Ma
tutto si può sopportare.
Marco si stiracchia
sul banco e ne afferra con le dita
l'estremità, cercando di non farsi vedere troppo. Quella
lezione è tartassante.
Lo sta annoiando oltre misura. È il suo ultimo anno di liceo
e lui non vede
l'ora di scappare al mare e di nuotare fino a non sentirsi
più le gambe. Ha
voglia di far ridere Giulietta, fino a che non tira fuori quelle sue
meravigliose fossette, e di far indispettire Nicola con tutta
quell'acqua.
Quei due sono
la sua vita. La sua serenità. E lui sta bene
così. Lo crede. Ne è
convinto. Vuole convincersene. Poi suona l'ora della ricreazione e un
lieve
profumo di muschio gli sfiora le narici. Dopobarba, già,
quello che tutti i
maschi usano post rasoio. Eppure quel dopobarba
è particolare.
E non perché sia lui ad esserlo, in realtà sa
solo di erba, erba anche un po'
viscida e umidiccia. Cresce al buio, dove a Marco non piace stare.
Perché Marco
è mare, sole, estate.
Quel dopobarba
è particolare perché lo mette sempre quella persona.
Quella che
incupisce le sue notti e fa sparire il suo sorriso.
Marco tira
indietro la sedia e solleva lo sguardo. Deve per forza. Lui se ne
sta in piedi, le mani nelle tasche dei jeans e un mezzo sorriso che
incurva le
sue belle labbra carnose. Ha la pessima abitudine di mordersele,
quand'è
perplesso. E lo fa ora, proprio ora. Marco stringe i pugni e punta gli
occhi
scuri in quelli azzurrissimi del suo compagno di classe. Matteo,
già, Matteo
Malaspina. Nel senso letterale del termine.
“Che
vuoi?”
Dice brusco,
troppo brusco. Senza un senso. L'altro inclina il capo e si
stringe leggermente nelle spalle.
“È
la mia classe tanto quanto la tua, Sforza”
“Intendevo
che vuoi da me...”
Conclude
Marco, chinandosi per mettere i libri nello zaino. Non sopporta di
guardarlo più di tanto. Gli prendono a formicolare mani e
piedi, e comincia a
sentire caldo dappertutto. Una cosa che non si spiega, ma che
soprattutto non
si vuole spiegare.
“Abbiamo
un conto in sospeso, io e te, ricordi?”
Oh si che lo
ricorda. Marco si lascia scappare un sorriso, e nel sollevarsi, si
passa una mano fra i ricci biondi. Poi incrocia le mani sul petto,
ampio, largo
petto da nuotatore. E sente la maglia tirarsi sulle spalle, come
sempre. Lo
rincuora. Lo fa sentire un poco più uomo.
“E
vorresti regolarlo ora? A scuola?”
L'aplomb da bulletto
non gli si confà affatto. E sembra pensarlo
anche Matteo perché si concede una piccola risata
liberatoria, poi si riprende,
rimandando gli occhiali sul naso. Quel gesto attira l'attenzione di
Marco, che
lascia scivolare lo sguardo su quel bel profilo altero. Matteo
è un
intellettuale dalla A alla Z, indossa sempre camicie e jeans scuri. Si
vede che
non dorme per leggere, perché ha sempre gli occhi stanchi. E
poi sta sempre lì,
giorno e notte, con il suo capannello di ammiratori, a decantare mondi
infiniti
e poesie senza tempo. È un ragazzo che ha sempre una parola
per tutti, il
consiglio buono della giornata, quell'attenzione in più che
fa sentire tutti un
po' speciali. È un po' come un angelo buono venuto da
chissà dove per portare
serenità. Invece con Marco no. Marco non lo sopporta
proprio. Perché lo rende
nervoso e insicuro, lo fa tremare senza neanche accorgersene. O forse
se ne
accorge, ma non gli importa.
“Devi
semplicemente leggere una poesia ad alta voce, Marco... non prendermi a
pugni finché non svengo”.
L'altro lo
guarda in tralice, mentre fa finta di fare qualsiasi altra cosa.
Sfogliare il quaderno di matematica, giocare con il cellulare,
masticare la
gomma della matita.
Aveva perso
una stramaledetta scommessa e ora doveva pagare. Quello stupido,
insidioso, geniale prezzo, che caratterizzava il sadismo intrinseco di
Malaspina.
“Non
intendo farlo assolutamente in pubblico”
Frase
sbagliata. Matteo si morde ancora le labbra e aggrotta leggermente le
sopracciglia al di là delle lenti. E Marco si maledice
intimamente per quelle
che gli parvero decine di migliaia di volte, mentre prega di non essere
diventato color pomodoro.
“Va
bene in giardino...”
Dice
frettolosamente. Ed aggira il banco rapidamente, superando il dopobarba
e
il suo possessore, che sorride con una certa soddisfazione.
Trova il primo
muretto disponibile e ci si arrampica sopra. Lasciando penzolare
le gambe.
Non si guarda
intorno, tiene gli occhi fermi sull'asfalto al di là delle
scarpe. Si sforza anche di non fare caso ai passi che risuonano
già da un po'
sul selciato.
Matteo gli
porge un libro. Sembra un testo scolastico. Marco lo guarda
interrogativo, dall'alto. Sono più o meno alla stessa
altezza, le loro teste in
quel momento. Ma Matteo si tiene distante, sempre le mani in tasca, e
gli fa
cenno di aprirlo.
