISTIAN

“E’ sicuro, Mr Grey? Se non se la sente…”
“Devo sentirmela, Jason.. Non posso rimandare ancora..”
Sono le 17:30, sono appena uscito dall’ufficio, e tutto ciò che vorrei fare è tornare a casa e stare sul divano abbracciato dai miei figli e da mia moglie, a guardare un cartone animato. E invece sono in macchina, diretto verso l’hotel dove soggiornano Shirley e Ben, sperando di arrivare più tardi possibile. Non so precisamente cosa farò una volta arrivato lì, ma questa mattina ho parlato al telefono con Shirley e abbiamo concordato di vederci e fingere di essere colleghi di lavoro, così che io possa avere modo di conoscere un pochino meglio Ben, e lui possa iniziare ad approcciarsi a me, anche solo per capire se mi trova simpatico o meno. Non possiamo raccontargli di punto in bianco la verità, anche perché in questo momento non sono affatto pronto, per cui è necessario procedere a piccoli passi.
Ieri era domenica, e dopo il nostro chiarimento dell’altra sera e la bellissima notte d’amore che ne è seguita, Ana ed io ci siamo alzati più uniti, più carichi e più determinati ad affrontare insieme questa vicenda, passo dopo passo. Abbiamo trascorso la giornata con i bambini, che probabilmente hanno avvertito il riavvicinamento tra me ed Ana, perché erano molto più sereni e felici, e questa, per me, è la cosa più importante.
A fine giornata, mia moglie ed io abbiamo rimuginato a lungo su cosa fosse meglio fare, ed entrambi abbiamo convenuto che il primo passo è, inevitabilmente, vedere Ben, frequentarlo, capire com’è fatto, e lasciarmi conoscere, poco alla volta.
Mezz’ora più tardi sono nell’ascensore dell’albergo, con il tasto 5 illuminato sul tastierino, la gola secca e un mal di testa atroce. Mi guardo allo specchio per accertarmi di avere un aspetto quanto meno presentabile; mi passo nervosamente una mano tra i capelli proprio mentre l’ascensore si ferma al piano e le porte si aprono. Faccio un respiro profondo ed esco; sto per imboccare il corridoio di destra, quando il trillo del mio cellulare mi avverte dell’arrivo di un messaggio. Lo estraggo dalla tasca e clicco sull’icona con la busta: è un messaggio di Anastasia.

Ricorda sempre che ti amo…

Sorrido. Nessuno più di lei è in grado di leggermi dentro anche a distanza e toccare le corde giuste: sa bene quanto sia difficile per me affrontare questo momento, e con cinque semplici parole è riuscita a farmi sentire meglio.
So che anche lei non sta vivendo bene queste ore, ne abbiamo parlato insieme questa mattina, e questo è stato già un bel passo avanti.

Ti amo anche io piccola, da morire.
Sorrido, guardando ancora una volta la schermata, e poi ripongo nuovamente il cellulare in tasca, avviandomi verso la stanza 518.
Busso lievemente, e pochi secondi dopo Shirley viene ad aprirmi.
“Christian, buonasera!” esclama con un sorriso imbarazzato.
“Buonasera” rispondo, accennando una sottospecie di sorriso.
Shirley mi invita ad entrare e mi indica dove appoggiare il cappotto. Mentre mi sfilo l’indumento e lo ripongo sull’attaccapanni, avverto il suo sguardo che mi trapassa la schiena, e a dire il vero mi sento un po’ a disagio. Noto, sul tavolino dell’ingresso, una busta con il logo del “Body and Soul”, uno dei più importanti centri estetici di Seattle. Beata lei che ha tutta questa voglia di fare shopping e pensare alla bellezza.
La seguo nel piccolo salotto, dove Ben è seduto ad un piccolo tavolo, concentrato su disegni e matite colorate.
“Ben, abbiamo ospiti..” Shirley richiama la sua attenzione. Il bambino solleva la testa e mi guarda, mettendomi a fuoco. “Ti ricordi di lui?”
Ben si alza e mi viene incontro. “Sei un amico della mamma??” domanda, squadrandomi.
“Sono un amico della mamma, e anche un collega di lavoro..”
Oddio, considerando che Shirley fa la fisioterapista, non so quale possa essere l’anello di congiunzione tra i nostri lavori, ma questo Ben non deve saperlo.
“Cosa stai facendo?” chiedo poi.
“Sto disegnando. Vuoi vedere?”
Ammetto che questo invito mi spiazza un pochino: pensavo che Ben sarebbe stato più diffidente nei miei confronti, in fondo mi conosce appena. La sua spontanea socialità mi intenerisce, per cui alla sua richiesta non posso che rispondere. “Certo!”
Sollevo lo sguardo verso Shirley, che sorride e mi fa un cenno di assenso, e poi seguo Ben al tavolo.
“Posso sedermi?” domando.
Ben annuisce, indicandomi la sedia alla sua sinistra; la scosto e mi accomodo. Ben mi porge un foglio e mi guarda, aspettando impaziente un mio giudizio.
Il disegno raffigura un uomo, una donna e un bambino accanto ad un ombrellone; delle onde azzurre sullo sfondo e una palla gialla in alto rappresentano il mare e il sole. È il tipico disegno di un bambino di sette anni, che trasmette semplicità e gioia di vivere.
“Questi siete tu e la mamma?”
“E Jamie” mi corregge lui. “Lui è una specie di papà” spiega poi.
Non posso fare a meno di sorridere a quella affermazione, anche se da qualche parte, dentro di me, mi sento una persona spregevole.
