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Autore: AlenGarou    27/05/2017    3 recensioni
In un piccolo abituro nel cuore della foresta vi sono due uomini.
Entrambi tacciono, ognuno perso nei propri pensieri. Il più giovane ha l’aria smarrita; pallido e ferito, porta nel cuore un pesante fardello, qualcosa che farebbe inorridire ogni buon credente. E questo il suo ospite lo sa. L’uomo ha convissuto con quel luogo da sempre, sa che cosa nasconde e cosa sottrae. Ma, soprattutto, sa cosa cercano i viaggiatori che vi si inoltrano.
Speranza? Promesse? Salvezza?
Nella Città Silente non vi è nulla di tale.
L’uomo osserva di sottecchi il suo ospite, saggiandone la figura per studiarne il carattere. Nonostante il suo aspetto fragile, i suoi occhi ardono di una fiamma che fin troppe volte ha visto estinguersi. Il suo compito, però, non consiste nel ripudiale le anime smarrite inviategli da Dio. Ancora una volta, l’uomo dovrà assistere a una tragica fine.
Ancora una volta, Uralt condurrà una buon’anima verso il sentiero della morte.
Ma il resto del viaggio non sarà un suo fardello. Né ciò che gli accadrà una volta arrivato alla Città.
Storia partecipante al contest "Echi dell’occulto” Indetto da Dollarbaby sul forum di EFP.
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
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La città silente

 
 

 

 

 

 

 

 

 


La sensazione corroborante donatagli dal beveraggio durò solo per qualche istante. Una volta che si fu adagiato all’interno del suo corpo, lo stomaco gli si strinse in una morsa dolorosa, come se non potesse sopportare oltre i pochi sorsi di zuppa che era riuscito a mandare giù. Serrò le labbra, cercando di non mugugnare dal dolore provato e si costrinse a ingurgitarne ancora un po’, quel tanto che bastava per rimettersi in forze e non offendere il suo ospite.

Era stato fortunato e, nonostante la sua incoscienza, addirittura premiato.

Il giovane strinse tra le mani la rudimentale tazza di legno fino a sbiancarsi le nocche, tentando di calmarsi. Il suo corpo era contuso e dolorante, ma era sopravvissuto. Un dettaglio che avrebbe dovuto rallegrarlo se non fosse per il motivo del suo viaggio. Andare nell’antica foresta si era rivelata una pessima mossa, ma l’avrebbe rifatto ancora e ancora, indipendentemente dall’esito. Doveva raggiungere la sua destinazione a qualsiasi costo.

Osservò di sottecchi il suo salvatore. L’uomo gli dava le spalle, intento a ravvivare il fuoco che ardeva nel focolare. Essendo l’unica fonte di luce della casupola, i contorni apparivano sbiaditi, confusi con le tenebre della notte a causa della sua presenza ingombrante. Nonostante ciò, l’abituro in cui viveva appariva accogliente. Formato da una singola stanza, rispecchiava il modo di vivere rustico dell’eremita. I mobili erano grezzi, intagliati nei tronchi o composti da arbusti intrecciati. Sopra il focolare pendevano vari mazzetti di erbe aromatiche e medicinali e sul tavolo lì affianco giaceva ciò che rimaneva del coniglio che aveva macellato per la zuppa. Il letto dal quale lo stava scrutando era composto da un telaio in legno e un materasso composto principalmente da muschio e sterpaglie ricoperte da pellicce. Non vi era una latrina interna, ma immaginò che in un ambiente selvaggio come quello le innovazioni apportate nel diciannovesimo secolo fossero superflue. 

«La ringrazio per il suo aiuto… e la zuppa» sentenziò. Era la prima volta che parlava da quando l’uomo l’aveva condotto nella sua dimora e l’udire il suono graffiante della sua voce lo colse di sorpresa.

Il suo ospite si voltò a scrutarlo con la criptica espressione che non l’aveva mai abbandonato durante il viaggio. Dapprima troppo sconvolto per rendersene conto, in quel momento il giovane rimase sconcertato dal fisico possente del suo salvatore. L’assomiglianza tra lui e un orso era alterata dalle sue fattezze umane, eppure i suoi piccoli occhi scuri risultavano gentili nonostante l’apparenza selvatica.

«Lasciatemi dare un’occhiata» gli disse con voce profonda, riferendosi al rudimentale bendaggio che gli fasciava il collo e la spalla.

Il giovane annuì docile, esponendo la parte lesa in modo che potesse eseguire la sua indagine. L’uomo s’inchinò verso di lui, scostandogli il bendaggio sporco di sangue rappreso. Quell’atto gli provocò una fitta di dolore dove la benda era aderita alla ferita, ma si rasserenò nel notare lo sguardo calmo del suo salvatore.

«Siete fortunato. È solo un graffio. Nel giro di un paio di giorni sarete come nuovo» sentenziò. Poi si diresse verso la credenza, rovistando tra le ciotole esposte. Ritornò da lui con quello che sembrava un unguento, sebbene il suo odore pungente lo costrinse ad arricciare il naso.

Accorgendosi di tale smorfia, l’uomo emise una risata vibrante. «Fidatevi, nonostante l’odore vi farà bene e impedirà che il taglio s’infetti. Inoltre, impedirà ai predatori che si aggirano nei dintorni di avvertire la sinfonia del vostro sangue. Ma vi riguardo dal chiedere da cosa è composto. Voi uomini di città risultate delicati persino per quanto riguarda i medicamenti.»

«Ne prenderò nota» commentò il giovane, gemendo quando la pomata entrò a contatto con la ferita. Il bruciore a poco a poco divenne sopportabile, permettendogli di rilassarsi.

