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Autore: Beauty    31/05/2017    1 recensioni
La tranquilla cittadina di Heaven Barrow è stata sconvolta dall'omicidio di cinque studentesse, uccise con modalità che lasciano pensare all'opera di un serial killer. L'assassino è stato riconosciuto in Brandon Douthart, un ragazzo che ha sempre condotto una vita da recluso, tanto che nessuno o quasi sapeva della sua esistenza la notte in cui fu linciato dalla folla perché riconosciuto come il brutale omicida.
Un anno dopo, Calia Jefferson, liceale schiva e poco popolare, vede la scia di sangue ricominciare, quando altre ragazze incominciano a venire uccise. A tutto ciò, oltre alla diceria secondo cui Brandon Douthart non sarebbe realmente morto - o peggio, che sia tornato dall'oltretomba - si aggiunge l'opera di un altro assassino, che tormenta le sue vittime fino a spingerle a suicidarsi o a uccidersi a vicenda.
Mentre le persone intorno a lei si rivelano più ambigue di quel che credesse, e le morti inspiegabili continuano, Calia inizia a indagare per trovare il filo conduttore in quella catena di suicidi e omicidi - e a fare i conti con un passato inconfessabile che la vede strettamente collegata a Brandon Douthart e alla sua morte...
Genere: Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo II
 
Kimberly Warren
 
 
 
I can hold my breath, I can bite my tongue
I can stay awake for days, if that's what you want
Be your number one
I can fake a smile, I can force a laugh
I can dance and play the part
If that's what you ask
Give you all I am
 
I can do it
I can do it
I can do it
 
But I'm only human
And I bleed when I fall down
I'm only human
And I crash and I break down
 
 
 
Il professor Ruthven era in assoluto l'insegnante meno amato da Calia – e forse non solo da lei. Eppure letteratura inglese le era sempre piaciuta, e parecchio. Non che non fosse bravo come professore, anzi, spiegava ogni argomento con dedizione e dovizia di particolari, non tralasciava nemmeno le curiosità più inutili ma di maggior interesse per gli studenti e in generale era in grado di farti apprezzare la materia.
Questo fino a che non veniva il momento del compito in classe.
Ruthven pretendeva molto, ma non era solo questo il problema. Ogni sua verifica era strutturata in modo che niente di ciò che andava studiato potesse essere tralasciato, chiedeva ogni data e ogni figura retorica possibile e immaginabile, esigeva una conoscenza perfetta della vita di ogni autore e un'analisi impeccabile di qualsiasi opera trattata in classse o assegnata per compito a casa, il tutto ovviamente redatto in calligrafia perfetta e senza errori grammaticali. Per una lettera fuori posto o una data sbagliata era in grado di rifilarti una F senza pensarci due volte. Raramente giudicava la loro preparazione adeguata, Calia stessa pur studiando ogni giorno letteratura – un rush finale la sera prima della verifica sarebbe equivalso a firmare la propria condanna a morte – arrivava a malapena a una striminzita B +.
Sembrava ci godesse a dare brutti voti e a trattare tutti loro come degli idioti. Ruthven non aveva mai fatto mistero di considerarli degli emeriti imbecilli che non avrebbero combinato niente nella vita e che rappresentavano una grossa perdita del suo preziosissimo tempo, tanto non sarebbe mai riuscito a far entrare niente in quelle teste bacate. Perdeva la pazienza con la facilità con cui si cambia fazzoletto quando si ha un raffreddore, pretendeva assoluto silenzio durante le sue lezioni e le sue punizioni erano da manuale. Una volta, Justin Asher, per aver scambiato dei bigliettini con un altro ragazzo, si era beccato oltre alle obbligate tre ore di doposcuola, anche una ricerca sul Medioevo di centocinquanta pagine da consegnare per il giorno seguente. Hayley Mitchell, la ex ragazza di Pete Davis, era corsa fuori dall'aula in lacrime dopo che Ruthven aveva pesantemente criticato la sua maglietta che lasciava appena intravedere l'ombelico. Calia e Tammie, una volta, erano state punite con duecento pagine di saggio su James Joyce.
Non aveva alcuna empatia per gli studenti. Infatti, Calia non si stupì per nulla quando il professore entrò in classe e non spese alcuna parola su quel che era successo a Tammie.
- Aprite il libro a pagina duecentocinquantasette - ordinò; in classe era piombato un silenzio di tomba non appena Ruthven aveva fatto il suo ingesso. Calia si chinò per recuperare il volume di letteratura dallo zaino, mentre il professore inforcava gli occhiali e si metteva alla ricerca dei gessetti per la lavagna.
Era un uomo ancora tutto sommato giovane, non doveva avere più di quarantacinque o quarantasei anni, ed era molto alto e robusto, circa un metro e novanta di altezza per delle spalle da giocatore di football. I capelli castani erano tagliati corti sulla nuca e con un ciuffo che ricadeva sugli occhi, e stavano cominciando a ingrigire. Aveva dei tratti molto particolari, che ricordavano la simmetria delle statue greche: mento pronunciato, naso regolare, labbra strette e sottili, zigomi alti e fronte ampia. Gli occhi erano neri e duri, e ogni volta che si arrabbiava o che notava qualcosa che non era di suo gradimento in essi balenava un lampo di irritazione. Vestiva sempre in modo molto classico, con giacca e pantaloni e camicia con cravatta. Indossava sempre completi scuri, con colori che variavano dal nero, al marrone, al grigio e, raramente, al blu notte.
A Calia non era mai capitato di vederlo arrivare in classe non sbarbato o in disordine, e quest'eleganza forse innata contribuiva solo ad aumentare il senso di soggezione che incuteva, non solo negli studenti. Era fatto universalmente noto che non fosse particolarmente apprezzato nemmeno dal preside o dal corpo docenti: se ne stava sempre sulle sue, parlava poco e solo lo stretto necessario, e non spaziava mai in altri argomenti che non fossero di lavoro. Sua zia, in confidenza, le aveva detto che alle riunioni d'istituto sembrava quasi annoiarsi, arrivava puntuale e filava via non appena la seduta era terminata, come se non volesse avere niente a che fare con nessuno di loro.
Calia aprì il libro e cercò la pagina. Ruthven aveva accennato loro che quel giorno avrebbero iniziato un nuovo argomento, e infatti la scritta a caratteri cubitali in cima alla pagina lo confermava.
 