“Gli vuoi bene?” chiedo.
Ben annuisce vigorosamente. “Lui mi aiuta sempre a fare i compiti, sa montare la tenda in campeggio e mi porta sempre allo zoo a vedere i leoni..”
Accenno un sorriso, sentendomi completamente spaesato. Quell’uomo è un padre perfetto per Ben, e lui gli vuole un bene dell’anima, si vede da come ne parla. E allora perché? Perché dobbiamo sconvolgere la vita di questo bambino? Perché Shirley è tornata?
Cerco di scacciare questi interrogativi che mi tormentano da quasi una settimana e presto attenzione a Ben.
“Ti piacciono i leoni?”
“Sì, sono il mio animale preferito..” scova tra i vari fogli che ha sul tavolino e ne estrae uno, porgendomelo “Guarda”
Osservo il disegno, che raffigura un rudimentale leone con una generosissima criniera: è tenerissimo.
“Ma sei bravissimo!!” esclamo. Allungo la mano per accarezzargli i capelli, ma lui si scansa violentemente, come colpito da una scossa elettrica.
Mi volto verso Shirley, chiedendo spiegazioni con lo sguardo. Lei cerca di apparire tranquilla, ma si vede chiaramente che è a disagio.
Si avvicina a me, prendendomi in disparte. “Non farci caso..” sussurra “A volte quando non conosce bene le persone, è un po’.. come dire? Non è molto espansivo, ecco..”
Annuisco, per niente convinto. Se non fosse espansivo, non mi avrebbe fatto sedere, mostrato i suoi disegni e raccontato di Jamie.
“Tu come ti chiami??” mi distrae Ben.
“Uh hai ragione, non mi sono ancora presentato. Christian..” gli porgo la mano.
Lui la stringe. “Io Ben!” mi rivolge un sorriso con due adorabili quadratini vuoti per l’assenza di un incisivo sopra e uno sotto. Ricambio il sorriso, scrutando i suoi occhioni neri; quelli li ha presi sicuramente dalla madre, così come i capelli.
“Christian, ti va un caffè?” domanda poi Shirley.
A dire il vero in questo momento avrei bisogno di un whisky doppio, ma accetto volentieri il caffè.
“Tesoro tu vuoi la cioccolata calda?”
Ben annuisce felice. Shirley si avvicina al telefono della camera. “Allora due caffè e una cioccolata con i biscotti” riepiloga, prima di cliccare il tasto che mette in comunicazione con il bar.
“Non vorrai farli portare qui?”
Lei ripone il telefono e mi rivolge uno sguardo interrogativo.
“E’ meglio di no.. Sai.. potrebbe esserci qualche cameriere un po’ troppo pettegolo..” le faccio notare.
“Hai ragione, vado a prenderli io allora..” afferra la borsa ed esce, lasciandomi solo con Ben.
“Sai disegnare una nave?” mi chiede, con uno sguardo dolcissimo al quale non posso dire di no.
“C-certo..” mormoro, afferrando il foglio e la matita che mi porge, e cominciando a tracciare qualche linea.
Mi tremano le mani, e non solo per l’imbarazzo del momento, ma soprattutto perché è come se sentissi di tradire i miei figli, i momenti che trascorriamo insieme, le nostre abitudini. Dio mio, mi sento completamente in conflitto con me stesso; vorrei urlare, prendere a pugni qualcosa, correre fino a farmi mancare l’aria nei polmoni. Questa stanza sta diventando sempre più asfissiante, e l’unica cosa che vorrei fare è scappare via.. più lontano possibile da qui.

Sono le otto di sera passate quando Taylor imbocca finalmente il vialetto di casa. Lascio andare il capo contro la testiera e chiudo gli occhi; mi sento psicologicamente distrutto. A livello pratico non è stato un pomeriggio difficile: non appena Shirley è tornata dal bar, abbiamo bevuto il caffè e poi ci siamo spostati sul divano a fingere di parlare di lavoro. Mi aveva già anticipato che Ben è un bambino intelligente e perspicace, per cui si sarebbe insospettito se non avessimo giustificato il motivo della mia presenza. Alle 19:30 sono quasi saltato su dal divano, ho congedato entrambi e sono andato via. A livello mentale, però, è stata un’ora e mezza deleteria: da un lato mi sentivo in colpa nei confronti dei miei bambini, e dall’altro mi sentivo in colpa verso Ben, che non c’entra nulla in tutto questo ed è costretto a stare in mezzo ai nostri casini, o meglio, ai casini di sua madre.
“Sono a casa!” esclamo, come ogni sera, entrando in casa.
Mi sto sfilando il cappotto, quando vedo mia moglie corrermi incontro e buttarsi tra le mie braccia. La stringo forte a me, chiedendomi ancora una volta come faccia questa creatura meravigliosa a sapere sempre di cosa ho bisogno per stare meglio.
La stringo forte a me, immergendo il naso nei suoi capelli e inebriandomi del suo profumo.
Anastasia solleva il viso dal mio petto e mi bacia dolcemente sulle labbra. “Bentornato” mormora, accarezzandomi le guance.
Sorrido, ma il modo in cui lei mi scruta lascia intendere che ha colto nei miei occhi il tormento che mi pervade l’anima.
“Come.. com’è andata?” domanda, timorosa.
Sospiro. “Ti prego, non adesso” la supplico.
“Va bene, va bene..” mi accarezza nuovamente il viso, allungandosi a baciarmi di nuovo.
“Dove sono i bambini?”. Ho bisogno di vedere i miei figli.
“In cucina, in attesa della cena stanno aiutando Gail a decorare la torta che ha preparato..”