Una volta terminata la medicazione, l’uomo si pulì la mano sullo straccio che aveva usato come grembiule, incurante del fatto che fosse lercio e pieno del sangue raggrumato appartenuto alla bestiola macellata in precedenza. Afferrò la sedia accanto al tavolo e la trascinò davanti al letto, sedendovi in modo da essere di fronte al giovane. Si chinò in avanti, unendo le mani. «Dunque, forestiero. Che cosa vi ha spinto a viaggiare fin qui? In pochi si avventurano in queste terre e se non vi avessi sentito urlare a quest’ora sareste morto o peggio. Ma badate, mi aspetto una risposta sincera. Non mi ci vorrà molto a riportarvi dove vi ho raccolto e lasciare che le bestie continuino ciò che ho interrotto.»

Il giovane d’irrigidì. Dentro di lui incominciò una battaglia su cosa era giusto e cosa gli conveniva fare. La gente del luogo l’aveva avvertito di non avventurarsi nella foresta, di non tentare di raggiungere la città nascosta ai piedi della montagna, ma i loro moniti non l’avevano fatto desistere. Incrociò lo sguardo dell’uomo, in attesa, e si rese conto che gli doveva la verità. Fece un profondo respiro e chiuse gli occhi, raccogliendo in sé la forza per descrivere i tristi fatti che l’avevano coinvolto. Poi tornò a osservare il suo ospite e incominciò a narrare.

«Il mio nome è Robert Schubert e sono originario di Monaco di Baviera. Io e mia moglie Gretchen abbiamo convolato a nozze un paio di settimane fa e come luna di miele ho voluto assecondare il suo desiderio di rivedere la famiglia che non riabbracciava da diversi anni. Siamo così giunti nella piccola città di Waldstill, situata nella valle ai margini della foresta. Sono sicuro che concorderete con me che si tratta di un posto delizioso. I primi giorni sono stati magnifici, sebbene molti paesani dimostrassero del silente riserbo nei nostri confronti. O, per meglio dire, nei miei. Posso capire; in fondo si tratta di una comunità chiusa che segue ancora le vecchie tradizioni e non riceve molti stranieri. Tutto andava per il meglio fino a quella sera… Stavamo ritornando alla locanda dove alloggiavamo quando…»

La voce del giovane si spezzò in un ansito, come se il ricordo di ciò che era accaduto fosse troppo da sopportare. Strinse le mani a pugno, indugiando prima di continuare il racconto. Il suo ospite non lo incalzò, gli diede il tempo necessario di calmarsi e per questo gliene fu grato. Quanto ricominciò a parlare, il suo tono fermo si era trasformato in un sussurro tremante.

«Era da poco passato il crepuscolo. Stavamo tornando alla taverna in cui alloggiavamo quando dei briganti ci colsero alla sprovvista. Era buio e non sono riuscito a osservarli in volto, ma non dimenticherò mai i versi gutturali che emisero dalle loro labbra. Rassomigliavano più a delle bestie che a uomini. Provai a farli ragionare, affermando che con noi non avevamo né soldi né oggetti di gran valore, ma loro non accennarono ad ascoltarmi. Accadde tutto in un attimo. Uno di loro mi saltò addosso con una velocità che… Non mentivo quando affermavo che possedevano più similarità con gli animali che con noi cristiani. Provai inutilmente a divincolarmi dalla sua presa, ma la creatura mi tenne a terra con una forza sovraumana. Non sembrava intenzionata a nuocermi, almeno non ancora, e solo allora mi resi conto a chi puntavano. Tentai di difendere Gretchen, lo giuro. È da allora che maledico me stesso e la mia debolezza per ciò che è accaduto, per quello che mi hanno obbligato a vedere...»

Di nuovo, il giovane si bloccò, la sua voce si estinse in un singulto sommesso. Chiuse gli occhi, mentre una singola lacrima gli scivolava lungo il volto, scomparendo nella barbetta ispida di qualche giorno che gli velava la mascella. Non si prese la briga di asciugare la prova della sua vergogna, tant’era preso nei suoi ricordi. Aveva ancora gli occhi chiusi quando ricominciò a parlare. Ormai non riusciva a trattenere i singhiozzi; marcavano le frasi che gli uscivano dalle labbra come un fiume in piena, scandendone il ritmo.

