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Autore: kenjina    27/05/2017    0 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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Capitolo 25

Per oggi non ti detesto

 

 

«Hicchan, che ore sono?».

«Hana, sono trascorsi cinque minuti dall’ultima volta che me lo hai chiesto. Non è ancora ora di dimetterti».

Passarono secondi di silenzio, prima che il fratello riprese. «Sì, ma quanto manca di preciso?».

«Al momento in cui ti soffoco con un cuscino per farti stare zitto, intendi? Poco».

La Vecchina Yaoi, come l’avevano soprannominata, ridacchiò ai loro battibecchi. «Ti capisco, giovanotto, non vedi l’ora di riabbracciare il tuo fidanzato, vero?».

Questa volta fu il turno di Hime di scoppiare a ridere, mentre quello ingoiava un’imprecazione colorita e le chiedeva di smetterla senza troppi complimenti.

«Maledetta nonna pervertita», bofonchiò incrociando le braccia al petto, rosso di frustrazione e imbarazzo. «E tu non ridere, Hicchan! Non è divertente! Ho avuto gli incubi la scorsa notte, per colpa di questa qui!», esclamò con gli occhi fuori dalle orbite.

Con un sorriso candido e sdentato, la vecchietta tornò al suo romanzo rosa.

Qualcuno bussò alla porta e il viso abbronzato e serio di Shin’ichi Maki fece capolino una volta socchiusa. «Posso entrare?».

«Nonno Maki!», esclamarono in coro i gemelli, mentre quello sorrideva e si avvicinava al letto del paziente, lasciando la porta socchiusa.

«Come stai, Sakuragi?», chiese il ragazzo del Kainan, dopo aver salutato la ragazza con un affettuoso abbraccio.

«Alla grande! Ahahah! Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco, vecchia ciabatta!».

Shin’ichi rise. «Vedo! Scusami se non sono potuto venire a trovarti prima, ma dopo la partita dell’altro giorno, beh, ho avuto un bel da fare col Sensei Takato».

«Ahaha! Ti avrà fatto una bella lavata di capo, eh? Dopo che il Genio qui presente, nonostante la ferita di guerra, è riusc–».

Non fece mai in tempo a finire la frase, perché Hime mise in atto la minaccia di poco prima e lo soffocò con un cuscino. «Devi scusarlo, senpai. Gli antidolorifici che gli stanno dando devono avere qualche strano effetto collaterale».

Maki avrebbe voluto farle gentilmente notare che, medicinali o meno, Hanamichi avrebbe comunque osannato le sue eroiche gesta, ma l’educazione e il tatto glielo proibirono. Era un signore, lui.

E mentre il numero 10 dello Shohoku si dimenava per liberarsi dalla morsa assassina della sorella e Maki se la rideva senza muovere un dito, una figura rimase nascosta dalle spalle imponenti del proprio Capitano, indeciso se farsi vedere o rimanere nell’ombra. Forse era meglio la seconda opzione, viste le neanche tato velate minacce del rossino e la poca voglia che aveva di affrontare quella strega. Se non fosse stato per Capitan Maki che aveva insistito tanto per accompagnarlo a trovare la Scimmia Rossa, col cavolo che avrebbe messo piede in quell’ospedale.

Ogni tentativo di rimanere in disparte divenne vano nel momento in cui Hanamichi reclamò del succo di frutta e delle patatine – maledetta fogna! – e la sorella si offrì di andare a prendergliele con somma gioia. Il sorriso che vide su quell’adorabile viso incorniciato dai capelli rossi svanì nell’esatto momento in cui i suoi occhi castani incontrarono i propri.

Hime s’irrigidì e rimasero fermi a guardarsi per lunghissimi istanti. Fu solo quando sentì la voce di Hana parlottare con Maki che decise di chiudersi la porta alle spalle, per non dargli la possibilità di inveire contro Kiyota e rischiare un casino colossale.