Mi prende per mano e insieme ci dirigiamo in cucina.
“Buonasera!!”
“Papàà!” esclamano Teddy e Phoebe, sorridendomi. Sono adorabili con i loro grembiulini da cucina.
Mi avvicino al bancone, appoggiandomi con gli avambracci. “Cosa stanno facendo i miei cuochi preferiti?”
“Io metto la panna sulla torta” risponde Teddy, sporco di panna sul viso, sulle mani e sul grembiule.
“Io gli Smarties” aggiunge Phoebe, che si sta sbizzarrendo a spargere i confetti colorati un po’ ovunque.
“E John?” domando, non vedendo in giro il piccolo Taylor.
“Prima è passata a trovarci mia sorella con i suoi figli, e lo hanno portato alle giostre..” spiega Gail.
Anastasia fa il giro del bancone e raggiunge i nostri figli. “Su bimbi, adesso laviamo le mani, che tra poco si mangia..” regola la fontana del lavello e sciacqua loro le mani, asciugandole poi con uno strofinaccio pulito.
“Adesso c’è qualcuno che vuole salutare il suo papà?” chiedo, con le mani sui fianchi.
“Io, iooo!” urlano entrambi, correndo verso di me.
Mi chino per essere alla loro altezza e li accolgo entrambi tra le mie braccia. Solo Dio sa quanto abbia bisogno di tenerli stretti a me, di sentire il loro affetto, le loro braccia che mi arpionano il collo. I miei figli sono sempre il rimedio a qualsiasi malessere.
Schiocco ad entrambi un bacio sulle guance, e poi li faccio sedere a tavola, mentre Anastasia e Gail mettono la cena nei piatti. Vado a lavarmi le mani al volo e poi mi siedo a tavola anche io.
“Allora, com’è andata la giornata?” domando a mia moglie.
“Piena, ma tutto sommato tranquilla.. Ah, e poi c’è una bella notizia..”
“Cosa?”
“Oggi, quando sono andata a prendere Teddy a scuola, la maestra mi ha fatto i complimenti perché ha mostrato delle figure con i cibi, e Teddy ha saputo dirli tutti!” afferma mia moglie, orgogliosa.
“Davvero??” chiedo stupito, voltandomi verso mio figlio, che annuisce e sorride fiero.
Mi alzo e mi avvicino a mio figlio, stritolandolo in un abbraccio e schiacciandogli la guancia di baci. “Ma quanto sei bravo!” esclamo, orgoglioso di lui.
“Ma io quando vado a scuola?” interviene Phoebe.
“A settembre, amore” risponde Ana.
“E quando arriva settembre?”
“Dopo il tuo compleanno” le spiego, schioccando un bacio anche a lei prima di tornare a sedermi e riprendere a mangiare.
Dopo cena i bambini mi chiedono di giocare insieme con il puzzle ed io, nonostante la stanchezza, li accontento, perché ho bisogno di stare con loro. Ci sediamo sul pavimento in cameretta a gambe incrociate con i vari pezzi sparsi intorno a noi. Anastasia invece aiuta Gail a sparecchiare e mettere a posto la cucina.
“Papà non lo so fare!” piagnucola Phoebe incrociando le braccia e mettendo il broncio. È bellissima.
“Noo amore non è vero che non lo sai fare..” la prendo in braccio e la faccio sedere sulle mie gambe. “Adesso li troviamo insieme i pezzi, okei?”
Mia figlia annuisce e, man mano che riesce ad inserire i vari tasselli, riacquista il sorriso.
“Siamo stati bravi papà?” domanda Teddy, quando il puzzle è completato.
“Siete stati bravissimi, come sempre!” gli arruffo i capelli, mentre lui sorride orgoglioso.
“Bimbi!!” la voce squillante di Anastasia che entra in cameretta attira la nostra attenzione “E’ ora di andare a nanna”
Teddy e Phoebe, pur sbuffando, si alzano e mettono a posto i giochi, com’è loro consuetudine ogni sera. È giusto che si sentano liberi di fare ciò che vogliono nella loro stanza, ma il fatto di avere una governante non implica che possano lasciare tutto a soqquadro: stanno imparando che dopo aver giocato bisogna mettere in ordine. Dopo li portiamo a lavare i dentini e poi a letto.
Do ad entrambi un dolcissimo bacio della buonanotte, mentre Ana sceglie la favola da leggere stasera, e poi mi sposto in camera da letto. Dopo aver sfilato orologio, fede e scarpe, prendo pigiama e biancheria e mi dirigo in bagno.
Quando finalmente mi ritrovo sotto la doccia, mentre l’acqua calda mi accarezza il corpo, rilassando i miei muscoli, mi passano davanti agli occhi i momenti trascorsi oggi pomeriggio con Ben. Quando ho provato ad accarezzargli i capelli, quando mi sono complimentato per i suoi disegni, e quando ho disegnato con lui.
Mi sono sentito, e mi sento tutt’ora, un uomo orribile, perché quei momenti non hanno suscitato in me alcuna emozione. Non so esattamente cosa mi aspettassi, di certo non potevo pretendere un amore viscerale al primo incontro, ma almeno un minimo di quello che comunemente viene definito il “richiamo del sangue”. Invece mi sono sentito costantemente a disagio, fuori luogo. L’unica cosa che desideravo era andare via, buttarmi tutto alle spalle.
