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Autore: Carlo Di Addario    01/06/2017    2 recensioni
"Comunista" era il peggior insulto che una persona potesse ricevere: significava, implicitamente, augurarle l'arresto, la tortura, la morte per fucilazione.
Quel giorno Annabel Watson, forzata cittadina abnegata della Repubblica Egemonica Imperiale Francese, ebbe la disgrazia di incontrarne uno.
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[...] Aggrottò lo sguardo, fissando il pino in giardino: ne osservò gli aghi e la corteccia, mentre l’acqua gocciolava dai rami creando pozze di fanghiglia fra le radici: era come se la natura, se il mondo intorno a lei, le comunicasse… i suoni, i rumori, ciò che la circondava… tutto erano note, note di una melodia immensa, la stessa che faceva muover il sole e le altre stelle!
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(Seconda raccolta della serie "Metafisica Musicale")
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metafisica Musicale'
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Annabel si accarezzò i lunghi boccoli castani: accennò un triste sorriso, sentendosi sfilare i capelli fra le dita.

Iniziò ad arrotolarseli, guardando vacua fuori dalla finestra: piovigginava ormai da due ore, mentre un continuo di gocce d’acqua colava giù per il vetro.

Alzando lo sguardo, osservò il cielo: plumbeo, di un grigio indistinto.

La musicista sospirò: normalmente avrebbe trovato incredibilmente piacevole, quel clima temporalesco… il rumore della pioggia era per lei un qualcosa di delicato e armonioso, una sorta di naturale melodia che sbocciava quando l’acqua del cielo si riversava al suolo, aprendo la mente e il cuore degli uomini a una realtà più profonda, più trascendente…

Si sentì percorsa da un fremito: già, perché la musica era quello, una chiave di lettura. Di cosa, non era mai riuscita a capirlo… 

Aggrottò lo sguardo, fissando il pino in giardino: ne osservò gli aghi e la corteccia, mentre l’acqua gocciolava dai rami creando pozze di fanghiglia fra le radici: era come se la natura, se il mondo intorno a lei, le comunicasse… i suoni, i rumori, ciò che la circondava… tutto erano note, note di una melodia immensa, la stessa che faceva muover il sole e le altre stelle!

Eppure, non era in grado di farsi trascinare.

Non era più in grado, da due settimane a quella parte, di prendere la chitarra e cominciare a suonare, a suonare le note che la natura le comunicava e le ispirava.

Non riusciva più ad apprezzare nulla, a dir la verità.

Si sentiva… si sentiva depressa…

Avvicinò la mano al vetro e ve la appoggiò.

Sentì percorrerla un brivido di freddo.

Per tutta la gioventù, la musicista aveva letto libri meravigliosi: narravano di avventure nei luoghi più impervi del pianeta… grandi storie d’azione, con personaggi carismatici e passionali, che vivevano situazioni mozzafiato… gradi scoperte, grandi pericoli, grandi amori…

“Bah…” biascicò, con una smorfia di disgusto.

Tutte menzogne. Vacue fantasie.

Chiuse gli occhi, scuotendo capo e boccoli: ma di cosa si era illusa?! Che la vita fosse davvero così, come un romanzo?!

Aggrottò lo sguardo, sofferente: No, Dio santissimo, assolutamente no!

Nella mente della fanciulla tornò l’orrenda immagine dell’uomo riverso al suolo, con il cranio sfondato e grondante di sangue…

Iniziò a sentirsi il battito cardiaco accelerare, prendendo aria con la bocca: rimembrò del ragazzo che le aveva chiesto aiuto, dei gendarmi, della vedova e degli orfani, di lei che veniva definita valorosa donna dell’Egemonia di Francia e che poi sviava le due guardie mandandole dalla parte opposta dov’era scappato il brutale assassino…

Chiuse la mano in un pugno contro il vetro, provando un viscerale malessere: perché, perché l’aveva fatto…? Erano passate due settimane, ormai… ma non passava giorno che non ci pensasse: perché?! Era forse comunista?! Era forse anche lei, nel profondo dell’animo, una perversa assassina?!

