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Autore: Cathy Earnshaw    30/05/2017    0 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 17
Quello che non era stato previsto
 
 
Meowin respirò a fondo l’aria frizzante della sera. Quando aveva visto rientrare solo due draghi in compagnia di Bearkin non aveva potuto credere ai propri occhi, ma i primi messaggi ufficiali non avevano tardato a confermare quanto aveva appena osato sperare: a Phia l’esercito alleato aveva riportato la prima schiacciante vittoria sul campo. Ma c’era di più. Era comparso un nuovo stregone a dare manforte a Nastomer, Selene di Effort, nipote sedicenne di Re Storr. Quella carica di notizie l’aveva eccitata al punto da convincerla ad abbandonare la sua postazione per risalire fino a Lenada. Era là che Horlon stava radunando il proprio esercito, con l’intenzione di combattere sulle macerie di Shiren. Non che progettasse di mettere il naso sul campo di battaglia, ma voleva essere lì a godersi lo spettacolo della caduta dei draghi. Non riusciva a capire la reticenza del Re – come di molti altri elfi – all’idea di scendere in campo contro di loro. D’accordo, erano creature viventi, e sì, erano antichissime e bellissime, e lo sapeva, alcune leggende dicevano che fossero i preferiti degli Dei, essendo stati creati prima di tutti gli altri esseri raziocinanti. Ma i draghi non avevano il senso della misura, prendevano ciò che ritenevano dovesse spettare loro, distruggevano senza pensarci due volte boschi o città, seminando fuoco e morte, anche solo per mero capriccio. L’idea della guerra naturalmente non le piaceva per niente… in guerra le persone morivano, le case e le campagne venivano distrutte, centinaia di creature soffrivano e si spegnevano. Non era la guerra che lei desiderava. Ma non poteva nemmeno fingere che il pensiero di rimettere quei prepotenti coperti di squame al loro posto non la solleticasse. In fondo, quello che stava succedendo da qualche mese a quella parte non era che la logica conseguenza della politica passiva di Horlon, e di suo padre prima di lui. Se alle prime avvisaglie si fosse intervenuto, riportando l’ordine, o per lo meno facendo capire a Bearkin che la Terra dei Tuoni, e in particolare il Reame Eterno, non erano indifferenti alla sua condotta, forse… Meowin sospirò, consapevole dell’inutilità di quei pensieri. Si sembrava infantile da sola. Non riusciva ancora a dimenticare, però, come già ai tempi della sua spensierata giovinezza, prima della rivolta degli orchi e prima di entrare a far parte del sistema di spionaggio del Re, l’estremo sud mostrasse segni d’insofferenza. All’epoca girava il mondo con una compagnia di teatro itinerante, faceva l’attrice insieme a sua madre. Già da qualche anno avevano smesso di frequentare le vie carovaniere che correvano intorno alla Terra dei Draghi. Giravano strane storie: sparizioni, morti improvvise e inspiegabili, persone che tornavano a casa completamente fuori di senno. Poi era iniziata la rivolta, ed era successo di tutto. Orchi, orchetti e ogni genere di mostruosità si riversavano nelle pianure e nelle città. Scoppiò la guerra e la compagnia si sciolse. Meowin si ritirò a Fell con sua madre, dove durante uno degli assalti questa perse la vita. Mesi dopo, la guerra fu vinta, ma non senza spese. Il Re stesso aveva rischiato di morire. Fu allora che suo padre la convocò a Lumia. Nonostante non fosse nata dalla donna che aveva sposato, Alecno aveva sempre trattato Meowin nel migliore dei modi. Aveva provveduto alla sua istruzione, aveva mantenuto i contatti, nel giorno del suo compleanno aveva sempre fatto in modo di incontrarla… aveva fatto del suo meglio per riparare al danno, per così dire. Ma