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Autore: usotsuki_pierrot    02/06/2017    2 recensioni
Kagami è appena partito per l'America, poco prima dell'inizio della famigerata Winter Cup, lasciando per qualche giorno Yuki immersa nei suoi pensieri, nelle sue paure e nell'attesa del suo ritorno.
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Il tabellone con affissi gli orari di partenza e arrivo spiccava appeso al soffitto dell'edificio.
Le pupille della ragazza studiarono con un minimo di riluttanza e rassegnazione ogni parola, ogni città, ogni numero esposto, fino a soffermarsi su una particolare destinazione, quella che avrebbe voluto evitare di vedere fino all'ultimo, quella verso la quale Kagami era diretto: Los Angeles
(primo capitolo).
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Gli occhi neri della bambina si illuminarono. Non aveva mai visto nulla di simile, e si chiese come avesse fatto a non notarla prima, dato che non aveva mai percorso altre se non quella strada. Probabilmente la causa era riconducibile al suo mantenere sempre gli occhi fissi a terra, tranne alcune rare volte in cui Kagami riusciva a distrarla (secondo capitolo).
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«Non era certo il bentornato che speravo di darti...».
La voce della ragazza risuonò nella stanza che fungeva da infermeria mentre, con una mano, ripuliva la guancia del rosso con un fazzoletto intriso con del disinfettante
(terzo capitolo).
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Seijuro Akashi, Taiga Kagami
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I passi della piccola Yuki risuonavano senza sosta, mentre, con le mani strette alle bretelle dello zaino e lo sguardo puntato verso il basso, gli occhi neri studiavano la cadenza con la quale le suole delle scarpe battevano sul marciapiede. Una riga si, una riga no, quella era la sequenza che la bambina seguiva nel calpestare le minuscole fessure che si presentavano a terra; e ogni qualvolta qualcosa andava per il verso sbagliato, le esili dita si stringevano sempre di più all'appiglio a cui abitualmente si trovavano aggrappate.
Era un'abitudine a cui era costretta da qualche anno a quella parte, durante il tragitto che separava casa sua dalla scuola, all'andata e al ritorno. Più volte aveva rischiato di arrivare tardi pur avendo impostato la sveglia prima del solito, e spesso aveva varcato la soglia di casa ad un orario improponibile rispetto agli altri bambini (come avrebbe sicuramente fatto quel giorno, ad esempio), con conseguente interrogatorio da parte soprattutto della madre preoccupata.
"Perché arrivi così tardi?".
"Ti è successo qualcosa?".
Queste ed altre erano le frasi che la corvina era ormai abituata a sentire. Fortunatamente Naoki non appena vedeva la sorella maggiore rientrare a casa non faceva altro che abbracciarla e raccontarle, all'inizio con difficoltà, tutte le attività che avevano riempito la sua giornata e tutti i giochi che aveva provato, salvandola dalle domande insistenti della donna.
Tutt'a un tratto, però, una musica giunse alle orecchie della bambina. Una musica che non aveva mai sentito prima, ma così bella e rilassante che si chiese se la stesse solo immaginando. Rimase qualche istante ferma, con la suola di una scarpa perfettamente disposta su una crepa, lo sguardo ancora rivolto verso il basso. Non era più concentrata sul marciapiede, voleva capire da dove provenisse quella melodia, scoprirne l'origine. Proseguì per alcuni passi ad una velocità più elevata rispetto all'andatura che solitamente manteneva, anzi, si mise quasi a correre; finché, all'improvviso, non giunse davanti al cancello di una villa che di ordinario pareva non avere nulla, nella prospettiva di una bambina di nove anni. La struttura, illuminata dalla calda luce del tramonto, era imponente, preceduta da un grande giardino curato nei minimi dettagli, e un piccolo sentiero in pietra partiva dal punto in cui Yuki si trovava e proseguiva fino al portone d'ingresso, quasi come se avesse voluto accompagnare il visitatore o gli stessi proprietari.
Gli occhi neri della bambina si illuminarono. Non aveva mai visto nulla di simile, e si chiese come avesse fatto a non notarla prima, dato che non aveva mai percorso altre se non quella strada. Probabilmente, si disse, la causa era riconducibile al suo mantenere sempre gli occhi fissi a terra, tranne alcune rare volte in cui Kagami riusciva a distrarla dalla cura scrupolosa e ossessiva che riponeva in ogni singolo movimento.
Intanto la musica continuava imperterrita a riempire l'aria di note eseguite quasi alla perfezione da un violino, che Yuki imparò a riconoscere solo in futuro.
Rimase lì, in piedi davanti al cancello, senza toccare nulla che non fossero le bretelle dello zainetto, con gli occhi scuri posati sull'abitazione ma senza che la corvina vi prestasse davvero attenzione. Il tempo passò così rapidamente che la corvina non si accorse dell'oscurità della sera che man mano prendeva piede tutt'intorno a lei. Fu nell'istante in cui la melodia terminò, che si scosse dall'immobilità in cui era caduta inconsapevolmente.
"È finita...", pensò, con un pesante senso di tristezza sul petto. Si disse che molto probabilmente chiunque stesse suonando fino a poco prima si fosse stancato, e con un piccolo sospiro strinse nuovamente le dita intorno alle bretelle e riprese a camminare.


