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Autore: LaniePaciock    29/05/2017    4 recensioni
Liberamente ispirato al trentesimo film d’animazione Disney “La Bella e la Bestia”.
Genere: Commedia, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Cap.3 Richard Castle

Kate rimase sotto la doccia per una buona mezz’ora, cercando di togliersi di dosso tutta la tensione delle ultime ore. L’acqua calda le scivolava sulla pelle del collo e del petto rilassandola e scaldandola. Pareva quasi che quel comune liquido avesse il potere di far scivolare via dalla sua mente e dal suo corpo i segni dell’incidente in auto, il freddo del temporale, la paura per suo padre e l’incertezza per l’incontro con il misterioso padrone della villa e i suoi domestici.
Dovette decidersi a uscire dalla doccia quando Lanie iniziò a bussare con insistenza alla porta del bagno, chiedendole se era ancora in piedi. Chiuse la manopola e si gustò ancora per un momento il calore del vapore che aveva ormai invaso la stanza. Ce ne era tanto che lo specchio sopra il lavandino e la piccola finestra del bagno erano completamente opachi.
Kate prese un grande asciugamano, che era stato preparato per lei, si asciugò velocemente e se lo legò intorno al corpo. Prima di tornare in camera, aprì la finestra per far uscire il vapore. In quell’istante un lampo illuminò il retro della villa, mostrandole un prato curato reso oscuro dal tempo e dalle nuvole nere sopra la casa. Non aveva ancora smesso di piovere e il vento era ancora abbastanza forte da quasi farle volare di mano la finestra stessa. Le venne in mente che Martha le aveva detto che, se non fosse stato per il tempo, si sarebbe potuto vedere il mare dalla villa.
Curiosa, Kate allungò il collo verso l’esterno, ma l’unica cosa che vide fu il buio. Sarebbe stato impossibile vedere più di qualche metro in là. Un po’ delusa, Beckett si tirò indietro e fece per chiudere l’anta della finestra quando un altro lampo che squarciò il cielo la fece bloccare. Le era sembrato di vedere qualcosa. Una figura nera nel prato.
Kate si mosse nervosamente sul posto. Forse c’era qualcuno là fuori. Stava per avvertire la dottoressa Parish quando un altro fulmine illuminò nuovamente lo spiazzo. Stavolta Beckett riconobbe, anche se a fatica, la possente figura maschile che aveva appena imparato ad associare al padrone della villa. Ma che stava facendo quell’uomo fuori di casa a quest’ora e con quel temporale?
Socchiudendo gli occhi, Kate riuscì a stento a vederlo camminare verso il mare. Nonostante il vento gli facesse attorcigliare e sbattere quella specie di mantello che aveva indosso contro le gambe con forza, sembrava a suo agio nella tempesta. Riuscì a osservarlo solo per pochi secondi, poi l’uomo sparì nella notte.
Un forte bussare alla porta del bagno la fece sobbalzare.
“Kate Beckett??” La voce di Lanie la fece tornare bruscamente alla realtà. Si accorse che stava tremando leggermente. Si ricordò che era ancora davanti a una finestra aperta e che lei era in buona parte scoperta, quindi si affrettò a chiudere l’anta. Nel movimento, alcune goccioline d’acqua fredda le caddero sulla pelle ancora calda facendola rabbrividire ulteriormente.
Kate si prese un paio di secondi per riabituarsi al piacevole caldo del bagno, anche se era in parte uscito dalla finestra, quindi si aggiustò l’asciugamano in modo che non si aprisse sul seno e uscì dal bagno. La dottoressa Parish la stava aspettando con lo sguardo torvo e le braccia conserte, tamburellando nervosamente un piede. Per un momento a Kate venne da ridere: le sembrava quasi un cartone animato.
“Te la sei presa comoda.” borbottò Lanie seccata. “Stavo già per chiamare una squadra di soccorso.”
“Scusami, sono rimasta conquistata dalla doccia.” replicò Kate con un mezzo sorriso.
“Hai fatto attenzione a non bagnare la fasciatura?” chiese poi la dottoressa, controllando personalmente il cerotto sulla testa della donna senza aspettare una sua risposta. “Insomma… diciamo che sei stata abbastanza attenta, ma non allarghiamoci nei complimenti.” si rispose da sola Lanie con un sospiro e una smorfia.
“Dottoressa, posso…” cercò di chiedere Kate avvicinandosi al letto per prendere gli abiti puliti che le aveva lasciato Jenny Ryan.
“Chiamami Lanie.” la bloccò lei con un sorriso. “Quando non metto bende o ricucio ferite sono solo Lanie.”
“Lanie,” ripeté Kate annuendo. “Posso farti una domanda?”
“Certo.”
Beckett si vestì velocemente, prendendo intanto qualche secondo di tempo prima di farle la domanda che la incuriosiva tanto.
“Chi è il proprietario di questa villa?”
Lanie la osservò per qualche secondo in silenzio, indecisa forse su cosa dirle.