Aveva un cerotto, laddove l’aveva ricucito sul sopracciglio, e la solita espressione di disprezzo che aveva imparato a conoscere in quegli ultimi giorni. Ricordò solo allora del perché lei fosse tornata in ospedale e non fosse con gli amici a tifare le senpai Kobayashi e Azamui, e la vista di lui con una ragazza al braccio l’accecò di rabbia.

«Che ci fai qui? La tua dolce compagnia ti ha già mollato?», gli domandò velenosa, incrociando le braccia sotto il seno.

Kiyota sgranò gli occhi, sinceramente stupito. «La mia che?».

«Non fare finta di non capire. Ti ho visto con i miei occhi, non mi sto inventando false supposizioni sulla base di cose inesistenti come qualcuno di mia conoscenza», sputò, prima di potersi fermare. Non voleva fare una scenata di gelosia – del resto era stato molto chiaro, non stavano più insieme e non poteva avere più alcuna pretesa –, ma la ferita era ancora fresca, bruciava come il primo giorno, e non poté trattenersi.

«Che diavolo stai farneticando? Quella è un’amica!».

Hime sorrise, priva di divertimento. «Quindi fammi capire: tu puoi avere amiche, io non posso avere amici».

«Ti dico che è un’amica e che è innamorata persa di Jin, la stavo solo aiutando a–». Nobunaga s’interruppe, ora arrabbiato. «Perché cavolo devo giustificarmi? Non ho fatto niente di male!».

«E io non ti ho mai tenuto all’oscuro della mia amicizia con Kaede! Nemmeno io ho fatto niente di male!», esclamò, mordendosi le labbra per aver alzato la voce. «Senti, non ho voglia di litigare di nuovo e soprattutto non qui. Non è il posto adatto per–».

Hime non terminò la frase, poiché lo sguardo di Kiyota s’indurì così improvvisamente, diretto oltre le sue spalle, che le mancò il fiato.

«Ma certo, che stupido. Non vuoi far fare brutte figure a tuo suocero, vero?», le sibilò, mentre Kaede arrivava in quel momento in compagnia di Reiko. Nobunaga ghignò. «O devo dire ex-suocero? Forse anche il tuo bello ha deciso di guardare altrove?».

La vista del suo migliore amico insieme alla Azamui ebbe lo stesso effetto rinvigorente di una doccia dopo una lunga partita di basket e, dimentica di quell’idiota, sorrise ai due con calore.

«Va tutto bene?», chiese Kaede, senza staccare lo sguardo da quello del giocatore del Kainan, che ricambiava con astio.

«Sì, Ede. Se ne stava giusto andando».

Kiyota voltò le spalle. «Vorrei non essere mai venuto, maledetta donna scimmia!».

Kaede fece per muoversi verso il ragazzo, ma una mano decisa lo bloccò all’altezza del petto. Abbassò lo sguardo su Reiko, che gli indicò Hime ancora una volta in lacrime.

«Ti odio, Kiyota! Ti odio così tanto da far male!», esclamò, facendolo vacillare per un lungo istante. «Spero ti fiderai un po’ di più della tua prossima ragazza, se mai ne troverai un’altra. Non c’è amore senza fiducia. E io mi fidavo ciecamente di te».

E con quelle parole Hime corse dalla parte opposta del corridoio, lasciando uno sgomento Nobunaga e un incazzatissimo Rukawa, che avrebbe tanto voluto spaccargli quel muso da babbuino che si ritrovava. Del resto, si disse, era già in ospedale.

«Calmati, campione», cercò di tranquillizzarlo Reiko. «Credo che le parole della Sakuragi l’abbiano colpito più forte di qualsiasi tuo pugno. Vieni, la tua amica ha bisogno di te, ora». E preso per un polso, lo trascinò verso il punto in cui Hime era sparita. «Oh e, Kiyota-kun: sei un idiota colossale. Spero che tu ne sia consapevole», aggiunse la ragazza, con un candido e malefico sorriso, prima di proseguire.

