Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Selenite    29/05/2017    1 recensioni
Una storia d'amore rinchiusa fra le mura di una pazzia che distrugge lenta e inesorabile.
Un amore profondo e malato, che finisce in tragedia.
Io ho deciso di affogare nel mio dolore per sempre. E tu, cosa faresti?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CHAPTER 1 - FIRST MEETING


Annusò l'aria profondamente, mentre le sue labbra si scoprivano in un sorriso.
Adorava la primavera. L'aria era fresca e tutto era verde e rigoglioso. O quasi.
Aprì la finestra sentendosi improvvisamente piena di energie. Si sentiva bene, completa, piena.

Poi come uno schiaffo in faccia la realtà. E la consapevolezza.
Non sarebbe mai stata completa. Non sarebbe mai stata bene.
Mai.

Sentì un urlo isterico provenire dal piano di sotto, si passò le mani sugli occhi e respirò profondamente. Di nuovo, come sempre.
Non poteva sopportarlo.
Un'altra voce, femminea, che rispondeva a tono. Poi un tonfo e altre urla. Piatti.
Dio come odiava quella routine ignobile.

Si affrettò a raggiungere il bagno, ancora dominio di nessuno, e chiuse la porta a chiave. Respirò profondamente, prima di sentire un tonfo dall'altra parte della porta.
-Sophie, esci, devo farmi la doccia- disse una voce maschile, giovane, in modo brusco.
-Aspetti il tuo turno- rispose lei, iniziando a spogliarsi in fretta e furia, scaraventando gli abiti a terra e scalciandoli lontano affinché non dessero fastidio -Stamattina aspetti-
-E che cazzo- rispose lui, dando un pugno alla porta e facendola tremare -Fai alla svelta, devo andare a lavoro-
-Anche io- rispose lei a tono, sentendo un altro tonfo e, infine, il silenzio.

La pace.
Durava solo qualche minuto, ogni mattina, ogni qual volta entrava in bagno. Era la Svizzera della casa, neutrale e stupenda, ma giusto il tempo di una doccia.
I dieci minuti più belli della giornata.
Aprì l'acqua, aspettando che si scaldasse, si avvicinò al lavandino e si guardò allo specchio. Fece una smorfia di disgusto, guardando i suoi capelli scompigliati, prese la spazzola e cominciò a sistemarli. Grovigli di nodi le riempivano il capo, strappandosi al contatto con le setole.
Soffocò un impropero e finì di spazzolarsi, prendendo poi a lavarsi i denti.
Un sussulto, quando sentì l'intera casa tremare. Doveva aver di nuovo dato un calcio alla porta uscendo, quindi una volta scesa avrebbe trovato la “calma dopo la tempesta”. Un'altra smorfia e si buttò sotto l'acqua calda della doccia, lasciandosi sciogliere completamente. Solo pochi minuti di serenità e poi avrebbe dovuto affrontare il mondo lì fuori.
Si trovò talmente disgustata dalla situazione che trattenne a stento un conato di vomito.

Aprendo la porta del bagno scoprì che suo fratello era ancora in camera e quindi, ancora nuda, sgattaiolò nella sua camera per vestirsi.
Aveva ancora un minimo di pudore da non sopportare l'idea di farsi vedere nuda da lui, che a quasi 30 anni ancora abitava a casa con loro e portava ogni settimana a casa una donna diversa.
Che schifo.
Chiuse la porta appena entrata, sentendo il fratello chiudere la porta del bagno dietro di lui e accendere la musica altissima. Addio pace e tranquillità, addio silenzio.
Benvenuto mondo.