“Perché mi fai questa domanda? Non ti basta che abbia accettato di aiutare te e tuo padre?” Per la prima volta da quando l’aveva conosciuta la dottoressa rispose sulla difensiva, quasi in malo modo.
“Mi dispiace,” replicò allora Kate imbarazzata, sedendosi sul letto. “Non volevo essere indiscreta o pettegola. Non c’era nome sul cancello e neppure alla porta e quando lui si è… diciamo presentato, mi è parso volesse nascondere qualcosa. Inoltre ho visto quello strano cartello all’ingresso che diceva di andarsene e il modo in cui ci ha trattati all’inizio... Insomma è chiaro che non vuole ospiti, ma mi chiedevo perché. Però hai ragione, non sono affari miei e non dovrei neanche chiedere visto che ci avete accolto in casa e che avete aiutato mio padre. Ero solo curiosa.”
“Lo sai che la curiosità uccide il gatto, vero?” commentò Lanie, stavolta con un mezzo sorriso. Non sembrava più seccata, però sembrava lo stesso incerta. Spostò per qualche secondo il peso da un piede all’altro, quindi con un sospiro si andò a sedere accanto a Beckett.
“C’è un motivo per cui il padrone non vuole avere ospiti in casa.” disse alla fine. “Però non posso dirti qual è. E non posso dirti neanche il suo nome, mi spiace. Non è compito mio istruirti su questo e se vorrà sarà lui stesso a farlo.” Kate abbassò lo sguardo delusa e ancora più curiosa di prima. Non fece in tempo però a chiedere nulla perché Lanie continuò a parlare. “In ogni caso devi sapere una cosa: lui non ha scelto di vivere così. È stato… diciamo costretto a farlo, ma non da una persona esterna. Si è auto-imposto di restare un recluso. Non vuole che nessuno lo veda nel suo stato attuale perché ha paura di perdere ciò che più gli è caro.”
“Il suo stato attuale?” ripeté Kate confusa. “E cosa ha paura di perdere?”
Lanie si morse il labbro inferiore e scosse la testa.
“Mi spiace, ho già parlato troppo.” le comunicò alzandosi in fretta dal letto e avviandosi alla porta con aria colpevole. Prima di uscire però rimase per un momento sulla soglia, indecisa. “Quello che volevo farti capire,” aggiunse poi con lo sguardo perso al pavimento. “È che il padrone non è una cattiva persona. Gli eventi lo hanno portato a sembrare la bestia che in realtà non è.” Alla fine, Lanie rialzò il capo e fece a Kate un piccolo sorriso. “Hai avuto una giornata piuttosto complicata oggi. Ti conviene riposare un po’. Sono certa che domattina, dopo un buon sonno e un’ottima colazione tutto assumerà un aspetto migliore.”
Non aveva neanche finito di parlare che la dottoressa si batté una mano sulla fronte.
“Oh, a proposito! Non ti abbiamo neanche chiesto se avevi fame!” Kate ci mise qualche secondo a registrare il repentino cambio di conversazione.
“No, io… sono a posto, grazie.” rispose. Lanie annuì, quindi le diede la buonanotte e uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle. Beckett rimase sola, con le sue mille domande inespresse in testa e con le parole della dottoressa che le vorticavano in mente. Raccolse le gambe al petto e si acciambellò su un angolo del letto, cercando di dare un senso a quello che aveva visto e sentito. Ma Lanie aveva ragione: la sua giornata era stata lunga e pesante e ora sentiva il peso di quelle ore sugli occhi. Nell’arco di cinque minuti si accorse che sarebbe stato meglio stendersi a dormire piuttosto che continuare a rimuginare e dormicchiare su un angolo del letto rischiando di volare a terra.
Si nascose quindi sotto le coperte, fregandosene dei capelli ancora umidi per la doccia, e chiuse gli occhi. I suoi ultimi pensieri prima di addormentarsi furono rivolti a suo padre nella camera accanto e alla figura nera del padrone di casa sotto la pioggia.   
 
Non era riuscito a prendere sonno per un’ora intera. Per questo aveva deciso di alzarsi, infilarsi una mantella con il cappuccio, rimanendo comunque a torso nudo, e uscire nella tempesta. La pioggia non aveva ancora cessato di battere, anche se aveva meno forza di prima, mentre i tuoni non si erano ancora interrotti così come il vento che continuava a ululare senza tregua.
Uscì dalla porta sul retro e lentamente si incamminò verso la spiaggia. Non era la prima volta che usciva con quel tempo. Sua figlia e sua madre lo avevano sgridato più di una volta per quello, ma lui amava osservare il mare mosso, le onde alte, il rumore che producevano quando si infrangevano contro gli scogli, la spuma bianca che si lasciavano dietro, l’odore forte di sale. La forza di quella scena, per una strana ironia, lo rilassava. Sarebbe potuto rimanere anche per delle ore a fissare il mare agitato.