La trovarono nella saletta d’attesa, seduta su una poltroncina in plastica blu all’angolo. Prima di avvicinarsi, Reiko si diresse alla macchinetta di merendine, racimolò qualche yen e cercò la porcheria giusta.

«È la prima volta dopo anni che compro barrette di cioccolato», confessò al numero 11 dello Shohoku, che la osservava in silenzio. «Ma non è per me, stai tranquillo», lo rassicurò con un sorriso, come se gli importasse davvero qualcosa di ciò che stava blaterando. «Al latte o fondente?».

«Latte con nocciole», rispose Kaede, che conosceva a memoria i gusti dell’amica. Non avrebbe mai capito come riuscisse a ingurgitare cioccolato al latte. Era disgustosamente dolce.

Hime sollevò lo sguardo acquoso sui due, non appena le si sedettero accanto, e strinse le gambe al petto. «Scusatemi, sono una piagnona».

La Azamui si crucciò. «E lui un grandissimo– no, non lo dirò. Mia madre ha il sesto senso per le parolacce, è capacissima di sentirmi fin qui. Ad ogni modo», disse, mentre le porgeva il suo piccolo regalo, «il cioccolato farà ingrassare, ma è ottimo per il morale».

La ragazza dello Shohoku osservò le barrette ipercaloriche che Reiko le stava gentilmente porgendo e quasi scoppiò a ridere. «Tu sì che sai come sollevare l’umore di qualcuno!»

Reiko sorrise, abbassando la voce. «Da piccola ero sempre parecchio “triste” e avevo bisogno di molta cioccolata. Ho iniziato a fare nuoto quando, come dire, sono diventata troppo felice».

«Tu? Triste?», non riuscì a fermarsi Rukawa, guardandola come se le fosse spuntata una seconda testa. «Hai la minima idea di cosa significhi?»

Reiko, come ovvio che fosse, rise, insieme alla Sakuragi che asciugava le lacrime con la manica del maglione e abbracciò la nuotatrice, grata.

Chiacchierarono di tutto e niente, sotto lo sguardo stralunato di Kaede. Reiko, infatti, esattamente come avrebbe fatto il cugino, era riuscita a far tornare il sorriso sulle labbra alla sua migliore amica, e con il minimo sforzo. Hime sembrava aver lasciato alle spalle lo scontro di poco prima e ora ridacchiava e scherzava con la senpai come se fossero amiche di vecchia data.

Solo quando la rossa parve tornata la ragazza pimpante di sempre e si sentì pronta per tornare dal fratello senza che questo si accorgesse degli occhi arrossati, si alzò per recuperare succo di frutta e patatine per Hanamichi.

«Starà morendo di fame, sono in ritardissimo!»

«Ma lascialo fare», esclamò Kaede, nella speranza che il rossino crepasse davvero di stenti.

Hime trotterellò verso la camera di Hanamichi, lasciandoli indietro a seguirla.

«Ehi».

Reiko fermò i suoi passi, guardandosi oltre le spalle. «Uhm?»

Kaede strinse le labbra, cercando la forza di parlare. «… Grazie».

Non ci fu bisogno che spiegasse quella singola parola. Reiko lo capì ugualmente. «Figurati, campione. Il sorriso di Hime è troppo bello per essere spento come una candela».

Restarono a osservarsi per qualche secondo, prima che Kaede la superasse. «E non chiamarmi campione».

Reiko lo guardò con i suoi grandi e ridenti occhi blu, seguendolo. «Perché non lo sei?».

 

*

 

Rimasero in compagnia dei Sakuragi per il resto della mattinata. Hanamichi fu dimesso prima di pranzo e pareva più in forze di prima – per la gioia della sorella e la disperazione di Kaede. Si diressero al Bar America per pranzo e Hime decise di trascinarsi dietro anche la Azamui, prendendola sotto braccio e sorda alle sue proteste.

«Tranquilla, chiediamo a Sana di farti fare una chiamata a casa per tranquillizzare i tuoi. Poi ti faccio riaccompagnare da Ede, così torni sana e salva».