I MOSTRI DELLA LETTERATURA
Dal romanzo gotico all'orrore dell'amore
 
Calia avvertì un senso di nausea che s'impose di ricacciare indietro.
Ruthven aveva intanto scritto la parola mostro al centro in cima alla lavagna e si era rivolto verso di loro.
- Qualcuno sa dirmi cos'è un mostro?- domandò.
Calia aveva sempre partecipato alle lezioni di letteratura inglese seduta in banco vicino a Tammie. Ora il banco accanto a lei era vuoto, ed era stato svuotato di tutto ciò che la ragazza aveva lasciato: penne, qualche spicciolo, dei fogli con gli appunti...
Due file dietro di lei, la ragazza con il cardigan e il braccialetto di Hello Kitty alzò prontamente la mano, e rispose senza attendere il permesso.
- Freddy Krueger – cinguettò.- Oppure lo squalo, o anche...
- Non le ho chiesto un esempio di mostro, signorina Warren. Ho chiesto una definizione. Qualcun altro vuol provare a rispondere?
Nell'aula tornò il silenzio. Ruthven li squadrò.
- Nessun0?- incalzò.- Come pensavo...- sospirò dopo qualche secondo, con una smorfia. Prese a scribacchiare sulla lavagna mentre parlava.- Secondo la definizione che possiamo trovare sul dizionario, il termine mostro può riferirsi a una creatura mitica avente connotazioni innaturali o sovrannaturali tali da suscitare sgomento oppure orrore. Più in generale, esso può essere riferito a un fenomeno assurdo o contraddittorio. In biologia, ci si riferisce a un individuo animale o vegetale che presenta gravia anomalie. Infine, la parola mostro può essere riferita a un criminale efferato o a un essere dalla bruttezza repellente.
- Praticamente, Brandon Douthart - ridacchiò Justin Asher, suscitando delle risatine tutt'intorno. Calia fissò il banco e strinse più forte la penna che teneva fra le dita.
Ruthven fulminò il ragazzo con lo sguardo, e ciò bastò per far cessare l'ilarità così come era arrivata.
- Un'altra parola non interpellato, signor Asher, e si farà due ore di doposcuola sotto la mia supervisione, oggi pomeriggio. E ora, se avete finito di starnazzare come delle galline senza cervello, comincerei a introdurvi al nuovo argomento...
Qualcuno bussò alla porta, due o tre colpi timidi e incerti. Ruthven alzò gli occhi al cielo e Calia lo sentì digrignare un che altro c'è?! fra i denti, prima di dare il permesso di entrare.
Sulla soglia della classe si affacciò una ragazzetta alta e allampanata, con gli occhi azzurri e una cascata di capelli color biondo miele che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle. Aveva la bocca piccola e marcata da un lucidalabbra color rosa confetto, lo stesso colore dell'ombretto sulle palpebre. Indossava una camicetta bianca e un paio di jeans, e portava un filo di perle al collo – dettaglio quest'ultimo totalmente fuori luogo, pensò Calia, quella collana sarebbe andata bene per una soirée più che per venire a scuola.
Il professor Ruthven la guardò accigliato.
- Sì?
- E' questa l'aula di letteratura inglese del professor Ruthven?- pigolò la ragazza. Aveva una voce da bambina che si adattava perfettamente al visetto grazioso e infantile.- In segreteria mi hanno detto di venire qui - gli porse un foglietto piegato in quattro che Ruthven prese e lesse con poco entusiasmo.
- Sì, è nel posto giusto. E' lei la nuova studentessa?
- Ehm...suppongo di sì.
- Oh, dannazione, adesso mi toccherà interrompere per fare le presentazioni...- sbuffò l'insegnante, alzandosi dalla sedia. La nuova ragazza avvampò, e Calia sentì qualcuno sghignazzare sotto i baffi.- E va bene. Come si chiama?
- Valerie Bell, professore. Ma tutti mi chiamano Val...
- Io la chiamerò “signorina Bell”, si metta il cuore in pace. Gli altri possono fare ciò che vogliono per quel che m'interessa. E si è appena trasferita in questa noiosa cittadina da...?
- Philadelphia, professore. Sono...venuta a stare con mio padre.
- E le piace Heaven Barrow? Non che mi aspetti di ricevere chissà che risposta, dicono tutti di sì...
- Ehm...è...è una bella cittadina...- la nuova arrivata era paonazza e sembrava sul punto di morire per l'imbarazzo. Le risatine ora erano più udibili. Calia provò quasi pietà per lei.