Scosse con vigore il capo, mentre gli occhi le cominciavano a farsi umidi: no, lei non era un assassina, non era un mostro…

Nella sua mente tornarono i bambini, lì, a fissare il padre morto in quel modo brutale e improvviso…

Le lacrime iniziarono a colarle per le guance.

E la moglie, in preda ai sussulti…

La musicista non resse più: si lasciò accasciare sul letto e iniziò a piangere, a piangere copiosamente con la testa sul cuscino presa da piccoli fremiti.

Non ce la faceva più… non ce la faceva più a vivere quella vita… lì, in quell’orribile villa con quell’orribile famiglia… senza amici… costretta a un’esistenza vacua e effimera, di cui solo la musica riusciva un poco a darle conforto…

La fanciulla continuò a piangere per qualche minuto, arrivando a tirarsi i boccoli mordendo il cuscino: poi allentò la presa, tremando…

Stup!

Di colpo si tirò un violento colpo sulla nuca.

Biascicò un urlò di dolore soffocato dal cuscino, tremando.

E poi, si calmò.

Pian piano, le lacrime cessarono, così come i sussulti.

Lì, stesa sul letto riversa prona verso le coperte e i cuscini, coi boccoli sfatti e un grosso livido sulle nocche della mano…

“…”

Passò qualche minuto, con la pioggia si faceva man mano più forte e rumorosa.

Poi, una sorta di strana quiete iniziò a farsi strada nell’animo della ragazza… infondo, malgrado tutto, era ancora viva: le sue membra erano ancora al suo posto… tanta gente moriva ogni giorno, lei stessa aveva visto quanto fosse facile cadere al suolo con le cervella dilaniate… eppure, lei ancora era lì, nella sua casetta, viva e vegeta.

Alla radio si sentivano ogni giorno notizie terribili, sul confine delle zone di guerra… di profughi che scappavano privi di tutto, sotto le bombe in condizioni disumane: molti morivano, altri arrivavano orrendamente dilaniati e sfigurati… uomini, donne, bambini proprio come lei, senza più famiglia, affetti e niente se non le loro scarne e ferita membra…

Pensò a tutte quelle donne costrette a prostituirsi per avere da mangiare, a tutte quelle che erano oggetto di orribili dicerie e piangevano i figli sul confine nord africano… pensò ai pazzi e ai degeneri nei manicomi e agli indigenti, agli orfani e alle minoranze religiose perseguitate e a chi veniva torturato e costretto a pene vergognose e scabrose come il dover ingurgitare olio di ricino e avere quindi problemi gastrointestinali…

In quei minuti non si dimenticò di nessuno: non si dimenticò dei proletari costretti a turni di lavoro massacranti e che ogni giorno morivano sul lavoro, ai sindacati repressi dalla polizia in tenuta antisommossa, alle persone malate che non potevano permettersi le cure mediche e morivano in casa, sole e abbandonate, a tutti quei bambini che nascevano malformati e venivano barbaramente uccisi, a tutte quelle povere ragazze costrette a chiudersi in convento e a tutti quei poveri ragazzi costretti a intraprendere la vita da militare…

Ovunque, ovunque andasse con la mente, non vedeva in quel momento che lo specchio di un mondo orribile e terrificante, di una realtà sociale che se indagata nella suo totalità si mostrava così spaventosa da far metter le mani sulle guance e urlare, urlare così forte da deformare il paesaggio e la propria persona, fino a diventare un’anonima caricatura di se stessi che incarnasse tutto l’orrore che l’umana specie creava e perseguiva giornalmente nella cosiddetta “società civile”. 

E in quel momento capì: capì perché aveva aiutato l’assassino.

Se avesse detto alle guardie dov’era scappato quel folle e degenerato criminale, l’avrebbero di sicuro ucciso a sangue freddo con le baionette. O peggio, l’avrebbero catturato e torturato così tanto fino a farlo pregare di ucciderlo.

E a cosa sarebbe servita, quell’ennesima vita umana stroncata dal brutale braccio della legge Francese…? A riportare in vita il padre di famiglia? A portare sollievo alla madre e ai suoi bambini?? A impedire che altri come lui compissero quegli efferati attentati in nome di ideali distorti?! No di certo. 