Reiko ridacchiò. «Non ne sarei così sicura; temo che voglia uccidermi».

«Perspicace», fu il commento del diretto interessato, che camminava alle loro spalle accanto al rossino.

«E temo che voglia uccidere anche lui», aggiunse la nuotatrice, indicando con un cenno del capo il cugino, visibile dalla vetrata del bar e seduto insieme ai Gundam, Mitsui e la Kobayashi. Sanako era dietro il bancone, nonostante non fosse orario di lavoro: tenerla ferma un secondo era pressoché impossibile.

«Buondì!», esclamò Hanamichi, gasato come non mai per essere finalmente riuscito a scappare da quell’infernale letto di ospedale. «Guardate un po’! Sono più in forma e smagliante di prima! Vero, Hicchan? Ahahaha!»

«Forse intendevi dire più imbarazzante», puntualizzò Noma, che due secondi più tardi si ritrovò con la fronte fumante e un nuovo bernoccolo aggiunto alla sua personale collezione.

«Dobbiamo festeggiare!», stava invece blaterando Hime, battendo un pugno sul palmo della mano. «Watanabe-san, cioccolata calda per tutti!»

«Ma è ora di pranzo!», si lamentò qualcuno.

«Suvvia, è il dessert!»

«Ma si mangia alla fine!»

«E da quando seguiamo le regole?!»

Il signor Watanabe sollevò lo sguardo ridente sulla ragazza e il sorriso gli si allargò in un’espressione di stupore quando vide la brunetta accanto alla Sakuragi. «Nipotina mia! Sei venuta a trovarmi, finalmente?»

Reiko divenne rossa come i capelli di Hime e, mentre balbettava una scusa plausibile per non essere mai passata prima e cercava di non rispondere alle provocazioni del cugino che se la rideva alla grande, si diresse ad abbracciare lo zio e chiedergli di fare una telefonata.

Nel frattempo Hanamichi aveva iniziato a spostare tavoli e sedie, per unirli a quelli degli altri in un gran casino. Il signor Watanabe non mosse neppure un muscolo: era talmente abituato a quel baccano, quando quei selvaggi entravano nel suo bar, che ormai non ci faceva neppure caso.

«Come ti senti?», domandò Yoehi al suo migliore amico, una volta che riuscì a sedersi.

«Alla grande! Ahahah! Mai sentito meglio!»

Akira sorrise, affabile. «È un’ottima notizia, Hanamichi. Mi sarebbe dispiaciuto non averti in campo».

«Bah, non era niente… solo un muscoletto indolenzito, ecco. Figurati se mi perdo la finale! Devo asfaltarti i capelli, io! Ahahaha!»

E tra occhiate rassegnate e la medesima vergognosa immagine in testa – Hanamichi che piagnucolava di dolore una volta finita la partita contro il Kainan e si appellava alla sua sorellina per farlo stare meglio –, lo zio di Akira e Reiko iniziò a prendere le ordinazioni per pranzo. Quest’ultima, per gioia immensa di Rukawa e grazie all’occhiata d’intesa tra quella strega di Hime e il Porcospino, si era ritrovata nuovamente seduta al fianco del numero 11 dello Shohoku e gli sorrideva come se fosse il momento più bello della sua vita. Con uno sbuffo Kaede decise di odiarla un po’ meno – ma solo per quel giorno, dato che si era fatta in quattro pur di sollevare il morale alla sua migliore amica. Il giorno dopo avrebbe ripreso a detestarla come normale che fosse.

Sana, nel frattempo, era intenta a riempire i bicchieri per i suoi amici, chi di acqua e chi di coca.

«Mi spieghi una cosa, Porcospino?», domandò d’un tratto Mitsui, osservandola mentre lavorava dietro al bancone.

Akira seguì il suo sguardo. «Uhm?»

«Perché non ti sei ancora fatto avanti?»

Il Capitano del Ryonan non rispose subito, ponderando le sue parole con attenzione. «Bella domanda, amico».