Si era appena allontanato dalla porta quando, mentre attraversava il prato verde e ben curato da Esposito, sentì come un formicolio alla nuca. Senza fermarsi, voltò leggermente la testa di lato, il cappuccio ben calato sul capo, e con la coda dell’occhio vide una luce accesa al primo piano. Conosceva la sua casa in ogni più piccolo anfratto e capì immediatamente che la finestra illuminata apparteneva al bagno della camera degli ospiti. Quando una figura nera passò davanti alla luce, intuì in meno di un secondo a chi appartenesse, senza neanche l’aiuto del lampo che si abbatté in quel momento e che rischiarò il prato e la villa. Di nuovo quella donna.
Senza indugiare oltre, si girò nuovamente verso il mare e accelerò il passo. Il mantello a causa del vento gli sbatteva selvaggiamente contro le gambe, ma lui non se ne preoccupava. Continuò a muoversi finché non seppe con certezza che aveva superato la collinetta e che ormai era completamente fuori vista dal pian terreno della villa. Era una fortuna che il retro della casa digradasse verso il mare, nascondendo la spiaggia dall’abitazione.
Con un sospiro di sollievo rallentò l’andatura fino ad arrestarsi sulla battigia, scura per la pioggia recente. Dovette restare piuttosto indietro perché le onde erano arrivate a bagnare diversi metri di spiaggia. Si tolse le scarpe e le gettò dietro di sé, restando a piedi nudi sulla sabbia fredda e umida senza esserne troppo infastidito. Non era la prima volta che lo faceva e in ogni caso non gli era mai successo di ammalarsi per quello. Almeno non da quando quel morbo che gli distruggeva la pelle lo aveva infettato. Su quello se non altro non aveva di che lamentarsi. Era come se quel virus da solo eliminasse tutti gli altri. E faceva anche altro: tipo neutralizzare nel giro di venti minuti l’effetto di qualsiasi antidolorifico.
Rimase diversi minuti in piedi, immobile contro le raffiche di vento e la pioggia, a osservare il mare agitato e le nuvole nere tagliate di tanto in tanto da qualche fulmine passeggero. Una folata più forte delle altre gli fece volare indietro il cappuccio, ma lui non se ne curò. A quell’ora e con quel tempo non c’era nessuno in giro che potesse vederlo. I capelli, piuttosto lunghi, cominciarono a muoversi liberi sulle sue spalle. Era un po’ di tempo che non li tagliava e iniziavano ad infastidirlo, ma preferiva tenerli così: almeno poteva avere una scusa per nascondersi il volto anche quando la sua bambina gli chiedeva di togliersi il cappuccio. Sapeva che Alexis, nonostante avesse solo 7 anni quando lui aveva contratto la malattia, non aveva mai avuto paura di lui e di quello che gli era successo. Anche se ormai erano passati cinque anni da quel fatidico giorno però, lui ancora detestava farsi vedere in quello stato da sua figlia.
Non riuscì a reprimere un mezzo sorriso triste quando ripensò a quanto la sua bambina gli avesse fatto forza in tutti quegli anni. Certo, Martha l’aveva aiutato parecchio, ma se non fosse stato per l’esistenza di Alexis probabilmente l’avrebbe fatta finita anni fa, quando gli dissero che non esisteva cura per la sua malattia. Anche perché era meglio non parlare delle reazioni delle sue ex-mogli Meredith, la madre di Alexis, e Gina. Come al solito non erano riuscite a vedere al di là di quello che era davanti al loro naso. All’epoca sapevano che l’uomo all’interno del mostro non era cambiato, ma a nessuna delle due era importato molto. Si erano dispiaciute, questo sì, ma non abbastanza da restargli vicino. Se non altro erano state di parola quando avevano giurato di non rivelare niente ai giornali e alle autorità. Per il mondo, il famoso scrittore Richard Castle aveva avuto un crollo nervoso per il troppo successo e si era ritirato a vita privata in una qualche isola sperduta del Mediterraneo. In realtà il suo terrore più grande non era rivolto verso sé stesso, ma, piuttosto egoisticamente, verso Alexis. Aveva paura anche solo pensare che se altri avessero saputo, forse avrebbero potuto levargli l’affidamento di sua figlia, anche se il suo male non era contagioso. E lui questo non avrebbe mai potuto permetterlo.  
Per un momento abbassò lo sguardo sulle sue mani, sulla sua pelle secca e piagata, che gli provocava spesso dolori atroci e sbalzi d’umore terribili ogni giorno peggiori. Era a causa della sua pelle che si nascondeva in casa da cinque anni. Era a causa della sua malattia non aveva più avuto un contatto con l’esterno che non fossero la sua famiglia, i domestici che aveva assunto, il dottor Davidson o la dottoressa Parish. Era a causa di un semplice frutto che lui era diventato così. Nessuno avrebbe mai dovuto vederlo in quel modo e ora stava rischiando tutto ciò che gli era più caro per due estranei. Aveva davvero fatto bene ad accoglierli?