«Mi obbligarono a guardare ciò che le fecero. Gretchen piangeva e si dimenava, implorava aiuto mentre quei demoni dalle sembianze umane le strappavano le vesti e le ferivano il corpo. Ridevano, o almeno credo che quei versi blasfemi fossero delle risate. Godevano del suo dolore e della mia disperazione, si cibavano di esse. A mia volta gridai e gridai, finché dalla bocca non mi uscì più un fiato. Malgrado ciò, ogni imposta rimase chiusa, ogni porta sbarrata, ogni strada deserta. Eravamo soli, in balia dei nostri aggressori. Giocarono a turno con il corpo di Gretchen finché non si stancarono e di lei non rimase altro che una bambola di carne profanata. Ma non si fermarono. No, il loro scempio non era ancora finito. Affondarono le loro zanne nella sua carne cerea e si nutrirono di lei. Avvertendo che il mio aggressore aveva allentato la presa, preso dalla frenesia della sua sete insaziabile, mi feci avanti, pronto a salvarla anche a costo della mia vita. Inutile dire che mi sopraffecero, purtroppo con mostruosa facilità. Mi colpirono con violenza e svenni. Quando mi risvegliai, non vi era più alcuna traccia di Gretchen o di quegli animali. Fui medicato prontamente, ma nulla poteva lenire il dolore provato dal mio cuore e dalla mia anima. Spiegai al vicario che cosa era accaduto, pregandolo di farmi partecipare alle ricerche per ritrovare mia moglie, ma fu irremovibile. Scoprì solo in seguito che non era stata allestita nessuna squadra. M’infuriai con gli abitanti della città e provai a far ragionare le autorità, continuando a sguazzare nell’insuccesso. Mi dissero che dovevo dimenticarla, che ormai era perduta. Non li ascoltai. Come potevo? Lei è mia moglie; la mia luce, la mia anima, tutto ciò che mi permette di considerarmi vivo. Tornai dai suoi parenti e li spronai a dirmi la verità. Solo dopo una furiosa lite cedettero per amore della figlia perduta. Mi raccontarono che quegli esseri erano anime smarrite plagiate da Lucifero e marchiate dai suoi servi notturni. Avevano donato la loro mortalità al Principe delle Tenebre in cambio della vita eterna, nutrita dal sangue delle vittime innocenti. Alcuni vagano ancora per queste terre, ma la maggior parte di loro è stata rinchiusa in quella che i locali chiamano la “Città Silente”. Costruita molti anni orsono ai piedi della montagna, si narra che sia circondata da un invalicabile muro in cui è incastonato un cancello benedetto in grado di tenervi imprigionati i mostri e gli incubi della notte. All’inizio pensai che avessero perso il senno, ma man mano che continuarono il racconto non potei far altro che ammutolire. Era lì che la gente del luogo rinchiudeva i dannati, gli scomodi, gli immondi; chiunque non poteva essere salvato dalla bontà di Dio. Non potevo credere che avessero osato coinvolgere Gretchen.»

Fece una pausa, accettando di buon cuore il bicchiere che il suo ospite gli porse. Ne bevve il contenuto senza alcuna titubanza, tossendo appena quando dell’alcool gli bruciò la gola. Nonostante il primo intoppo, ne prese un altro sorso prima di continuare.

«Decisi di non perdere altro tempo. Radunai i miei pochi averi e noleggiai un cavallo. Gli abitanti del posto non vollero contribuire di più alla mia impresa. Mi indicarono la direzione da prendere e poi mi diedero le spalle, come se la questione non li riguardasse, come se Gretchen non fosse mai stata una di loro. Procedetti spedito fino all’imbrunire, ma poi smarrii la via e fu allora che quegli esseri mi sorpresero e mi attaccarono. Il resto lo sapete.»

L’uomo era rimasto in silenzio per tutto il suo racconto. L’aveva ascoltato con attenzione, annuendo ogni tanto come se capisse davvero che cosa provava, l’ingiustizia subita. Non diede l’impressione di prenderlo per pazzo o un ingenuo; il suo sguardo oscuro rimase imperscrutabile fino alla fine. Ci fu un attimo di quiete. La gravità di quelle parole aleggiò su di loro come un tetro manto, finché l’uomo si ritrovò a sospirare. E rivolse a Robert una domanda inattesa.

«Da quanto tempo è scomparsa?»

Il giovane sussultò nell’udire la sua voce baritonale dopo così tanto tempo. Si riscosse, come se si fosse appena ridestato da un sogno e cercò di ricomporsi con una nota d’imbarazzo. Rispose guardando le sue mani congiunte. «Questa è la terza notte.»

«Allora è perduta per sempre.»

Robert si alzò in piedi in un moto d’ira e disperazione. «Per l’amor di Dio, non dite così, ve ne supplico.»

«Dio non c’entra nulla con quello che è capitato a voi e a vostra moglie» sentenziò paziente l’uomo. Gli fece cenno di sedersi con una mano e Robert obbedì remissivo. Una volta tornato composto, il suo ospite riprese.

«Il mio nome è Uralt Wächter e sono il guardiano della Città Silente. Non è stato un caso che vi abbia trovato per tempo; mi avevano avvisato che uno sventurato individuo si aggirava per queste terre. Ascoltatemi bene e fate attenzione. Nessun umano può sopravvivere così tanto all’interno della Città, ma se siete intenzionato a proseguire la vostra ricerca vi restano solo due soluzioni. Nessuna delle quali sarà gradevole.»

«Ditemi tutto. Sono pronto a qualsiasi cosa pur di riavere Gretchen con me» ribatté Robert con ardore.

Uralt lo scrutò per un lungo momento e alla fine appagò la sua richiesta. «La prima opzione è che vi rechiate alla Città con lo scopo di restarvici per l’eternità. Dovrete rinnegare Dio e la vostra anima, accettando di divenire uno schiavo del Diavolo fino alla fine dei tempi. In questo modo voi e la vostra Gretchen starete insieme, accomunati dallo stesso fardello.»

Robert ricambiò l’uomo con un’occhiata scioccata, come se non potesse credere a quello che aveva appena udito. Era del tutto inammissibile! Sul punto di replicare, si fermò in tempo, conscio di voler sapere in che cosa consisteva la rimanente alternativa nonostante il suo sconcerto. Lo stomaco gli si contorse di nuovo, questa volta per un altro tipo di malessere. «E la seconda?»

«La seconda, e credo lo dobbiate alla vostra amata, si tratta di raggiungere la Città con lo scopo di porre fine al suo tormento» concluse Uralt.

«Ed è quello che intendo compiere una volta arrivato lì!»

«Anche se per farlo dovrete ucciderla?» chiese allora il guardiano.