Hisashi incurvò un sopracciglio, perplesso. «Che c’è da pensarci su? Pende dalle tue labbra, idiota. Sarebbe un colpo sicuro. E non dirmi che la cosa non sia reciproca, altrimenti ti spacco il muso».

«Manesco», borbottò Akira, passandosi le mani in viso. «E comunque è timida con tutti, non pende dalle mie labbra».

L’occhiata che Kiyo gli riservò fu eloquente. «Vuoi farmi credere che non ti sei accorto di come ti guarda e di come va in iperventilazione ogni volta che le rivolgi la parola? Devo raccontarti cosa dice sulle tue spalle larghe e il tuo ―»

«Ti prego. Basta», la supplicò Hisashi, tappandosi le orecchie per non ascoltare oltre.

Akira rise, grattandosi la nuca in imbarazzo. «È complicato».

«Sei esasperante», sbottò la guardia. «Cosa c’è di complicato? Lei ti piace, tu le piaci: fatevi una trombata, porca zozza!»

«Mitsui!», esclamarono in coro il suo datore di lavoro e Kiyo; l’uomo scoppiò a ridere poco dopo nel vedere la faccia paonazza del nipote.

«Glielo dica anche lei, sensei!»

«Dirgli cosa?», domandò Sana, comparendo in quel momento per servire le ordinazioni degli ultimi arrivati, e che grazie al cielo erano talmente infognati in qualche cazzata che stava dicendo Hanamichi, che non avevano prestato attenzione ai discorsi dei due.

«Niente», borbottò Akira, sviando lo sguardo verso la strada. Sana crucciò la fronte, ma non commentò, tornando verso il bancone.

«Guarda che se non ti dai una mossa qualcuno te la frega», lo mise in guardia Hisashi. «Mito, per esempio, mi sembra molto interessato alla ragazza e, chissà perché, ogni volta che ti guarda fiuto pericolo».

Akira si rinchiuse in uno strano mutismo e neppure Reiko, interpellata dall’altro lato della tavolata, riuscì a cavargli qualche parola di spiegazione.

«Beh, non venirmi a dire che non ti ho avvisato, idiota», concluse Hisashi, stiracchiandosi le braccia e sorridendo con malizia alla sua ragazza, che non si era persa un movimento.

Kaede, nel frattempo, pensò che una bella seduta di harakiri sarebbe stata la cosa migliore nella sua situazione. Da un lato la Azamui, dall’altro Hime, che parlavano fitto fitto di yoga e feng shui. Ci mancava un’altra schizzata di quella robaccia, pensò sbuffando.

«E quando vai? E dove?», stava domandando la rossa, interessata. «Ho sempre voluto iniziare, ma il basket mi ha costantemente assorbito troppe energie e non ho mai trovato il tempo».

«Ti farebbe bene, specialmente la sera prima di una partita importante. Lo faccio sempre per concentrarmi e calmarmi. Altrimenti ogni mercoledì, dalle sette alle nove».

E bla bla bla sui saluti al sole e alla luna e altre cazzate simili. Kaede non avrebbe mai creduto che quella giornata sarebbe stata così lunga.

«Possiamo vederci nei nostri giorni liberi e praticarlo insieme, se ti va. Abitiamo lontane, ma c’è una palestra a metà strada che potrebbe fare il caso nostro», stava continuando Reiko.

Kaede strizzò gli occhi, stordito quando Hime strillò un sì d’assenso, trapanandogli un timpano senza possibilità di ritorno.

«Questa domenica sera andrebbe bene?»

La seconda manager dello Shohoku fece per accettare, quando un pensiero le passò per la testa. Aveva preso un impegno, settimane addietro, per quel fine settimana. Aveva avuto un’idea geniale per un regalo e sarebbe dovuta andare a vederlo proprio quel giorno; ma data la situazione avrebbe potuto evitare. «Sì, sì, va bene».

Reiko la osservò con curiosità e anche Kaede non riuscì a capire cosa fosse quello sguardo accigliato. «Avevi un altro impegno?»