Scosse la testa per scacciare quei pensieri e tornò a fissare il mare agitato. Il vento stava peggiorando. Poteva sentirlo spingerlo dietro di lui, come se avesse avuto una mano invisibile premuta contro la schiena. Probabilmente, se non avesse avuto una buona stazza e i piedi ben piantati nella sabbia, il vento lo avrebbe trascinato via dentro quelle onde furiose. Quando una delle onde arrivò a bagnargli i piedi, subito si ritrasse come scottato, imprecando. L’acqua di mare sulla sua pelle aveva lo stesso effetto di un carbone ardente.
Rimase ancora qualche minuto immobile, cercando di far scemare il dolore, lo sguardo cupo quanto il tempo. Quindi recuperò le scarpe e si avviò di nuovo verso casa. Avvicinandosi, notò che non c’erano più luci accese alle finestre. Tutto era buio e silenzioso nella grande villa.
Con il passo felpato appreso negli anni, entrò dalla porta sul retro e iniziò a muoversi per le stanze e i corridoi senza il minimo suono. L’unico rumore che produceva era creato dalle goccioline d’acqua che scivolavano a terra dal suo mantello. Stava per salire al piano di sopra quando qualcosa lo fermò. Lentamente, si voltò a dare un’occhiata alla porta che dava accesso alla camera degli ospiti, proprio accanto alla Camera d’Ospedale. Per un istante rimase immobile, quindi, maledicendosi da solo, si tirò di nuovo il cappuccio del mantello sulla testa e, il più lentamente e silenziosamente possibile, si avvicinò alla porta.
Facendo molta attenzione ruotò la maniglia e aprì l’uscio di un millimetro. Sentì immediatamente il respiro lento e regolare della donna. Stava dormendo.
Si arrischiò ad aprire ancora di qualche centimetro la porta. Non voleva svegliarla né spaventarla. Non sapeva neppure lui perché fosse lì. Forse perché erano anni che non vedeva un altro essere umano da vicino, non contando ovviamente la sua famiglia e i domestici. O forse semplicemente perché era una bella donna e, nonostante la sua malattia, era ancora attratto dal sesso femminile. O forse ancora c’era qualcos’altro in lei. Qualcosa di combattivo e dolce insieme. Quel qualcosa che l’aveva portata a discutere con lui e che l’aveva convinto a cedere e a lasciarla rimanere.
Trattenendo il fiato, fece qualche passo in avanti, verso il letto. D’un tratto si immobilizzò. La donna si stava muovendo, agitandosi e mugugnando leggermente. Il respiro le si era fatto irregolare, quasi ansimante. Per un attimo provò l’impulso di posarle una mano sulla tempia e carezzarle i capelli, come faceva con Alexis quando aveva un incubo. Però poi si trattenne, dandosi dell’idiota.
Dopo qualche secondo comunque la donna smise di combattere contro il suo immaginario nemico e tornò tranquilla, voltandosi a dormire sulla schiena con un gran sospiro. Lui non faticò a notare, alla luce della finestra, la piccola ruga di espressione che le si era formata in mezzo alle sopracciglia. Inclinò leggermente la testa per osservarla meglio e un vago sorriso gli si formò sulle labbra. Carina.
Quando la donna si mosse di nuovo, decise che aveva già rischiato abbastanza facendo la parte del guardone inquietante. Tornò indietro lentamente e si richiuse silenziosamente l’uscio alle spalle.
 
Il mattino seguente Kate si svegliò di soprassalto. Aveva sognato di essere ancora a casa e di stare pranzando con suo padre quando un’auto aveva sfondato il muro e li aveva investiti. In un attimo si era ritrovata circondata da pezzi di cemento e metallo, però non aveva sentito alcun dolore. L’unica cosa che aveva provato era stato un grande peso sul petto. Allora, preoccupata, aveva iniziato a gridare il nome di suo padre e poco dopo aveva intravisto la mano di Jim spuntare tra due travi, inerte. Terrorizzata, aveva tentato di allungarsi per prenderla, notando solo dopo che le macerie erano diventate sabbie mobili che la trascinavano verso il basso. Più si muoveva, tentando di aggrapparsi a qualcosa di solido, e più la presa le scivolava via dalle dita. In quel momento però un uomo con un mantello nero era entrato dal buco nel muro e subito aveva iniziato a scavare per tirarli fuori. Ma tanto più lo sconosciuto tentava di aiutarli, tanto più lei e suo padre sprofondavano nel pavimento, sommersi dal caos di detriti e polvere. Ricordava di aver cercato di gridargli di fermarsi prima che le macerie la sommergessero e lei piombasse nel buio.  