«Mh?».
«Cosa succede, mamma? Cos'hai visto?». La voce del bambino si librò nella stanza, prendendo il posto del suono del violino. Gli occhi si posarono sul viso della donna che, seduta accanto a lui, aveva appena voltato lo sguardo, dirigendolo al di fuori della finestra.
«Oh, non ti preoccupare, Seijuro!».
Ma il rosso non sembrò per nulla soddisfatto dalla risposta, tanto che si fermò ad osservare ancora a lungo quel volto elegante e tranquillo.
«Sai, penso di aver visto una bambina...».
«Una bambina? Dove, mamma?».
«Appena fuori dal cancello...». La donna sorrise teneramente e rivolse lo sguardo verso il figlio, che con un'espressione confusa passò dall'osservare gli spartiti avanti a sé a puntare gli occhi nella stessa direzione della madre. «Sembrava apprezzare la tua musica!».
«Ma io non la vedo...», fece lui con un piccolo broncio deluso.
«Se ne sarà andata, Seijuro... Dopotutto si è fatto tardi!».
Il bambino dai corti capelli rossi annuì, soffermandosi ancora un poco sul cancello dell'abitazione, per poi iniziare a sistemare gli spartiti e l'amato violino nella custodia.
«Scommetto che la vedremo anche domani!», esclamò poi lei, in direzione del bimbo.
«Dici davvero..?», rispose lui, guardandola con occhi speranzosi.
«Ma certo! Facciamo così», continuò, «se domani faremo in tempo a vederla, la inviteremo ad entrare, sei d'accordo?».
L'espressione del rosso si illuminò, le labbra si schiusero per la sorpresa e dopo qualche secondo iniziò ad annuire, in risposta alla proposta della madre. Quest'ultima si lasciò sfuggire una piccola risata divertita, portandosi con eleganza la mano di fronte alle labbra e abbassando le palpebre.


Il giorno dopo Yuki seguì lo stesso percorso intrapreso il pomeriggio prima, all'incirca alla medesima ora, tentando di ricordare ogni incertezza sulla via che potesse farla giungere nel momento giusto di fronte a quella casa. Il passo risultò molto più rapido del previsto, le mani erano libere dalla presa alle bretelle dello zaino e seguivano con determinazione l'andatura curiosa e decisa della bambina. Gli occhi scuri rimasero sul marciapiede, fissi e imperturbabili per tutto il tragitto, finché non giunsero davanti al cancello dell'abitazione. Le pupille tornarono ad analizzare la struttura, il verde che la circondava donandole pace e tranquillità, quasi fosse stato un castello o un portale per un'altra dimensione, il piccolo sentiero in pietra e le finestre più o meno illuminate dalle luci accese all'interno.
Nessuna melodia. Niente musica. Yuki rimase qualche minuto davanti alle sbarre di ferro scure, con un'espressione che da speranzosa diveniva man mano sempre più delusa e triste.
Si era presa anche la briga di avvisare la madre che sarebbe probabilmente tornata tardi rispetto all'orario solito a causa della scuola, inventandosi la scusa (banale, ma la prima che le venne in mente), che le lezioni si sarebbero protratte a lungo. La donna le aveva rivolto uno sguardo incuriosito e confuso, e la corvina ebbe paura che da un momento all'altro l'avrebbe sommersa di domande per avere dettagli e informazioni aggiuntive. Invece, al contrario di quanto aveva temuto, non le chiese nulla, anzi, si limitò ad annuire, ad accarezzarle un poco i capelli e a riprendere a cucinare per la cena che sarebbe stata pronta di lì a qualche minuto.
«Nee-san, farai tardi?», le aveva chiesto Naoki, guardandola con un paio di occhi dolci che costrinsero la maggiore ad abbracciarlo d'istinto.
«Ti prometto che sarò a casa il prima possibile, Naoki-chan!», aveva risposto lei, scompigliandogli i corti capelli castani.
La bambina iniziò a pensare, con un sospiro, che il coraggio che aveva accumulato per avvisare la madre e la preoccupazione che aveva fatto nascere sul viso del fratello fossero stati inutili, considerando che il sole stava ormai calando e nessuna nota era ancora uscita da quella casa.
D'un tratto, un rumore non troppo forte, proveniente dal cancello, la destò dai suoi pensieri, spaventandola. Posò la mano su una delle sbarre rigide, spinse un poco e notò che era aperto. O meglio, qualcuno l'aveva aperto. Probabilmente l'avevano vista.
In una frazione di secondo, la mera curiosità che l'aveva avvolta si trasformò in vera e propria agitazione, un misto di paura e desiderio di scappare. Arrivò persino a chiedersi se quella della musica non fosse altro che una trappola per riuscire a catturarla.
Tentò di muoversi, per poter correre via, lontano da quel posto davanti al quale non sarebbe più passata.
Il portone d'ingresso si aprì, rivelando una figura femminile, vestita elegantemente e di bianco, con lunghi capelli castani e un viso quasi angelico. Gli occhi neri della bambina si posarono su di lei, attirati, seguendo i suoi passi con le pupille. I pensieri e le paure che l'avevano attanagliata in poco tempo e che avevano minacciato di farle esplodere il cuore da un momento all'altro sparirono, fluendo lentamente dal suo corpo, e la causa sembrò proprio essere l'espressione dolce della nuova arrivata. Quest'ultima la guardava, con un lieve sorriso rassicurante e gli occhi che parevano colmi di dolcezza.