Per quello… per quello aveva sviato le guardie… per evitare che dopo un brutale spargimento di sangue, ce ne fosse un’altro. Perché, inconsciamente, doveva aver trovato troppo orripilante e inaccettabile che dopo aver scrutato un padre con il cranio sfondato, anche quel giovane coi baffetti potesse ritrovarsi così, con il petto dilaniato dalla lucente lama di una baionetta…

Tanto era latitante, di sicuro solo e rinnegato,ai margini della società, con un esistenza grama e infelice. Così vivevano tutti i comunisti. E a ben pensarci, quella era già una punizione sufficiente…

Annabel alzò lo sguardo: in volto era totalmente rossa.

Si girò, appoggiandosi il braccio sopra gli occhi: ora che era giunta alla consapevolezza di quel suo gesto, si sentiva più quieta… forse non era un mostro… aveva solo voluto evitare un altro morto, in quel mondo già troppo crudele e impietoso…

Già, in quel mondo dove lei stava tanto male… ma a ben pensarci, guardandosi attorno, chiunque stava peggio…

E, riuscendo addirittura a sentirsi un poco fortunata nella disgrazia più buia, la fanciulla pian piano sprofondò nell’incoscienza, facendosi cullare fra le dolci braccia di Morfeo.

“Zzz…”

Adelaide guardò Ada, preoccupata.

“Prima l’ho intravista darsi un pugno in testa e tirarsi i capelli, soffocando delle urla nel cuscino…” mormorò, indicando Annabel da dietro lo spiraglio della porta socchiusa.

La secondogenita dei Watson annuì, silenziosa.

Si sporse e osservò la sorellina pisolare: ne guardò i boccoli sfatti e il viso arrossato, segno che doveva aver pianto disperata, fino a poco prima….

“Dici… dici che è ammalata di isteria…?” domandò Adelaide con un filo di voce.

Ada impallidì: “Non lo dire neppure per scherzo!” esclamò, istintivamente.

La più piccola dei Watson subito si ammutolì, impressionata da quell’improvviso rimprovero tanto severo.

“Scusami, non volevo…” s’affrettò a dire, desolata.

La secondogenita annuì, deglutendo.

Adelaide abbassò il capo.

Ada continuò a scrutare, con un nodo in gola, Annabel dormire sul letto.

“…”

Dopo qualche attimo di silenzio, la secondogenita mormorò: “Tu lo sai cosa succede, se davvero mamma, papà e le nostre sorelle, iniziano a pensare che Abby soffra di isteria…?”

“Cosa...?” mormorò Adelaide, inquieta.

“La fanno internare in un manicomio, ecco cosa farebbero, senza pensarci due volte” rispose truce la secondogenita, stringendo la mano percossa da un’improvviso impeto di rabbia.

La piccola Watson sgranò gli occhi.

“Ho… ho sentito dicerie orribili sui manicomi…” mormorò, spaventata e in cerca di rassicurazioni.

“Sono tutte vere” rispose cupa la secondogenita.

Adelaide impallidì.

“Usano i malati come cavie per strani esperimenti con l’elettricità…” aggiunse, mentre lo sguardo le si ammorbidiva in un’espressione di profonda pena per il male che attanagliava la povera Annabel.

“E ti uccidono…?” sussurrò Adelaide, con il cuore che le batteva forte forte nel petto.

“Dipende…” rispose volutamente vaga la maggiore, che era ben lungi dal voler traumatizzare la piccola sorellina con spiegazioni più precise e orrorifiche.

Poi la prese per mano e le due si guardarono, dritte negli occhi.

“Promettimi una cosa Adelaide: qualunque cosa accada, nessun’altro in famiglia deve sapere di quanto abbiamo visto, capito?”

Adelaide annuì, deglutendo.

“Qualunque” ribadì categorica la secondogenita.

E la bambina annuì, nuovamente.

Ada le accennò un dolce sorriso, poi l’abbracciò forte forte.


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