Kate rimase per qualche momento immobile nel grande letto, ansante, gli occhi ben aperti e fissi al soffitto. Aveva paura di ripiombare in quell’incubo se solo li avesse socchiusi. Il cuore le martellava forte nel petto e sentiva un velo di sudore freddo sulla pelle. Le era parso tutto così spaventosamente reale…
Un lieve bussare alla porta la fece trasalire e automaticamente tirò su le lenzuola fino al mento, anche se ovviamente aveva addosso i vestiti che le avevano prestato.
“Signorina Beckett?” la chiamò qualcuno dall’esterno con tono basso. “Sei sveglia?” Kate cercò di ricordare a chi appartenesse quella voce e l’immagine di un uomo dai capelli biondi fece capolino nella sua memoria.
“Sì, uhm… sì, Ryan!” rispose dopo qualche secondo, non appena il nome del maggiordomo le tornò in mente.
“Oh, bene!” replicò lui allegro, alzando la voce a un livello normale. Doveva essere già passato a chiamarla, ma lei probabilmente non lo aveva sentito. “Posso entrare un momento?”
“Sì, certo.” rispose Kate, mettendosi a sedere. Il maggiordomo aprì uno spiraglio nella porta, quel tanto che bastava a far entrare la testa.
“Come stai stamattina?” le chiese con un sorriso gentile.
“Meglio, grazie.” I punti sulla fronte le dolevano un po’ e sentiva di avere qualche livido che la infastidiva, ma nel complesso il sonno le aveva fatto davvero bene, tralasciando la parte dell’incubo.
“Mio padre?” chiese a quel punto, con un leggero nervosismo.
“Il dottore lo ha già visitato e a quanto ho capito gli antibiotici hanno ben fatto il loro lavoro.” rispose Ryan. “Comunque potrai chiedere di persona a Lanie tra poco e potrai anche vedere tuo padre. A proposito, vuoi qualcosa di particolare per la colazione? Abbiamo thè, caffè, latte, succo d’arancia…”
“Un caffè sarebbe perfetto, grazie. Però non vorrei disturbare più di quanto sto già facendo.”
“Nessun disturbo!” esclamò il maggiordomo allegro. “Non abbiamo mai ospiti qui, il che dopo un po’ diventa piuttosto noioso. Da mangiare abbiamo più o meno qualsiasi cosa, quindi potrai fornirti da te in salone. O preferisci la colazione in camera?”
“No, no, vengo di là. Grazie mille.” disse alla fine Kate con un sorriso grato.
“Al vostro servizio!” replicò Ryan con un mezzo inchino divertito prima tirarsi indietro e richiudere la porta.
Quando i passi del maggiordomo sparirono nella casa, Beckett si convinse a uscire dal letto per alzarsi. Con un gesto scostò il lenzuolo e buttò le gambe fuori dal materasso, ma dovette bloccarsi per un attimo. Evidentemente stava meno bene di quello che credeva perché la camera aveva all’improvviso iniziato a girarle intorno. Si prese qualche secondo, quindi lentamente si alzò in piedi. Con suo gran sollievo, tutto rimase fermo al suo posto.
Prima di andare in salone, Kate passo in bagno e ne approfittò per sciacquarsi la faccia con acqua fredda per svegliarsi completamente, stando bene attenta a non toccare le bende sulla testa. Avviandosi alla porta, notò che i suoi vestiti ormai erano asciutti anche se parecchio stropicciati. Inoltre, lanciando un’occhiata alla finestra, vide che il tempo era pure migliorato: era ancora nuvoloso e grigio, ma non pioveva più, il vento era di molto diminuito e si intravedevano anche tracce di luce chiara tra le nubi. A quel punto, ancora vestita con i pantaloni della tuta e la maglietta, si avviò fuori dalla camera.
Non appena aprì la porta, Kate iniziò subito a sentire un vociare allegro provenire dalla sala d’ingresso insieme a un rumore di piatti e posate sbattute. Quando vi entrò notò un assiepamento di gente su un grosso tavolo che aveva visto la sera prima e che evidentemente usavano per mangiare. Vide la cucina dall’altra parte della sala da cui si accedeva da una porta laterale distante solo un paio di metri dal tavolo.
Kate ci mise un paio di secondi a capire che c’era qualcosa che non le tornava. E quando lo capì rimase piuttosto stupita. Infatti non si sarebbe mai aspettata di vedere due bambine sedute tranquille al tavolo della cucina di quella casa. Una era più grande, sui dodici anni, con i capelli rosso fuoco e la carnagione chiara. L’altra invece era più piccola, probabilmente non aveva più di cinque anni, con i capelli biondi divisi in due codine sopra la testa. Entrambe stavano serenamente mangiando l’una con pane e marmellata e l’altra con i cereali.
A quella vista, Beckett sentì la tensione, che non si era accorta di avere, scivolare via da sé. Non potevano essere cattive persone se avevano bambini allegri e in salute in giro per casa, giusto?
“Oh, buongiorno Kate!” la salutò Lanie con un sorriso non appena la notò ferma e indecisa all’entrata del salone. A quelle parole tutti i presenti si voltarono a guardarla. Le bambine si girarono subito a squadrarla con curiosità, la più piccola dimenticando anche il cucchiaio di cereali a mezz’aria.
