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Autore: Lettere sussurrate    02/06/2017    1 recensioni
L'universo non ha confini, solo orrori senza fine.
Resoconto investigativo; ricostruzione degli eventi concernenti un esplorazione spaziale finita male.
Genere: Drammatico, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sono il primo ad affermare che l'Universo è un oceano nero e smisurato, casa di insidie e aberrazioni inimmaginabili. La conoscenza, per quanto vasta, è soggetta al limite invalicabile che pone l'oscurità della grandezza cosmica. Nessuna mente riesce ad andare oltre ciò che è stato, è, sarà e continua ad essere aldilà della modesta dimensione che viene costruita intorno ad essa. Anche in questo stesso momento, mentre leggete ciò che ho da riportarvi, una galassia ignota ospita pianeti dove la civilizzazione e la tecnologia hanno ceduto posto alla ferocia e le pulsioni più remote del primitivo; terra gelata dove gli incubi del sonno si concretizzano in qualcosa di assai peggiore. L'occhio ha la capacità di osservare il mondo che lo circonda, il cervello elabora la realtà in base a ciò che recepisce attraverso i sensi... ma entrambi sono inutili come un fiammifero per far luce sul fondale dell'oceano, se il vuoto ed il caos diventano materia di analisi. Le possibilità di infinite visioni vanno oltre la concezione limitata dei nostri organi recettivi; rompono la sottile barriera che separa comprensione e pazzia; stravolgono l'ordine sistematico dell'esistenza. Come se fossimo chiamati a saltare nel vuoto, dimora della tenebra più fitta e madre di tutto ciò che non può essere razionalizzato, esitiamo sul baratro del burrone.
Meglio vivere entro i propri confini, mi ripeto spesso.
Fidatevi, lettori, che quando avrete finito di leggere la sintesi della mia accurata indagine, potrete condividere il terrore per lo spazio ignoto che ha accompagnato questa breve introduzione.
Le motivazioni che hanno incoraggiato la ricerca che segue cominciano con una curiosa leggenda che circola come la più spaventosa mai raccontata. La storia narra di un piccolo pianeta lontano tre galassie dalla nostra, tanto pericoloso da sottrarre la vita ai cosmonauti che hanno tentato di esplorarlo tempo addietro. Si vocifera, con estremo sdegno ed una punta di mistico terrore, che la spedizione di astronauti preparati alla colonizzazione riuscì a stabilire un incontro ravvicinato con gli abitanti di quel mondo ostile, e che la sola vista di tali abomini condusse i poveri pionieri spaziali verso l'oblio della morte. Da come si può facilmente presupporre, la situazione terminò con un epilogo represso nel sangue. Pochi superstiti ebbero la fortuna di sfuggire dal terribile fato che li attendeva, ma il ricordo delle oscenità viste su quella terra morente li perseguitò fino a quando non scelsero di togliersi la vita, ormai in preda a visioni e deliri incontrollabili.
Tutti i sopravvissuti, nessuno escluso, si spensero nella scelta di non scegliere la vita. Posso solo immaginare quanto mostruose fossero state le esperienze in quelle terre dimenticate dalla conoscenza, con la consapevolezza che il mio immaginario non sarà mai capace di creare situazioni lontanamente equiparabili al reale di quel massacro. Nella leggenda non si fa riferimento all'aspetto dettagliato degli alieni mostruosi che hanno sterminato la truppa esplorativa, ma si ricorre ad una serie di descrizioni che li dipingono come la manifestazione di tutto il disordine e l'orrido mai visti prima. Il seguente resoconto ha l'intenzione di voler smentire la celebre credenza popolare che va sussurrata fra la gente del mio pianeta, dimostrando - attraverso l'affermazione di una semplice tesi sostenuta da autentici documenti governativi- che ciò che si vocifera non è una fandonia divulgata per creare disinformazione o intrattenimento per i più creduloni: si tratta della verità filtrata da fonti incerte, che avrò il dovere di sostituire con prove ben tangibili. La nostra razza deve sapere che lì fuori, fra stelle e pianeti gassosi, esistono possibilità agghiaccianti e civiltà che non conoscono ragione e sentimento. 
Sono stato scettico fino alla fine della mia esperienza investigativa, cercando di mantenere un atteggiamento critico ed equilibrato. Messa da parte ogni profonda convinzione sull'argomento, ho preso le parole della leggenda come una pura invenzione tramandata oralmente da studiare ed analizzare fin dalle fondamenta. Mi sono impegnato nella ricerca di ogni frammento con la solida inflessibilità di uno scienziato, restando fedele alla tesi che ha inizializzato l'indagine.
La pacatezza del mio comportamento, però, ha cominciato a sgretolarsi durante l'ascolto della prima registrazione che ho rinvenuto negli archivi centrali dell'ente governativo che gestisce le esplorazioni spaziali. L'intuito mi aveva guidato verso una pista più che soddisfacente.
Essendo impiegato come tecnico ai piani alti del settore sovra-citato, non ho riscontrato particolari difficoltà nel rinvenire il dispositivo, un trasmettitore di ologrammi, con la seguente incisione sul retro: “27-0,1235. Resoconto dell'astronauta XY Dedalus.”  
Mi appresto a riportare per inscritto le parole pronunziate dall'ologramma del congegno, un individuo scosso e terrorizzato che tremolava nel fascio di luce in proiezione.