- Buco di periferia, vorrà dire. Ma è troppo educata per farlo. Va bene, signorina Bell, sono sicuro che il contatto con i suoi compagni di classe l'aiuterà a fare conoscenza. Vada a sedersi laggiù, vicino alla signorina Jefferson.
Ruthven indicò il banco vuoto che era stato di Tammie. Calia avvertì un tuffo al cuore. Sapeva che sarebbe successo, prima o poi, ma ora che stava accadendo doveva soffocare l'impulso di urlare tutto il suo sdegno in faccia a Ruthven e di impedire alla ragazza nuova di sedersi al posto che era stato della sua migliore amica.
Non le sembrava vero né concepibile che qualcun altro potesse sedersi al posto di Tammie, quando loro due erano sempre state in banco insieme dalla prima elementare.
Valerie Bell ringraziò con un sorriso dai denti bianchissimi, neanche fosse stata la protagonista di una pubblicità di dentifricio, e si avviò verso il banco. Calia provò una fitta al cuore quando la sentì sedersi accanto a sé e sistemare la sua roba sulla superficie. Non alzò lo sguardo dal libro, ma sapeva non sarebbe potuta durare a lungo.
Infatti, un attimo dopo la sconosciuta si volse verso di lei.
- Ciao!- la salutò con un entusiasmo fuori luogo.- Io sono Valerie, ma puoi chiamarmi Val. Anzi, ti pregherei di farlo, odio il mio nome - rise, e anche questo a Calia suonò fuori luogo come il saluto e la collana di perle. Val le tese la mano.
Calia esitò. Vide che aveva le unghie ben curate e smaltate. Continuava a sorriderle con quella dentatura da pubblicità e a guardarla con quegli occhi azzurri uguali a quelli di Tammie.
Le strinse la mano con cautela.
- Calia Jefferson - gracchiò.
- Calia? Bellissimo nome. Sai che quando ero piccola la mia vicina di casa aveva una cagnolina che si chiamava Calia?
Che razza di roba è da dire a una che neanche conosci?, si domandò Calia, ma rispose solo con un sorriso tiratissimo. Quella tizia sembrava il manichino ambulante delle cose da non dire e da non fare.
Prese la penna e i fogli per gli appunti per ricopiare la definizione che Ruthven aveva scritto alla lavagna, sperando che Val la lasciasse in pace, ma la speranza fu vana.
- Sono arrivata l'altro ieri. Oggi è il mio primo giorno e sei la prima persona con cui parlo! Sono passata in segreteria, mi hanno dato il foglio con gli orari...ho letteratura con Ruthven, e matematica con la Penley. Anche tu sei nella sua classe?
Calia annuì.
- Fantastico! E hai anche psicologia con la Cardenas e storia con Reid?
Cali annuì di nuovo, sentendosi morire. A quanto pareva si sarebbe sorbita quella ragazza in ben quattro corsi, e se la sfiga ce l'avesse avuta con lei era possibile se la ritrovasse anche a biologia, francese ed economia domestica.
Val batté le mani per la contentezza. Santo cielo, sembrava veramente una bambina! Calia alzò gli occhi al cielo e terminò di scrivere la definizione alla lavagna.
Il professor Ruthven iniziò a spiegare, il che mise a tacere Val. La nuova arrivata prese penna e taccuino e cominciò ad annotare parola per parola il discorso dell'insegnante.
- L'argomento che ci accingiamo ad affrontare è il mostro nella letteratura. I pochi che hanno prestato attenzione alla definizione di mostro avranno forse compreso che il campo che dovremo esplorare è molto ampio e variegato. Il mostro non è solo un qualcosa di brutto, repellente, che ci disgusta. Il mostro è qualcosa o qualcuno che mina ogni nostra sicurezza. Qualcosa che non conosciamo, e che in virtù di questo ci spaventa. La bruttezza è un fattore assolutamente variabile, sebbene in più di un caso sia presente. Prendete il Dracula di Bram Stoker: il conte vampiro romeno è descritto come un uomo forse non bello secondo i comuni canoni estetici, ma comunque ricco di fascino e carismatico. Nonostante ciò, lo possiamo definire un mostro in quanto succhia il sangue – e dunque la vita – alle sue vittime. Troveremo diversi esempi di mostro nella letteratura. Alcuni dei romanzi che andremo ad analizzare saranno Il monaco, Notre Dame de Paris e Carmilla; vi accorgerete, sempre che non vi addormentiate sui banchi, che la maggior parte di queste opere possiede un filo conduttore unito alla mostruosità: la sessualità.