Si mise la biancheria più comoda che aveva, tirando via dalla sedia della scrivania tutti i vestiti finché non trovò qualcosa abbastanza comodo e coprente per affrontare quel maledetto lunedì.
Mentre si vestiva guardò di sfuggita il suo riflesso allo specchio e si fissò su quell'immagine.
Lei era sempre stata particolare e strana. Unica, nel suo genere.
A cominciare da quegli occhi strani, uno castano e uno verde, che la gente spesso fissava e catalogava come uno “scherzo della natura”. Tra le altre cose, le avevano chiesto se fosse satanista, se portasse delle lenti o se volesse addirittura e semplicemente attirare l'attenzione.
Come se a lei piacesse, l'attenzione.
Era piccola e minuta, uno scricciolo, i capelli nerissimi e mossi le arrivavano fino a metà schiena. La pelle chiara, quasi vampirica, che la faceva somigliare a qualcuno perennemente malato, lo strano vizio di parlare da sola quando pensava e quello di avere sempre la stessa espressione la rendevano molto “scomoda”. La chiamavano “gargoyle” o più semplicemente “la pazza”.
Non che fosse brutta, ma non era neanche particolarmente bella. Adorava stare da sola, leggere e ascoltare musica. Non le piaceva la compagnia, o i posti troppo rumorosi. Quando non c'era nessuno in casa ed era da sola, magari fuori pioveva...ecco, quello per lei era il paradiso.
Ma era un'illusione di breve durata. L'inferno era sempre dietro l'angolo e pronto a palesarsi in ogni momento e sotto ogni forma.

Spesso in forma di violenza, da parte di quello che una volta lei chiamava “papà”.

Scosse la testa tornando in sé, si vestì di fretta e furia, afferrò la borsa sulla scrivania e, nel farlo, fece cadere due polsiere per terra.
Rimase ferma un secondo a guardarle. Si irrigidì per un istante.
Le afferrò febbrile e uscì, con il desiderio che quel giorno potesse portarle una buona notizia.

Le strade erano umide. Forse la notte aveva piovuto, ma lei non aveva sentito.
Peccato...le piaceva tenere la finestra aperta durante le notti uggiose. La rilassavano.
Ma ormai era andata.
Arrivò alla fermata della linea 23, un po' in anticipo rispetto al solito. Si guardò attorno e vide gli stessi volti di tutti i giorni, la monotonia. Fece spallucce e si infilò le cuffiette del lettore mp3 nelle orecchie, lasciando che le maniche della lunga felpa verde acido che indossava si alzassero un attimo.
Una ragazza, accanto a lei, la fissò. Sophie rese lo sguardo, pensando che forse la conosceva, ma vide la ragazza arrossire e voltare lo sguardo, non prima di aver di nuovo posato gli occhi sulle polsiere nere che, prima di arrivare alla fermata, si era ricordata di mettere.
Sophie si sentì a disagio e, con imbarazzo, si sistemò meglio le maniche. Tossì disinvolta e incrociò le braccia, guardando davanti a sé con occhi spenti e stanchi.

Quelle polsiere non avrebbero potuto nascondere quel segreto per sempre.
Sotto di esse svariate cicatrici che pulsavano, come furiose, per un gesto che prima o poi l'avrebbe portata a giacere a terra, in un lago di sangue, priva di sensi.
Un giorno non si sarebbe fermata e avrebbe perso tutto. Temeva e aspettava quel giorno. Tuttavia, non ne aveva il coraggio. Dentro di lei c'era ancora una fiammella di speranza per un domani migliore. In cui lei giaceva tra le braccia della persona che amava e che, finalmente, l'avrebbe resa completa.

Un tocco. Leggero, quasi amichevole. Imbarazzato anche.
Sophie si sentì irrigidire, la musica ancora nelle orecchie. Un respiro soffocato in gola, un urlo morto ancor prima di nascere.
Si voltò piano verso la fonte di quel tocco e, prima di poter fare qualsiasi cosa, si bloccò.