Robert si bloccò. Per un attimo la vista gli si offuscò, ma riuscì a sedersi sul povero materasso prima di accasciarsi al suolo. Il respiro gli uscì dalla gola a fatica, raschiandone le pareti come se avesse ingerito un mazzetto di ortiche. Uccidere Gretchen? Non avrebbe mai potuto compiere una simile onta. In nome di Dio, non ci sarebbe mai riuscito.

Si prese la testa tra le mani, cercando di trattenere la nausea che montò in lui. Chiuse gli occhi, rivedendo il viso di Gretchen. Ricordava ancora il loro primo incontro. A quel tempo era solo un comune commesso con molti sogni e pochi marchi; nessuno su cui valesse la pena riporre la propria attenzione. Stava sistemando gli scaffali con la nuova merce quando una giovane donna fece la sua comparsa nel negozio. Il freddo invernale le aveva arrossato il naso e le guance, ma i suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo estivo. Gli bastò uno sguardo per dimenticare tutta la stanchezza della giornata. Tuttavia, quando dovette risponderle a causa di un’informazione, si ritrovò a balbettare come un ragazzino. Gretchen aveva riso della sua timidezza, ma ritornò il giorno dopo. E quello dopo ancora. Questo finché lui non trovò finalmente il coraggio di chiederle un appuntamento. Gretchen gli rivolse uno dei più luminosi sorrisi, giocherellando con una ciocca dei suoi biondi capelli. Gli disse che non vedeva l’ora, perché aveva finito le scuse per recarsi al negozio e la sua padrona di casa incominciava a insospettirsi. Quella stessa sera, dopo il lavoro, fu la volta del loro primo bacio. Fu semplice e frettoloso. L’aveva fermata prendendole la mano e le aveva dato un bacio sulla guancia. Non era da lui essere così intraprendente, specialmente in pubblico, ma non aveva potuto trattenersi. Il suo respiro si era riempito del profumo di viole che era solita indossare.

Una mano sulla sua spalla lo riportò alla realtà. Uralt si era proteso verso di lui, osservandolo con un’espressione colma di rammarico. «So che il vostro fardello è pesante, ma cercate di capire: l’anima di vostra moglie merita di essere salvata.» Fece una pausa, per poi sospirare afflitto. «Se non vi sentite pronto per un simile compito, esiste comunque una terza opzione.»

«Una terza? E quale? Perché non l’avete citata in precedenza?» sbottò allora Robert.

L’uomo alzò una mano per bloccarlo. «Perché il vostro affetto per quella donna sembra troppo sincero per prenderla in considerazione. La terza opzione consiste nel dimenticare ciò che è avvenuto, vostra moglie e le vostre promesse, e continuare per la vostra vita.»

Un silenzio opprimente cadde nella casupola. Robert rimase in silenzio, ponderando attentamente le parole dell’uomo. Un conflitto devastante turbinò nella sua mente. Sapeva quello che doveva fare; il suo cuore lo guidava, gli stava sussurrando la giusta scelta, ma avrebbe trovato la forza di metterla in atto?

Si concesse un momento prima di annunciare la sua decisione. Raddrizzò la schiena e osservò negli occhi Uralt. «Lo farò. Salverò Gretchen dalla dannazione.»

L’uomo annuì con fermezza nell’udire quelle parole. «Molto bene. Domani mattina vi accompagnerò verso il cancello, ma non potrò assistervi in questa impresa. Qualora avete accettato di compiere la vostra missione, io mi impegno a compiere la mia, ma a una condizione. Dovrete porre un solenne giuramento. Qualsiasi cosa accada nella Città Silente, voi dovrete chiudere il cancello. Per nulla al mondo dovrà rimanere aperto, se non per il tempo in cui dovrete passare. Giuratelo. Giuratelo su Dio e sulla vostra anima.»

«Giuro sul Padre Nostro, Dio del Cielo e della Terra, che chiuderò il cancello e che porterò a termine ciò che ho iniziato.»

Uralt annuì nuovamente e si alzò. «Molto bene. Rammentate le vostre parole. Ora, cercate di riposare. Il cammino che ci attende sarà lungo.»

 

 

 

 

E così fu.

Quando la notte cedette il posto all’alba, i due uomini si prepararono ad affrontare il viaggio che li avrebbe condotti alla Città. Nel mentre dei preparativi, Uralt istruì il giovane riguardo il suo ruolo di guardiano. Da decadi provvedeva a tenere lontani gli umani dalla Città Silente per la loro incolumità, sebbene il caso di Robert non fosse isolato. A causa delle creature erranti ancora libere, molti uomini erano giunti a lui con il desiderio di essere condotti alla Città; per essere riuniti ai loro cari o per liberarli, era difficile a dirlo, ma tutti avevano adempito al loro giuramento. Uralt li aveva accompagnati fino ai piedi della montagna, per poi lasciarli al giudizio di Dio.

Nonostante l’uomo ne fosse il guardiano, non poteva recarsi alla Città se non per imprigionarvi i dannati catturati. Quel luogo era così saturo d’oscurità da poter irretire il credente più fedele. Ragion per cui i guardiani che si erano succeduti nei secoli avevano sempre evitato di esporsi più del dovuto all’influenza diabolica che incombeva nei dintorni. Se il male avesse avuto presa su di loro, sarebbe stata la fine.

Robert ascoltò assorto i racconti dell’uomo, sebbene il peso del suo compito diveniva sempre più insopportabile a ogni passo. La consapevolezza di ciò che lo attendeva era ormai reale e con essa la possibilità del suo fallimento. Camminarono spediti per buona parte del mattino e, solo quando si fermarono nei pressi di un torrente per un pasto fugace, il giovane espose il suo dubbio al guardiano.