nonostante questo la convocazione a Lumia l’aveva sorpresa e spaventata. Fino a quel momento, l’unica persona a conoscenza della sua esistenza era Re Horlon, presentarsi là, nella capitale, avrebbe significato presentarsi alla vera famiglia di suo padre. Lo fece, seppur reticente. All’inizio non era stato semplice, ma aveva scoperto di avere un fratello meraviglioso, con il quale era entrata subito in sintonia. Frunn aveva una sensibilità superiore a chiunque altro, stare in sua compagnia le riusciva facile come respirare. Là aveva conosciuto Oliandro, e anche se il loro rapporto non era iniziato molto bene – erano entrambi tremendamente gelosi della compagnia di Frunn – ormai non riusciva ad immaginare la sua vita senza di lui. Aveva finalmente potuto conoscere di persona il Re, dopo averne tanto sentito parlare. Si erano piaciuti subito, istintivamente. Horlon era una persona pragmatica, schietta e carismatica, e per qualche motivo le aveva proposto di costruire quella rete di spionaggio di cui ora era a capo. Fin dal primo momento, l’aveva messo in guardia dai movimenti di Bearkin, perché anche se la rivolta aveva coperto tutto, era certa che le braci avessero continuato a covare. Tuttavia erano passati seicento anni prima che i draghi facessero la loro prima, decisa mossa, ma da quel momento era stato tutto così rapido da non darle il tempo di agire. Inoltre, non riusciva a perdonarsi di non aver compreso subito che Lantor fosse un doppiogiochista. Aveva fallito miseramente quando il Re aveva avuto più bisogno di lei, non poteva accettarlo. Nonostante tutto, lui continuava a riporre in lei tutta quell’immensa fiducia che sin da subito le aveva accordato. Scosse il capo e si asciugò gli occhi. Era un lavoro troppo solitario quello, prima o poi avrebbe smesso. Possibilmente prima di impazzire per i ricordi, la nostalgia e quei lunghi giorni da sola con il suo cavallo. Sull’orizzonte si profilava la città di Lenada. Si calò il berretto sulle orecchie e si preparò ad adottare il dialetto dei contadini del sud.
 
Horlon non aveva neanche il coraggio di respirare. Riuniti nell’infermeria improvvisata, Storr stava sgridando sua nipote da minuti interminabili, ma Selene non ne sembrava particolarmente impressionata. Le aveva detto che era stata avventata, che avrebbe dovuto chiedere consiglio a sua zia e poi comunque non farlo, che non sarebbe potuta tornare indietro, che il suo gesto sconsiderato aveva messo lui, Storr, in una pessima posizione davanti al Consiglio Ristretto. Suo padre l’aveva affidata ad Erina e si sarebbe infuriato da morire. Selene incassava tutto senza battere ciglio, come la cosa non la riguardasse minimamente.
«Insomma, non dici niente?!» sbottò infine il mago.
La ragazza sospirò. La sua prima reazione sensata dall’inizio della sfuriata.
«Lo so. Le sapevo tutte queste cose, ma che altro potevo fare? Ero certa che Tom sarebbe morto qui, ma se te l’avessi detto mi avresti mai creduto? Nessuno ci crede davvero, nei sogni premonitori…»
Storr esitò e Horlon iniziò a capire le ragioni della ragazza.
«Sarei morto sul serio» intervenne Nastomer. «Probabilmente agli occhi del Consiglio questa non è una motivazione sufficiente a giustificare il suo gesto, ma dal mio punto di vista lo è eccome!»
Storr si grattò nervosamente la benda che una guaritrice gli aveva avvolto intorno alla testa.
«C’è poco che possiamo fare, ormai. Ma mi aspetto che appena a Cyanor vi presentiate da Kirik per spiegargli come sia potuto succedere.»
«Vi sbagliate, c’è molto che possiamo fare!»
Tutti si volsero. Dalla sua branda, Frunn guardava fisso il mago con una determinazione che Horlon etichettò come inquietante.
«Davvero?» domandò Horlon spiazzato.