La donna si fermò davanti al cancello, aprendolo e provocando nella bambina un brivido di spavento che se non fosse stata immobilizzata dalla paura l'avrebbe sicuramente costretta ad allontanarsi in fretta e furia. La castana si inginocchiò di fronte a lei, incrociando le braccia e posandole sulle gambe piegate. Il sorriso si fece anche più grande e intenerito nell'istante in cui la piccola deglutì rumorosamente e fissò le pupille nelle sue.
«Ciao!», iniziò, con un tono sufficientemente basso dal rilassare in parte la corvina.
«Come ti chiami?», continuò.
Nessuna risposta.
«Non volevo spaventarti...». Ancora silenzio.
«Ho visto che ti sei fermata qui anche ieri e...».
«M-Mi dispiace..!!», esclamò Yuki, con un piccolo inchino e gli occhi serrati.
La donna si lasciò andare ad una piccola risata che costrinse la bambina a risollevare di poco le palpebre e ad alzare la testa per poterla guardare. L'espressione così calma e rilassata della castana la fece sorridere e la tranquillizzò quasi immediatamente.
«Non devi scusarti!», riprese la più grande. «Mi stavo chiedendo se per caso volessi ascoltarla dentro, la musica!».
La bambina fece un passo indietro istintivamente.
«Mh..? Oh, non ti devi preoccupare! Non ti farò del male, puoi fidarti di me!».
L'immagine della madre che le ripeteva insistentemente di non dar retta agli sconosciuti fece capolino nella mente della corvina, che tuttavia quella fiducia di cui la donna parlava, già la sentiva. Non poteva essere un caso, aveva percepito chiaramente la sensazione di quiete e sicurezza quando l'aveva vista la prima volta. Perciò, non appena la donna le porse gentilmente la mano per accoglierla nell'abitazione, Yuki deglutì nuovamente, per poi accettare l'offerta.
La villa in cui era appena entrata pareva anche più immensa, vista dall'interno. I passi della corvina e dell'adulta risuonavano pacati e ripetitivi nel grande corridoio che stavano percorrendo, rimbalzando senza sosta da una parete all'altra, come gli occhi scuri della bambina. Le pupille non si davano un secondo di pace, intenti com'erano a studiare ogni minimo particolare che la struttura aveva da offrirle. Dai quadri appesi ai lati, sui muri colorati, al tappeto elegante che correva liscio e curato sul pavimento, alla piacevole sensazione di fresco che aleggiava intorno a loro. Si sentì una specie di regina nel suo regno, e si era immersa tanto in quella fantasia scoccata dal nulla che ad un certo punto si aspettò di dover entrare nella "stanza del trono".
E in effetti, come se avesse letto nella sua mente, la donna si fermò qualche istante più tardi davanti ad una porta.
«Siamo arrivate!», riprese a parlare, rivolgendole un altro sorriso che la più piccola ricambiò con un'espressione curiosa.
Dopodiché posò le dita sulla maniglia e la aprì.
Yuki buttò immediatamente l'occhio all'interno della stanza, in cui poté subito vedere alcuni strumenti musicali, fogli sparsi qua e là (spartiti, pensò), e poco più. Fu solo quando la donna aprì completamente la porta, e la condusse nella camera, che notò un altro bambino, seduto in un angolo con il violino in mano.
Aveva corti capelli rossi, occhi dello stesso colore, un'espressione genuinamente confusa e lo sguardo curioso puntato su di lei. Lo vide mentre faceva dondolare lentamente le gambe, prima che smettesse, cominciando a guardarla.
«Seijuro, ti presento...». La più grande si bloccò a metà della frase, portandosi poi una mano sul mento e riportando gli occhi sulla figura della bambina.
«Scusami, credo di non sapere ancora il tuo nome...».
«Mi chiamo Yuki..! Sasaki Yuki...».
«Yuki-chan!», esclamò lei, contenta. «Direi che ti si addice proprio, come nome!».
La bambina distolse lo sguardo, sorridendo lievemente, con un evidente imbarazzo dipinto sul volto. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo: la sua pelle. Dopotutto, spesso e volentieri lei stessa si era chiesta se i suoi genitori avessero deciso quel nome, Yuki, "neve", dopo aver visto quella carnagione così chiara.
«Seijuro, presentati anche tu!», disse con tono gentile rivolto a colui che era presumibilmente il figlio. Quest'ultimo si alzò dalla sedia, posando con cura il violino nella custodia, e si avvicinò alla corvina con un piccolo sorriso.
«Mi chiamo Akashi Seijuro! Piacere di conoscerti Sasaki-san!».
Sentirsi chiamare in quel modo rischiò di far storcere il naso alla corvina. Non lo amava particolarmente, al contrario del suo nome.
Il rosso le porse la mano. Yuki arrossì, tentando in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo, e gliela strinse sussurrando un flebile «va bene Yuki..!».