«Com’è stata costruita la Città e perché i dannati vengono imprigionati lì piuttosto che essere epurati da questo mondo?»

Uralt masticò il boccone di carne secca che aveva in bocca, annaffiandolo con un sorso d’acqua preso direttamente dal ruscello. Una volta dissetato, iniziò il suo racconto.

«Accadde quasi quattro secoli orsono. In quei tempi oscuri, un santone fece la sua comparsa in queste terre. Si proclamò come un emissario dell’Imperatore Massimiliano e aveva ricevuto il compito di liberare il Sacro Romano Impero dall’onta del male per renderlo di nuovo puro agli occhi di Dio. Ed era stato proprio l’Altissimo a inviare dal cielo l’arma con la quale l’uomo avrebbe svolto il suo compito. Nei pressi di Ensisheim era caduta una roccia composta da uno strano materiale. L’Imperatore aveva commentato l’accaduto come una prova dell’ira di Dio verso i francesi, ma il santone vi aveva scorto una possibilità. Chiese il permesso all’Imperatore di usare il metallo ritrovato in quel messaggio dai Cieli per poter combattere gli erranti. Grazie a ciò, l’uomo cercò la giusta posizione per costruire una città dove rinchiudere l’onta che seminava sofferenza tra la sua gente. Una volta trovata, usò il metallo contenuto nella roccia e lo mischiò a quello comune per erigere un alto cancello che non poteva essere oltrepassato dai dannati. Fu così che in pochi anni la Città fu eretta all’ombra della montagna. Il santone usò ogni sua conoscenza per trovare un modo di liberare quelle povere anime dal male, ma purtroppo perì prima di riuscire a trovare una cura. Ecco il motivo per cui gli erranti non sono stati uccisi. Con la sua dipartita, la Città ha continuato a essere un punto cardine per la battaglia contro le Forze Oscure, ma ciò portò una situazione di stallo. Infatti, negli antri più oscuri, vi sono antiche creature che mai dovranno essere liberate dalla loro prigione. Le povere vittime, di cui voi fate parte, hanno solo una possibilità per redimere i loro cari, per cui vi consiglio di pensarci bene. Siete ancora in tempo per cambiare idea.»

Robert strinse le labbra. Era arrivato fin lì con la speranza nel cuore e, nonostante fosse stata minata dalla orrida realtà e dai racconti dell’uomo, ve ne era rimasta ancora una scintilla. Per Gretchen. Per loro. Per il loro amore.

«No, non rinuncerò. Ma ditemi, quanti hanno abbandonato l’impresa a questo punto? Quanti hanno perso il coraggio di andare fino in fondo?»

«Alcuni, ma troppo pochi nel contare il numero di chi non ha più fatto ritorno. Quante anime potevano salvarsi?» Uralt sospirò affranto. «Dopo tutti questi anni, dopo tutti questi sacrifici, ho compreso il motivo di tale incoscienza. Da sempre l’uomo è affascinato dal vuoto. Più è fondo, più è buio, più esso l’attrae: come un misterioso richiamo d’amore. Eppure, dopo averne goduto della lussuria da esso scaturita, s’inizia a comprendere la maledizione che porta con sé. Una maledizione senza cura, macchiata della perdizione. E non dubitatene. La Città non vi metterà di fronte ai vostri incubi peggiori. No, vi tenterà come il Serpente ha fatto con Eva. Vi succhierà il sangue, l’anima e la vostra vita, mentre voi vi perderete nel suo freddo abbraccio. Preparatevi, perché non sarà facile come pensate. Neppure con l’aiuto della luce del giorno e il verbo di Dio.»

Robert annuì, cercando di assimilare al meglio l’avvertimento dell’uomo. Dopo un ultimo momento di pace, proseguirono il viaggio.

Uralt lo lasciò poco lontano dalla montagna. Prima di congedarsi, gli ricordò il suo giuramento con una veemenza tale che Robert lo ripeté senza indugio. Soddisfatto, l’uomo gli consegnò il suo fucile da caccia, caricato con munizione create appositamente per ferire i dannati. Gli chiese se sapesse usarlo e, timidamente, Robert annuì. Poi Uralt gli donò qualcosa di più curioso: una fiasca colma d’acqua benedetta. Insicuro su come usarla Robert l’accettò comunque, infilandola nella tasca interna della giacca. Infine, gli ultimi consigli.

«Ricordate: rimanete alla luce del sole. È la vostra difesa più importante, dato che loro saranno incapaci di raggiungervi. Non incrociate mai il loro sguardo e, se malauguratamente vi capitasse, ricordate di non credere a ciò che vedrete. Useranno ciò che amate di più per tentarvi, per farvi tentennare. In caso di attacco, evitate uno scontro diretto; scappate, rimanete alla luce e sparate solo se necessario, mirando al cuore. Se dovessero mordervi, purificate la ferita con l’acqua che vi ho dato al più presto. Brucerà come l’Inferno, ma vi eviterà spiacevoli effetti. E poi…» Dalla sua cintura estrasse un paletto di legno intagliato. «Questo è per vostra moglie. Sapete che fare.»

Con la mano tremante, Robert accettò quell’ultimo dono. «Lo farò. Grazie di tutto, amico mio.»

«Possa Dio guidare la tua mano e il tuo cuore verso la salvezza» esclamò Uralt, posandogli una delle sue grandi mani sulle spalle. Robert ricambiò la stretta con un cenno di capo e si apprestò ad affrontare la prova che l’infausto destino gli aveva messo davanti.