«Certo! Ormai le cose sono andate così e indietro non si può tornare. Ma abbiamo visto che due stregoni possono essere molto incisivi, possono risolvere il conflitto a nostro favore. Non fraintendetemi, vedo chiaramente le implicazioni politiche e diplomatiche di questa situazione, ma vedo anche un grosso lato positivo, e vi invito a provare a fare altrettanto. Che vi costa, ormai?»
Il mago e l’elfo si fissarono per qualche secondo, infine fu Storr a capitolare.
«D’accordo, potresti avere un po’ di ragione. Ma in ogni caso dobbiamo tornare a Cyanor, ora. Bearkin, oggi, ha assaggiato la sconfitta: meglio attaccare prima che si sia dimenticato quanto può essere amara.»
 
Oliandro fece scorrere il polpastrello sulla pergamena ruvida e prese un respiro profondo. Phia non era caduta. Nonostante la vittoria, però, la città aveva subito danni ingenti, e per questo il Re gli chiedeva di inviare architetti ed esperti che potessero iniziare a riprogettare quanto andato distrutto. Il Reggente rilesse il messaggio ancora una volta prima di convocare Aster. Per un attimo aveva sperato che suo zio gli avesse mandato notizie di Mei, ma non era così.
 
Il viaggio da Phia a Cyanor non fu facile per nessuno. I maghi di Storr limitarono al minimo la velocità di spostamento nell’aria, ma questo non bastò ad impedire che le ferite dolessero terribilmente. Aggrappato a Selene, Frunn aveva la sensazione che la sua testa fosse lì lì per aprirsi a metà. Non era il suo primo viaggio di quel tipo, perciò notò chiaramente quanto la ragazza si sforzasse di evitare sussulti e gliene fu profondamente grato. Quando infine posò i piedi nel cortile interno del Palazzo, Selene mollò la presa e Frunn vacillò.
«Ehi!» disse la ragazza affrettandosi a sorreggerlo. «Stai bene?»
Frunn strinse i denti.
«Più o meno.»
Selene lanciò un’occhiata alla fasciatura che l’elfo aveva intorno alla testa.
«Senti, volevo ringraziarti per quello che ha detto prima a mio zio» disse in un sussurro.
«È solo quello che penso» farfugliò, spiazzato.
Non era abituato a sentirsi interpellato in modo tanto confidenziale da degli estranei. Selene sorrise e fece per ribattere, ma si bloccò al sopraggiungere di Horlon.
«Frunn! Tutto bene?»
«Sono vivo, Sire. La vostra spalla?»
«Quale spalla? Io non ho alcuna spalla» disse stringendo i denti.
Frunn fece una smorfia.
«Grazie, Selene. Lascialo pure a me» disse il Re alla ragazza, che gli sorrise e fece l’occhiolino a Frunn prima di allontanarsi.
«Vedo che avete fatto amicizia.»
«Non saprei…» mormorò Frunn, perplesso.
Horlon gli passò un braccio attorno alla vita.
«Dai, ti accompagno alla tua stanza.»
Sentendo il mal di testa peggiorare istantaneamente, Frunn cercò di divincolarsi e balbettò:
«Che state facendo? Ce la faccio!»
«Hai riportato una brutta ferita, hai bisogno di aiuto.»
«Ma la vostra spalla…»
«Ne ho due» tagliò corto.
Frunn sospirò, rassegnato.
«È colpa mia, perdonami» disse Horlon trascinandolo per i corridoi insolitamente affollati per quell’ora.
Nonostante il via vai, nessuno sembrava prestare granché attenzione a loro, ma Frunn non sentiva il bisogno di domandarsi il motivo, e Horlon era concentrato su qualcosa che solo lui poteva vedere, con tanto di rughe in mezzo alla fronte.
«A cosa vi riferite?»
«A questo, alla tua ferita. Non avrei dovuto lasciarti combattere.»
«Già, non avreste dovuto.»