E adesso porto sulle spalle un enorme peso fatto di sensi di colpa, sia verso Ben, per non essere riuscito a provare neanche un briciolo dell’amore che dovrebbe unire un padre e un figlio, sia verso Teddy e Phoebe: ogni singolo minuto trascorso in quella camera mi sembrava di tradire i miei figli, di sottrargli una parte delle mie attenzioni, di costringerli a condividere con un’altra persona il loro posto nel mio cuore.
All’improvviso due mani vellutate che si posano sulle mie spalle mi fanno sussultare. Mi volto di scatto e vedo Anastasia, nuda, con i capelli che le ricadono sulle spalle, che senza dire nulla mi passa le mani sui bicipiti, e poi mi attira a sé. La stringo forte a me e senza neanche rendermene conto comincio a piangere; è l’unico modo attraverso il quale riesco a sfogare tutta la tensione che avverto in questi giorni.
“Non so che cosa fare..” singhiozzo, affondando il naso nei suoi capelli.
“Ssshh” sussurra Ana, accarezzandomi la nuca e stringendomi più forte.
Mi bacia con dolcezza tutto il viso, prima di prendermi le guance tra le mani e guardarmi negli occhi. In quegli angoli di cielo leggo la tacita domanda di cosa sia successo oggi da rendermi così nervoso.
“Non sei obbligato a parlarne, se non vuoi.. Devi solo sapere che io sono qui..”
Quelle parole mi scaldano il cuore, e senza pensare comincio a raccontarle quello che ho dentro, ne ho un bisogno immane.
“Io non.. non riesco a provare niente.. Quel bambino è adorabile e simpaticissimo, ma io non riesco a vederlo come mio.. figlio.. Vedi? Faccio persino fatica a pronunciarla questa parola.. Per me i miei figli sono Teddy e Phoebe, non riesco ad immaginare di regalare lo stesso amore a qualcuno che non sia nato da te, da noi, dal nostro amore..”
Sì, lo so, è spregevole ciò che sto dicendo, ma so che la mia Anastasia non mi giudicherebbe mai. Infatti allaccia le braccia intorno al mio collo e dolcemente intrufola le dita tra i miei capelli, sa che è un gesto che mi rilassa.
“Che impressione pensi di avergli fatto??” chiede ad un tratto Ana.
Scuoto la testa. “Credo di essergli simpatico.. Alla fine lui sa semplicemente che io sono un collega di lavoro di sua madre. Però è stato molto dolce, mi ha fatto vedere i suoi disegni, ha voluto che disegnassi con lui.. Solo che.. ogni gesto per me era un pugno allo stomaco, perché sentivo di tradire i nostri figli..”
“No Christian, no. Non devi pensare questo. Le due situazioni non sono paragonabili. Teddy e Phoebe sono stati voluti, desiderati, amati da prima che nascessero. Li hai visti nel loro primo istante di vita, e li cresci ogni singolo giorno con amore, pazienza e forza. Il legame che hai con loro non può essere scalfito da niente e nessuno. La notizia di Ben, invece, è scoppiata all’improvviso, e non puoi certo pretendere di provare per lui l’amore di un padre così, al primo incontro… Non devi colpevolizzarti per questo.. ci vuole tempo per creare un legame di punto in bianco, quando un figlio non l’hai visto nascere e non l’hai cresciuto tu. Al contempo, però, non devi colpevolizzarti neanche nei confronti dei nostri figli: loro sono la tua vita, e il fatto che tu stia conoscendo Ben, stia trascorrendo del tempo con lui, non significa che stai sottraendo tempo o amore ai nostri bambini..”
Tiro su con il naso, sfiorandole il viso con i polpastrelli, mentre l’acqua continua a scorrere su di noi. Le sue parole sono come un balsamo per la mia anima tormentata e confusa.
“Ma tu sei reale? O sei solo la proiezione del mio angelo custode?” mormoro, sentendo il cuore più leggero.
E tutto grazie a lei.
Anastasia ride, e il suono della sua risata fa inevitabilmente ridere anche me.
“Sono la proiezione di un minimo di sale in zucca, quello che a te manca..”
Sgrano gli occhi, fingendomi offeso. “Come osi..?” comincio a farle il solletico nei fianchi, il punto dove maggiormente lo soffre.
“Nono Christian, basta!!” farfuglia, ridendo.
La cosa si rivela complicata perché Ana si dimena e il getto d’acqua la rende più scivolosa tra le mie braccia.
“Dai Christian, ti prego basta!” urla, tentando di afferrare le mie braccia.
Ma io sono più forte e arrivo a bloccarla contro la parete piastrellata della doccia.
Metto fine alla mia tortura, per perdermi a fissare i suoi meravigliosi occhi, lucidi per le risate, e il suo splendido sorriso, capace di illuminare anche i momenti più cupi.
Incapace di resistere un attimo di più, le prendo il viso tra le mani e incollo le mie labbra alle sue. Ana stacca la schiena dalla parete per avvicinarsi il più possibile a me; immerge le dita nei miei capelli, tirandoli forte man mano che il bacio diventa più intenso. Le mie mani si spostano dal suo viso, scendendo ad accarezzarle lentamente i seni, i fianchi e infine i glutei. La attiro verso il mio bacino, e la sento gemere non appena incontra la mia erezione.
“Ho bisogno di te” ansimo, tra un bacio e l’altro.
Anastasia percorre la mia guancia con le labbra, fino a giungere al mio orecchio. “Sono tua” sussurra, mordicchiandomi il lobo.
Scendo con le labbra a baciarle il collo, mentre le mie dita raggiungono la sua femminilità, trovandola già meravigliosamente bagnata.