Calia avrebbe potuto giurare che la sua vicina di banco fosse avvampata a quella parola. Non seppe se ridere o se esasperarsi ancora di più.
- In quasi tutti i romanzi troveremo una componente sessuale molto spiccata. Alcuni di voi potrebbero chiamare determinati rapporti storie d'amore, ma ciò è inesatto, secondo il mio punto di vista e secondo quello di numerosi critici autorevoli. Molto spesso il mostro in questione prova un'attrazione erotica e sessuale per un personaggio che rappresenta il suo opposto. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di una ragazza poco più che adolescente, simbolo di purezza e castità, e dunque formalmente lontana dall'orrore incarnato dal mostro. Ho parlato di un personaggio femminile, ma non sempre è la regola. Nel Fosca di Tarchetti abbiamo un caso di ruoli inveriti, dove il mostro è colei che da il titolo al romanzo, e il virginale oggetto del desiderio è un giovane militare. Fatta questa breve introduzione, passo a spiegarvi come sarà impostato questo argomento: leggeremo un libro a settimana, ho già pronto un elenco di titoli che vi farò avere a fine lezione. Ogni venerdì voglio sulla cattedra una relazione di almeno venti pagine sul romanzo trattato in classe che dovrete provvedere a leggere a casa. Al termine dell'argomento mi consegnerete un saggio sul mostro e la sessualità, con riferimenti puntuali alle opere trattate. Capirete da soli che si tratta di un lavoro corposo, dunque vi consiglio di lavorarci a mano a mano che leggerete i vari libri. E per facilitarvi il compito, accetto elaborati compilati in coppia. No!- intervenne subito Ruthven, vedendo due ragazze che iniziavano a parlottare fra di loro per mettersi d'accordo.- Stavolta farò io gli abbinamenti. Ogni volta che vi organizzate da soli finisce sempre che o non combinate niente o combinate uno schifo...
Si alzò qualche mormorio di disappunto. Calia non disse nulla, ma si rattrappì su se stessa evitando di guardare due banchi dietro di lei. Ruthven non era un idiota: già altre volte aveva formato personalmente le coppie per un progetto, e aveva la bastardissima capacità di abbinare persone che sapeva che insieme avrebbero lavorato senza perdere tempo, ma non metteva in coppia due quasi sconosciuti o gente che non si sopportava. Stava attento ad abbinare persone che erano in sintonia fra loro.
E in classe c'era stata una sola persona, oltre a Tammie, con cui Calia fosse mai stata in sintonia...
Pregò che Ruthven non la abbinasse con la ragazza con il cardigan, e tirò un sospiro di sollievo quando quest'ultima finì in coppia con Helen Parker. Il professore continuò a formare le coppie sfoltendo mano a mano la lista degli studenti.
- Jefferson e Bell.
Quella fu la bastardata finale. Calia guardò prima la sua compagna di banco poi l'insegnante. Ruthven le restituì l'occhiata come a voler dire sono io che decido, prova ad aprire la bocca e fili dal preside e continuò imperterrito ad annunciare le altre coppie.
- Sono contenta che lavoreremo insieme!- trillò Val, di nuovo con il sorriso da pubblicità del dentifricio.- E' anche una comodità, visto che siamo anche in banco insieme. Quando cominciamo?
- Non lo so, c'è tempo...- biascicò Calia in risposta.
- Ma il professore ha detto che è meglio fare il lavoro di volta in volta!
- Non ha neanche ancora dato i titoli dei libri...
- Il primo romanzo che andremo ad analizzare sarà Dracula di Bram Stoker - annunciò il professor Ruthven.- Prendete il quaderno e scrivete. Cominceremo con alcune informazioni sulla biografia dell'autore. Stoker nacque a Clontarf nel 1847...
Calia prese ad annotare svogliatamente nomi e date sul quaderno. Val le diede una gomitata in un fianco che avrebbe voluto essere scherzosa, ma che di fatto le procurò una forte fitta al costato.
- Ehi!- bisbigliò.- Io ce l'ho il romanzo! Possiamo leggerlo insieme, così non devi neanche comprarlo...
Calia non replicò.
 