Horlon si irrigidì, Frunn lo sentì dalla stretta. Si affrettò ad aggiungere:
«Ma sono stato io a chiedervelo, e se mi aveste detto di no mi sarei offeso a morte.»
«Se tu non hai un minimo di istinto di autoconservazione, qualcuno dovrà pur badare a te! Avevo promesso ad Alecno che l’avrei fatto!»
Frunn non riuscì a trattenere una risatina.
«Cosa c’è?»
«No, niente… è solo che mio padre ha fatto promettere la stessa cosa a me. Di badare a voi, intendo. Pensa che, anche se non sembra, non siate in grado di farlo da solo.»
Horlon scoppiò a ridere, poi imprecò a fior di labbra.
«Maledetta spalla» sospirò. «Buono a sapersi, lo ringrazierò alla prima occasione.»
«Comunque non ve lo chiederò più, promesso. Mi siederò in un angolo, con una ciotola di noccioline tostate, a guardarvi vincere la guerra.»
Horlon fece una smorfia sofferente. Ormai la battaglia di Shiren era imminente e Frunn si domandò se pensasse di combattere con la spalla in quelle condizioni. Avrebbe dovuto chiedere a uno degli stregoni di sistemarla.
Quando raggiunsero la meta, Horlon si fece promettere dal suo segretario che si sarebbe messo a letto il prima possibile e si congedò. Frunn avrebbe tanto voluto infrangere quella promessa, doveva aggiornare le sue cronache, ma gli fu impossibile resistere oltre. Si trascinò fino al proprio letto, vi si lasciò cadere e chiuse gli occhi.
 
Quando Horlon raggiunse la sala riunioni, Kirik aveva già le mani nei capelli, ma non stava picchiando i pugni come l’elfo si sarebbe aspettato. Nastomer se ne stava seduto in un angolo con lo sguardo basso, mentre Selene misurava la stanza in passetti nervosi. Impialla, invece, reggeva un muro precario, a giudicare dall’ostinazione con cui vi stava appiccicato. Horlon fece scorrere lo sguardo da una figura all’altra più volte prima di concludere che c’era qualcosa di strano. Dov’erano i maghi, per esempio? E perché quei musi lunghi dopo una vittoria? Dopotutto la città danneggiata era sua…
«Allora?» domandò con un filo di voce, timoroso di sentire altre brutte notizie. «Cosa è successo?»
Kirik si passò una mano sul viso ispido e sospirò.
«Erina è stata male. Abbiamo fatto tutto il possibile, ma non è stato abbastanza…»
Il nano si interruppe e a Horlon si gelò il sangue nelle vene.
«Quindi? Parla accidenti! Come sta?!»
«Lei sta meglio, ma ha perso il suo bambino.»
Horlon rimase imbambolato a fissare la barba dell’Imperatore a lungo prima di riuscire a metabolizzare la notizia.
«Co-come è potuto succedere?» balbettò.
«Le guaritrici dicono che il suo fisico non è abbastanza forte per reggere una gravidanza e una guerra in contemporanea.»
«E Storr?»
«È con lei» mormorò Nastomer.
Horlon si passò le mani sul viso ancora sporco di polvere, cenere e sangue, cercando dentro di sé la forza per affrontare quella notizia terribile, ma non trovò altro che case in fiamme e città distrutte. Si domandò fino a quando sarebbe riuscito a reprimere certi violenti moti d’animo in favore della calma necessaria. Rimase lì immobile, le braccia lungo i fianchi, la sensazione che le mani pesassero troppo e che il tempo si fosse fermato. Poi improvvisamente sopraggiunse Glenndois, e nonostante il passo leggero, irruppe nella scena cristallizzata con la violenza di un uragano, spezzando l’impasse.
«Che succede?» domandò bloccandosi sull’uscio con gli occhi sgranati.
Kirik prese un respiro profondo, preparandosi a esporre di nuovo i fatti, ma Selene scoppiò a piangere.
«È stata colpa mia!»
«Calmati, Selly» balbettò Nastomer.