Introduzione audio fornita da quella che credo fosse l'autorità competente che gestiva la testimonianza:

-Il soggetto sotto interrogatorio si mostra nervoso ed irrequieto.
L'esperienza esplorativa deve averlo portato ad avere delle violente allucinazioni, alternate a stati di deliri che diventano sempre più frequenti. Si attende la diagnosi di un medico. Siamo riusciti ad ottenere un rapporto pressoché dettagliato in uno dei pochi momenti di lucidità. Le capacità mnemoniche del cosmonauta sono rimaste pressoché invariate. -

XY Dedalus, dopo un lungo periodo di silenzio:
« . . . È difficile, se non impossibile, descrivere l'aspetto nauseabondo e disturbante degli alieni, ed è altrettanto complesso riuscire a dare un idea dei suoni incomprensibili che emettono quando comunicano fra di loro. 
Per certi versi la loro conformazione anatomica è molto simile alla nostra: sono creature bipedi munite di gambe e braccia, una testa - per quanto minuscola e maldestramente proporzionata al resto del corpo- e delle articolazioni fluide che gli permettono un ampia libertà di movimento.
Da una fugace osservazione sembra che l'intero corpo sia sostenuto da un apparato osseo non dissimile da quello della nostra razza, ma diverso in quanto a struttura scheletrica. Da queste poche informazioni sembrerebbe che gli esseri del pianeta ostile abbiano non poche similitudini con la nostra razza, ma vi posso assicurare che gli elementi in comune sono un effimera illusione.
I loro occhi, piccoli e stretti, si proiettavano nei nostri sguardi apprensivi e bruciavano di una rabbia ed un disprezzo tali da costringerci a fissare in terra, per sfuggire all'aggressività dei loro volti.
Ci è stato impossibile costruire una solida base alfabetica per stabilire la comunicazione vera e propria, poiché la razza si è rivelata ostile e diffidente fin dall'inizio. Eravamo un pugno di astronauti e la nostra era una semplice missione esplorativa. Non eravamo preparati ad una simile reazione aggressiva, e quando quegli esseri orrendi hanno concretizzato i loro istinti primordiali in un azione offensiva... non abbiamo avuto modo di reagire al fuoco. Siamo stati mandati a morire sul pianeta di nessuno come delle bestie da macello. Le loro bocche... quegli arti sproporzionati...»

 le parole dell'interrogato si trasformano in urla di terrore, il dispositivo smette di trasmettere i file tridimensionali.