Se c'è una cosa che Yuki imparò di Akashi nei giorni successivi, quando tornò a casa sua, questa fu sicuramente la sua passione per il basket, oltre che per la musica. La corvina pensò che quello doveva essere uno sport popolare, considerato il fatto che anche Kagami stava iniziando ad avvicinarvisi, in America. Trascorreva minuti se non ore, durante le loro telefonate, a parlare di quanto si stesse allenando insieme a tale Himuro Tatsuya, e a quanto fosse contento di aver iniziato a giocarci. E nonostante uno strano sentimento di gelosia avesse già cominciato ad annidarsi nell'animo della bambina, era entusiasta quasi quanto l'amico della sua decisione e non faceva che supportarlo.
Perciò quando Akashi, un giorno, si presentò nel giardino della villa con un pallone arancione tra le mani, gli occhi della corvina si illuminarono.
«Yuki-chan, giochi per caso a basket?», chiese lui, inclinando la testa da un lato, alla vista della sua espressione fin troppo contenta.
«Io no, ma ne ho sentito tanto parlare!».
«Che ne dici di provare insieme??». La felicità di Yuki minacciò di scomparire.
«Non... so se sono capace...», disse in un fil di voce, abbassando lo sguardo.
Akashi sorrise e alzò il pallone nella sua direzione.
«Ti insegnerò io!».
Gli occhi della corvina si sollevarono lentamente da terra, riprendendo a brillare.
«Davvero lo faresti..?».
«Certo!! A me ha spiegato tutto la mamma!».
La bambina sorrise e annuì, lasciando che l'amico le illustrasse tutte le regole dello sport.


Le giornate trascorrevano così veloci che Yuki neanche si accorgeva di passare ore a casa del rosso. Sempre spensierate, senza intoppi, tra partitelle di basket, le merende preparate dalla madre di lui, risate in compagnia e di nuovo partite. Yuki sentiva finalmente di migliorare, di prestare l'attenzione necessaria sull'ambiente che la circondava, sui movimenti di Akashi e non solo. Si era accorta che non era un problema per lei fermarsi al momento giusto, nel punto più adatto per tirare a canestro, nonostante ancora la maggior parte dei tiri non andasse a segno. Tanto che la donna si congratulava specialmente con lei, lodandola ogni volta per la sua cura dei dettagli  e per la sua abilità di capire come muoversi. Complimenti che in fondo la corvina non sentiva di meritare: era vero, che i miglioramenti erano più che evidenti, ma in fin dei conti stava semplicemente giocando secondo il suo stile. Non avrebbe saputo NON prestare attenzione a ciò che trovava attorno a lei.
Capì che non era una capacità di cui tutti avrebbero potuto vantarsi il giorno in cui, giocando - come ogni pomeriggio -, aveva potuto vedere nella sua mente l'immagine di Akashi che cadeva malamente a terra, e un momento dopo era riuscita ad afferrare il braccio dell'amico, che era in procinto di scivolare.
La madre era accorsa a controllare che stessero entrambi bene, e quando chiese alla bambina come avesse fatto a muoversi così in fretta, Yuki rispose semplicemente che l'aveva visto. O meglio, sapeva che sarebbe successo.
Akashi l'aveva guardata con un'espressione sorpresa e incredula, che la costrinse finalmente a realizzare che, quella, era decisamente una cosa fuori dal comune.


I giochi continuarono, ma non per molto. Anzi, finirono così presto che lo scorrere degli eventi sembrò trascinare la corvina ma soprattutto il rosso in un vortice senza fine che non dava loro un secondo di tregua. La madre di Akashi era ormai morta da giorni, eppure nessuno dei due aveva voluto riprendere le loro piccole partite di basket. Rimanevano semplicemente insieme, nel giardino o davanti all'altarino eretto in suo onore, specialmente nei giorni di pioggia, seduti l'uno accanto all'altra. Spesso senza dire una parola per minuti, per ore. Le poche volte in cui qualche frase osava rompere il silenzio in cui si trovavano da giorni, queste erano proferite da Yuki, che tuttavia non aveva ancora il coraggio di guardarlo, chiuso com'era, con le gambe piegate al petto e lo sguardo fisso a terra.
Gli unici momenti in cui i suoi occhi sembravano illuminarsi almeno in parte erano quelli in cui la corvina si presentava davanti al cancello, finita la scuola. Era probabilmente quello, il motivo che la spingeva a continuare ad andare a casa sua, senza saltare nemmeno un giorno. Si era ripromessa che non l'avrebbe mai lasciato solo in balìa dei suoi pensieri. Il timore costante che se solo l'avesse lasciato un attimo sarebbe crollato definitivamente l'assaliva. Avrebbe fatto di tutto pur di aiutarlo, in qualche modo.


«Yuki...», le chiese un giorno, quasi dal nulla.
«Vieni alla Teiko, con me». La corvina rimase immobile per qualche istante, come se quella proposta l'avesse colpita fisicamente. Rivolse lo sguardo verso di lui, con un'espressione confusa e sorpresa.
«Alla Teiko?».
«Esatto», rispose lui, semplicemente. «Andremmo a scuola insieme, avremmo l'opportunità di unirci ai club di basket... Ho sentito che le squadre della Teiko sono molto forti».
«Akashi...».
«Sono sicuro che ci potremmo allenare come si deve, finalmente, e poi-».
