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Autore: Maiko    02/06/2017    3 recensioni
Quanto era trascorso dalla fine della Guerra? Quanto da quando il suo corpo aveva smesso di invecchiare e morire e lo aveva costretto a trascinarsi da luogo a luogo senza poter porre una fine alla propria esistenza, eternamente?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il campo di grano era un mare



Il campo di grano era un mare, le cui onde d’oro si piegavano nel vento; si stendevano a perdita d’occhio verso l’orizzonte e lo sommergevano fino alla vita. Il sole era una sfera bianca, troppo luminosa e troppo calda in quella giornata di inizio Agosto, e spezzava il blu del cielo e gli bruciava la vista.
Allen rimaneva a testa alta a contemplare la stella attraverso le palpebre dischiuse, incurante delle cicatrici colorate ed invadenti che minacciavano di marchiargli le pupille. I lunghi capelli bianchi si sollevavano nella brezza e gli solleticavano il viso, avvolgendo la sua figura sottile come un mantello di candidi fili di seta. Le sue mani sfioravano le spighe e lui lasciava che il frumento gli pungesse le dita callose per poter rimanere ancora un poco legato alla realtà.
I suoi occhi grigi avevano da tempo esaurito ogni lacrima e, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare la percezione delle stille salate che gli scivolavano lungo le guance. Aveva così tanti motivi per piangere, ora.
Il cielo era blu, talmente blu da essere ingiusto, e le rondini cinguettavano senza curarsi di quanto il vuoto che gli stringeva il petto fosse particolarmente acuto, quel giorno. La tristezza e la solitudine, si ricordò, erano ora le sue uniche compagne ovunque andasse.
Da quando aveva visitato quel luogo l’ultima volta, case di legno e argilla erano sorte ai margini delle strade, ora acciottolate; il fumo usciva dai comignoli, rare automobili passavano rumorosamente in lontananza, una radio raccontava con suono gracchiante delle tensioni tra i Regni, voci dai rozzi accento discutevano nei cortili dei paeselli. Ogni cosa che il suo orecchio e la sua vista riuscivano a catturare parlava di cambiamenti che non avrebbe nemmeno dovuto vivere.
Non sapeva che giorno fosse, che anno fosse; aveva perduto interesse nel dare nomi allo scorrere del tempo quando la bambina che abitava la piccola casa alla periferia di Lancaster era invecchiata e divenuta l’ennesima lapide in un cimitero. Sapeva che era estate, che il sole era troppo luminoso e troppo caldo, che il cielo era talmente blu da fare male, che il mondo per cui aveva combattuto in un’epoca passata era sull’orlo di un conflitto di cui faticava a curarsi.
Il suo cuore si era indurito, alla fine. Non lo avrebbe mai creduto possibile quando ancora combatteva per un futuro migliore e colpiva e gridava contro il male che camminava sulla terra. Una parte della sua mente gli disse che avrebbe dovuto dispiacersene, l’altra la ignorò e si chiese come avesse fatto ad essere così ingenuo; come avesse fatto a nutrire speranza quando il mondo bruciava tutto intorno.
Quanto era trascorso dalla fine della Guerra? Quanto da quando il suo corpo aveva smesso di invecchiare e morire e lo aveva costretto a trascinarsi da luogo a luogo senza poter porre una fine alla propria esistenza, eternamente? Allen era stanco, così stanco.
Il confine tra un giorno e l’altro era divenuto sempre più labile, fino a svanire nel confuso susseguirsi di albe e crepuscoli che si amalgamavano nei suoi ricordi e perdevano per sempre quelle emozioni uniche e speciali che un tempo gli avevano dato. Il sole che sorgeva da dietro le montagne innevate non era divenuto altro che una fonte di luce nella sua lunga attesa; e la notte spettatrice silenziosa della sua insonnia e del suo eterno vagare.
I suoi capelli erano cresciuti in una cascata di seta bianca sulla sua schiena, così lunghi da tessere trappole per foglie e fiori ovunque andasse; per un po’ ne aveva avuto cura e li aveva tagliati, lasciando che ricadessero sulle spalle e gli incorniciassero il viso dalle fattezze ancora fanciullesche. Col tempo, quando la sua anima si era fatta fredda e chiusa ed insensibile alle cicatrici dell’umanità, aveva perso il desiderio di dare attenzione ad un corpo che ormai gli era prigione. Un fantasma non aveva bisogno di avere un bell’aspetto, dopotutto.
Era questo, ciò che Allen era diventato: uno spettro che aspettava la fine del mondo, condannato a veder morire chiunque gli stesse attorno nell’accavallarsi dei secoli. Della Guerra che aveva combattuto una vita fa era rimasto solo lui, immortale reduce mutilato della possibilità di morire.