"Fine programmazione."


Non ho alcuna intenzione di nascondervi il mio giustificato terrore nel constatare che la leggenda non era nata dall'immaginazione di qualche fantasioso, ma era il frutto di un esperienza realmente accaduta. Da come sostiene il rapporto annesso alla registrazione, l'astronauta che rilasciò le dichiarazioni si tolse la vita come tutti gli altri superstiti. Proprio come nella storia che si sussurra fra gli abitanti, l'oblio del decesso fu l'unica scappatoia per celare la vista ai ricordi mostruosi. Questa singola prova mi sarebbe potuta bastare come pretesto a interrompere le ricerche sul pianeta alieno: i miei sospetti erano fondati, e non potevo immaginare che lo fossero fino a questo punto. Non esisteva la minima discordanza fra i dettagli della leggenda e gli eventi realmente accaduti.
Che sia maledetta la curiosità che governa l'ingegno e la voglia di scoprire, una forza incontrollabile che cancella ogni altro bisogno per primeggiare finché non la si soddisfa. Ero spaventato a morte, ma la voglia di conoscere mi logorava da dentro come un parassita avido. Sapevo che doveva esserci dell'altro, una singola testimonianza mi sembrava troppo poco per archiviare un esplorazione cosmonautica finita in tragedia. Doveva esserci dell'altro.
Così ho perseguito il fine che mi ha condotto alla scoperta definitiva, la più innegabile delle conferme alla veridicità degli eventi accaduti tempo addietro. 
Il confine cadde come un muro di ghiaccio sottile. 
La detonazione di un esplosione soffocata nella bocca di un buco nero. 
Mi introdussi nuovamente negli archivi all'ultimo piano, laddove avevo rinvenuto la prima prova, perdendomi fra gli enormi scaffali saturi di informazioni e dati sull'esplorazione spaziale. Impiegai molto tempo nella ricerca: vista l'enorme mole di contenuti che spaziavano dalla colonizzazione di pianeti al più semplice dei sopralluoghi, rinvenire l'ultimo frammento di quel funesto episodio (che sembrava essere stato archiviato e dimenticato, vista la facilità con cui un impiegato di livello 17 poteva leggerne i dettagli) non fu facile come trovare la scatola di metallo che scintillava in bella vista su uno scomparto al quinto scaffale. La mia fatica fu ricompensata con il ritrovamento di un'ulteriore contenitore di ferro identico al precedente che mi aveva offerto i dati in ologramma, nascosto nel quattrocentosettantaseiesimo settore dell'ala meridiana, ventisettesimo scaffale. 
Il contenuto era lo stesso dispositivo tascabile di cui ho parlato in precedenza. Sul recipiente erano incisi dei numeri e delle parole che inizialmente non riuscivo a spiegarmi, ma che successivamente all'ascolto ho intuito fossero il nome del pianeta esplorato.
“T344A”.
Qui di seguito troverete l'agghiacciante testimonianza dell'ultimo viaggio dei pochi e l'incubo di molti.
Che il progresso tecnologico e le tre galassie di distanza ci impediscano di stabilire ulteriori contatti con quelle bestie assetate di distruzione che albergano nei recessi dello spazio, scaldate dalla stella proibita e nutrite dai frutti osceni della loro terra.                         
La trasmissione tridimensionale è completamente diversa dalla precedente: il formato video è di una risoluzione tanto bassa che a stento si può distinguere il volto di chi parla, l'audio è disturbato da continue interferenze che storpiano la linearità del discorso. La testimonianza finale della tragedia dev'essere stata raccolta e registrata dallo stesso operatore del sistema di gestione esplorativa cosmonautica che conversa con la vittima dispersa. Quest'ultima - suppongo, basandomi sul contenuto delle sue parole - doveva già trovarsi sul pianeta alieno.