«Akashi!».
La voce della ragazza lo costrinse ad interrompere la frase a metà, e a voltare lo sguardo verso di lei, incrociando gli occhi ai suoi.
«Vuoi davvero continuare a giocare a basket..?». Il tono dell'amica divenne così pacato e basso che sembrò fatto apposta per non turbarlo.
Il rosso rimase a guardarla per qualche istante, dopodiché fissò nuovamente le pupille sul terreno.
Ci furono attimi di silenzio in cui nulla parve più muoversi. La corvina rimase a guardare la figura dell'amico, che dal canto suo non sembrava intenzionato ad alzare il capo. Fu solo dopo qualche minuto che il ragazzo ricominciò a parlare, e Yuki ebbe l'impressione che fosse passata un'eternità.
«Il basket è ciò che mi resta di mia madre... Non posso rinunciare ad una delle cose più importanti che mi abbia trasmesso».
Un lieve sorriso comparve sul volto più rilassato della corvina, che posò la mano sulla gamba destra - la più vicina - dell'amico. Gli occhi rossi di lui si posarono lentamente sulle dita sottili che in quel momento riposavano sul tessuto scuro dei pantaloni.
«D'accordo... Verrò alla Teiko». Lo sguardo del rosso si alzò quasi subito sul suo viso.
«Davvero..? Hai appena accettato?».
La ragazza si lasciò sfuggire una piccola risata divertita prima di annuire.
«Così mi aiuterai anche a studiare, genietto!».
Lentamente, Akashi portò la mano al di sotto di quella della corvina, creando una sorta di barriera tra quest'ultima e i pantaloni. Le dita si intrecciarono, in modo dolce ma deciso, e i palmi premettero l'uno contro l'altro, formando un contatto che a Yuki non dispiacque. Tuttavia, non appena posò gli occhi prima su quell'unione così spontanea e naturale, e successivamente sul viso di lui, sentì le guance andare a fuoco e non fu in grado di sostenere lo sguardo quasi divertito del rosso.
«Almeno io studio, sai?».
La corvina mise un evidente broncio imbarazzato di fronte a quell'affermazione, che risultò in un borbottio sommesso più che in una valida argomentazione per controbattere all'accusa del più alto. Quest'ultimo non poté trattenere una breve risata ad occhi chiusi quasi nascosta.
La ragazza si rilassò in parte, guardandolo di sottecchi, e sorrise intenerita stringendogli la mano ancora connessa alla sua.


La Teiko non si rilevò una scuola come tutte le altre. Difficile, rigida, stressante, ecco come l'aveva percepita Yuki; al contrario di Akashi, che aveva iniziato a dare il massimo come suo solito dal primo giorno. L'unica consolazione della corvina fu, per qualche tempo, il famoso club di basket, a cui aspirava ad entrare sin dal suo ingresso in quella scuola così prestigiosa. Gli allenamenti erano infiniti e soprattutto impegnativi, tanto che più volte la giocatrice si era considerata troppo pigra, poco motivata e priva di bravura per poter far veramente parte di una squadra a quei livelli.
Lizzy, nome per esteso Elizabeth, bassa di statura, capelli castani, occhi azzurri, pelle lievemente scura e lentiggini che le donavano un aspetto molto più giovane del dovuto, iscritta anch'essa al club di basket, aveva notato da subito l'abilità ancora allo stato grezzo di Yuki, e proprio per questo motivo le due non avevano avuto difficoltà ad avvicinarsi e ad instaurare un legame molto forte. Del resto, se la castana era stata attirata dal misterioso tratto di Yuki, quest'ultima era affascinata dal suo innato talento.
Inizialmente si era chiesta come avesse fatto una ragazza così bassina e, soprattutto, del primo anno, ad aver acquisito una tale popolarità all'interno dell'istituto (non che lei fosse alta, e a maggior ragione faticava a comprendere).
Fu quando la vide giocare per la prima volta in una partita di allenamento che ogni suo dubbio venne spazzato via. Lo stile di gioco di Lizzy era fluido, rapido, senza intoppi o ostacoli, come se gli avversari che man mano si posizionavano davanti a lei per bloccarla non esistessero e, anzi, le facilitassero il tutto. La castana sfruttava la sua statura per migliorare non tanto la potenza, quanto più la velocità nei movimenti, che le consentivano di giungere senza difficoltà poco lontano dal canestro. Era proprio a quel punto, poi, che la seconda grande abilità della ragazza si manifestava: il salto. Se nella rapidità il compito maggiore era svolto dalla sua statura, la capacità di saltare con tanta facilità e ad una tale altezza fino a canestro faceva sicuramente parte di lei. Non era un qualcosa che aveva creato, quanto piuttosto una caratteristica che aveva coltivato e migliorato nel tempo.
La corvina ricordò di essere rimasta minuti interi a guardarla, a bocca aperta, a seguirla con lo sguardo, finché non si risvegliò dai suoi pensieri.
Fu quello il giorno in cui Yuki decise che nessuna scusa le avrebbe dovuto impedire di allenarsi abbastanza duramente da migliorare. Si sarebbe data da fare per poter sviluppare per quanto possibile le abilità in suo possesso, per poter giocare al fianco di Elizabeth senza sentirsi inferiore o di peso, e per Akashi, che tanto l'aveva spinta ad appassionarsi al basket.