«Non mi posso calmare! Se è successo è anche per colpa mia, se non fossi scappata, dandole altre preoccupazioni, ora starebbe bene!»
«Se mio nonno avesse avuto una ruota, sarebbe stato una carriola» tagliò corto Kirik.
«Ma di cosa state parlando?!» domandò di nuovo Glenndois.
«Erina si è sentita male e ha perso il bambino che aspettava» spiegò stancamente Horlon.
«Era incinta?»
Selene singhiozzò più forte e l’elfo alzò gli occhi al cielo.
«Ora basta, bambina, ti prego! Basta! Piangere non farà stare meglio nessuno, e di certo non puoi prenderti la colpa di quello che è successo! Quello di cui dobbiamo preoccuparci adesso è la pianificazione dell’attacco finale!»
«Come fai a sapere che sarà l’attacco finale?» domandò Impialla senza abbandonare la parete.
Horlon esitò, spiazzato.
«Come potrebbe non esserlo?» lo soccorse Glenndois. «Ormai i giochi sono fatti: abbiamo riportato la nostra prima vittoria schiacciante, ma siamo conciati male… è inevitabile che il finale sia vicino. O noi o loro, e si deciderà su ciò che resta di Shiren non appena saremo pronti.»
Nastomer balzò in piedi, facendo scricchiolare la sedia.
«Quanto siete melodrammatici! Sentite, in questo momento, anche se siamo rottami, siamo più forti di loro, e siamo di più. Ormai quel che è fatto è fatto, ma possiamo porre fine a tutto questo. Chi ci viene a Shiren con me?»
Selene si asciugò gli occhi nella manica.
«Io ci vengo.»
«Ci siamo anche noi, che razza di domande!» berciò Kirik.
«Non fare lo splendido, ragazzino, il piano è nostro» sbottò Glenndois, strappando un sorrisino a Horlon.
«Nemmeno i maghi si tireranno indietro.»
Tutti volsero gli occhi all’ingresso. La figura di Re Storr riempiva l’arco della porta, le spalle diritte, la spada alla cintura… solo gli occhi cerchiati testimoniavano la sua condizione.
«Storr» mormorò Nastomer, ma il mago alzò una mano e il ragazzo tacque.
«Erina ed io vi siamo grati per la vostra vicinanza. Ora sono qui a pregarvi di rimandare a domani tutto ciò che riguarda questa guerra. Ormai è molto tardi e abbiamo una battaglia alle spalle.»
Horlon non se la sentì di obiettare e prese congedo, anche se avrebbe di gran lunga preferito togliersi il pensiero.
 
Nastomer aveva seguito meccanicamente Selene, e si era trovato a vagare senza meta per i corridoi addormentati del Palazzo. Dopo tutto quello che era successo in poche ore si sorprendeva di sentirsi così drammaticamente tranquillo. Perché avrebbe dovuto esserlo? Non c’era una sola ragione al mondo a giustificarlo. Era in guerra, era stato da un soffio dalla morte, un numero incalcolabile di persone era rimasto in vario modo ferito, o aveva subito perdite, Selene prima di tutti, facendo una follia per la quale non sarebbe mai esistito pentimento. Che cosa gli diceva il cervello? L’indomani avrebbero potuto morire tutti, e lui che faceva? Seguiva una ragazza disperata con l’unica aspettativa di tirare mattina. Pacifico.
«Selly, dove stiamo andando?» domandò in un sussurro.
Dalle finestre a mezzaluna si intravedeva il cielo punteggiato di stelle. Selene mugugnò qualche parola incomprensibile e Nastomer comprese che stava ancora litigando con sé stessa per non cedere al pianto.
«Ehi… l’elfo ha ragione, non puoi fartene una colpa.»
La ragazza lo ignorò e svoltò in un lungo corridoio illuminato da poche torce magiche.
«Selly?»
Nastomer allungò il passo e la obbligò a fermarsi.
«Mi vuoi ascoltare?»