Senza staccare le labbra dal suo corpo, la afferro per le cosce e la sollevo; Ana mi circonda il collo con le braccia e il bacino con le gambe. Vorrei tanto prolungare l’attesa, ma non credo di esserne in grado.
“Non posso.. più aspettare..” mormoro, baciandole il seno.
“Ti voglio, Christian..” geme, facendomi quasi perdere la ragione.
Con un unico movimento fluido entro in lei, nello stesso istante in cui unico nuovamente le mie labbra alle sue, abbeverandomi del suo sapore, dei suoi respiri.
Ci muoviamo all’unisono, stringendoci forte, dando e prendendo tutto, fino all’ultima goccia di piacere.
“Ti amo” ansima Anastasia, ad un passo dal precipizio.
Stacco il viso dal suo collo per guardarla negli occhi e affogare nell’oceano delle sue iridi.
“Io di più” sussurro baciandola ancora, questa volta più lentamente, più dolcemente, cercando di trasmetterle tutto l’amore che mi scoppia dentro.


Due giorni dopo...

POV ANASTASIA

“Quando tocca a noi mamma??” domanda Teddy, accoccolandosi a me.
Phoebe, invece, è in piena sessione di coccole con il suo papà. Sono bellissimi.
Gli accarezzo i morbidi capelli. “Cucciolo dobbiamo aspettare solo un paio di visite, e poi ci chiamano..”
In fondo ha ragione, si annoiano sempre molto quando veniamo dal pediatra, e a dirla tutta neanche Christian ed io facciamo i salti di gioia, ma sono cose che vanno fatte e, dopo gli alti picchi di febbre di Phoebe della settimana scorsa, è importante oggi far visitare entrambi: Phoebe, per assicurarsi che vada tutto bene, e Teddy, per verificare che non sia stato contagiato dalla sorella e quindi stia eventualmente covando l’influenza anche lui.
“Perché non giocate un po’?” propone Christian “Guardare quanti giochi ci sono qui!”
In effetti la sala d’attesa sempre più una cameretta o l’aula di un asilo: comode poltroncine colorate, poster di cartoni animati appesi alle pareti, e un numero non ben individuato di giochi, dalle lavagnette alle costruzioni, dalle bambole alle macchinine.
“Phe giochi con la lavagnetta con me?” domanda il mio tesoro, con quella voce tenera alla quale è impossibile dire di no.
Infatti, Phoebe annuisce e scende dalle gambe di Christian per giocare con suo fratello. È sempre bellissimo vederli insieme, ed io mi sento una mamma incredibilmente fortunata: è difficile che fratello e sorella vadano così d’accordo. Certo, Teddy e Phoebe hanno anche loro qualche momento di lite, altrimenti non sarebbero fratelli, ma nella maggior parte dei casi sono sempre in sintonia su che giocattolo usare o che cartone animato guardare, ed io amo stare in disparte ad ammirarli.
“Hey” la mano di Christian sfiora la mia, richiamando la mia attenzione.
Intreccio le dita con le sue e gli sorrido.
“A cosa pensi?” domanda, scostandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Quanto amo questi suoi piccoli gesti spontanei in pubblico.
“A quanto siamo fortunati” rispondo, indicando i nostri figli con un cenno del capo.
Christian sorride e si allunga a baciarmi una tempia. “Hai proprio ragione”.
Dopo qualche minuto mi alzo. “Tesoro io vado a prendere un caffè. Ne vuoi uno anche tu?”
Christian annuisce e sbadiglia, mi sa che anche questa notte ha dormito poco e male, più volte l’ho sentito agitarsi. Mi dirigo nell’atrio adiacente alla sala d’attesa, dove c’è la scrivania della segretaria del medico, per l’accettazione e le prenotazioni, e la macchinetta del caffè. Inserisco le monete e attendo che il bicchierino si riempia e si accenda la lucina verde per estrarlo dallo sportellino; dopodiché appoggio il bicchierino lì accanto e ripeto l’operazione, questa volta con un caffè ristretto per mio marito.
Sto girando il cucchiaino di plastica nella bevanda scura, quando la segretaria si alza per aprire la porta, e le due figure che mi si parano davanti agli occhi mi fanno gelare il sangue.
Shirley.
E Ben.
Non so precisamente quale sia la dinamica che ha portato il bicchierino a cadere all’improvviso, facendo così rovesciare il caffè sul pavimento, ma il mio disastro attira l’attenzione di Shirley, che mi osserva, anche lei interdetta e con uno sguardo quasi colpevole.
Quante diavolo di possibilità c’erano che ci incontrassimo lo stesso giorno dallo stesso medico? Considerando poi che loro vivono in North Dakota e sono qui a Seattle solo di passaggio.
Ci fissiamo per alcuni secondi, immobili, incapaci di proferire parola.
“Ana ma quanto ci vuole per…” Christian sopraggiunge alle mie spalle, e come me resta di stucco.
A rompere quel silenzio carico di tensione è proprio il piccolo Ben.
“Ciao!” si rivolge a Christian “Tu sei l’amico della mamma” afferma.
“Sì” risponde mio marito, con la voce impastata “E tu sei Ben!”
Lui annuisce sorridente, felice che Christian si sia ricordato di lui.
“Come.. come mai siete qui?” domanda poi mio marito a Shirley.
“Questa notte Ben ha avuto molta tosse e vorrei fargli fare un controllo, giusto per accertarmi se sia semplice influenza stagionale o qualcos’altro..”
“Sta girando” intervengo, attivando non so come le corde vocali “L’influenza intendo..” aggiungo poi.
“Infatti..” commenta Shirley.
