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Autore: Snow_Elk    29/05/2017    0 recensioni
L'amore. Un sentimento profondo, capriccioso, instabile. Un'emozione oscura, qualcosa che tutti cerchiamo. Anche Alan, uno studente universitario, lo sa bene. Pensava di averlo finalmente trovato, ma si sbagliava, tutto ciò a cui teneva è svanito, l'ennesima relazione "andata a puttane" come direbbe Phil, il suo coinquilino. Eppure, mesi dopo, Alan è ancora tormentato da strane visioni, da ricordi vividi e da lei, da quella stessa ragazza a cui aveva dato il proprio cuore. Perché l'amore può trasformarsi in odio, l'odio in consapevolezza e quest'ultima ci aiuta a crescere, a capire. Perché anche se un cuore è andato in frantumi può ancora battere, riecheggiando nel silenzio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Fragments of a Silent Heart



Frammento II – Nelle strade, sotto gli ombrelli.


- Phil io esco, ci si vede a pranzo! – urlo sull’uscio della porta. Nessuna risposta.
- Phil! – riprovo, è la sua ultima chance.
- Sì, sì, ho sentito. A dopo! – sto per chiudere la porta ma lo sento urlare di nuovo -Ah, dimenticavo, comprami le sigarette, io oggi resto a casa a studiare –
- D’accordo – non è la prima volta che me lo chiede e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima, ma visto che le fumo anch’io mi sembra un buon compromesso.
Zaino in spalla, ombrello in mano, cuffiette per rimanere nel mondo senza i suoi rumori.
Mi piacerebbe ascoltare la pioggia, ma il caos del traffico andrebbe a rovinare tutto.
Sono davvero passati solo tre mesi? Scendo le scale con calma.
Quando pioveva scattava automaticamente la giornata “film”: divano, patatine, qualcosa da bere e un film, non serviva altro, o forse qualche sigaretta giusto per spezzare. Erano giornate che passavano lentamente, ma con lei sembravano volare via.
Perché l’ha fatto? Perché ha dovuto mandare tutto a puttane? Continuo a chiedermelo ogni santo giorno, senza trovare una risposta, come qualsiasi altra cosa che la riguarda.
Cazzo, ormai sembra che stia cercando di parlare di un estraneo e non della mia ragazza, beh, ex ragazza. Come siamo arrivati a questo?
Il dannato portone continua a non aprirsi al primo colpo, ci riprovo tre volte e finalmente mi lascia passare, spero di non perdere il bus, non voglio rimanere sotto la pioggia ad aspettare il prossimo.
Forse dovrei davvero ascoltare il consiglio di Phil: chiamarla, invitarla a vederci da qualche parte e parlare. Già, parlare, come se fosse facile.
Da quel giorno abbiamo smesso di sentirci, niente chiamate, niente messaggi, neanche un “Ciao” e da una parte sono felice che sia andata così: era un modo come un altro per non pensarci, per lasciare che il tempo facesse la sua parte.
Andava tutto bene, finché non sono iniziate le visioni.
C’è parecchio movimento in strada oggi, un fiume di ombrelli e gambe che si muove senza sosta sul marciapiede e poco più in là un mostro di metallo e vetro.
Continua a piovere, lo vedo soltanto, sotto l’ombrello sono immerso nella musica, tutto ciò che va oltre è semplicemente silenzioso. Meglio così.
È da due settimane circa che mi capita, ogni volta che mi ritrovo in un luogo o in locale dove avevo passato del tempo insieme a lei eccola che spunta dal nulla, talvolta da sola, talvolta insieme a me: mi sembra di tornare nel passato, di rivivere un ricordo, oppure la scena di un futuro che non c’è più, ma non appena mi avvicino scompare tutto come se niente fosse.
Sono l’unico che vede queste “cose”, l’unica volta che ho provato a chiedere a Mark, un mio collega, mi ha riso in faccia per un quarto d’ora buono, dicendo che non avevo bevuto abbastanza e che stavo dando i numeri più del solito.
C’è ancora gente in attesa alla fermata, sono in tempo per prendere il bus. Mi avvicino, cercando di non urtare gli ombrelli altrui e osservo un po' i volti che sembrano nascondersi sotto quei tetti di tessuto: sono tutti presi dai loro problemi, sembrano ignorarsi a vicenda, negli occhi aleggia quasi la paura che l’altro possa avvicinarsi e attaccare bottone.
In parte li capisco, neanch’io oggi ho molta voglia di parlare e per certi versi la pioggia in questo senso non aiuta. Siamo tutti lì fermi ad aspettare il bus, dopodiché ognuno tornerà alla propria vita non appena sentirà la sua fermata.
C’è chi guarda la strada, impaziente di scovare la sagoma del bus in mezzo a quell’oceano di macchine che si mescolano nella pioggia, chi invece ha lo sguardo fisso sul proprio smartphone e se ne frega di ciò che lo circonda e poi ci sono io.