Selene si volse verso di lui e lo guardò con quegli occhi obliqui.
«Dimmi. Ma fa che sia qualcosa di allegro.»
Nastomer esitò. Improvvisamente sentiva il peso delle parole che avrebbe scelto. Non poteva sbagliare.
«Non ti ho ancora ringraziata.»
«Sì che l’hai fatto.»
«Non con tutta la consapevolezza che meriti.»
«Che significa?»
«Ci sto arrivando adesso a capire bene che cosa hai sacrificato per salvarmi la vita. Insomma, rinunciare all’umanità è… è grossa, ecco!»
«Anche tu l’hai fatto.»
«Sì, beh, io ero convinto di restarci secco subito, in realtà. Invece tu ci aveva già pensato bene quando mi hai detto quelle cose sul vedere gli altri morire di vecchiaia, senza poterli seguire. Eppure l’hai fatto, senza dire niente a nessuno sei andata a cercare la Cascata. E l’hai fatto per salvare la vita a me!» esitò. «Perché… è per questo che l’hai fatto, vero?» aggiunse, improvvisamente insicuro.
Selene non riuscì a trattenere una risata.
«Sì, è per questo, cretino!»
«Meno male! Ormai mi ero illuso!»
La ragazza si morse un labbro e Nastomer ebbe giusto il tempo di notare quanto fosse carina prima di trovarsela avvinghiata al collo, le labbra premute contro le sue.
«Ma che fai?» balbettò arrossendo.
«Ti do un bacio. Te lo sei meritato! Oppure non lo volevi?»
«No, no!»
«Ah, ecco. Mi sarei offesa. Però…»
«Però?»
«Però devi promettermi che non mi lascerai da sola ad affrontare questo tempo infinito.»
Nastomer sorrise e annuì, anche se non era certo che Selene parlasse sul serio. Si sentiva la testa leggera.
«Ora me lo dici dove stiamo andando?»
«Da nessuna parte. Ho accumulato troppa energia e devo scaricarne un po’. E poi è meglio se tengo la mente impegnata» sospirò. «Le visioni si sono fatte più frequenti.»
Nastomer provò un moto di inquietudine.
«Che vuoi dire?»
«I sogni premonitori di cui parlavo oggi sono compagni di vecchia data. Li ho da quando la magia si è risvegliata, e non sono mai riuscita a controllarli. Vanno e vengono come vogliono, e negli anni sono diventata brava a distinguerli dai sogni normali» prese un respiro tremante e Nastomer rimase in attesa che proseguisse. «Da quando sono stata alla Cascata, però, vedo cose anche da sveglia. Vere e proprie visioni. E anche adesso continuo a non controllarle, quindi… quindi è come essere a piedi su una strada senza un albero per miglia e miglia, e ogni tanto piove a dirotto per qualche minuto. Non ho un posto per ripararmi!»
«Accidenti» mormorò il ragazzo coprendosi la bocca con le mani. «Deve essere orribile.»
«No, non così tanto. Ma disorienta. Eppure sento di esserci portata, è qualcosa che potevo già fare, solo che ora sono più potente e anche la preveggenza si è amplificata. Perciò posso trovare il modo di gestirla a mio vantaggio, solo che servirà tempo.»
Si fece pensierosa.
«Hai visto qualcosa sulla battaglia?»
«Quale?»
«Ma come quale? Quella di domani. O dopodomani. Insomma, quella
«Ah, quella. Sì, ma solo cose confuse» esito. «Non so, in questo momento ho altre priorità.»
«Sul serio?!» domandò confuso. «Ad esempio?»
«Dobbiamo preparare la strategia.»
«Ci penseranno i Grandi Re, no?»
«Loro non conoscono le nostre reali potenzialità.»
Nastomer annuì meccanicamente. Per qualche motivo, la piega che quel discorso stava prendendo gli metteva ansia.