Sette secondi di statico audio-video, poi parte la richiesta di conferenza con la centrale operativa:
« Plotone esplorativo X23 chiama base. Abbiamo un codice omega!
Mi ricevete? » Nessuna risposta. Silenzio.
« Ripeto: plotone esplorativo x23 chiama base.
Abbiamo un codice omega! »
La voce cavernosa dell'operatore si pronuncia dopo sette secondi dall'ennesima richiesta di ascolto.
 « Base operativa, ti riceviamo. » 
« Siamo alle coordinate che vi sto inviando, pianeta T344A imposto come destinazione alla quarta missione di ricognizione della terza galassia. » La risposta del cosmonauta scatta in automatico, come se non avesse atteso altro che un impercettibile stimolo vocale dall'altra parte del dispositivo. Il suo volto proiettato dall'ologramma non fa altro che girarsi da destra a sinistra con frenetica preoccupazione. Probabilmente era terrorizzato all'idea di farsi cogliere sul fatto in piena trasmissione.
« Ricevuto. Ci mobilitiamo subito affinché possiate ricevere i dovuti soccorsi. Cercate di resistere il più a lungo possibile. »
« Negativo. Sospendete l'operazione di soccorso. »
« Per quale ragione? » L'atona vocalità del calmo operatore sembra perdere delle sue imperturbabili proprietà, lasciando spazio ad un velo di dubbio e curiosità. Non è abituato ad un così drastico cambiamento nella procedura standard che si adotta nelle situazioni di emergenza.
« L'intero plotone è stato sterminato senza pietà. Noi, i pochi superstiti, siamo stati catturati e imprigionati in quella che ha l'aria di essere una vasta cella comune situata nei sotterranei della loro centrale operativa.
Le pareti sono di solida roccia calcarea, impossibili da abbattere in assenza della strumentazione necessaria. L'ossigeno delle nostre tute spaziali sta finendo. Non farete in tempo. Buio... - disturbo. - ci fissano con strane... - disturbo. -  ...non posso crederci. Sto impazzendo... -disturbo. - ...è completamente buio. » Continue interferenze storpiano il formato audio. Le parole a stento si possono comprendere.
« Squadra x23, riuscite a ricevermi? Il segnale è fortemente disturbato. Cosa è successo? »
« Chiamo per fare il mio ultimo rapporto, affinché possiate apprendere dal fallimento di questa spedizione. Forse è solo una vana speranza, ma ho il dovere di dare un utile alle vite che si sono spente e si spegneranno presto. Non accetto che il nostro sacrificio venga dimenticato. » 
Un inquietante silenzio cala durante la comunicazione. Non vi è spazio per lamenti, lacrime o implorazioni. La freddezza di quelle interazioni mi spaventò allora e mi spaventa anche ora che trascrivo, parola per parola, la tragedia del loro avvenire.
Un semplice « ricevuto » di risposta, sgombro di compassione. Poi l'astronauta morente riprende a parlare, pronunciandosi nell'ultimo resoconto di tutta la sua vita.