Siamo tutti e tre chiaramente imbarazzati, ma a risolvere la situazione pensano i nostri figli che arrivano a reclamare la nostra attenzione.
“Mamma, papà, perché non tornate?” chiede spazientito Teddy.
Sì, ha più o meno gli stessi standard di tolleranza di suo padre.
Percepisco il cambiamento nell’espressione di Shirley non appena vede Teddy e Phoebe: è tesa, imbarazzata, direi quasi.. dispiaciuta.
Stronza o meno, è una donna abbastanza intelligente da capire che, comunque vadano le cose, suo figlio non potrà equipararsi a Teddy e Phoebe.
“Un attimo Teddy. Stavamo parlando..” spiega Christian, indicando Shirley.
“Chi è questa signora?”
“Una collega di lavoro di papà”
“Quella che stava l’altro giorno a casa nostra?”
Sì, ha anche la memoria fotografica di suo padre.
“Sì tesoro” risponde mio marito.
Teddy, con la sua solita, adorabile e incredibile spontaneità, si rivolge a Ben.
“Io sono Teddy. Tu come ti chiami?”
Il bambino sorride. “Ben” risponde con una voce squillante, poi osserva Phoebe, che fin’ora è rimasta un po’ in disparte “Lei come si chiama?”
“Phoebe, lei è più piccola” spiega Teddy, facendomi sorridere come ogni volta in cui vuole evidenziare il suo essere più grande rispetto alla sorella.
“Vuoi giocare con noi?” propone poi mio figlio.
Ben annuisce felice e corre in sala d’attesa con Teddy e Phoebe. La spontaneità e la tenerezza dei bambini sono per me sempre qualcosa di sconvolgente; quelli che per noi sono ostacoli insormontabili, per loro neanche esistono. Loro non conoscono rabbia, rancore, risentimento o fantasmi del passato.
“S-scusate” mormora Shirley “Se avessi saputo, non…”
“No” la interrompo bruscamente “Va bene così.. In fondo è.. è giusto che si conoscano..” affermo, anche se mi costa, mi costa moltissimo.
Christian ed io torniamo in sala d’attesa, mentre Shirley dà alla segretaria il nominativo per farsi registrare in elenco.
Mi sento una persona spregevole, ma non posso non ammettere a me stessa che vedere i bambini che giocano insieme mi provoca una fitta al petto. Fino a pochi minuti fa, vedere i miei figli giocare insieme equivaleva a raggiungere il Nirvana; adesso, invece, se penso che quei tre bambini non sono tutti miei, eppure sono.. sono fratelli, mi manca l’aria.
Lancio un’occhiata a Christian, che mi scruta come se temesse che possa scoppiare da un momento all’altro, dopodiché mi avvio a passo spedito verso la finestra ed esco sul balcone.
Solo quando la fredda aria di marzo mi penetra fin dentro le ossa mi ricordo di non aver preso la giacca. Mi stringo le braccia intorno al corpo, non so se per proteggermi dal freddo… o dalla dura realtà. Quando Christian ed io siamo soli, o con i nostri bambini, tra le tranquille mura di casa nostra, è facile fingere che non stia accadendo nulla, che la nostra vita non sia nel bel mezzo di uno tsunami. Ma prima o poi arriva il momento in cui la nostra fragile bolla si rompe, e la realtà ci investe in tutta la sua freddezza, la sua crudeltà, la sua inevitabilità.
Poco dopo avverto i passi di Christian alle mie spalle, ma non mi volto, resto ferma, a fissare il panorama di Seattle che questo balcone offre.
Christian giunge a pochi centimetri da me, e di getto mi abbraccia da dietro, affondando il naso nei miei capelli.
“Ana..” mormora, e quella voce quasi disperata fa inumidire i miei occhi e tremare il mio cuore.
Sospiro, senza dire nulla. Non saprei cosa dire.
“Ti prego non chiuderti di nuovo, non allontanarti da me..” mi supplica.
Mi volto tra le sue braccia, guardandolo negli occhi. “Non mi sto allontanando Christian.. Solo che.. Mettiti nei miei panni, credi che sia semplice per me??”
“No, no! Amore mio lo so che è difficile.. Ma ti prego mettiti anche tu nei miei.. Che cosa devo fare?” Vedendo che da parte mia non giunge alcuna risposta, sospira e prosegue “Io ancora non riesco a crederci del tutto. Mi sveglio nel cuore della notte sperando ancora che sia stato tutto uno strano incubo. Invece mi rendo conto che è tutto vero e sono assalito dal panico, perché non so assolutamente che cosa devo fare..”
I suoi occhi sono un cielo in tempesta, e so che non sta enfatizzando la cosa, perché di notte lo sento spesso agitarsi, e la mattina è sempre stanco.
Gli allaccio le braccia intorno al collo, accarezzandogli delicatamente la nuca. “Lo so quello che stai passando, lo so quanto tu ti senta tormentato e confuso in questo momento.. Solo che..” sospiro, chiudendo gli occhi per impedire alle lacrime di fuoriuscire “Non lo so.. So solo che.. io non ce la faccio.. Vederli insieme è.. troppo..” la mia voce si incrina, e d’istinto mi appoggio al petto di Christian.
Mio marito mi stringe forte a sé, lasciandomi un bacio tra i capelli.
“Io non voglio chiudermi in me stessa.. Ti giuro che ce la metterò tutta, però.. Non puoi aspettarti che per me tutto questo possa essere.. normale..”
Christian allenta la stretta intorno al mio corpo per potermi guardare negli occhi. “Lo so amore mio, lo so. Neanche per me tutto questo è normale, solo che.. non posso tirarmi indietro, non me lo perdonerei mai..”