L'ora di Ruthven arrivò al termine abbastanza presto, e non appena la campanella suonò Calia si rese conto di essere accerchiata da due belve: Val Bell al suo fianco che aveva tutta l'aria di voler attaccare bottone un'altra volta, e la ragazza con il cardigan dietro di lei che stava venendo nella sua direzione per parlarle.
Calia raccolse lo zaino e filò fuori dall'aula senza salutare.
La ragazza con il cardigan non fu abbastanza svelta da andarle dietro, a differenza di Val che la raggiunse quasi subito.
- Ehi!- cinguettò.- Dove abiti? Io sto in Bottlebrush Road, e tu? Magari possiamo fare la strada insieme...
- Sto in Tulip Street, è dalla parte opposta alla tua - ringhiò Calia mentre uscivano in cortile e scendevano lungo i gradini d'ingesso della Heaven Barrow High School.
- Non importa, ho l'auto.
- Mi accompagna a casa mia zia, oggi - in realtà, zia Angela le aveva solo di aspettarla fuori perché voleva darle un passaggio, ma lei non aveva detto che accettava. Si sistemò lo zaino sulle spalle e fece un cenno con la mano a Val in segno di saluto.
- Oh...uhm...okay, allora, sarà per la prossima volta!- squittì.- Solo una cosa...quando devo venire a casa tua?
Calia si voltò a guardarla incredula.
- A casa mia?
- Per il progetto. Il professore ha detto che prima cominciamo e meglio è. Casa mia purtroppo è un caos, ho ancora tutti gli scatoloni da svuotare...Porto io il libro e il PC, tu dammi solo un indirizzo...
- Ne riparliamo domani.
Calia girò i tacchi non appena vide la ragazza con il braccialetto di Hello Kitty uscire a sua volta sui gradini della scuola, piantando lì sia lei sia Valerie Bell con il suo sorriso scintillante.
Non attese neanche che sua zia terminasse di lavorare, e si avviò a casa a piedi.
 