“Vieni siediti, qui.” le indicò gentilmente Kevin, spostandole una sedia per indicarle il suo posto a tavola tra Lanie e Martha. Oltre a loro e alle bambine, erano seduti a tavola anche Esposito e Jenny.
Kate si avvicinò un po’ imbarazzata, accettando il buongiorno di tutti e ricambiando con gli occhi bassi.
“Come ti senti stamattina, cara?” le chiese subito Martha, posando sul tavolo lo strano intruglio verde che stava bevendo per potersi concentrare su di lei.
“Ti fanno male i punti?” domandò invece Lanie.
“Sto abbastanza bene, grazie.” rispose alle due, sorridendo però in ringraziamento a Ryan per averle messo davanti una tazza di caffè nero bollente. “Mio padre?”
“Il dottor Davidson lo ha monitorato a intervalli di un’ora tutta la notte e ancora mezz’ora fa prima di andare.” replicò Lanie. “È stabile al momento, non ansima più come ieri sera e dorme come un bambino. Vedrai che migliorerà nel giro di qualche giorno.” Kate annuì lentamente, mordendosi il labbro inferiore senza neanche accorgersene.
“Posso vederlo?” domandò quindi, dando un sorso alla sua tazza di caffè. Era davvero ottimo.
“In realtà dormirà ancora per un po’.” la avvisò la dottoressa Parish. “Ti conviene mangiare qualcosa prima, poi ti accompagno a vederlo. Dopo la giornata di ieri sarebbe il caso ti rimettessi in forze anche tu.”
Nonostante fremesse per andare a controllare le condizioni di suo padre, Kate si convinse a prendere qualcosa dalla tavola. C’era solo l’imbarazzo della scelta tra frutta, cereali, biscotti, pane, marmellata, pancakes e sciroppo d’acero. Decise di andare sul tranquillo e prendere una mela.
Stava tagliando la sua frutta quando una vocetta dall’altra parte del tavolo le fece alzare gli occhi confusa.
“Come fa a piacerti?” chiese la più piccola delle due bambine con una smorfia. Kate guardò la mela.
“Beh, è molto dolce questa varietà.” replicò con un sorriso divertito.
“No, dico il caffè!” specificò la biondina, indicandoglielo. “È amarissimo! Papà me lo ha fatto assaggiare.” aggiunse indicando Kevin. “E fa schif…”
“Sarah!” la ammonì Jenny con un’occhiata severa. “Solo perché a te non piace una cosa, non significa che devi dire che fa schifo.”
“Sì, mamma.” borbottò la piccola mettendo su un broncetto e abbassando lo sguardo sulla sua tazza di cereali.
“Scusala,” disse Kevin rivolto a Beckett. “Non ti abbiamo ancora presentato la nostra piccola peste. Vuoi dire tu come ti chiami, tesoro?” aggiunse poi rivolto alla bambina.
“Sarah Grace!” rispose quella allegra, come se il musetto rimproverato di un attimo prima non fosse mai esistito. “Ho cinque anni e mezzo!”
“Ah, ma sei già grande!” replicò Kate divertita.
“E tu come ti chiami?” chiese a quel punto la piccola. Si notava che era da quando era entrata che non aspettava altro che chiederglielo. “Quando sei arrivata? Come sei…”
“Sarah…” iniziò a rimproverarla Jenny, ma lei subito scosse la testa.
“Sì, sì, lo so.” mugugnò controvoglia. “Una domanda e aspetto la risposta. Non devo sommergere la persona di domande.” disse come un mantra imparato a memoria. Evidentemente non era la prima volta che le facevano quell’obiezione.
“Allora, mi chiamo Kate Beckett e sono arrivata ieri sera.” rispose Kate cercando di non mettersi a ridere per la scena. “Ho avuto un incidente con la macchina lungo la strada e i tuoi genitori e il proprietario di casa sono stati così gentili da dare riparo a me e a mio padre, che inoltre non stava tanto bene.”
“L’uomo nella Camera d’Ospedale?” chiese stavolta la ragazza dai capelli rossi. Era la prima volta che parlava. Guardandola, Kate si accorse che aveva due occhi azzurro chiaro che parevano proprio non essere molto convinti della sua presenza lì. Annuì.
“Come si chiama?” chiese ancora la più piccola, questa volta riuscendo a fermarsi a una sola domanda.
“Jim.”
“Beh, allora visto che pare io sia l’unica che non si è ancora presentata,” disse in quel momento la ragazza dai capelli rossi prima che Sarah potesse di nuovo chiedere qualcosa a Kate. “Io sono Alexis.”
“Lei è mia nipote.” disse con orgoglio Martha.
“Kate, ma perché…” La bambina stava ripartendo a fare domande, ma stavolta fu il padre a bloccarla tirandole scherzosamente uno dei due codini sulla sua testa.