 

 

 

 

Nonostante i racconti di Uralt, nulla avrebbe potuto preparare Robert alla vista di ciò che lo attendeva. Una volta arrivato nei pressi della Città Silente, si ritrovò a fermarsi, incapace di avanzare a causa dalla grottesca bellezza che emanava. Mai i suoi occhi si erano posati su una simile costruzione. Incastonata ai piedi della montagna, tale opera architettonica era celata da una maestosa recinzione il cui metallo ultraterreno riluceva alla luce del sole. L’alto cancello incombeva su di lui possente e acuminato; sulla sommità, una serie di punte aguzze e irregolari si alternavano ai ferini gargoyle messi di guardia, logorati dal tempo e dalle intemperie. L’intera superficie di quella oscura opera era ricoperta d’incisioni blasfeme rappresentanti l’Inferno e ciò che lo popolava. I demoni e le bestie scalfiti nel metallo ossidato sembravano deriderlo con i loro ghigni aguzzi e i loro sguardi deleteri, trasmettendo un chiaro messaggio: non procedete oltre, perché qui dimora il Male. Robert cercò d’ignorarli e allungò una mano fino a sfiorare il gelido ostacolo, ma si bloccò, colto da un’amara consapevolezza.

Quello era il punto di non ritorno; se avesse messo piede nella Città Silente avrebbe potuto non uscirne vivo. A quel pensiero, un freddo brivido gli scese lungo la spina dorsale, facendolo tentennare. No, non doveva temere alcun male. Era protetto dalla flebile luce del giorno e da Dio. Avrebbe trovato Gretchen e l’avrebbe riportata a casa, il posto in cui apparteneva.

Con rinnovata fiducia, imbracciò meglio il fucile che teneva sulla spalla e spinse con tutte le sue forze. Il cancello emise un grottesco sibilo mentre graffiava contro il suolo, sollevando sedimenti tutt’intorno. Sembrava che non fosse mai stato oliato o addirittura usato da quanta fatica fece per spalancarlo. Dovette compiere più di qualche tentativo per aprirlo a sufficienza da passare. Una volta strisciato all’interno, Robert dovette fermarsi un momento per riprendere fiato e sgranchirsi le braccia indolenzite da quella prova fisica. E fu allora che il dubbio lo assalì. Uralt era stato chiaro in proposito: non doveva lasciare varchi o tutte le creature che dimoravano in quella città avrebbero potuto manifestarsi al mondo. Tuttavia, quel misero passaggio risultava essere la sua unica via di fuga e solo i battezzati nel nome di Dio potevano toccare il cancello senza danni. Difficilmente le anime dannate che vi erano rinchiuse all’interno avrebbero potuto oltrepassarlo senza ferirsi, dato che l’apertura era stata appena sufficiente per permettergli di entrare. Decise dunque di lasciarlo aperto, almeno per il momento. Non era uno sciocco, avrebbe rispettato il suo giuramento. Una volta salvata Gretchen e dopo essere usciti entrambi da quel posto dimenticato da Dio, avrebbe richiuso il cancello come promesso. Fino ad allora, la luce del sole sarebbe stata un ottimo deterrente.

Deciso a continuare, imbracciò il fucile e s’inoltrò nella Città. A stento riuscì a trattenere la propria meraviglia e orrore. Procedette alla cieca, dato che non vi erano strade segnate o ciottoli che potessero guidarlo, ma solo fanghiglia e ossa di varia provenienza. Erano ammassate contro i muri o sparpagliate sul terreno irregolare al punto che Robert inciampò diverse volte nel corso della sua marcia. Tuttavia, non emise un gemito di protesta. La sua attenzione era catturata dalle costruzioni che spiccavano senza alcun ordine preciso all’interno della recinzione. Erano alte e bitorzolute, formate interamente da pietra annerita coperta da muschio e licheni. Alcune erano sprovviste di porte, altre di finestre, ma immaginò che le creature ospitate al loro interno non necessitavano di tali comodità. I tetti erano spioventi, ornati da banderuole e travi putride. Ogni tanto, sulle pareti rocciose erano presenti profonde scalfitture, come se un animale le avesse graffiate più e più volte. Fu solo grazie a quella visione che si ricordò dei pericoli insiti in quel luogo.

Robert si guardò nervosamente in giro, notando solo in quel momento un dettaglio che lo lasciò esterrefatto. Attorno a lui vi era solo silenzio. Non un ansito, un sussurro, un ringhio. Il nulla. Non udiva nemmeno i versi degli animali della foresta circostante. Quel luogo era impregnato di morte, sebbene Uralt avesse messo in chiaro quanto fosse vivo in realtà. Il suo respiro affannato gli sembrò improvvisamente troppo vigoroso, così come il battito forsennato del suo cuore. Perché non aveva ancora incontrato nessuno? Perché non l’avevano ancora attaccato?

Fu troppo.

La sensazione di essere solo, il silenzio… si rese conto di essere un agnello al macello.

Fece ciò che l’istinto gli gridò a gran voce. Incominciò a correre, saettando tra le case e le torri, scrutando i dintorni alla ricerca di un segno, un indizio, il benché minimo dettaglio che gli indicasse la presenza della sua amata. Fu solo quando arrivò in quella che sembrava una piazza che Dio lo accontentò. Un nastro di velluto rosso, semisepolto dal fango, catturò la sua attenzione.

Robert si avvicinò a quel segno, inginocchiandosi a terra per poterlo estrarre. Non c’erano dubbi. Quello che stringeva tra le mani era uno dei nastri che indossava Gretchen la sera dell’attacco. Se lo portò al viso, percependo ancora una lieve essenza di viole. Per poco i suoi occhi non si riempirono di lacrime.