«Yuki?».
Si stava ormai facendo buio, e Akashi si era avvicinato all'entrata della palestra femminile, con il borsone in spalla; le pupille esploravano ogni angolo alla ricerca dell'amica che, stranamente, non aveva ancora finito l'allenamento.
«Yuki, sei qui?». L'espressione sul volto del rosso si fece preoccupata nell'istante in cui realizzò che le luci della struttura erano completamente spente, segno che con ogni probabilità non vi era più anima viva all'interno. Il ragazzo fece un passo sul pavimento lucido della palestra, continuando a tenere sotto controllo l'ambiente circostante.
All'improvviso, la vide. La corvina era seduta con la schiena appoggiata alla parete, la bottiglietta d'acqua in una mano e l'altra avvinghiata insieme al braccio intorno alle gambe piegate. Akashi tirò un piccolo sospiro, abbassando le palpebre per poi riaprirle subito dopo e posare lo sguardo sulla figura dell'amica.
Si avvicinò, lasciando che il borsone si accasciasse a terra accanto a lui, e si inginocchiò di fronte a lei.
«Akashi...», sussurrò, senza però guardarlo.
«Giornata no?», chiese il rosso. L'amica affondò parte del viso sulle ginocchia, tenendo lo sguardo fisso a terra.
«Stanno migliorando tutte, perché io no?», riprese in un filo di voce. «Mi sto impegnando seriamente, eppure mi sento ancora inutile alla squadra...».
Dopo alcuni attimi di silenzio, la giocatrice sospirò chiudendo gli occhi scuri.
«Cosa dovrei fare, Akashi..?».
Il rosso la guardò per qualche secondo, prima di lasciare definitivamente che il borsone sul pavimento e di porgerle una mano. La corvina vi posò gli occhi, senza capire all'istante cosa volesse fare, ma la afferrò comunque. Akashi si alzò, costringendo anche l'amica ad abbandonare il posto in cui si era seduta, e la bottiglietta a terra.
Yuki si chiese cosa avesse intenzione di fare, e ancor di più quando lo vide allontanarsi per raggiungere inizialmente l'interruttore della luce, che accese, e poi il cesto con i palloni che lei stessa stava utilizzando fino a poco prima. Il rosso allungò un poco le braccia e ne afferrò uno, voltandosi verso il canestro. Posò lo sguardo su di lei, invitandola ad avvicinarsi, cosa che la ragazza fece senza attendere nemmeno un secondo.
«Dimmi dove devo tirare», disse, continuando a guardarla. La più bassa spalancò gli occhi in segno di sorpresa.
«Akashi, è tardi, dovremmo andare!».
Il rosso le rivolse un lieve sorriso, senza allentare la presa al pallone che teneva in mano.
«È tanto che non ci alleniamo insieme, no?».
«Questo è vero, ma...».
«Solo un paio di tiri, e poi torniamo a casa», riprese lui, interrompendola. «Voglio dimostrarti che la tua abilità non è inutile come credi».
Lo sguardo del ragazzo era così serio, puntato su quello più incerto della corvina, che la giocatrice non poté che sospirare e puntare gli occhi scuri sul canestro.
«D'accordo, allora...», cominciò, avvicinandosi a lui. «Alza un po' più il braccio».
Il più alto puntò le pupille sul tabellone bianco, per poi obbedire al comando dell'amica.
«Fermo così», continuò. «Ora, vai».
Akashi fece per tirare il pallone, ma prima di farlo abbassò di poco il braccio. La palla entrò nel canestro, ma quel gesto non passò inosservato da Yuki, che poco dopo il lancio mise il broncio portandosi le mani sui fianchi.
«Akashi!».
«Mh? Che succede?», chiese lui ingenuamente, fingendo di non sapere cosa avesse fatto scattare in quel modo l'amica.
«Non provare a muoverti di nascosto per farmi credere che sia andata a canestro grazie a me! Ti ho visto, sai?».
Il giocatore sorrise lievemente, allontanandosi da lei per recuperare il pallone che aveva appena cessato di rotolare sul pavimento. Si chinò ad afferrarlo, e nel frattempo iniziò a parlare, con un tono che rassicurò all'istante la corvina.
«Vedi? Te ne sei accorta...».
«Eeh..? Che intendi? Il braccio? Chiunque se ne sarebbe accort-».
«No, non chiunque», si intromise lui. «L'ho spostato così poco che per un attimo ho pensato che nemmeno tu l'avresti visto».
Dopo aver proferito quella semplice quanto accurata frase, Akashi ritornò a posizionarsi di fronte alla giocatrice, che dal canto suo aveva lasciato che un'espressione stupita e quasi incredula prendesse rapidamente il posto di quella imbronciata che aveva regnato sul suo volto fino a poco prima.
«Lo capisci adesso?», riprese a parlare lui, guardandola dritto negli occhi scuri.
«Se riuscirai a perfezionarla, sarà molto più che utile, sul campo».
Yuki abbassò lievemente lo sguardo, che venne pian piano illuminato da un piccolo sorriso a metà tra l'imbarazzato e il sollevato. Annuì, senza dire nulla, sotto lo sguardo compiaciuto del rosso.