Ho sempre passato il tempo necessario ad arrivare a lezione ascoltando la musica e osservando le persone, i loro atteggiamenti, i loro gesti. Gli sguardi.
Perché è negli occhi che si nascondono le persone, ciò che sono, quel che vogliono dire.
I suoi erano grandi e scuri, rischiavi di caderci dentro se li fissavi troppo a lungo. Erano comprensivi, trasmettevano felicità e leggerezza, finché non sono diventati freddi e distanti. Quando? Quando è iniziato a precipitare tutto?
Il bus appare all’orizzonte, la gente inizia ad accalcarsi sul bordo del marciapiede, vogliono tutti un posto, ma tutti sanno che finiranno per ritrovarsi in piedi, ben stretti ad uno dei tanti “ganci” per non volare via non appena il bus frena.
Rimango fermo mentre la folla si riversa nel mezzo, non mi interessa il posto a sedere, le fermate prima della facoltà sono poche, qualche passo in avanti e mi lascio le porte automatiche che si chiudono alle mie spalle.
Per alcuni è una posizione scomoda, io invece la trovo comoda: ogni volta che qualcuno scende, o sale, le porte si aprono e puoi respirare. Aria fresca.
Oggi l’aria ha il profumo della pioggia, un motivo in più per prendere quella posizione.
Quante volte ho viaggiato su questi bus insieme a lei? Quante volte mi sono seduto in silenzio aspettando di arrivare vicino casa sua? Troppe.
Il mezzo riprende la sua corsa, i passeggeri sono di nuovo immersi in quel mormorio di discorsi e frasi lasciate a metà. Cambio canzone, ci vuole qualcosa che mi tenga sveglio, mentre il caffè fa ancora fatica a fare effetto.
Dovrei smettere di pensare a lei e a tutto ciò che la riguarda, ma non ci riesco, anzi ogni volta che sembra fatta ecco che rispunta questo o quel ricordo ed è come ricominciare da capo. Fanculo, mi chiedo da che parte sta il mio cervello.
Tiro fuori lo smartphone, cerco il suo numero, mi basterebbe premere il pulsante verde e togliermi questo peso di dosso, ma c’è qualcosa che mi blocca.
No, non è il caso di chiamarla adesso, non mentre sono in bus, non con tutta questa gente che fa finta di essere persa nei propri pensieri ma che recupera tutta l’attenzione non appena sente qualcuno parlare al telefono.
Sotto sotto siamo tutti ficcanasi, vogliamo sempre sapere cosa sta succedendo, non importa a chi, basta saperlo.
Il bus frena, un tipo borbotta contro l’autista, altri ridono perché qualcuno è inciampato. Le porte si aprono per far scendere un piccolo gruppo, una boccata d’aria fresca, prima di ripartire.
Forse potrei mandarle semplicemente un messaggio, veloce e diretto.
No, Phil avrà anche ragione, ma prima di contattarla voglio vedere se mi capiterà di nuovo, se avrò un’altra di quelle visioni. Se accadrà le scriverò. Ho deciso.
Il bus si ferma, cazzo, quasi non mi accorgo che è la mia fermata.
Mi affretto a scendere, apro l’ombrello mentre le porte si chiudono, mi guardo intorno, non c’è nessuno che conosco, i miei colleghi saranno già in aula. Dopotutto sono io sempre il ritardatario, devo ammetterlo.
Sento la tasca vibrare, mi fermo e tiro fuori lo smartphone: è un messaggio di Mark.
“Ehi, si può sapere dove sei? Ti ho tenuto un posto, muovi il culo!” sorrido, quel maledetto riesce sempre a strapparmi un sorriso con le sue risposte del cazzo.
Mi incammino a passo spedito verso la facoltà, ho ancora qualche minuto prima che la lezione inizi, inviando un semplice “Arrivo!” per tranquillizzare Mark, prima che inizi a tartassarmi di chiamate solo per farmi perdere la pazienza, ormai è diventato uno dei suoi passatempi preferiti.
Ci sono molti altri studenti come me che corrono verso la facoltà, con gli ombrelli che oscillano sopra le loro teste, anche loro in ritardo come me, chi per un motivo chi per un altro.
Mi fermo davanti all’entrata, chiudo l’ombrello e lascio che la pioggia mi dia il colpo di grazia per risvegliarmi, giusto qualche goccia. Mi guardo alle spalle, verso il viale senza fissare niente in particolare.
Spero di non avere altre visioni, spero che questa faccenda finisca nel dimenticatoio insieme a tutto ciò che la riguarda. Voglio solo andare avanti.
- Ehi Al! – qualcuno mi afferra per un braccio e inizia a trascinarmi dentro.
- Stai ancora dormendo? Muoviamoci, ci aspetta l’ennesima lezione noiosa – Jane mi lancia un mezzo sorriso, senza neanche aspettare una mia risposta e continua a trascinarmi verso l’aula.
Sta parlando di qualcosa ma non la sto ascoltando: per un attimo, in mezzo agli studenti che si avvicinavano alla facoltà, mi è sembrata di vederla.
Lasciami in pace, Christie.
 
   
 
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