«Gretchen!» urlò al cielo. Non ottenne risposta.

S’infilò il nastro nella tasca dei calzoni e si guardò attorno come un forsennato, gridando più e più volte il nome della moglie. A rispondergli ci fu solo il silenzio. Il vuoto dell’abisso che incombeva in quel luogo incominciò a insinuarsi nella sua anima. Stette per perdere la speranza, quando con la coda dell’occhio percepì un movimento. Colto da un attimo di panico, Robert afferrò il fucile in posizione d’attacco, pronto per rispondere a un’eventuale aggressione. Ma com’era possibile? Era ancora giorno! Non potevano…

Dovette alzare lo sguardo al cielo per accorgersi della verità. Non era stato l’unico a compiere un viaggio fino a quel momento, perché il sole aveva accompagnato ogni suo passo. L’ora ormai si stava facendo tarda e, dallo zenit, l’astro si apprestava a scomparire dalla volta celeste. Ciò sarebbe dovuto avvenire tra diverse ore se non fosse stato per il profilo della montagna che, come una belva, stava ingoiando la fonte di luce del creato. Le ombre iniziavano ad allungarsi, il luogo farsi oscuro. Non aveva più tempo.

Robert corse. Corse a perdifiato, chiamando, urlando, pregando. E alla fine si ritrovò smarrito, perso in quella città silenziosa dove l’ordine era il caos e il caos era l’ordine. Quando rimise piede nella piazza, si rese conto di non avere più speranza. Il suo cuore si era colmato di un oscuro terrore.

«Amore mio! Gretchen!» sbraitò, la voce rotta.

«Sì, marito?»

Il respiro gli si bloccò in gola. Il battito del suo cuore, dapprima accelerato a causa dello sforzo fisico e dall’adrenalina che gl’incendiava le vene, sembrò bloccarsi per un attimo che parve infinito. Credette di morire e ritornò alla vita quando il suo sguardo si posò sull’eterea figura comparsa sul limitare dell’ombra. Gretchen.

La donna apparve da dietro un’abitazione, camminando leggiadra come se non sfiorasse il suolo. Si fermò a pochi metri da lui, lasciandolo spiazzato. Era persino più bella di quel che ricordava, come un angelo inviato sulla Terra per allietare i mortali. Non gli importò se il suo corpo fosse celato da una candida vestaglia, contravvenendo così alle leggi morali a causa della sua impudica veste. Per lui era perfetta. I suoi lunghi capelli biondi, di solito raccolti, le ricadevano sulle spalle e la schiena in boccoli selvaggi, scossi da un’ultraterrena brezza. Il suo viso era sereno, così come il suo sguardo. Sembrava illesa e in pace.

Ma come poteva esserlo in quel luogo di perdizione?

Istintivamente, Robert estrasse la fiaschetta donatagli da Uralt. Tuttavia non ebbe il coraggio di usarla. Tremava incerto, incapace di prendere una decisione. Una parte di lui gli urlava di agire, di prestare fede ai consigli del guardiano, ma l’altra, la più profonda e oscura, agognava quella visione; voleva gustare le promesse insite nelle sue labbra.

«Vieni con me» mormorò Gretchen, spalancando le esili braccia per accoglierlo in esse. «Stai con me. Rinnega la triste vita che ostenti a vivere per una fatta solo di certezze e piaceri.»

La fiaschetta di acqua santa gli scivolò dalle dita, cadendo a terra con un tonfo metallico. Il liquido incominciò a uscire dal tappo svitato, creando una piccola pozza tutt’intorno. Nel contrasto con il pavimento nero e sudicio, quello che voleva essere l’elemento più puro sembrò trasfigurare nell’onta.

«Oh, Gretchen, mia amata. Ti ho cercato per così tanto tempo. Per te farei qualsiasi cosa. Anche andare all’Inferno.» Ormai le lacrime gli bagnavano il viso, offuscando la sua visuale. Persino la sua anima stava soffrendo a causa dell’amore smisurato che sembrava spingerlo verso di lei, passo dopo passo. La tentazione di adempiere al suo volere era irrefrenabile.

Gretchen sorrise, un sorriso all’apparenza dolce, ma in qualche modo freddo e distante. Ora che l’ombra si era estesa, gli venne incontro. «Lo so, amore mio. Vieni, vieni da me. Stringimi. Abbracciami. Riscaldami con il tuo amore. Ho bisogno di te.»

«Sì, mia amata» gemette Robert.

Le si avvicinò. Poi, senza darle il tempo di anticipare la sua mossa, inforcò il fucile e fece fuoco, centrandola al petto a bruciapelo. Per un istante Gretchen vacillò, sorpresa dall’accaduto e dalla macchia vermiglia che si stava espandendo sulla sua veste; poi il suo volto si trasfigurò, mostrando le sue vere fattezze. La sua pelle candida divenne cerea e sottile come carta, lasciando trasparire al di sotto il reticolo di vene bluastre che la percorreva e l’ossatura aguzza. I morbidi lineamenti che la contraddistinguevano erano infatti divenuti affilati e ferini, distruggendo l’armoniosità del suo viso. Persino i suoi occhi persero la loro naturale innocenza, iniziando a brillare selvaggi. Infine, arricciò le labbra cianotiche in un ringhio animalesco, che pose in evidenza la sua dentatura distorta, simile a quella di una belva. I canini, allungati in modo grottesco, le sfioravano il labbro inferiore.

Gretchen non esisteva più.