Lei e Tammie si conoscevano sin dalla prima elementare, e capitava spesso che i genitori non potessero venirle a prendere a scuola – il signor Bentley perché dopo essere rimasto vedovo doveva lavorare il doppio per portare a casa uno stipendio dignitoso, e Monica essenzialmente perché erano più le volte in cui si dimenticava che non quelle che si ricordava. Così, quando dovevano fare la strada da sole, facevano a turno in modo che ogni volta una accompagnasse a casa l'altra e viceversa. Di tanto in tanto, Calia non tornava neanche e si fermava a dormire da Tammie.
Tulip Street non era vicina alla Heaven Barrow High School, ma in compenson era a dieci minuti da Sweet Alyssum Street, così Calia decise di allungare il percorso e passare accanto alla casa di Tammie.
Si pentì immediatamente dell'idea non appena vi si trovò di fronte.
Le luci della villetta erano spente, la porta chiusa e il giardino ben curato fermo in una sorta d'immobilità sovrannaturale. Le persiane della finestra della camera di Tammie erano sbarrate.
Calia si domandò se il signor Bentley fosse in casa e se non fosse il caso di citofonare e fargli un saluto, ma poi si disse che era meglio di no. Non avrebbe saputo cosa dirgli, e non era neanche sicura che sarebbe riuscita a mettere piede in quella casa senza crollare di nuovo.
Gli occhi e il naso le pizzicarono, ma non uscì nessuna lacrima. Le aveva già esaurite, pensò. Certo, non era abituata a piangere.
Si allontanò in fretta da casa Bentley e si diresse verso Tulip Street.
Heaven Barrown non era una città molto grande. C'erano pochi quartieri, il centro, qualche locale notturno, la scuola, l'ospedale e la stazione dello sceriffo. Era niente più e niente meno che una cittadina tipica e un po' stereotipata della provincia americana. La vera particolarità che distingueva Heaven Barrow era il Bosco.
Calia non era sicura che avesse un suo nome. Lei e chiunque altro di sua conoscenza lo avevano chiamato sempre e soltanto il Bosco. Se si percorreva la strada verso est, si lasciava Heaven Barrow e s'imboccava la tangenziale; se invece si seguiva la direzione ovest, si andava incontro al Bosco.
Era un agglomerato di alberi, cespugli e arbusti che si inerpicava su per una parete rocciosa. La vegetazione era molto fitta e intricata, tanto che farsi strada là in mezzo era parecchio difficoltoso, sia in auto che a piedi...ma d'altra parte, nessuno ci andava mai. C'erano delle vie, stradine sterrate che correvano in mezzo agli alberi e che erano abbastanza larghe perché potesse passarci un SUV, ma erano talmente piene di buche e sassi sporgenti che era veramente rischioso addentrarsi là dentro e sperare di non bucare una gomma o di perdersi. Trattandosi di una macchia boschiva non c'erano cartelli stradali, e smarrire l'orientamento era molto difficile.
E poi, c'erano i burroni e le scarpate.
Anche i cacciatori tendevano a evitare il Bosco, o perlomeno di addentrarsi troppo in esso, a causa di questo. La strada era sempre in salita, e prima o poi ci si trovava a costeggiare un burrone, e se i pneumatici scivolavano era finita.
Tulip Street era a pochi chilometri dal Bosco.
Teoricamente sarebbe dovuto essere un quartiere elegante come Sweet Alyssum Street o Bottlebrush Road, ma nella pratica la sua era una raffinatezza di facciata. Era pulito e ordinato, con le sue due schiere di villette in pieno stile statunitense, ma gli affitti erano a basso costo, molti degli edifici avevano bisogno di ristrutturazioni ed era il quartiere più in periferia di Heaven Barrow. Era chiaro che si trattasse di un luogo dove abitava chi non poteva permettersi una vita altolocata ma ci teneva comunque a mantenere una certa apparenza.
Il ritratto sputato di tua madre, sussurrò una vocina dentro la sua testa, che Calia non si curò neanche di mettere a tacere.
La ragazza rallentò un po' il passo quando si trovò a pochi metri dal sottopassaggio.
La via più breve per arrivare a casa sua era attraversare un breve tunnel pedonale sotto il livello della strada. Era un posto lurido che puzzava di urina di cane, a cui si accedeva scendendo sette gradini.
Calia li percorse lentamente, arrestandosi sulla soglia del tunnel. C'erano tre lampadine attaccate alla sommità che gettavano una luce fioca sui disegni contro le pareti. Qualche genio, giocando sulla vicinanza di Tulip Street al Bosco, aveva avuto la grande pensata di decorare le pareti laterali del tunnel con immagini raffiguranti una foresta. Adesso i disegni erano ancora distinguibili, anche se parzialmente coperti da graffiti fatti con bombolette spray che recavano scritte oscene o stilizzazioni di organi genitali.
Calia prese un bel respiro e iniziò a percorrere il tunnel. Quando erano bambine, a lei e a Tammie quel posto faceva paura – complice anche Monica che, ubriaca, una volta aveva raccontato loro la storia di una strega che viveva là sotto e divorava i bambini. Si tenevano sempre per mano quando lo attraversavano e lo percorrevano quasi sempre di corsa per giungere il più in fretta possibile dall'altra parte.
Calia adesso aveva quello stesso impulso, ma non per paura della strega, bensì per il ricordo di cosa era accaduto ad Ashley Patterson là sotto.
Rabbrividì e accelerò il passo per uscire dal tunnel.
 
