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Autore: Alise13    29/05/2017    0 recensioni
Sophie è una normale ragazza che frequenta il college, tranne per il fatto che vive con dei cacciatori fin da quando era piccola. I cacciatori discendono dagli angeli della morte, esseri letali che da millenni combattono contro i demoni. Lei è umana e per anni accettare di non appartenere al mondo della persone che ama é stato un dolore profondo. Magnus, l'unica famiglia che abbia mai avuto, la protegge insegnandole l'arte della guerra perché Sophie è un bersaglio facile non essendo una cacciatrice. Jeremy è affascinante, bello da mozzare il fiato, ed è un cacciatore, unica pecca? La sua sorella gemella. Tutto sembra andare come deve andare finché nella vita di Sophie non arriverà Azazel, demone purosangue che le stravolgerà la vita, portandola a mettere in dubbio tutto ciò in cui crede.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stranamente tranquillizzante vedere come le persone vivessero le loro vite ignare di ciò che gli gravitava intorno. 
Ero seduta sul cornicione di un grosso palazzo ad osservare la folla di gente che si riversava nella grande strada, una leggera brezza mi scompiglió i lunghi capelli corvini portando con se un misto di odori di fine estate e un odore di zolfo. Demoni.
Erano tra noi, vivevano tra gli umani cibandosi della loro energia vitale. Ce ne erano di tanti tipi ed esisteva una gerarchia che li suddivideva in categorie, il più potente di tutti, Lucifero, l'angelo ribelle, il più bello che Dio avesse mai creato e che per spregio aveva creato creature orribile, regnava negli inferi, sovrano e padrone delle anime corrotte; poi c'erano i principi, demoni purosangue come Azazel, Astraroth, Belzebù, Abbadon, e Lilith, creati per primi, così potenti  che non si vedevano dall'alba dei tempi sulla terra e che ormai era leggenda.
I grattacieli erano il mio luogo preferito, amavo tutto, la sensazione di poter toccare il cielo, la brezza che soffiava a quell'altezza e l'adrenalina, erano una droga a cui non riuscivo resistere. Era bello evadere dalla quotidianità ed avere qualcosa di mio, un posto dove non importava chi fossi o cosa facessi. Con la faccia rivolta al cielo cobalto osservavo le nuvole che si spostavano lente, avrei voluto prolungate quel momento, ma era tardi e dovetti scappare ispirando una scorta di aria di libertà per la giornata.
Arrivata al Pantheon, il locale dark -punk con la grande scritta al neon rossa fiammeggiante, mi ritrovai Magnus all'entrata con le braccia strette al petto e le gambe divaricate. Sembrava in assetto da guerra. Magnus era come un padre, mi aveva adottata quando ero piccola togliendomi dal sistema delle famiglie affidatarie dandomi un tetto sopra la testa. Era un omone di due metri, con un ampio petto e i capelli che gli arrivavano poco sotto le spalle, erano di un nero pece e la folta barba gli ricopriva gran parte della faccia, all'estremità una piccola treccina fermata da una specie di perlina color oro che era per lui, il suo portafortuna.
"Sei in ritardo" grugnì.
"Lo so" dissi passandogli di fianco e superandolo, non era una novità la mia non puntualità, ma non era dovuta ad un difetto caratteriale, semplicemente dopo la scuola mi andava di starmene da sola sul tetto di qualche grattacielo.
"Sai quanto sia importante l'allenamento" aveva un tono rassegnato e con una sfumatura di comprensione, sapeva bene quanto fosse dura per me, non ero una cacciatrice come lui e mai lo sarei diventata, ma vivere con i cacciatori voleva dire avere un bersaglio puntato sulla schiena , e a differenza loro, io, dovevo andare al college per assicurarmi una parvenza di futuro in questo mondo. capivo Magnus  lui voleva solo proteggermi e rendermi in grado di proteggermi nel caso in cui non avesse potuto farlo lui. Magnus era un cacciatore, una razza discendente dagli angeli della morte, metà angeli e metà uomini. Io invece ero una semplice umana, un'orfana senza radici che era stata salvata da un destino crudele quando, nel breve periodo in cui stetti in una casa famiglia, un'assistente sociale, che in realtà era un demone che si nutriva di bambini, cercò di uccidermi, avevo visto i suoi occhi cambiare forma, la pelle rangrizzirsi come se un fuoco invisibile la stesse consumando. Avevo urlato così tanto da perdere il fiato, il demone, un pazuzu, cercó di attaccarmi, ma dal nulla arrivò Magnus che prese il demone e lo eliminò lontano dalla mia vista, salvandomi non solo dal mostro, ma anche dal futuro che mi attendeva. Ero profondamente legata a Magnus, gli dovevo la vita, gli dovevo tutto.