 
Lenada dormiva ancora, avvolta nella foschia che precede l’alba, ma si sentiva già il canto degli uccelli sui tetti, e Meowin se ne sentiva irritata. Privava quel buio così meravigliosamente incerto e precario della magia del silenzio. Per quanto facesse parte di un lavoro che amava con ogni fibra del suo essere, l’elfa non aveva mai sopportato l’attesa, soprattutto quella prima di un’altra attesa. Di certo non era consigliabile per lei scendere in campo, quindi in realtà si trattava di aspettare gli eserciti per poi guardarli ripartire, per guardarli rischiare la vita senza poter fare nulla per aiutare.
“Sei ingiusta, Mei” si disse, forzando uno degli ingressi secondari del Tempio del Fuoco e richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. “Tu e i tuoi collaboratori sarete fondamentali per Lon, sarete i suoi occhi e le sue orecchie lungo tutto il perimetro della battaglia, e da lì in tutto il resto della Terra dei Tuoni”. Magra consolazione. Muovendosi nella penombra carica dell’odore di cera e di incenso, imboccò una scala a chiocciola e prese a salire. Era una lunga e pericolosa scalata quella che portava alle torri. Il salmodiare sempre più lontano dei sacerdoti le ricordava la risacca contro le scogliere di Lumia.
Non era mai stata particolarmente incline alla preghiera o alla mistica, ma attendere su una di quelle guglie a forma di fiamma l’arrivo dei draghi aveva un qualcosa di fatale che la affascinava. Dalle finestre strombate vedeva, sempre più piccola sotto di sé, la città di Lenada e, più lontano, dalla nebbia emergeva Shiren. La scacchiera era pronta.
 
«Io posizionerò i miei arcieri qui e qui» disse Horlon picchiettando con l’indice sulla mappa.
Kirik annuì.
«Mi sembra una buona soluzione. Cosa ne pensate voi?»
Nastomer si strinse nelle spalle.
«Per me parlate una lingua sconosciuta.»
«Anche per me» aggiunse Selene.
«A me sta bene» disse Storr.
Frunn cercò di concentrarsi per un momento su di lui, ignorando il mal di testa. Il Re dei maghi aveva occhiaie profonde ma sembrava lucido, proprio come aveva detto Horlon dopo averlo incontrato la notte precedente. Ed ora erano tutti lì, riuniti intorno alla mappa della Terra dei Tuoni, a discutere di come, dove e quando sferrare l’attacco decisivo a Bearkin. Frunn si passò una mano sul viso. Faceva fatica a restare focalizzato su qualcosa a lungo.
«Stai bene?»
Horlon lo guardava da sopra la città di Shiren con quei suoi occhi abbaglianti e Frunn arrossì.
«S-sì, tutto bene.»
Il Re lo fisso ancora per un attimo prima di riabbassare lo sguardo alla carta.
«Se i miei arcieri saranno qui, riusciremo a colpire fino a questa distanza, ma la gittata dei nostri archi non ci permette di più» proseguì.
«Questo è un problema relativo» disse Storr. «Posso fornire ai tuoi contingenti dei maghi di supporto, che non solo si occuperanno di potenziare le vostre frecce, ma vi proteggeranno dal contrattacco.»
«Sarebbe perfetto!» rispose Horlon, ma Frunn notò che l’entusiasmo delle parole non contagiava il volto del Re.
Con la mascella contratta e gli occhi ridotti a fessure, Horlon faceva paura, sembrava un giaguaro pronto all’agguato.
«E i miei? Chi penserà a miei?» intervenne Kirik.
«Io credo che i nani ci sarebbero di grande aiuto in campo aperto, sempre che si possa dire di una città» disse l’elfo. «Le loro scuri e i loro martelli sono di gran lunga più efficaci delle nostre lame sottili contro quelle creature di fuoco.»
«Può darsi, ma non li manderò per le strade senza la garanzia di uno scudo a proteggerli da ciò che pioverà dall’alto!»
Storr prese un breve respiro stizzito.