“Se ti tirassi indietro, non vedrei più l’uomo che ho sposato e che amo.. Non ti chiederei mai una cosa del genere, però.. non riesco proprio a giocare alla famigliola allargata e felice..”
“Neanche io ti chiederei mai una cosa del genere.. Noi non siamo e non saremo mai una famiglia allargata.. Però non posso, e forse neanche voglio, proibire ai bambini di giocare con Ben e farci amicizia.. Anzi, forse è meglio così.. In modo che.. se un giorno..”
Chiudo gli occhi, sperando che non concluda la frase. So perfettamente dove voglia arrivare, e so che ha anche ragione, ma non ce la faccio a sentirglielo dire a voce alta.
“Ana, amore..” Christian mi richiama all’attenzione, prendendomi il viso tra le mani e guardandomi negli occhi “Non voglio farti alcun tipo di pressione, né chiederti cose che in questo momento ti risultano impossibili.. Solo.. resta sempre accanto a me..”
Gli sorrido, allungandomi per dargli un bacio a fior di labbra. “Accanto a te, sempre”


Due giorni dopo...

“Tu sei completamente impazzito!!” urlo contro Christian, camminando avanti e indietro per la cucina.
“Abbassa la voce, ci sono i bambini di là..” mormora mio marito, facendomi snervare ancora di più.
“Non cambiare discorso!” lo ammonisco, guardandolo truce “Christian, ti rendi conto di quello che stai dicendo??”
“Io non capisco perché la fai tanto drammatica.. Ho semplicemente detto che domenica vorrei portare Teddy e Phoebe alle giostre e invitare anche Ben..”
Oddio, più lui lo ripete, più io avverto l’impulso di strangolarlo. Non mi spiego come possa comportarsi come se fosse la cosa più normale del mondo.
“E lo dici così?! Come nulla fosse!!” urlo ancora.
“Anastasia, per pietà calmati!”
Qualcuno mi fermi altrimenti lo strozzo davvero! Dire ad una donna di calmarsi quando è incavolata nera equivale a gettare benzina sul fuoco.
Prendo un lungo, lunghissimo respiro. “Christian, non ho alcuna intenzione di calmarmi davanti alle tue assurdità..”
Mio marito sgrana gli occhi, guardandomi come se fossi pazza. “Assurdità? Cosa c’è di assurdo nel portare tre bambini alle giostre? Teddy e Phoebe hanno giocato contenti con Ben l’altro giorno, e Shirley ha detto che anche Ben li trova simpatici..”
“Christian ma sei ubriaco? Ne parli come se fosse la cosa più naturale del mondo! Per te quel bambino è già diventato tuo figlio a tutti gli effetti, come Teddy e come Phoebe??”
Christian sospira, passandosi nervosamente una mano sul viso, esasperato. “Ana, non voglio fare confronti, okei? Vorrei semplicemente che i bambini si conoscessero meglio..”
“E vai allora! Vai!! Vai tu con i tuoi tre figli al parco giochi a fare il papà perfetto..” urlo, agitando le braccia. Mi avvicino a lui e gli punto un dito contro “E mi raccomando, non dimenticare di informare Teddy e Phoebe che quello che loro credono il loro amichetto in realtà non è il loro amichetto… E gli spieghi anche tutte le dinamiche della faccenda, vedrai che capiranno..”
Okei, so di essere un po’ dura, ma in questo momento davvero non riesco a ritrovare il controllo di me. Il pensiero di Christian con tutti e tre i suoi figli mi fa sentire male, mi fa sentire esclusa, mi fa sentire il peso di una nuova presenza nella nostra vita, sempre più concreta, sempre più con la certezza che niente sarà più come prima.
Christian mi osserva ammutolito, con lo sguardo pregno di confusione, rabbia e delusione. “Adesso sei ingiusta.. Sai bene che da qualche parte devo pur cominciare.. Non pretendo che tu accetti tutto questo, ma mi aspettavo almeno un minimo di.. non lo so.. di comprensione..” afferma, deluso.
“Ma io ci sto provando con tutta me stessa a comprendere le tue ragioni.. Solo che..” nel cercare le parole giuste da dire, trovo solo le lacrime, che vengono giù dagli occhi senza il mio permesso “Io.. io pensavo che questo momento sarebbe arrivato tra tanto tempo.. Il momento in cui avresti.. avresti fatto entrare Ben a far parte della nostra vita.. Invece questo momento è dietro l’angolo ed io.. io non ce la faccio..”
Scoppio definitivamente a piangere, e Christian mi stringe forte a sé.
“Ti prego non fare così.. mi uccidi..” mormora, e la sua voce mi è parsa incrinata.
Mi stacco da lui per guardarlo negli occhi, e mi accorgo che non era solo una mia impressione: sono colmi di lacrime.
“Christian..” sussurro.
“Io non so che cosa devo fare!” singhiozza mio marito “Qualunque strada intraprenda, sbaglio. Io non posso fare finta che Ben non esista, ma al contempo non voglio sconvolgere la vita dei miei bambini, non voglio ferire te.. Che cosa devo fare?”
Vederlo così mi distrugge, mi annienta, e mi fa sentire una moglie orribile: ancora una volta forse ho pensato troppo a me stessa.
Lo stringo forte a me. “Ssshh.. Calmati, tesoro, calmati..” cerco di rassicurarlo.
Christian si stacca da me e si asciuga gli occhi, non ama lasciarsi andare in questo modo, ma ci sono momenti in cui è necessario. Vedo ancora le sue spalle scuotersi, così lo faccio sedere su una sedia, e mi adagio sulle sue gambe.
