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Autore: moondance    10/06/2009    1 recensioni
Capitolo 7 di Eclipse "Unhappy Ending" dal punto di vista di Rosalie Hale.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emmett Cullen, Isabella Swan, Rosalie Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Let me rest in peace

Chapter 7 Unhappy ending – Eclipse

Rosalie Hale POV



Ero ferma davanti alla porta della camera di Edward ad aspettare che Alice uscisse.

Rose, cosa...”, sussurrò appena uscì. Il tono di voce che aveva usato era troppo basso perché Bella potesse sentirci. Vidi lo sguardo di Alice perso nel vuoto, come sempre le accadeva quando guardava nel futuro. Perciò avevo già deciso, senza essermene resa conto.

Allora, perché non mi dici almeno come reagirà?”, le chiesi infastidita. Non mi piaceva che qualcuno potesse gestire la mia vita così. Sebbene lei continuasse a sostenere che le visioni accadevano solo dopo che si erano prese le decisioni, c'era da dire che sapere prima cosa si sarebbe fatto guidava in modo inevitabile la scelta. Detestavo essere controllata, comandata.

Andrà tutto bene”, disse poco convincente.

Sospirai e cercai di sorpassarla, per entrare nella stanza, ma me lo impedì.

Lasciami Alice”.

Dalle qualche minuto, fidati. E' stata una lunga giornata. Falla rilassare un pò”.

Feci un passo indietro ed annuii. Anche io, come lei, avevo sentito gli spostamenti di Bella al di là della porta, l'avevo persino sentita sbuffare. Sicuramente era irritata da tutta questa situazione, e come biasimarla? Edward era uno stupido. Non riusciva a capire che più tentava di imprigionarla più lei avrebbe desiderato fuggire? Sebbene avesse avuto cento anni per comprendere la mentalità femminile, mio fratello era non solo cieco, ma anche sordo a riguardo.

Alice sorrise e si alzò velocemente sulle punte per sfiorarmi la guancia con le labbra. Rimasi sorpresa dal suo atteggiamento, era da molto tempo che non mi dimostrava così il suo affetto. Da quando era arrivata Bella. Ero gelosa, lo sapevo, ed ero consapevole che Edward lo sapesse e questo mi mandava ancora più in bestia. Stavo optando se mostrarmi fredda e risoluta oppure irritata ma non ne ebbi il tempo.

Andrà tutto bene, Rose”, disse Alice con estrema convinzione questa volta, e le credetti. Non le risposi, era già scomparsa lungo le scale con la grazia che solo lei poteva possedere. A volte la invidiavo per questo. Essere così piccola, così bella.

Certo, sapevo di essere più bella io, ma Alice aveva qualcosa di unico nell'aspetto. Ai miei occhi era come una bambolina di ceramica, guardandola non si poteva fare altro che desiderare di proteggerla, coccolarla. Il mio aspetto, invece, non suscitava le stesse sensazioni... a volte avrei preferito riuscire ad intenerire, riuscire a proteggermi con la mia bellezza e non ad usarla come arma di attacco.

Sospirai e cercai di pensare ad altro. Non dovevo permettere che il passato mi ferisse ancora. Non più.

Il respiro di Bella si stava facendo sempre più tenue e regolare, si sarebbe addormentata entro breve se non fossi entrata. Perciò presi coraggio e bussai leggermente.

Bella mi rispose con un sibilo, il suo umore non era migliorato molto.

Che c'è, Alice?”.

Sono io”, le risposi. Detestavo sentire quella nota debole nella mia voce, “posso entrare?”.

Mi sentivo tremendamente stupida, per diversi motivi. Primo tra tutti, stavo per parlare di me a Bella. Stavo per consigliarle di lasciare mio fratello, la mia famiglia, per il suo bene, dopo aver messo a repentaglio la sua vita e quella di Edward. Cosa stavo facendo? Cosa speravo di ottenere?

Certo. Entra”, mi rispose Bella con voce più acuta del dovuto. Che fosse spaventata così tanto da me? Ero stata davvero così orribile con lei? Ci pensai. Si, era giusto che fosse spaventata da me, me lo meritavo. Ma dovevo tentare di parlarle.

Aprii del tutto la porta ed entrai mentre Bella si sollevava dal divano per farmi spazio. Doveva essere terrorizzata, era rigida, il respiro quasi inudibile. Cercai di concentrarmi per essere il più gentile possibile, non volevo che avesse ancora più timore di me.

Ti dispiace se parliamo qualche minuto?”, le chiesi, “Non ti ho svegliata, vero?”.

Osservai brevemente il letto, e poi il divano. Ecco il perché di tutti quei rumori prima, aveva preso le coperte del letto e si era distesa sul divano. Perché non voleva dormire sul nuovo letto di Edward? Era arrabbiata così tanto con lui?

Cercai di non distrarmi ulteriormente, e tornai a focalizzarmi sulla questione che dovevo portare a termine.

Bella aveva seguito il mio sguardo e parlò con voce preoccupata.

No, ero sveglia. Parliamo, certo”.

Risi, nervosa. Non potevo crederci, era da mesi che cercavo questa opportunità ed ora che finalmente ero riuscita nel mio intento non ero pronta.