Hime agitò una mano, come per scacciare una mosca. «Niente di importante, davvero».

«Possiamo fare un altro giorno, o dopo che ti occupi di qualsiasi cosa tu debba fare».

La rossa si mordicchiò un labbro. «Vediamo, dai. Ma non è niente di importante», ripeté, più per convincere se stessa che la ragazza. Non era possibile che stesse prendendo in considerazione l’idea di farlo ugualmente. Non dopo quello che era successo quella stessa mattina, era per caso idiota?

Scosse il capo, sorridendo con fare poco rassicurante ai due, e decise di concentrarsi sui racconti demenziali di Hanamichi, che come sempre stava facendo sganasciare tutti dalle risate – vicini di tavolo compresi. Fortuna sua che aveva suo fratello e i suoi amici a rischiararle le idee.

Pranzarono nel caos totale, come sempre del resto, e trascorsero un piacevole pomeriggio all’insegna del relax e del dolce far nulla, finché giunse l’ora degli allenamenti. Da lì alla finale si sarebbero svolti ogni giorno – ordini perentori del Tappo Malefico.

Reiko, senza neanche accorgersene, si ritrovò catapultata nella palestra dello Shohoku, seduta accanto alla sua rivale di nuoto e ai quattro casinisti dell’Armata Sakuragi. Akira, invece, venne gentilmente mandato via a calci per non spiare i loro schemi e allenamenti; in compenso, Hime gli chiese di rendersi utile, mandandolo a lavorare per la festa di fine anno insieme a Sana, e a compiere qualcosa di segretissimo che Kaede non riuscì a cogliere.

Qualunque cosa fosse, pensò, fu contento di non averlo tra i piedi.

Incrociò lo sguardo della cugina di Sendoh e sentì il sollievo sgretolarsi davanti a quel sorriso fastidiosamente contagioso. Peggio che mai, si disse. Meglio rompere le palle al Do’aho e dimenticarsi di quella piattola. Del resto, si era ripromesso di detestarla un po’ meno, quel giorno, ma non significava tollerarne completamente la presenza.

E mentre Hanamichi e Hisashi si riscaldavano insieme per non sforzare rispettivamente schiena e ginocchio, e bestemmiavano ogni tre per due perché anche loro volevano allenarsi con gli altri, la serata trascorse veloce, tra palleggi, passaggi e il classico scricchiolio delle scarpe da ginnastica sul parquet lucido.

«Come se la passano?», domandò la voce di Akagi, fermo sull’ingresso insieme alla sorella e Kogure.

«Capitano!», strillò Hime, saltandogli addosso.

«Ehi! Il Capitano sono io, deficiente!», s’inalberò Ryota, mentre Hanamichi e Hisashi stramazzarono a terra dalle risata – e si beccarono una sventagliata dalla loro personal trainer, Ayako, sempre pronta a difendere il suo amato ma, soprattutto, a farli rigare dritto.

«Direi benone, come vedi», fu la risposta divertita di Hime.

«Sakuragi è sempre così pieno di energie, anche quando sta male», commentò Haruko, sinceramente felice di vederlo in campo. «Per fortuna la caduta non ha comportato niente di grave».

La sorella del Rossino annuì. «Sarà difficile con Daichi Anami da marcare; spero solo che Hana non si faccia male di nuovo».

Akagi sospirò. «Quel ragazzo sarà un po’ tardo, ma l’ho visto giocare ed è impressionante».

«Si sta riferendo ad Hanamichi, vero?», fu l’ovvia domanda di Noma, che li fece scoppiare tutti a ridere – Gorilla compreso. Fortuna sua che il diretto interessato non li udì, altrimenti avrebbe fatto crollare l’intero stabile a suon di testate.

«Siete cattivi», si lamentò Haruko. «Sakuragi ha davvero del talento!»