Bellissimo.
Era lì, davanti a lei, nei suoi quasi due metri di altezza. Gli occhi azzurrissimi, il fisico asciutto e slanciato, le mani grandi e curate, le dita più affusolate che avesse mai visto.
Le fece un sorriso, indicandosi le orecchie. Sophie si tolse le cuffiette, arrossendo -Non...non credo di aver capito-
-Si, scusami, non volevo disturbarti- rise lui, con garbo -Ecco...sai mica se è già passata la linea 23? Pensavo passasse prima, e sono in ritardo per lavoro-
Sophie scosse la testa, dubbiosa -No, dovrebbe passare tra...- guardò il cellulare un attimo -...dieci minuti almeno-
-Oh cavolo- disse lui, grattandosi la testa. Sophie lo trovò adorabile -Oh, beh, grazie. E scusa di nuovo il disturbo-
-Oh ma non mi hai disturba...- disse lei facendo un passo verso di lui, scivolando sul gradino e cadendogli addosso, quasi portandolo in terra con lui.

Il suo profumo.
Dio si sentiva una deficiente. Si sentì prendere al volo e rimettere in piedi, mentre una risata cristallina le si registrava nelle orecchie -Ehi, attenta. Non vorrai farti male-
-Io non...scusami-
Un'altra risata, così armoniosa, che quasi si sentì male -Oddio, oddio, oddio...mi dispiace tanto...-
-Non ero mai stato abbordato così, sai?- rise di nuovo, spostandosi un passo indietro e guardandola dubbioso -E nonostante tu sia molto carina, mi dispiace dirti che io non ho interesse nelle minorenni-
Si sentì avvampare. Capitava spesso che le dessero qualche anno meno...ma addirittura così tanti, non se ne capacitava.
-Ma veramente io...io ho quasi 26 anni sai?-
Stavolta fu lui a rimanere senza parole, guardandola per un attimo senza proferire parola -Non è possibile. Non ti do più di 17 anni-
E si scoprì a ridere, come non capitava da tempo -E invece ti sbagli, e di grosso anche...-
Un rumore accanto a loro. Ecco l'autobus -Volevi la linea 23? Eccola qua- Prese a salire ma poi si fermò e si voltò verso di lui, ancora imbambolato a terra -Non eri in ritardo per lavoro?-

Lui rise di nuovo e, facendole l'occhiolino, salì insieme a lei.

Insieme trascorsero quasi 15 minuti di viaggio.
Lui scherzò dicendo che ormai era in ritardo e che quindici minuti non avrebbero certo fatto la differenza. Lei rise con lui, quasi non si capacitava di sentirsi così bene con uno sconosciuto.
Scoprì che si chiamava Maximilian e che, inaspettatamente, era anche più piccolo di lei. Quando le confessò di avere appena 24 anni lei ricambiò il “non ci credo” con così tanta enfasi che credette lui sarebbe soffocato dalle risate. Rise insieme a lui. E lei non rideva mai.
Le disse che lavorava come magazziniere nella ditta di un suo parente, ma che il suo sogno era guadagnarsi da vivere con la musica. Suonava il pianoforte.
Sophie pensò che le sue mani fossero perfette.

E intanto moriva dentro.
Ogni volta che l'autobus si muoveva troppo qualcuno le finiva addosso e lei, impercettibilmente, iniziava a tremare.
Odiava la calca mattutina, ma non poteva fare altrimenti. Non aveva una macchina, e non le interessava di averne, per il momento. Non finché viveva in quella casa.
Anche se i primi momenti si era persa in quegli occhi azzurri ed in quella bellezza che non considerava canonica per un semplice magazziniere, si ritrovava sempre più a disagio vicino a lui.
Era così “normale”, in confronto a lei.
E se avesse visto attraverso i suoi occhi? Dentro la sua anima, più a fondo ancora, fino al suo centro e si fosse spaventato di ciò che avesse visto? E se ne fosse rimasto...disgustato?
Scosse la testa mentre lui parlava, lasciandolo interdetto un attimo -Ho detto qualcosa di strano?-
-Eh? No, scusami, io...- disse lei, guardandolo fisso negli occhi per un attimo e poi distogliendo lo sguardo, agitata -Scusami stavo pensando anche ad un'altra cosa, continua-
Lui sorrise un secondo -Ma lo sai che hai degli occhi stupendi? Non avevo mai visto una persona affetta da eterocromia-

E da lì, tutto ebbe inizio.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Selenite