« Siamo atterrati quattro ore prima della seguente richiesta di comunicazione. Dall'abitacolo dell'astronave il pianeta si presentava pressoché identico al nostro: infinite distese azzurre si stendevano ovunque, confermando la presenza di acqua e oceani. L'entrata in atmosfera è stata semplice e non ha danneggiato il funzionamento del motore a energia SOI d'impulso. Anche la struttura esterna ha resistito discretamente, confermandosi idonea all'occasione. Abbiamo sorvolato le acque blu tenendoci ad altissima quota. Ci saremmo limitati ad esplorare parte del pianeta e, se ce ne fosse stata occasione, non avremmo evitato di entrare in contatto con la civiltà natia del luogo, limitando ogni forma di ostilità come ci era stato ordinato di fare. Dovevamo atterrare al primo accenno di terre emerse, in modo da confrontarci con il territorio e le caratteristiche climatiche. Inoltre ci era stato chiesto di raccogliere dei campioni sperimentali da riportare al centro di ricerche una volta tornati. Avevamo un chiaro programma da seguire, delle direttive precise come in ogni spedizione esplorativa; fino a quel momento non si era verificata nessuna falla nello svolgimento della procedura standard.
Il paesaggio si allungava in chilometri e chilometri di oceano profondo. Dopo i primi trenta minuti di viaggio, impiegati per superare l'immensità del mare alieno, incappammo nel primo segno che sanciva l'innegabilità dell'esistenza di creature intelligenti. Nonostante la gioia e l'allegria che una simile rivelazione avrebbe dovuto portare...
è impossibile ricorrere a qualsiasi tipo di descrizione, per riuscire a dare una vaga idea delle visioni mostruose che si propagavano dinanzi ai nostri sguardi saturi di paura. Era una città immensa, ciclopica e grigia. Si ergeva in costruzioni che rispettavano le più perverse delle geometrie, incomprensibili a me e tutti gli altri cosmonauti. Alcune palizzate partorite dalla mente infetta dei loro costruttori svettavano in eterne bestie verticali protese nel cielo cupo.
Un mostro, lo si può definire solo in questo modo: un mostro affamato che divorava ogni porzione di terra e vomitava una nube grigia, miasma pestilenziale che fluttuava nell'aere oscuro. Delle strade strette erano situate fra le edificazioni come arterie di un organismo abominevole, davano una sensazione di claustrofobia tale che per un istante l'abitacolo dell'astronave mi era sembrato assurdamente stretto.
E come se non bastasse, in tutto quel caos degno del peggiore dei mali cosmici, l'immensa altezza dal quale scrutavamo non ci precluse di posare la nostra attenzione sugli esseri raccapriccianti che abitavano le terre devastate dalla sovranità del grigio. Potevamo vedere la deformità orripilante delle loro piccole teste sormontate da una peluria che variava di colore da individuo a individuo, come potevamo inorridire nel guardare il colore delle loro carni. Erano centinaia di migliaia, forse milioni, forse miliardi... tutti concentrati nel pallore grigio della loro città, in un agglomerato caotico e asimmetrico. Non ci videro, loro troppo lontani per noi e noi mai abbastanza distanti per non guardarli. Urlai. Urlammo.
Eravamo pronti a deviare dagli orrori scomposti che ci attendevano oltre, ma fummo intercettati da quelli che erano i loro rumorosi veicoli di circolazione aerea. La pazzia deve aver annebbiato i miei ricordi, perché la mente fatica ancora a ricostruire cosa successe dopo che i mezzi alieni si unirono in formazione per accerchiare la nostra astronave. Ricordo un lungo viaggio nei cieli del mondo malato, accompagnato dal frastuono continuo delle loro astronavi.
Ricordo l'atterraggio in una zona completamente vuota, dove un mare di sabbia governava per chilometri che sembravano eternità. Ricordo il calore soffocante della loro stella che premeva contro le tute. Ricordo le armi rudimentali e pesanti puntate alle nostre teste. Una base nel nulla di quel luogo disorientante, protetta da alte recinzioni e torri. Poi colpi. Sangue. Morte. I numeri. Sì, vi erano dei numeri e io mi chiedevo come fosse possibile che delle creature così primitive conoscessero il fondamento della logica utilizzata dai miei simili.
5-1 furono l'unica cosa che riuscii ad identificare, prima di essere rinchiuso nei sotterranei di pietra calcarea, assieme ai pochi sopravvissuti, per essere inghiottito da un buio penetrante.
E forse, nel caos della mente, sono riuscito a distinguere delle parole da parte dei miei carcerieri.
Il nome della loro razza, non ne sono sicuro.
" h-u-m-a-n-s. " »

Distorsione audio-video. Statico audio.

              __fine programmazione.

   
 
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