«Avanti, proviamo di nuovo», disse dopo qualche istante.
«Ti assicuro che non farò più di testa mia», aggiunse, scatenando una leggera risata da parte dell'interlocutrice.
«Proverò a crederti, per questa volta!».


«Ragazzi, vi presento Sasaki Yuki».
Gli sguardi dei giocatori della Teiko maschile si posarono tutti e quasi in contemporanea sul futuro capitano e sulla figura che vi si era affiancata. Era da giorni, anzi, settimane, che Yuki chiedeva insistentemente ad Akashi di farle incontrare i suoi compagni di squadra, che non solo la incuriosivano, ma avevano attirato completamente la sua attenzione a causa delle loro straordinarie capacità in gioco. Era contenta di essere finalmente riuscita a convincere l'amico, che aveva tuttavia accettato solo dopo qualche tempo. Dopotutto non aveva fatto altro che pregarlo e sommergerlo di domande, e alla fine il rosso era stato costretto ad accontentare la richiesta della più bassa.
«Eeeeeh?? Quindi è questa la famosa Yuki?». A proferire la prima frase era stato il ragazzo dai capelli blu e dalla pelle scura, che le si era subito avvicinato.
«Perlomeno presentati, prima di darle confidenza, Aomine...», s'intromise Akashi, con un'espressione a dir poco sconsolata.
«Oh, giusto!», disse lui, portandosi la mano dietro il capo. «Piacere, Aomine Daiki!».
Gli occhi scuri della ragazza iniziarono ad osservarlo insistentemente, studiandolo senza tralasciare nessun dettaglio.
«Akashi, sicuro che si senta bene?», aveva chiesto un secondo giocatore, parecchio più alto del rosso e dai capelli verdi. Si sistemò gli occhiali con le dita, pronunciando quelle parole alle quali Akashi stava per rispondere.
«Non ho mai visto un ragazzo veloce quanto te, sai?», esclamò lei tutt'a un tratto. Dopodiché prese ad analizzare di volta in volta ognuno di loro.
«Hai un'ottima mira, complimenti!», disse rivolgendosi proprio al verde.
«Oh, sei quello bravissimo in difesa, giusto? Un po' pigro, forse», continuò direzionando lo sguardo al viola, il più alto.
«Ti ho visto giocare a calcio! Certo che impari proprio in fretta, eh!», terminò posando le pupille sul biondo, quello dall'espressione più confusa tra tutti.
«Akashi, sbaglio o ne manca uno?», chiese infine al rosso, che spalancò un poco gli occhi.
«Kuroko?», domandò lui, sorpreso.
«Sono qui», s'intromise l'ultimo, l'azzurrino, alzando lievemente il braccio, non molto lontano da lei.
Yuki rischiò di cacciare un urlo ma si portò istantaneamente la mano a coprire la bocca, voltandosi di scatto verso il più basso. Quest'ultimo continuò a guardarla, inclinando la testa. La corvina riuscì a calmarsi in fretta, e sospirò quasi come per liberarsi di un peso, portandosi le dita sul petto.
«Scusa, non ti avevo visto..!».
Ci furono attimi interminabili di silenzio, in cui i membri della Teiko non fecero che osservare increduli e a bocca aperta la nuova arrivata. Fu solo quando Kise iniziò a parlare, che la quiete in cui erano caduti crollò inesorabilmente.
«Akashicchi, ci ha studiati?!», esclamò.
Il rosso tirò un lieve sospiro ad occhi chiusi, per poi risollevare le palpebre.
«Ha questa abitudine, si...».
Dopo aver quasi sussurrato quella frase, che non migliorò la situazione né fu in grado di calmare lo stupore generale (in special modo quello che regnava sui volti di Aomine e Kise), il futuro capitano riprese a parlare.
«Yuki, loro sono Aomine Daiki, Kise Ryouta, Murasakibara Atsushi, Midorima Shintarou e Kuroko Tetsuya».
«Ehi, questo non risponde per niente alla mia domanda!!», esclamò nuovamente il biondo.
«Piacere di conoscervi!», lo interruppe lei, in un piccolo inchino.
Kise mise il broncio, borbottando e incrociando le braccia in segno di disappunto.
«Sono ancora confuso, ma-».
«Finalmente Akashi si è deciso a portarti qui!». Fu Aomine ad interromperlo la seconda volta, avvicinandosi maggiormente alla corvina e circondandole le spalle con un braccio. «Era da tempo che volevamo conoscere la famosa Yuki che torna a casa tutti i giorni insieme a lui!».
La ragazza rise, chiudendo gli occhi scuri senza opporre resistenza al gesto così inaspettato del blu.
«Credo di averlo portato all'esaurimento da quante volte gli ho chiesto di farmi conoscere la famigerata squadra dei primini!».
«Ehi, saremo anche primini, ma sono sicuro che riusciremo a superare i senpai in men che non si dica!».
Le risate della più bassa continuarono imperterrite a risuonare tra le mura della palestra, sotto lo sguardo contento del rosso.


«Sai, Yuki».