Robert si pietrificò nel scorgere quella visione. Dentro di lui, qualcosa si spezzò. Il vuoto incominciò a espandersi, lacerando la sua anima e trascinandolo sull’orlo della follia. Eppure, non doveva vanificare i suoi sforzi. Non poteva permettere che Gretchen fosse allontanata dalla misericordia di Dio. Serrò i denti e ricacciò indietro il dolore. Sua moglie aveva bisogno di lui e dunque l’avrebbe liberata dal mostro che era diventata.

Approfittando di quell’attimo di distrazione, Robert sfilò il paletto che teneva appeso alla cinta e, con la forza della disperazione che fuoriuscì da lui sotto forma di grido, lo impiantò nel petto della sua amata. Gretchen cadde tra le sue braccia senza forze. Incurante delle ombre che lo circondavano, incurante della luce sempre più flebile, si perse a osservare il volto che tanto amava. Gretchen per un momento sembrò ritornare in sé. I suoi occhi riapparvero azzurri come il cielo e lo scrutarono calmi e placidi, un lieve sorriso le increspò le labbra rosee. Poi svanì, tramutandosi in cenere.

Robert rimase spiazzato. Crollò in ginocchio osservando il modo in cui la cenere gli scivolava via dalle dita. Singhiozzò per poi urlare al cielo il suo dolore, lasciandosi sopraffare dalla disperazione finché un sibilo acuto fendette l’aria. Solo allora si ricordò dov’era. Si rimise in piedi e corse a recuperare la fiaschetta, piena solo per metà. Incominciò a spargere l’acqua attorno a lui, recitando salmi e preghiere. Ormai li vedeva, li scorgeva attraverso le tenebre, i vicoli, le fessure delle case. Esseri repellenti l’osservavano con gli occhi funesti carichi di rabbia. Le loro bocche digrignavano, sibilavano, alcuni emisero addirittura soffi animaleschi. Le loro bianche presenze spiccavano sempre più attraverso la buia città. Il silenzio che l’aveva accolto ormai era solo un lontano ricordo.

Robert corse e corse fino a non avere più fiato. Saettò nuovamente in quel caos di costruzioni, trattenendo appena la tentazione di guardarsi indietro. Li avvertiva alle sue spalle, al suo fianco e persino sopra di lui. I suoi vestiti erano sporchi del sangue di Gretchen e ciò non fece che attirare nuove creature nella sua caccia. Con mosse frettolose e senza perdere il ritmo della corsa, si tolse la giacca, lanciandola in aria. Quando uno di quegli esseri fece un balzo per agguantarlo, finì per cadere in quella trappola di stoffa. Ruzzolò a terra, portando con sé un suo simile.

Robert stette per sorridere di vittoria, quando dall’ombra di un vicolo uno di loro lo attaccò. Il giovane riuscì a togliersi per tempo dalla sua traiettoria, ma il mostro riuscì ad artigliarlo alla schiena. Il sangue incominciò a sgorgare dagli squarci creati, facendo ululare di piacere l’intera Città. Dolorante, stanco e colmo di panico, Robert ignorò il sangue che gli gocciolava lungo le gambe e si concentrò su un’unica idea: la fuga.

E poi, come un miracolo divino, riuscì a vederlo: il cancello. Con rinnovato vigore, Robert raggiunse i pochi sprazzi di sole che ancora illuminavano la Città. Finalmente al sicuro, costeggiò la muraglia fino a raggiungere la fessura che aveva precedentemente aperto. La sua testa era colma di orrore, delle urla di quelle anime dannate che lo chiamavano a gran voce. Sopravvissuto a quell’Inferno, non sarebbe uscito come lo stesso uomo che vi aveva messo piede. Cercando di non pensare al sangue che ancora gli macchiava le mani, fece per infilarsi nell’apertura.

Poi le tenebre oscurarono la sua visuale. Infine, la montagna aveva terminato il suo bacchetto. Chiuso nella morsa del cancello, Robert si costrinse a strisciare, sentendosi come un topo in trappola. Quando la sua mano riuscì a toccare l’aria pura del mondo al di fuori, un artiglio lo ghermì strattonandolo all’indietro.  Robert urlò e urlò, mentre nuove mani lo afferrarono, impedendogli di continuare la sua fuga. Lo strattonarono, lo strinsero e, infine, riuscirono a strapparlo alla sua libertà.

Gli occhi del giovane scorsero sprazzi di foresta, in lontananza uno spiraglio di cielo azzurro attraverso le nubi, ma gli risultarono insipidi. Ormai perduto, Robert infilò una mano nella tasca e ne estrasse il nastro della moglie perduta. Se lo portò al viso ormai distorto dal dolore e ne annusò il nostalgico profumo.

«Mi dispiace, amore mio.»

Poi una moltitudine di zanne affondarono nella sua carne con diabolica soddisfazione.

 

 

 

 

Gli echi bestiali durarono per pochi momenti o un’eternità, acquietando la foresta circostante. Non si udì più un uccello cantare o un insetto ronzare. Il mondo si era fatto silenzioso e incerto.

Il cancello della Città Silente era stato socchiuso e dimenticato. Dallo spiraglio vi era solo ombra e nient’altro. Finché un braccio pallido non comparve dalle tenebre, posandosi sul lato esterno. Al contatto con il metallo, la pelle dell’essere iniziò a sfrigolare, poi a fumare e infine prese fuoco. Ma non si spostò, non allentò la presa. Molte altre mani e artigli lo seguirono, sollevando volate di fumo e cenere mentre quelle che scomparivano venivano sostituite repentinamente.

E incominciarono a spingere.

 

 

  
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