“Amore mio” mormoro, prendendogli il viso tra le mani “E’ difficile, è tutto molto difficile.. E ti chiedo scusa per prima, ho esagerato troppo.. Solo che io ancora.. ancora non riesco ad accettarlo..”
“Ana..”
“Aspetta” lo zittisco, posandogli la mano sulla bocca “Io non sono ancora pronta, ma ti prometto che cercherò con tutte le mie forze di venire incontro alle tue decisioni e di non ostacolarti.. Più di questo, per ora, non posso fare..” affermo, dispiaciuta.
Christian mi stringe forte a sé, emettendo un respiro che sembra quasi di sollievo. La situazione che stiamo vivendo è molto, molto complicata, ma dobbiamo sempre mettere il nostro amore e l’amore della nostra famiglia al primo posto, e questo significa, da parte di entrambi, venirci incontro e cercare sempre di appoggiarci a vicenda, anche quando le decisioni dell’altro non ci sembrano giuste, e ci fanno soffrire. Ho giurato a me stessa e a mio marito che non mi sarei più chiusa in me, non mi sarei più allontanata, e questo implica che, pur soffrendo, devo accettare le scelte di Christian, che so non essere affatto semplici. Anche Christian sta male, anzi forse lui sta male anche più di me, perché da un lato ha me e i nostri figli, che non vuole far soffrire, e dall’altro ha Ben, con il quale non sa come muoversi, come comportarsi.
“Che cosa succederà, Ana?” chiede ad un tratto mio marito, con le labbra sui miei capelli.
“Non lo so Christian, non lo so..” gli stringo il braccio per infondergli coraggio, e, proprio quando sto per aprire di nuovo bocca, il suono del campanello ci fa sobbalzare.
“Vado io” dico alzandomi “Gail è in lavanderia”
Esco dalla cucina e attraverso il salone.
“Mamma, hanno suonato” mi fa notare Teddy, che colora con Phoebe seduto al tavolo del salone.
“Lo so tesoro” gli sorrido e raggiungo rapidamente l’atrio.
Do uno sguardo allo spioncino, dal quale vedo il volto di mia suocera.
“Grace!” esclamo aprendo la porta.
Lei mi sorride e mi saluta con un abbraccio. “Ciao tesoro, Christian è in casa? Dovrei parlarvi..”
“Sì, certo” rispondo chiudendo la porta.
Un istante dopo Christian si materializza alle mie spalle.
“Mamma!” esclama abbracciandola “Come mai qui?”
“Ragazzi, ci sono delle novità…”


Angolo me.
Buon pomeriggio meravigliose fanciulle!
Ormai è inutile che vi chieda scusa per il ritardo, ci siete abituate xD Almeno non vi ho fatto aspettare quasi tre mesi come l’ultima volta. Sapete bene che, fosse per me, pubblicherei anche tutte le settimane, ma l’Università assorbe quasi tutto il mio tempo, infatti non vi nego che gran parte di questo capitolo è nata nei cambi d’ora, nei buchi tra le lezioni, oppure mentre aspettavo i mezzi pubblici. Come vedete, però, cerco sempre di farmi perdonare con capitoli abbastanza lunghi.
Veniamo al capitolo: non uccidetemi per il risultato del test. Alcune di voi avevano preannunciato un risultato positivo, altre negativo. Questo risultato non ci piace, ma purtroppo è così, e adesso dobbiamo affrontare insieme ai nostri protagonisti quelle che saranno le conseguenze.
Questo capitolo, sarò sincera, non è stato semplice da scrivere, perché il punto cardine era entrare nella mente di Ana e Christian e trasmettere quello che è il loro stato d’animo al cospetto di uno stravolgimento come questo, spero di esserci riuscita e di aver delineato il più accuratamente possibile i loro pensieri e le loro sensazioni. Spero di essere riuscita a realizzare il mio disegno, nel quale non esiste una parte di torto e una parte di ragione, esiste una coppia sconvolta da uno scossone del genere, che deve restare unita e deve lottare in nome dell’amore e della famiglia.
La situazione è difficile, ci sono scelte che fanno male, ma alle quali i nostri ragazzi non possono sottrarsi.. Anastasia non riesce ad accettare la cosa, e in fondo come biasimarla? Ma Christian non può tirarsi indietro e fingere che quel test non esista.  
Cosa ve ne pare di Ben? Tutto sommato lui non ha alcuna colpa, povero cucciolo, e sembra che a Teddy e Phoebe stia anche simpatico.
Nel prossimo capitolo scopriremo taaaante cose in più, soprattutto in merito a ciò che Grace ha da dire ad Anastasia e Christian.
Vi chiedo solo una cosa, in questo capitolo non date per scontato neanche i piccoli dettagli…
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se so che il risultato del test non va a genio a nessuna di voi (neanche a me, se vogliamo dirla tutta), ma vi assicuro che ci sono ancora tante novità da scoprire.
Vi voglio ringraziare ancora una volta per il vostro affetto e la vostra pazienza, davvero le vostre parole ogni volta sono una soddisfazione enorme e un incentivo a cercare di fare sempre meglio per farvi emozionare.
Aspetto con impazienza le vostre opinioni.
Alla prossima, un abbraccio forte.
Mery.
P.S. Mi scuso per eventuali errori perché non ho riletto il capitolo.
 
 
 

 
   
 
Leggi le 23 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Cinquanta sfumature di... / Vai alla pagina dell'autore: LatersBaby_Mery