Arrivò a casa che il sole stava quasi per tramontare.
Vivevano in quella villetta da quando Monica era rimasta incinta di Michael ed erano dovuti emigrare a Heaven Barrow per evitare lo scandalo. O per farsi prestare i soldi dalla zia per campare. Sua madre l'aveva affittata per una cifra ridicola che pure non era riuscita a pagare, infatti era Topher che si occupava di tutte le spese.
Era color rosa cicca con la vernice scrostata e l'erba in giardino che arrivava fino alla vita di Michael. Calia infilò la chiave nella serratura ed entrò.
Aveva visto già dall'esterno che tutte le luci erano spente, ma domandò comunque se ci fosse qualcuno. Giusto per essere pronta a scappare fuori se si fosse accorta della presenza di Topher.
Nessuno le rispose, e Calia si sentì subito più tranquilla. Si sfilò le scarpe e si diresse verso il salotto. Era una stanza piccola, con un divano foderato di bianco e macchiato, un tappeto, una televisione e un lungo tavolino a muro su cui erano piazzati il telefono e una serie di fotografie di famiglia.
La maggior parte di esse ritraevano Monica e Topher in parecchi, insulsi momenti della loro storia che si trascinava da cinque anni: sua madre e il suo patrigno in vacanza a Miami – vacanza pagata con i soldi di zia Angela destinati all'apparecchio per i denti di Michael –, loro due il giorno del loro matrimonio, con Monica in uno striminzito color grigio perla e Topher alticcio, sempre loro due decisamente sbronzi a una festa della ditta dove lavorava l'uomo, e tante altre. In un angolo c'era l'unica fotografia dei figli di Monica – Topher sosteneva che loro tre fossero poco fotogenici e che dunque tenere troppe immagini di loro in casa sarebbe stato antiestetico: c'erano Calia e sua sorella Heather che abbracciavano Michael mentre si accingeva a spegnere le candeline sulla torta dei suoi quattro anni.
Mancavano totalmente le fotografie del padre di Calia ed Heather – il signor Jefferson, che era il loro genitore ma non quello di Michael, era morto in un incidente d'auto quando le due bambine avevano cinque e due anni, e Topher non sopportava di vedere la foto dell'uomo che lo aveva preceduto in giro per casa – e di zia Angela – che Monica non voleva vedere perché la considerava una lurida usuraia del cazzo.
Calia, comunque, ne aveva una ciascuno nascoste nel cassetto del comodino.
Vide che sua madre si era finalmente decisa a ricomprare un telefono fisso – il suo predecessore l'aveva sfasciato Topher lanciandolo contro il muro – e che c'erano due messaggi in segreteria.
Calia ascoltò il primo.
- Ciiaao teshoro...- biascicò la voce di Monica; Calia si trattenne dal cancellare immediatamente il messaggio.- Volevamo dirti che...- seguì una risatina alticcia, acuta e isterica.- Dai, Toph, smettila...! Ascolta, io e tuo padre sci fermiamo fuori stanotte...la festa non è andata come previsto...- altra risatina isterica.- E poi volevo dirti che...cos'altro? Ah, sì, tuo fratello dorme dal suo amico Joey, sua madre li porta tutti e due a scuola domani mattina...guarda in frigo, dovrebbe esserci qualcosa per cena. Ciao ciao!
Ennesima risata idiota e la comunicazione venne chiusa.
Calia ascoltò il secondo messaggio.
- Ehi, Calia, sono Heather - disse la voce piatta di sua sorella.- Mamma e Topher stasera escono, non so se lo sai...comunque, volevo dirti che Michael dorme da un amico e che io mi devo fermare in biblioteca per studiare con Emma. Ho un compito in classe di geografia, domani. Ha chiamato zia Angela. E' incazzata nera con te perché oggi non l'hai aspettata. A proposito, dov'eri? Non c'eri sull'autobus...In ogni caso, chiamala, okay? Ha telefonato anche una certa Kimberly Warren, ha detto di essere una tua compagna di classe e di voler parlare con te. Magari richiama anche lei, che dici? Beh, ciao, a dopo.
Calia riascoltò una seconda volta il messaggio di sua sorella, ma non richiamò né sua zia né Kimberly. Si fece una doccia e mise su una tuta da ginnastica, poi prese delle patatine dalla credenza e si chiuse in camera sua.
Sgranocchiò qualcosa mentre apriva il PC.
Si connesse a Facebook pur sapendo che si sarebbe trattato di un atto masochistico.
Guardò velocemente il profilo in disuso di Tamara Bentley ed evitò come la peste la pagina di ricordo in suo nome. Passò al proprio profilo: raramente lo visitava e non lo aggiornava da...quasi un anno, ormai.
Ci trovò due messaggi nella casella di posta e una richiesta di amicizia. Aprì quest'ultima e vide che si trattava di Val Bell.
Calia sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Non capiva perché quella ragazza si fosse così tanto fissata con lei. Non doveva essere solo perché Ruthven le aveva messe in banco insieme e perché molti corsi in comune. Pensò di far finta di niente e di ignorare la richiesta di amicizia.
Dai, non fare la stronza, si disse alla fine. Si è appena trasferita, non conosce nessuno e parla con il primo che l'ascolta. E accettò la richiesta.
Questo le permise di vedere il profilo di Val. C'era una fotografia della ragazza con un'abbronzatura mozzafiato, in bikini e gli occhiali da sole, e sullo sfondo un mare azzurrissimo e una spiaggia bianca quasi quanto il suo sorriso. Sembrava una fotomodella. L'immagine del profilo era una cesta con tre gattini, due grigi e uno dal pelo rosso.
Lo status la dava single e alla voce “residenza” c'era scritto Heaven Barrow. L'ultima cosa che aveva pubblicato sul suo profilo era una veduta della cittadina dall'alto e la scritta felicissima di essere qui! con tanto di emoticon a forma di cuoricino alla fine.
Aveva un solo amico su Facebook: lei.
Calia decise di abbandonare quel deprimente profilo e di controllare i messaggi privati. Uno era della stessa Val, che la informava di averle inviato una richiesta di amicizia e le chiedeva quando si sarebbero potute incontrare per quel progetto di Ruthven.
Il secondo era di Kim Warren.
 