Il momento peggiore era stato quando si era reso conto di non ricordarsi più il suono della voce di tutte le persone che aveva amato; i suoi compagni, i suoi amici, i suoi fratelli. I loro visi, pure, avevano assunto i contorni di una vecchia foto sbiadita di cui non riusciva a richiamare i lineamenti. Talvolta aveva sprazzi di menti sottili e nasi a punta, di guance rosee e di fossette agli angoli della bocca, di mani forti dalle dita callose, di brillanti occhi verdi dal taglio all’ingiù, di sorrisi gentili e un po’ malinconici. Per la maggior parte, coloro che aveva conosciuto erano ora zazzere rosse e lunghi capelli scuri e profondi occhi viola; erano eco di risate lontane ed insulti e lividi; erano schiere di divise nere e rosse con guizzi d’oro.
Avrebbe voluto ricordarli. Avrebbe voluto poter trar conforto da quei visi che un tempo avrebbe saputo tratteggiare a memoria; ma anche quello gli era stato negato, ora.
Incedeva tra i sentieri di un mondo in progresso con nulla tra le mani se non le proprie cicatrici. C’era stata un’epoca in cui era stato il suo scopo, rammentava: camminare. Continuare a camminare, qualunque cosa fosse successa, e non voltarsi indietro. Era stata la promessa di un bambino solo a qualcuno di importante; era stato il suo Voto quando si era ritrovato orfano di nuovo e senza uno scopo nella vita. Era accaduto tanto, tanto tempo prima.
Ironico come camminare fosse divenuta la sua pena, quando aveva estirpato il male da quella terra ed aveva firmato la propria condanna. Ricordava, da un passato non suo, di come il Conte del Millennio fosse sparito dal mondo soltanto una volta per vivere una vita umana, amando ed odiando diviso a metà. Quando Nea e Mana si erano ricongiunti al termine della Guerra, divorandosi l’un l’altro all’interno del suo corpo, Allen era divenuto portatore del loro medesimo destino. Allora, i suoi compagni già avevano esalato l’ultimo respiro sul campo di battaglia. Lui non aveva avuto la loro stessa fortuna.
Più gli anni erano trascorsi, più si era reso conto di quanto la morte fosse un privilegio: divenire vecchio, osservare le rughe increspare la propria pelle, lasciarsi alle spalle i rimpianti di una vita; era tutto ciò che avrebbe voluto.
Allen chiuse gli occhi e si abbandonò al tepore del sole sul proprio viso. Era in momenti come questi, quando il vento gli soffiava nelle orecchie e gli stropicciava gli abiti, che riusciva a non pensare a nulla e ad avere pace, almeno per un poco. Il calore dell’estate lo avvolse e cullò nella dolcezza del profumo dei frutti che la brezza trasportava dal limitare dei campi.
Quando riaprì le palpebre, sulla strada al di là del terreno un bambino lo osservava con grandi occhi nocciola pieni di curiosità; le sue labbra erano dischiuse in un muto gesto di meraviglia ed il suo viso, un affresco di lentiggini sull’incarnato pallido, rifletteva timore e fascino al tempo stesso. Allen si immaginò attraverso il suo sguardo: una figura eterea e diafana, avvolta in un manto di capelli bianchi che ne mascherava le fattezze, immobile tra il frumento sotto il sole d’Agosto.
Il piccolo lo guardava come si guarda l’impossibile, come si guardano gli spettri e le creature pregne di magia; sotto la disordinata frangia rossa, i suoi occhi lo passavano da parte a parte come se mai avessero veduto nulla di più splendido. Allen osservò il bambino, così giovane e innocente, e lo invidiò.
Cresci. Cresci e ama, vivi, abbi speranza per il futuro, abbi una famiglia, invecchia al fianco di qualcuno e diventa ricordo prezioso per coloro che ti hanno conosciuto. Fallo anche per me. Sussurrò al vento. E per un attimo, un solo istante nell’eternità che lo attendeva, il tempo gli si distese dinnanzi e non fu il confuso susseguirsi dei giorni. Fu soltanto un secondo, uno sprazzo di realtà che prepotentemente si era fatto strada nella sua mente spenta, ma di quello si sarebbe ricordato.
E quando il momento si spezzo di nuovo, lui si voltò e continuò a camminare.


 


Spazio autrice:
Una breve storiella che avevo iniziato a scrivere un paio di mesi fa, quando mi ero immersa nuovamente nel fandom dopo un lungo periodo di assenza. Sarà che l'idea che Allen possa diventare il nuovo Conte del Millennio non mi sembra più così improbabile, ma non riuscivo a togliermela dalla testa!
L'ho scritta ascoltando in loop "Walk through the fire" di Zayde Wolfe e Ruelle.
Alla fin fine è stata un po' una pretesa per scavare a fondo nella psicologia del personaggio e cercare di immaginarlo "spezzato".
Supponendo che D.Gray-Man si svolga attorno agli anni '30 dell'Ottocento, questa storia è ambientata all'incirca il secolo successivo, attorno agli anni '40 e prima dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale. La vita media di quell'epoca non superava i quaranta-cinquant'anni.
Ho messo raiting giallo per sicurezza, dato che i pensieri di Allen non sono tra i più felici.
  
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