«A questo pensiamo noi. Ho uomini sufficienti per coprire le spalle di tutti, e me ne restano per aiutare i ragazzi.»
L’attenzione si spostò sugli stregoni.
«Lo sapete, no?» aggiunse il mago. «A voi spetta Bearkin.»
Selene annuì, mentre Nastomer si fece cupo.
«È chiaro. Però bisogna che i tuoi maghi si occupino della sua scorta. A Phia era costantemente circondato da draghi. Saremo anche in due, ora, ma lui non è uno qualunque…»
Storr annuì.
«Sta bene. Vedremo quello che possiamo fare.»
Calò un silenzio pesante. Frunn spostò lo sguardo dall’uno all’altro dei presenti, e notò che nessuno sembrava troppo fiducioso nella riuscita dell’attacco frontale e la cosa lo infastidì. Esitò un momento, poi si fece forza e intervenne.
«Voi ve lo ricordate, vero, che l’ultima battaglia l’abbiamo vinta?!»
Le sue parole furono accolte da sguardi attoniti e posture rigide, poi Glenndois sbottò in una risatina nervosa, che in qualche modo sembrò spezzare un incantesimo di immobilità.
«Il ragazzo ha ragione! Non abbiamo mai avuto un’occasione più favorevole e ci stiamo presentando all’appuntamento più importante con l’atteggiamento del perdente! È il momento di chiudere la partita, quindi via quelle facce!»
Tra il vociare e le pacche sulle spalle che seguirono, Frunn intercettò uno sguardo del Re che non riuscì a decifrare.
 
Selene sussultò quando Nastomer emerse dall’ombra del corridoio.
«Scusa, non pensavo di spaventarti.»
La ragazza si posò un dito sulle labbra e sillabò “dorme”, prima di chiudersi cautamente la porta alle spalle.
Nastomer la seguì nel salottino in cui l’aveva incontrata per la prima volta e si sedette. Selene spinse verso di lui un vassoio di pasticcini e il ragazzo si domandò se fosse molto scortese rifiutare. Lei ne prese uno e se lo rigirò tra le mani, lo sguardo perso nel vuoto.
«Come sta?»
Si strinse nelle spalle.
«È debole, ma non ha voluto che la aiutassi.»
«Nemmeno quando le hai detto di aver guarito le ferite di suo marito?»
«Se è per questo è stata più dura la spalla dell’elfo» sospirò. «No, è molto arrabbiata, non vuole restare qui mentre tutti partiranno.»
«Non può certo venire a Shiren!» esclamò Nastomer.
«Sarebbe troppo pericoloso anche se stesse bene, figuriamoci dopo un aborto spontaneo» esitò. «Ho avuto una visione, Tom…»
Nastomer trattenne il respiro.
«Di che si tratta?» domandò con un filo di voce.
«Storr morirà senza eredi. E io non glielo posso dire. Capisci? Si fanno forza dicendosi che non era tempo, che la prossima volta di certo andrà meglio, e io so che non sarà così, e mi sento dilaniata.»
«Ne sei certa?» mormorò cercando di ignorare il nodo in gola.
Selene annuì.
«Forse non è stata tutta colpa mia se Erina si è sentita male, ma non posso fingere con me stessa, so di aver aggravato le sue preoccupazioni in un momento così delicato…»
«Non darti più colpe di quante non meriti. È andata così perché doveva andare così, ora pensiamo a questa battaglia, una cosa per volta.»
«Tu non sei bravo a consolare, lo sai vero?»
Nastomer prese un dolce dal vassoio. Sarebbe riuscito a deglutirlo con la gola tanto chiusa?
«Lo so, ma mi impegno, anche se non si direbbe!»
Selene sorrise.
«Credo che vinceremo. Noi due rappresentiamo tutto quello che non era stato previsto: due stregoni adolescenti, appena consapevoli del loro immenso potere, che mangiano pasticcini a poche ore dalla loro battaglia decisiva… perché dovremmo restare sconfitti?»
   
 
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