Ehi, Calia...non sono riuscita a parlarti, oggi. Ho chiamato tua sorella e mi ha detto che non eri ancora tornata. Possiamo sentirci, per favore? Mi dispiace tanto per quello che è successo a Tammie, davvero...quando l'ho saputo ho pianto per due giorni. Vieni al funerale domenica, vero?
Baci.
 
Calia non rispose.
Fece scorrere la pagina del proprio profilo. L'ultima cosa che aveva pubblicato risaliva a quasi un anno prima. Era una fotografia, un selfie per la precisione.
Era stato lei a scattarlo, insieme ad altre tre persone.
Erano tutte e quattro sedute sul letto di Kim, a casa sua. Lei, Calia, era seduta al centro e teneva un braccio sollevato per tenere il cellulare in alto; alla sua sinistra c'era la stessa Kim Warren, con addosso il suo solito braccialetto di Hello Kitty e un pigiama bianco e rosa a sua volta con una stampa di Hello Kitty al centro; Calia indossava solo una maglietta sformata e un paio di pantaloncini, mentre alla sua destra, Tammie, con addosso una camicia da notte con il colletto di pizzo e un paio di babbucce, teneva una guancia contro la sua scapola e un braccio intorno alla sua vita. Dietro di lei, a cingerle la vita c'era anche Sylvia LeBlanc.
I commenti sotto la foto erano i suoi e quelli delle altre tre ragazze. Non dicevano nulla d'importante, solo frivolezze legate al pigiama party appena terminato.
Calia rimase a guardare il volto di Tammie e i suoi occhi azzurri che ridevano da dietro gli occhiali spessi.
Si era ripromessa di non farlo...ma alla fine cedette.
Uscì da Facebook e andò su quel sito che aveva pregato Tamara di non visitare, la notte in cui si era uccisa. Ormai sapeva cosa cercare e dove cercarlo.
Digitò le parole Slut gets punished.
Il video che cercava era proprio il primo della sequenza proposta dal sito.
Lo cliccò, e la scena che aveva già visto miliardi di volte le sfilò di fronte di nuovo.
La telecamera era ferma, e stava filmando la camera buia di un albergo di terz'ordine. A un certo punto si sentì una porta aprirsi e richiudersi, e la luce si accese, rivelando un letto a due piazze con i cuscini lerci e il lenzuolo spiegazzato, accanto al quale vi era un cassettone.
Tamara Bentley venne inquadrata dalla telecamera fissa. Aveva i capelli biondi sciolti come sempre, ma non portava gli occhiali, aveva il rossetto e si era coperta la faccia con chili di fondotinta per nascondere l'acne. Indossava un tubino nero dalla gonna molto corta, calze color carne e un paio di scarpe dal tacco alto che le impedivano di camminare senza zoppicare.
Fra le dita stringeva una borsetta di cuoio.
Era chiaro che il suo intento fosse quello di apparire sexy e provocante, ma quella mise la rendeva solo goffa.
La telecamera continuò a riprendere Tamara mentre si sedeva sul letto e si toglieva le scarpe. La ragazza si guardò intorno, in attesa di qualcosa o qualcuno.
Il video durava un'ora e quarantasette minuti in tutto, e Calia avrebbe proseguito, se non avesse sentito la colonna sonora di Pirati dei Caraibi risuonare nella stanza.
Mise in pausa il video e afferrò il cellulare, accettando la chiamata senza guardare il numero.
- Pronto? Zia, scusa per oggi...
Era certa che fosse zia Angela, ma dall'altro capo del telefono non giunse né smentita né conferma. Le rispose solo il silenzio.
Calia si accigliò.
- Pronto? Zia?
Ancora silenzio, ma stavolta alla ragazza parve di sentire il respiro di qualcuno dall'altra parte del filo. Guardò il numero sul display: sconosciuto.
- Pronto? Con chi sto parlando?
- Sei Calia?
La voce che le rispose non era naturale. Era profonda, cavernosa, chiaramente truccata. Calia si allarmò.
- Chi parla?
- Sei Calia Jefferson?
- Voglio sapere con chi sto parlando!
La persona al telefono ridacchiò.
- Sì, sei Calia. Riconoscerei quel caratterino fra mille.
- Chi sei?
- Tu lo sai.
Calia si irrigidì. Non disse nulla.
- Stai bene, Calia?
- Chi sei? Come hai avuto il mio numero?
- Mi dispiace per la tua amica. Non se lo meritava. Non lei.
Calia si alzò in piedi e iniziò a passeggiare nervosamente per la stanza.
- Conoscevi Tamara?
- Diciamo che sapevo che era una brava ragazza. Se non fosse stato per quello scherzo, sarebbe ancora viva.
- Hai messo tu il video online, bastardo?!- ringhiò Calia.
- Non ho mai detto di averlo fatto.
- E allora come sai che si è suicidata per questo?!
- Ho visto il video fino alla fine...e anche un pezzetto in più.
- Sei stato tu a caricarlo?
- Ti ripeto che non ho mai detto di averlo fatto.
- Non hai risposto!
- Non l'ho caricato io. Ma so chi è stato.
- Bugiardo.
- Come vuoi. Non mi aspettavo mi credessi, comunque. Non subito.
- Chi sei?
- Tu lo sai chi sono.
- E smettila con queste cazzo di frasi criptiche! Che cosa vuoi? Perché hai chiamato?
- Per avvisarti.
- Avvisarmi di che cosa?
- Che sta per cominciare.
- Che cosa?
- Lo vedrai.
- Basta, io riattacco...
- D'accordo. Avevo messo in conto anche questo. Purtroppo non posso dirti la verità adesso, altrimenti lo farei.
- Perché non puoi?
- Perché non mi crederesti.
- Ma chi sei, uno psicopatico?
- Domanda interessante. Te ne farò una io, adesso: perché non sei tornata indietro?
- Tornata indietro? Indietro, dove? Quando?
Lo sconosciuto riattaccò, e Calia si trovò a porre quel quesito al nulla.
Rimase a guardare il cellulare, mentre si ripeteva mentalmente le parole che aveva udito.
Perché non sei tornata indietro?
...già, pensò. Perché?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Spero che questo capitolo sia stato in grado di stuzzicare la vostra curiosità più del precedente. Prima che mi dimentichi, la canzone introduttiva del capitolo scorso è Umbrella (cantata da Epic Pop ft. Jazelle) e questa invece è Human di Christina Perri.
Dal prossimo capitolo comincerà la sequenza capitolo flashback-capitolo ambientato nel presente, e in particolare vedremo alcuni fatti accaduti un anno prima e scopriremo qualcosa in più sui primi omicidi e sul passato di Calia e Tamara.
Ringrazio i lettori silenziosi, Endingstory per aver aggiunto questa storia alle seguite e alle ricordate, Xxgeniaxx per averla aggiunta alle preferite e gaialor95 per aver recensito.
A presto,
 
Beauty
  
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