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Autore: Warlock_Vampire    03/06/2017    0 recensioni
"Io, che ho conosciuto molto presto cosa fossero dolore e odio e che solo dopo molto tempo ho compreso l'amore; io, che ho imparato ad uccidere prima ancora di saper vivere; io, che ho vissuto per secoli nella profonda convinzione che ognuno può ottenere ciò che vuole, sempre e comunque, sacrificando tutto, se necessario; dopo così tanto ho davvero bisogno di mettere nero su bianco i fatti."
In queste memorie Katherine Pierce si racconta, dalla sua fragile umanità alla trasformazione in Vampiro, ripercorrendo tutte le tappe più significative della sua lunga esistenza.
AVVERTENZA: La lettura di questa storia è un contributo, una spin off, di The last challenge (il nostro crossover). Pertanto, consigliamo la lettura di The last challenge, anche se non è essenziale.
Inoltre, essendo la "nostra" Katherine, le vicende in cui è coinvolta sono frutto dell'immaginazione degli autori e nulla hanno a che vedere con la Katherine di The Vampire Diaries, pur ricalcandone l'aspetto e il carattere.
Precisato questo, buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elijah, Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Londra – 1522
 
Quando aprii gli occhi, mi resi subito conto di non essere più a Urquhart. Indossavo il vestito rosso di Nikolaj ma non ricordavo assolutamente chi me lo avesse messo o quando ciò fosse accaduto. La testa mi doleva e gli occhi faticavano a mettere a fuoco le cose.
Perlustrai con lo sguardo la piccola stanzetta in cui mi trovavo: certamente era la camera di una locanda modesta del centro città, a giudicare dal gran caos proveniente dalla finestra spalancata su un cielo grigiastro. Mi trovavo su un piccolo letto di legno non proprio comodissimo, ma le coperte quantomeno erano pulite e profumavano vagamente di rose.
Sul comodino accanto alla testiera vidi la coppa dorata di Nikolaj, la stessa che mi aveva fatto recapitare qualche mese prima a Milano. Era colma di sangue. Non esitai a trangugiarlo e dopo mi sentii decisamente meglio.
Ai piedi del letto, la mia valigia. Sopra c’era un piccolo bigliettino di pergamena e una boccetta contenente un liquido ambrato.
Verbena.
 
Prendine un po’ ogni giorno, e diventerai immune col passare del tempo.
Forse ci rivedremo, in un altro castello, in un altro secolo, in un’altra occasione.
Nik