“C'è
il segnalibro nel punto giusto”
Dice, ma
è più che altro un sussurro.
Marco guarda
meglio il libro. È di letteratura greca. Un mondo a lui del
tutto
sconosciuto e anche del tutto privo di interesse. Per questo lo apre
con
noncuranza, senza notare il lampo di aspettativa che illumina per un
istante
gli occhi del compagno.
Marco
assottiglia leggermente lo sguardo sulle righe, sono scritte fitte, ma
la
grafia è chiara.
“Saffo
nacque ad Ereso, nel VII secolo a.c. Era la figlia di una famiglia
nobile, visse praticamente tutta la sua vita sull'isola, a
Mitilene”.
Decanta
brevemente Matteo, mentre l'altro si sforza di comprendere quelle frasi
nebulose ed intricate.
“Leggi
per me”
Mormora il
compagno e Marco solleva gli occhi di scatto. Quel tono è
strano,
strascicato, come se la sua naturale conclusione si spegnesse in un
singhiozzo.
La cosa lo mette in uno strano stato di agitazione, lo infastidisce.
Matteo se
ne sta sempre lì, ad un paio di metri da lui, con le mani in
tasta. Lo guarda
attento, ma da quella distanza non riesce a distinguere quale
espressione
effettivamente abbia. Comunque gli sembra inoffensivo. Si sente
abbastanza sicuro ed allora china gli occhi e prende a recitare. Un po'
incerto
all'inizio, poi sembra incuriosirsi.
Simile a un dio
mi sembra quell’uomo
che siede davanti
a te, e da vicino
ti ascolta mentre
tu parli
con dolcezza
e con incanto
sorridi. E questo
fa sobbalzare il
mio cuore nel petto.
Se appena ti
vedo, subito non posso
più
parlare: la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la
pelle mi corre:
nulla vedo con
gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo
mi pervade: un tremore
tutta mi scuote:
sono più verde
dell'erba; e poco
lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si
può sopportare.
Chiude le
ultime quattro sillabe, pervaso da uno strano tremore. Le labbra
stentano nell'ultima frase. Sospira, poi, un'istante dopo averle
serrate. E si
sente stranamente commosso. Allora solleva lo sguardo e sussulta, di
botto.
Matteo è ad un passo e i suoi occhi traboccano di lacrime.
Le lascia scivolare
giù lungo le guance, non toglie nemmeno le mani dalle tasche.
Marco sgrana
gli occhi e si muove inquieto sul muretto.
“Va
bene, lo ammetto, è abbastanza ben riuscita, è
leggerla ad alta voce con la
giusta cadenza, è suggestivo. Ma non credo che ci sia da
piangere”
Lo vede
sorridere appena, incurvando le labbra umide, e mandare gli occhi
chiari al cielo. Tanto è perfettamente consapevole anche lui
di non avere a che
fare con il genio dell'intuito.
“Lo
è invece, se è quello che provi ogni
giorno”
Marco
assottiglia gli occhi e aggrotta le sopracciglia.
“Io
credo che tu possa avere tutte le donne che vuoi, Malaspina. Mezza
scuola
ti viene dietro”.
Matteo ha
smesso di piangere già da un po' e non gli sembra vero
di dovercelo
fare arrivare. Per lui la cultura e
la reviviscenza delle emozioni,
delle immagini del passato, sono qualcosa di assolutamente scontato.
Automatico.
Fra il basito
e il disperato, toglie le mani dalle tasche e le incrocia sul petto.
Accademico come il più illustre dei professori.
“Saffo
è lesbica, Marco. Sta parlando di una dannatissima
donna”
Lo vede
sbiancare e riportare automaticamente lo sguardo al libro, cercando fra
le righe qualcosa che non vi potrà trovare.
“Non
capisco...”
Dice poi in un
sussurro, senza staccare gli occhi da quelle pagine per lui
inspiegabilmente bianche.
E Matteo perde
del tutto le speranze. Fa un passo avanti e gli appoggia una
mano sulla testa, scompigliando quei meravigliosi capelli biondi, la
cui consistenza
non si era nemmeno mai permesso di immaginare. Ma anche alla sua
pazienza, c'è
un limite.
“Voleva
essere una specie di dichiarazione d'amore. Ma credo di aver sbagliato
tempo, modo e soprattutto... uomo”.
E con quelle
parole, ritira la mano, si volta e se ne va. Lasciando in sospeso
quella frase nell'aria, che rimbomba come un uragano nelle orecchie di
Marco. E
lui non riesce a staccare gli occhi da quel libro, mentre il cuore gli
galoppa
nel petto in un misto di terrore e gioia.
Solleva di
scatto lo sguardo e trova solo le sue spalle. Se ne va, senza
voltarsi. Orma quasi scompare. Marco strige i pugni e non si muove, no,
lascia
scivolare via quell'emozione, sempre più attutita, lontana,
mentre si ricompone
il ricordo di un’esistenza a cui è più
avvezzo, definitivamente incrinata da
quella piccola, innocente carezza e da quelle ben meno innocenti parole.
Chiude il
libro di botto e salta giù dal muretto, abbandonandolo
lì, da solo.
Non c'era
storia. Non per lui. Mai.
...e poco lontano mi sento
dall'essere
morto.
Ma
tutto si può sopportare.