Entrai nel Pantheon dove Salazar puliva il bancone con uno straccio che si lanciò sulla spalla quando mi vide.
"Ragazzina tutto bene?" Piegò la testa di lato.
Salazar era lo stratega dell'allegra combriccola, era molto magro con un groviglio di riccioli color carota. Aveva lo strano dono di leggere le carte, diceva sempre che nei suoi antenati c'erano dei negromanti una sorta di outsider, una razza che non si schierava da nessuna parte, ma che in passato aveva mosso fili dietro le quinte per i propri interessi. Non erano ben visti e non ci si poteva fidare e Salazar per primo denigrava quelle creature, ma la sua abilità ci era utile e gliene eravamo grati.
"Come al solito Sal, com'è andata la serata?" Il Pantheon era il quartiere generale dei cacciatori di New York, si ritrovavano per rilassarsi, per scambiarsi informazioni o per prendere nuovi casi, era il punto di riferimento anche per chi veniva da fuori e aveva bisogno di un appoggio o stare semplicemente in compagnia dei propri simili. A me era proibito andar lì di sera, i cacciatori anche se combattevano dal lato buono erano persone impulsive, irascibili  , ed erano un potenziale pericolo per gli umani, come me. Di giorno invece era difficile che i cacciatori si facessero vivi, visto che era la notte che si svolgeva il loro lavoro, la loro vita, perché per quanto i demoni ci fossero anche di giorno, non era facile farli fuori davanti a folle di persone, i demoni assumevano forma umana sulla terra ed era difficile spiegare un omicidio, perché era quello che vedeva un umano, un omicidio. 
Afferrai una mela rossa, ma prima che potessi addentarla con un movimento fulminino Sal me la tolse di mano rimettendola nella piramide.
"Non si tocca il cibo, lo sai bene." Mi rimproverò. 
"Ma non le mangia mai nessuno" piagnucolai.
Sbuffò profondamente.
"Ragazzina sono le regole che ti piaccia o no, il cibo non si tocca"
"Carne da macello" quella voce. La pelle mi si accapponò. Non era possibile. 
"Laurel dacci un taglio" 
La seconda voce invece per poco non mi fece cadere dallo sgabello.
Merda!
"Guai in arrivo" bofonchiò a denti stretti Sal andando a prendere le scatole di alcolici sul retro.
Laurel e Jeremy erano due cacciatori di un gruppo che militava a Philadelphia, era normale che venissero a farci visita ogni tanto, più che altro perché Roy, il capo del gruppo nonché loro padre era uno degli amici più cari di Magnus e ogni tanto ci spediva i figli per qualche sessione di allenamento extra o qualche pattugliamento sotto sorveglianza. Loro sapevano da sempre di me e per quanto Roy non fosse convinto della scelta di Magnus di prendermi con se decise di fidarsi di lui in nome del legame fraterno che li univa. Jeremy era bello, alto, muscoloso con labbra piene e zigomi alti i suoi capelli ramati si schiarivano sotto i raggi del sole e i suoi occhi azzurri erano un mare cristallino in cui mi sarei voluta annegare molto volentieri. Laurel la sua dolce gemella era semplicemente un dito nel culo, fin da piccine mi aveva sempre derisa e bullizzata davanti agli altri cacciatori del loro gruppo, la principessina che additava la stracciona senza sangue di cacciatore. E nessuno mi difendeva, perché fin da piccoli ai cacciatori veniva insegnato a cavarsela da soli e anche se io ero umana questa regola valeva anche per me. Un giorno però  Magnus mi trovò a piangere nello scantinato, mi disse di asciugarmi le lacrime e con voce dura mi disse:
"alzati e reagisci ragazzina, non risolverai mai niente piangendo" la voce era autoritaria, ma mi infuse grinta; tornai al piano di sopra mentre Laurel mi beffeggiava chiamandomi carne da macello, si vantava di avermi fatta scappare. Quando mi vide un sorriso sadico le si allargò sul viso angelico, pronta a qualche nuova cattiveria, ma prima che potesse dirmi altro le scoccia un destro in pieno viso. L'occhio nero le rimase per un paio di settimane e ogni volta che mi incrociava scappava con qualche stupida scusa. Era stata una bella rivincita.
Laurel stizzita dopo il rimprovero del fratello se ne andò verso il retro del locale con il suo caschetto biondo cenere. Era odiosa e brutta dentro, ma esteriorimente per mia sfortuna dovevo ammettere che era una bella ragazza, una bellezza  nord europea, slavata con occhi celesti come il fratello, lei incarnava perfettamente l'ideale dell angelo della morte, bella come un angelo e crudele come la morte.