 
            La verità mi travolse come un fiume in piena. Nikolaj e il maledetto Diamante Oscuro! Dopo tutta la fatica che avevo fatto per averlo, lui me lo aveva soffiato, e tutto solo grazie a qualche avance ben macchinata, un sorso di Verbena e la mia sciocca buona fede.
Ma ero davvero stata in buona fede? Andiamo! Avrei dovuto sapere che Nikolaj non avrebbe giocato pulito. Dopotutto, da chi avevo imparato io, se non da lui? Tutte quelle stupide parole sul proteggermi e sul proteggere Rose non significavano niente; quello che Nikolaj voleva era solo il Diamante e la verità nuda e cruda era che mi aveva seguita in tutti quegli anni passati lontani solo per la gloria di quel momento, di vedermi sconfitta e tremante di rabbia in una locanda chissà dove.
Non odiai il mio Creatore mai così tanto come in quel momento.
Mi alzai dal letto, presi la boccetta di Verbena e uscii, determinata a sapere dove mi trovassi.
Mi bastò chiedere alla cameriera ed ella mi rispose subito: «Londra».
Londra! Questo voleva dire che avevo viaggiato per settimane, intontita dalla Verbena, fino alla città. Non so perché ma la cosa mi fece arrabbiare ancora di più. Che umiliazione! Magari mi aveva fatta scortare di nuovo da quei tre noiosi Vampiri taciturni e completamente privi di senso dell’umorismo che mi avevano portata a Urquhart.
Le strade erano affollate, l’aria umida e soffocante, i fetori delle fogne a cielo aperto a dir poco nauseabondi. Camminai senza mai fermarmi, quasi urtando i passanti distratti dalla loro quotidianità; un istinto assassino mi aveva colta come autodifesa alla rabbia ribollente che provavo per Nikolaj e per il suo tiro mancino.
Nel tentativo disperato di trattenere la mia furia omicida, mi rintanai in una viuzza secondaria, stappai con forza la boccetta di Verbena e ne bevetti un sorso. La sentii colare come lava nella gola e raggiungere gli organi interni del mio corpo. Bruciavano come se un vero e proprio incendio mi fosse divampato nel petto e stesse raggiungendo la pancia.
Mi piegai in due, incapace di reggermi in piedi e finii seduta per terra con la testa appoggiata alla pietra fredda del muro di un casermone.
«State bene, signorina?» chiese un uomo basso, sulla quarantina, molto ben vestito.
Purtroppo per lui, sarebbe diventato il mio spuntino.
Lo azzannai al collo prima ancora che potesse realizzarlo e cadde rovinosamente a terra quando succhiai l’ultima goccia di sangue nel suo organismo. Ora sì, che mi sentivo decisamente meglio.
Mi asciugai il viso sporco di sangue su un lembo strappato della bella giacca azzurra dell’uomo e poi tornai nella via principale piena di gente. Raggiunsi una piazza e fu lì che sentii una voce molto familiare chiamare il mio nome.
«Kat?… Katerina!».
Mi voltai. Rose era là, più carina che mai. I capelli rosso vivo erano raccolti in un’acconciatura alla moda, il vestito verde le calzava a meraviglia e il suo colorito era roseo come se la sua trasformazione in Vampiro non fosse mai avvenuta.
Mi sorrise, incredula.
«Ma che ci fai a Londra?» sospirò.
Io ero sconvolta. Ma che ci faceva lei a Londra!
«Potrei farti la stessa domanda» ribattei, un po’ troppo rudemente.
Il sorriso sulle labbra di Rose si spense subito.
«Sono arrivata una settimana fa circa» si spiegò subito.
«Credevo che la Congrega ti seguisse ancora».
«E’ così, infatti» disse, «ma sono venuti a Milano dei subordinati del tuo Nikolaj e mi hanno scortato attraverso tutta l’Europa fino a qui. Hanno controllato la zona per me e quando sono stati sicuri che non ci fossero pericoli, mi hanno condotta fino all’area in cui vivevo con la mia famiglia… ora la mia vecchia casa è solo un cumulo di pietre mangiate dal muschio, ma è stato ugualmente bellissimo tornare qui per la prima volta dopo… dopo anni!».
Io rimasi interdetta a guardarla. Nikolaj aveva fatto tutto questo per Rose? L’aveva riportata a casa, il più grande sogno di Rose, scortata attraverso l’Europa, protetta dalle Streghe… e io? Io ero stata ingannata e abbandonata in una locanda di Londra dopo essere stata sedata con la Verbena per settimane.
«Nikolaj mi ha rubato il Diamante» mi uscì detto.
Rose strabuzzò gli occhi e boccheggiò in cerca di qualcosa di saggio da dire. Evidentemente in quei mesi la sua considerazione per Nikolaj doveva essere del tutto cambiata. Prima lo odiava per il semplice fatto che mi aveva segregata nel suo maniero per sei anni, ma adesso, dopo quello che lui aveva fatto per lei, Rose doveva stimarlo almeno un po’ di più. Ma era ora che la distogliessi dai suoi sogni utopici; Nikolaj non era il buono e dolce Vampiro che credeva. Lui si era preso gioco di entrambe.
«L-lui ti ha rubato il Diamante?».
«Come pensi che sia arrivata qui?» sbottai, «mi ha uccisa, mi ha dato la Verbena e mi ha portata a Londra. E dire che avevamo appena concluso un accordo per quello stupido Diamante!».
Rose era molto sconvolta, ma a me non importava più di nulla in quel momento.
Avrei ucciso tutti gli abitanti della città e ancora non sarebbe bastato a placare la mia rabbia nei confronti del mio Creatore. Lo avevo tanto amato e tanto odiato; lo avevo desiderato e sfuggito, ci avevo fatto l’amore e la guerra, ma non era bastato. Tutto quello che avevo provato per lui nei cento nove anni della nostra conoscenza, non era niente in confronto all’umiliazione bruciante dell’essere stata sconfitta e oltraggiata.
«Io non capisco» biascicò Rose, chinando il capo per nascondere gli occhi lucidi di lacrime.
«Non saremo mai davvero libere, Rose. Questo c’è da capire; che io non mi libererò mai del suo controllo e nemmeno tu. Ha saputo conquistarti sfruttando la tua stupida debolezza per la tua Patria e ha saputo sfruttare il mio… quello che c’è tra me e lui… tutto a suo favore...».
«Katerina» mi richiamò Rose, guardandomi con una certa preoccupazione.
Si avvicinò, tese le braccia e mi strinse a sé. No, non avrei pianto sulla sua spalla per niente al mondo. Lasciai che mi stringesse ma non ricambiai il suo abbraccio. Probabilmente qualche ombra di Nikolaj era lì da qualche parte a immortalare la mia capitolazione per poi riferirgliela e io non gli avrei dato anche questa soddisfazione.
Com’era? “In un altro secolo, in un’altra occasione”… Nikolaj avrebbe pagato.
  
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