“Taci e mangia, mostriciattolo.” disse Kevin divertito.
“Finisci i tuoi cereali, amore, e lascia in pace la nostra ospite.” ribadì Jenny dolcemente, bloccando sul nascere altre proteste. La bimba sbuffò, ma finalmente riprese a mangiare la colazione che aveva lasciato a metà.
“Il latte è freddo…” borbottò.
“La prossima volta parla di meno.” commentò Ryan ridacchiando e stampandole un bacio sulla guancia.
“È una bambina adorabile.” mormorò Kate a Jenny, allungandosi un po’ sul tavolo per parlare con lei seduta oltre Martha, mentre il maggiordomo e la bimba continuavano a battibeccare allegramente. La signora Ryan annuì con un piccolo sorriso sulle labbra.
“È una peste a volte, ma non potremmo vivere senza di lei.” replicò la donna. In quel momento il suono di qualcosa che si rovesciava e un urletto fecero voltare tutti verso padre e figlia. La tazza di latte era ormai per metà irrimediabilmente persa sul tavolo.
“Non sono stato io!” si difese subito Kevin, mollando il cucchiaio che aveva fregato alla piccola e alzando le mani.
“Non è vero! Lo hai rovesciato tu con il braccio!” replicò subito la piccola Sarah.
“Non è vero!” fu la risposta pronta del padre. “Se tu non avessi intralciato il mio aeroplanino di cereali, non si sarebbe schiantato nella tazza come è successo!”
“Ma io non volevo l’aeroplanino, io volevo il cucchiaio per continuare a mangiare!”
“Beh,” commentò Jenny con un sospiro. “In effetti a volte non ho un marito e una figlia, ma due bambini bisticcianti, ma che vogliamo farci?” Tutti scoppiarono a ridere mentre i due litiganti si facevano la linguaccia a vicenda e la signora Ryan recuperava uno straccio per pulire il latte e i cereali versati sul tavolo e che avevano cominciato a gocciolare sul pavimento.
“Beh, direi che è ora di andare.” disse a quel punto Esposito, infilandosi in bocca un ultimo biscotto e alzandosi. “Signorina Beckett, stamattina mi sono permesso di chiamare un carrozziere per la tua auto. Tra un’ora dovrei incontrarlo alla macchina. Spero che vada bene.”
“Oh, grazie mille.” replicò Kate con un sospiro sollevato. In effetti non aveva pensato per niente alla sua macchina distrutta fino a che non ne aveva parlato poco prima. “Però per favore chiamatemi semplicemente Kate o al più Beckett.”
“Nessun problema, Beckett.” rispose Javier con un mezzo sorriso. “Mi farò dare un po’ di informazioni sul danno e su quanto ci vorrà a sistemarla. Sarà una cosa breve spero.” Quindi si rivolse alla signora Rodgers. “Martha, io devo passare in città prima, vuoi un passaggio?”
“Oh, sì, visto che sei di strada ne approfitto volentieri!” esclamò Martha. Finì il suo beverone verdognolo, si alzò e baciò la ragazza dai capelli rossi sulla nuca. Quindi salutò tutti e si avviò con il tuttofare all’ingresso.
“Posso chiederti una cosa?” domandò a quel punto Alexis curiosa quando la porta di casa si chiuse dietro la nonna ed Esposito. “Come siete arrivati qui tu e tuo padre? Voglio dire, lo so, a causa dell’incidente, ma se non sono troppo indiscreta perché eravate qui negli Hamptons?”
“Non stressarla, Lex.” la fermò Jenny, finendo di ripulire il danno di marito e figlia.
“No, va bene.” dichiarò Kate. Quindi tornò a rivolgersi alla ragazza. “Io e mio padre eravamo venuti negli Hamptons per fare una gita, ma nel pomeriggio il tempo ci si è rivoltato contro. Quando abbiamo deciso di andarcene purtroppo mio padre non stava già bene. Doveva essere una giornata tranquilla e…” Si bloccò, ma non per la storia. Aveva sentito qualcosa. Come un rumore di sottofondo o un formicolio sul collo. Voltò la testa per controllare, ma non vide nessuno, solo il grande salone vuoto e le scale buie che portavano al piano superiore. Eppure sentiva che c’era qualcosa…
“Tutto bene?” chiese Alexis, voltandosi anche lei per capire cosa avesse attirato l’attenzione di Kate.
“Sì, io… niente, mi era sembrato di sentire qualcosa.” mormorò alla fine, passandosi una mano sul collo per far passare quella sensazione. Notò di sfuggita Jenny, Ryan e Lanie lanciarsi un’occhiata prima di tornare a concentrarsi su di lei. Beckett si schiarì leggermente la gola, quindi continuò a raccontare mentre finiva di tagliare la sua mela prima di mangiarla. “Dicevo…”
 
Imprecò mentalmente dal suo nascondiglio in cima alle scale. Sapeva benissimo che il terzo scalino dall’alto scricchiolava, ma l’aveva dimenticato tanto era stato curioso di vedere di nuovo la donna e di sentire quello che stava dicendo.