"Mi dispiace" bofonchiò Jeremy prendendo lo sgabello accanto al mio e buttandocisi sopra, le spalle che si abbassavano rilassate, la maglia con lo scollo a V faceva intravedere i pettorali sodi. 
Giocherellai con le dita, scrostando piano piano lo smalto nero dalle unghie.
"Come te la passi Sophi?" 
Il suo sorriso era sempre un bel vedere, era dolce e quella fossettina che gli veniva poco lontano dalla guancia era sexy.
"Come sempre. Te Jeremy? So che ora sei ufficialmente un cacciatore" 
I cacciatori giovani prima di poter essere presenti in pianta fissa sul campo dovevano superare una specie di prova. Come nelle tribù indigene avevano un rito di passaggio all'età matura. Gli facevano organizzare una battuta di caccia in solitaria controllato a distanza da un altro cacciatore che fungeva da testimone e nel suo caso l'onore era toccato a Magnus che ne aveva tessuto le lodi. Infine il rito si concludeva con una cerimonia in cui veniva tatuato sulla pelle del nuovo cacciatore il simbolo che attestava che lo era a tutti gli effetti. Il tatuaggio era un serpente disposto a cerchio che si mordeva la coda, simbolo di eternità, perché morto un cacciatore ce ne sarebbe stato un altro che avrebbe preso il suo posto, era una vita precaria la loro, un giorno eri su questa terra il giorno dopo non lo sapevi. Era una cosa che mi angosciava, l'idea di perdere Magnus, Sal o Jeremy mi faceva venire un nodo alla gola.
Il petto di Jeremy si gonfió, fiero di quel traguardo.
"Si, è stato davvero emozionante e la caccia in solitaria..." i suoi occhi si accesero di una luce ardente "è stata una scarica di adrenalina pazzesca" lo ascoltavo rapita dal suono della sua voce, dal racconto di quella notte, me lo immaginavo combattere con il demone impugnando il suo pugnale di ferro, doveva essere stato un bel vedere. Mentre lo osservavo notai che Jeremy era davvero diverso, sembrava più maturo, non era più il ragazzino dal viso angelico, era più mascolino, aveva messo su più massa muscolare e una leggera barbetta bionda gli adornava il viso, lo faceva sembrare un po' più rude, più uomo. Con i muscoli che guizzavano ad ogni scatto ad ogni movimento del corpo, il mio cuore mancava un colpo. 
Poi improvvisamente si interruppe quasi a disagio.
In un primo momento non capii il perché, sperai che non si fosse interrotto perché mi aveva vista sbavare sull'immagine di lui che combatteva , ma poi ci arrivai, era per la mia umanità, aveva paura che il racconto mi ferisse, perché per quanto mi allenassi, per quanto vivessi con i cacciatori  io non lo ero e non lo sarei mai stata, non sarebbe mai arrivato quel rito per me. In passato la cosa mi faceva soffrire, le discussioni e le lacrime che avevo versato con Magnus non erano servite a niente, ma con il tempo ci avevo fatto il callo e mi ero rassegnata, avevo capito.
"Non è giusto" borbottò. "Tu sei una cacciatrice quanto noi, e sei anche più forte e agile di tanti altri cacciatori" 
"Stupide regole" forzai un sorriso cercando di sdrammatizzare e cambiare discorso. Mi assecondó sorridendo, ma si vedeva che fremeva per dire la sua, per prendere le mie parti, e amavo quel suo lato protettivo, lo amavo per tutto il suo essere Jeremy.
"Sophi.." sussurrò il mio nome in una maniera tale da farmi fremere, incrociai il suo sguardo, intenso, e mi sfiorò la mano, il cuore cominció a martellarmi nel petto e prima che Jeremy potesse vedere il rossore che si era diffuso sul mio viso Sal chiamó
"Ragazzina!" Urlò . 
Grazie a Dio pensai, per quanto quel toccó mi mandasse in estasi non ero pronta a palesare i miei sentimenti a Jeremy.
"Immagino che ti debba lasciar andare" il suo viso si ridistese e il suo sguardo tornò quello di sempre con gli occhi che sorridevano. "Resteremo qua una  settimana" fece una piccola pausa "se ti va potremmo prendere un caffè uno di questi giorni" gli feci un rapido segno di assenso con la testa e corsi da Sal.
"Ci conto" lo sentii dire mentre mi allontanavo con uno stupido sorrisetto dipinto in viso.
   
 
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