«Haruko, cara, perché questo non glielo dici di persona? Lo faresti molto, ma molto felice», le consigliò Hime, che si guadagnò l’occhiata perplessa dell’altra. La seconda manager pensò che non ci fosse nulla da fare: Haruko non si sarebbe mai accorta di quanto il fratello ne fosse innamorato, giacché era troppo intenta a fissare Kaede asciugarsi il sudore dalla fronte con l’orlo della maglia – mentre lei, invece, asciugava il sangue dal naso che le era colato alla vista dei suoi addominali.

«Fatemi capire», mormorò Reiko, guardandosi intorno e studiando la situazione, stando ben attenta a non farsi sentire dagli interessati. «Sakuragi è innamorato della Akagi, che è innamorata di Rukawa, che non se la fila affatto. Giusto?»

«Non fa una piega», applaudirono i Gundam.

«Beh, non che ci voglia un genio per capir–»

«Genio? Qualcuno mi sta chiamando?», sbraitò Hanamichi, mani sui fianchi e passo felpato.

«Che cacchio hai al posto delle orecchie, tu?!»

A centro campo i giocatori si voltarono verso tutto quel baccano.

«Si può sapere che hanno da blaterare?», domandò Araki, sbuffando. «La mia bella deve stare qui con noi, non con quegli idioti!»

«La tua bella è ancora off-limits, Casanova», gli fece notare Ryota. «E lo sarà per parecchio tempo. Quindi mettiti il cuore in pace e concentrati, se non vuoi che ti cacci dalla squadra!»

Gli allenamenti terminarono un’ora dopo e i bestioni andarono a farsi una meritata doccia, prima di tornare a casa. Kaede avrebbe preferito annegare sotto il soffione dell’acqua, pur di non dover riaccompagnare a casa quella iena sorridente della Azamui. Hime l’avrebbe pagata cara per quel tiro mancino.

Trovò la nuotatrice intenta a chiacchierare con le ragazze e registrò solo di striscio la presenza della Akagi, dato che se ne stava in un angolino ad ascoltare le altre quattro.

Reiko gli sorrise e si alzò, battendo le mani. «Pronti?»

«Ammazzatemi».

«Oh, suvvia, Ede. Cosa ti costa?», lo spintonò Hime, che non lo smosse di un solo centimetro.

Reiko si infilò il cappotto e la cuffietta in lana. «Beh, facciamo progressi: prima voleva ammazzare me, ora opta per il suicidio. Direi che sono salva, per oggi».

Con un’occhiata fulminante, Kaede la sorpassò, intimandole di sbrigarsi se non avesse voluto tornare a casa da sola. Con un saluto e la promessa di rivedersi presto, Reiko si affrettò a seguirlo, sotto lo sguardo marpione di Hime e Ayako, e quello stordito di Kiyo.

Haruko, invece, osservò in silenzio il suo numero 11 andarsene con quella bella ragazza; sentì le gambe diventare molli e gli occhi pizzicarle. Fortuna sua che fosse già seduta. Chi era, come faceva a conoscerlo e ad avere così tanta confidenza? Credeva che le uniche amiche che avesse fossero la Sakuragi e Ayako, e sebbene nutrisse dei sospetti sul rapporto con la prima, era sicurissima che non ci fosse nessun’altra a ostacolarla.

Di tutt’altro avviso furono le tre del Rukawa Shitenai, appartate all’uscita della palestra per fargli il consueto agguato, e che iniziarono a inveire contro la sconosciuta e a minacciarla pesantemente di prenderla a sberle se non avesse lasciato stare il loro idolo. Reiko, d’altra parte, sorrise loro con fare affabile, liquidandole con un saluto e chiedendo cosa avrebbero fatto se Rukawa avesse dimostrato interesse per una solo di loro. Se le lasciarono alle spalle nel bel mezzo di un litigio colossale e Kaede, per la seconda volta in quella bizzarra giornata, pensò che quella ragazza non fosse così tanto malaccio.

«Allora, campione, che mi racconti di bello?»

Hn, era evidente che fosse stanco morto per pensare una stronzata simile.

Aveva bisogno di dormire, sì.

   
 
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