La voce di Akashi ruppe il calmo silenzio che regnava intorno a loro. Le luci dei lampioni entravano in contrasto con quella arancione del tramonto, e illuminava i loro visi. Si erano appena seduti su una panchina, con il borsone e la cartella posati a terra, lei con i capelli neri legati e già concentrata sulla splendida sensazione donata del freddo del gelato che entrambi avevano comprato pochi minuti prima.
«Mh?», disse lei, voltandosi a guardare il volto del ragazzo accanto a lei.
«Ti vedo più rilassata da quando hai conosciuto gli altri», continuò il rosso, guardandola. L'amica sorrise, un sorriso genuino che sorprese persino lui.
«Sono bravi ragazzi...».
«Ti trovi bene con Aomine, giusto?».
La giocatrice scoppiò in una piccola risata.
«Non posso dire di no!». Lo sguardo della corvina si posò sul volto incuriosito di lui. «Come mai me lo chiedi? Non sarai mica geloso, Akashi!».
Le guance dell'interpellato iniziarono a colorarsi seppur lievemente dello stesso colore dei capelli, e si mischiava in modo quasi perfetto con la luce di quel sole che stava pian piano lasciando il posto alla sera.
«No, non è così..!».
La più bassa sorrise ancora, con il volto diretto verso il suo.
«È vero, mi sono avvicinata subito ad Aomine perché abbiamo molto in comune... Ma con te è... diverso».
Improvvisamente, le pupille della corvina si abbassarono sul terreno, e l'espressione serena si trasformò pian piano in una più tesa, che non sfuggì all'occhio attento del rosso.
«Akashi...», riprese a parlare, stringendo il cono tra le dita.
«Ho bisogno di chiederti una cosa», continuò, seria. L'amico non disse nulla, facendole intendere che era all'ascolto.
«Mi sento come se le cose dovessero peggiorare da un momento all'altro... So che sono paranoica e molto spesso mi invento problemi che non esistono, ma questa volta non riesco a convincermi che sia tutto nella mia testa».
«Cosa intendi?», domandò lui, aggrottando un poco la fronte.
«Non lo so nemmeno io... Tuo padre non fa altro che pressarti, ho paura che ti allontanerai sempre di più, e...». Si prese una pausa, per tirare un lungo sospiro. Riaprì gli occhi, posando lo sguardo sul viso dell'amico.
«Mi prometti che non cambierai, Akashi? Qualsiasi cosa accada».
«Yuki...».
«Non voglio perderti, chiunque altro ma non te». La sua espressione si fece man mano più decisa. «Me lo prometti?».
Il rosso rimase qualche istante ad osservare gli occhi scuri della ragazza, e avrebbe giurato di averli visti inumidirsi nell'attesa, in quel momento. Annuì, senza distogliere lo sguardo dal suo, finché la giocatrice non terminò quel discorso con un lieve sorriso e un'esclamazione che lo fece quasi ridere.
«In cambio la prossima volta ti offrirò il gelato!».
«Scambio equo, mi pare...».
«Ehi, ti comprerò addirittura il più grande!», rispose lei, che aveva percepito il tono sarcastico del ragazzo.


«Ci vediamo domani, allora».
«Ti vengo a prendere, come al solito!».
«Yuki, non è necessario che sia tu a venire sempre fin qui...».
«Stai scherzando? Mi piace vedere casa tua! Mi ricorda la prima volta che mi sono fermata qui davanti!».
Akashi sorrise lievemente, sorriso che venne accolto da uno anche più ampio da parte della corvina.
All'improvviso, la più bassa allungò un braccio, raggiungendo con le dita quelle di lui. Quest'ultimo non esitò un solo istante, e le prese mano. La ragazza deglutì silenziosamente, distogliendo lo sguardo da quello dell'amico, che dal canto suo non sembrava intenzionato a lasciarla andare tanto facilmente.
Qualche attimo dopo, Yuki si decise. Sentiva che era il momento giusto. Fece un passo in avanti, avvicinando velocemente il viso al suo, serrando gli occhi e posando con una delicatezza che riteneva necessaria le labbra sulle sue. Sentì le guance andarle a fuoco, una tensione crescente in tutto il corpo, e un calore che si espandeva ogni secondo di più sul viso e sulle mani, specialmente nell'istante in cui percepì il rosso farsi più vicino. Il terrore che potesse respingerla venne spazzato via quando la mano venne stretta ancor di più in quella del giocatore, che aveva socchiuso gli occhi a sua volta.
Passarono secondi che parvero un'eternità ad entrambi, ma che sembrò al contrario insufficiente nel momento in cui la corvina si separò da quel contatto breve ma intenso, fissando le pupille nelle sue, con il viso dello stesso colore dei capelli di lui.
«D-Devo andare..!!», balbettò lei, spezzando l'unione delle dita e stringendole attorno al manico della cartella.
Si allontanò così, spedita, con il viso rivolto verso il basso, gli occhi spalancati e un'espressione imbarazzata, tanto presa dall'emozione del momento che nemmeno fece caso alle crepe sul marciapiede che non pestava e a quelle che toccava con meno cura del solito.
Akashi sorrise lievemente e la guardò allontanarsi con uno sguardo compiaciuto, prima di entrare nel cancello e lasciarsi quell'istante alle spalle, con un lieve rossore che faceva capolino sulle sue guance.

   
 
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