Come sempre, dopo essere passato dalla cucina a sgraffignare qualcosa da mangiare, aveva aspettato nel suo angolo buio dalle 7 del mattino, quando i Ryan si erano svegliati per iniziare a preparare la colazione per tutti. La scalinata che dava sul salone era uno dei suoi punti preferiti. A quell’ora del giorno era completamente avvolta dal buio, grazie alle finestre oscurate del piano di sopra, e poteva tranquillamente spiare la sua famiglia a colazione, immaginando in qualche modo di essere lì con loro. Avrebbe voluto mille volte scendere quegli ultimi gradini per stare accanto alla sua bambina, ma si era sempre trattenuto. Anche nei giorni in cui era Alexis a pregarlo di scendere. La sua paura più grande era che prima o poi la sua piccola, che ormai tanto piccola non era più, lo vedesse per il mostro che era e smettesse di volerlo intorno. Lei gli aveva più volte detto che non si sarebbe mai stancata di lui, anche conciato com’era, ma in fondo era lui a non avere la forza di farsi vedere in quello stato da lei. E inoltre non voleva pensare a cosa sarebbe potuto accadere se per caso gli fosse arrivato uno dei suoi violenti sbalzi d’umore mentre era accanto a lei…
Quella mattina era stato strano vedere qualcun altro insieme ad Alexis, Martha e agli altri. La vista di quella donna, così vicino alla sua bambina, in un primo momento lo aveva innervosito. Era stato pronto a scattare in caso di problemi, ma per fortuna lei, Kate Beckett, pareva non essere una minaccia per loro. Il siparietto di Sarah Grace e Kevin poi era stato molto utile per allentare la tensione. Perfino lui non era riuscito a reprimere un sorrisetto osservando padre e figlia farsi la linguaccia di nascosto da Jenny. Allo stesso tempo però aveva sentito una morsa nel petto: erano anni che non giocava e non si divertiva più così con Alexis. Gli mancavano terribilmente quei momenti con lei, quegli attimi solo per loro. Ma ormai erano passati cinque anni dall’ultima volta che avevano scherzato in quel modo, così spontaneo e naturale. Cinque anni in cui lei era diventata una giovane donna. Cinque anni della sua infanzia che lui non avrebbe mai più avuto modo di recuperare.
Quando la donna, Kate, aveva iniziato a raccontare di lei e del padre, lui si era incuriosito e, inconsciamente, aveva fatto un movimento di troppo facendo scricchiolare l’asse della scala sotto di lui. Probabilmente quello era il prezzo da pagare non vedendo nessuno per anni a parte i tuoi familiari e i tuoi amici: una terribile voglia di sapere un qualunque fatto nuovo dall’esterno. Anche una semplice giornata al mare di un’estranea. Non che ne avesse abbastanza degli altri: era loro più che grato che ancora non lo avessero mollato solo come un cane ed erano sempre stati un’ottima compagnia. Ma una faccia nuova, con nuovi fatti, era come una ventata di aria fresca in un mondo ormai troppo uguale e prevedibile.
Immobile, cercò quasi di non respirare quando la vide girarsi all’indietro verso di lui. In realtà lo stava guardando nel buio, ma lei non poteva saperlo. Dovette intuirlo però, perché il suo sguardo passò più volte dal punto in cui era nascosto prima che la sua attenzione venisse riportata alla conversazione.
Sospirò sollevato quando la donna volse di nuovo lo sguardo verso gli altri occupanti della tavola. Quindi lui, con i movimenti lenti e misurati che aveva imparato negli anni per gironzolare nella casa senza essere notato, si sedette su uno degli scalini e si mise ad ascoltare e osservare Kate. La sua voce era tranquilla, ma alle sue orecchie non poteva sfuggire una nota di tensione. Si chiese se era per la sua “rumorosa” apparizione o per il padre malato. Probabilmente un mix di entrambi.
Appoggiò la testa al corrimano e per un momento chiuse gli occhi, immaginando di essere lì con loro ad abbracciare la sua Alexis per le spalle mentre ascoltava con attenzione la donna raccontare.

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Xiao! :) 
Scusate il ritardo, ma putroppo tra casini vari prima di così non riesco a fare. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e nel caso fatemi sapere! (Anche se non vi è piaciuto fatemi sapere comunque eh, non mi offendo)
Tornando alla storia: finalmente abbiamo scoperto chi è il misterioso padrone di casa (anche se probabilmente l'avevate già intuito ;D), mentre Kate ancora non sa nulla di lui tranne che ha un qualche problema che lo costringe in casa... E noi d'altronde ancora non sappiamo cosa gli sia successo a quel figo di Castle. Ma tutto verrà chiarito a tempo debito! :)
A presto!
Lanie
  
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