E' così raro che ti lasci sola”, le dissi, perché non si preoccupasse del mio sbalzo d'umore, “Devo approfittare dell'occasione”.

Anziché rassicurarla le mie parole la spaventarono ulteriormente. Le sue mani trovarono l'orlo del piumone. Detestavo vederla così agitata, oggi non volevo che avesse paura di me, volevo che si fidasse, che mi ascoltasse. Dovevo essere gentile. Dovevo essere molto più che gentile.

Ti prego, non giudicarla una brutale interferenza”, aggiunsi in tono sempre più implorante. Tenni lo sguardo fisso sulle mie mani, anche al buio riuscivo perfettamente a cogliere la magnificenza della superficie della mia pelle. Così soffice, così resistente. Un involucro perfetto, ma non per me. Non volevo essere fredda, volevo essere calda, come lei. Umana. Mantenni gli occhi fissi sulle mie dita, mentre le intrecciavo, non avevo il coraggio di osservarla negli occhi. Temevo che vi avrei scorto sempre più terrore. Fai finta che sia Emmett, mi ripetevo, non aver paura di confidarti, non ti aggredirà né giudicherà. Ha più paura lei di te. Calma. Sii gentile.

Ho ferito i tuoi sentimenti già abbastanza, non voglio farlo di nuovo”, le confessai.

Non ti preoccupare, Rosalie. I miei sentimenti stanno benissimo. Cosa volevi dirmi?”, rispose velocemente. Probabilmente era curiosa, o forse non voleva ripensare a quel periodo. Nemmeno io volevo, ma come potevo spiegarle le mie motivazioni senza sembrare crudele? Ai suoi occhi dovevo essere una persona ignobile. Prima le avevo mostrato apertamente la mia ostilità, poi avevo rischiato di mettere fine alla vita di Edward e sua, e adesso le consigliavo gentilmente di rinunciare a quello che era il suo sogno. Ero patetica.

Un'altra risata scappò dalle mie labbra. Ero troppo, troppo agitata.

Voglio provare a spiegarti perché credo che dovresti rimanere umana... Perché io, se fossi in te, rimarrei umana”, le dissi tutto d'un fiato.

Ah”, Bella era sorpresa. Risi, come poteva aspettarsi che dopo la mia premessa avessi il coraggio di farle un discorso simile? Calma, Rose, calma, continuavo a dirmi.

Edward ti ha mai spiegato com'è andata?”, le chiesi. Da qualche parte dovevo iniziare ed era meglio sapere quanto mio fratello le aveva raccontato.

La vidi annuire nel buio. “Mi ha detto che è accaduto qualcosa di simile a ciò che è successo a me quella volta a Port Angeles, solo che nessuno è venuto a salvarti”. La vidi rabbrividire, evidentemente era ancora turbata dal ricordo di quell'aggressione.

Non credevo che Edward potesse essere così riservato con Bella. Ero convinta che oramai lei sapesse tutto di noi, ogni minimo segreto.

Davvero è tutto ciò che ti ha detto?”.

Si”, annuì e mi chiese confusa, “Perché, c'è dell'altro?”.

La guardai a ripensai velocemente alla mia vita umana. A come mi era stata strappata. A quello che ne era rimasto di me ed a come ero riuscita a rimettere assieme i pezzi della Rose sopravvissuta.

Si. C'è dell'altro”.

Distolsi lo sguardo dal suo viso e cercai di concentrarmi osservando la foresta al di là della vetrata. Erano morti, erano tutti morti. Dovevo stare calma. La luna era alta nel cielo ed illuminava ogni cosa. Osservai la mia immagine riflessa nel vetro. Ero bellissima, ed ero ancora qui assieme a chi amavo da quasi cento anni. Ed ero sempre più bella, ed ero amata. Dovevo stare tranquilla. Il passato era morto per sempre.

Ti va di ascoltare la mia storia, Bella? Non ha un lieto fine... Del resto, quale fra le nostre storie ce l'ha? Se ci fosse stato un lieto fine, a quest'ora saremmo tutti sottoterra”.

Maledizione, non ero calma per niente, il tono della mia voce l'aveva spaventata. Era suonato tetro persino alle mie orecchie. Ma era meglio così forse, magari attraverso la paura l'avrei convinta a cambiare idea. Sebbene non provassi affetto per Bella, sentivo il bisogno di doverle evitare la sofferenza che avevo patito. Forse Edward avrebbe detto che agivo per puro egoismo, per sentirmi in pace con me stessa dopo quello che avevo causato loro. Ma non era solo questo, era una cosa che solo una donna poteva capire. Era come se avessi il dovere di parlare con Bella.

Respirai a fondo e lasciai che la mia mente si focalizzasse su quei ricordi che tentavo di tenere bloccati nei recessi più profondi della mia mente. Li lascia affiorare in superficie. Lasciai che mi ferissero nuovamente. Tornai al mio passato, a quello che un tempo era la mia vita, il mio sogno.

Vivevo in un mondo diverso dal tuo, Bella. Il mio mondo umano era molto più semplice. Era il 1933. Avevo diciotto anni, ero bella, la mia vita era perfetta”, le confessai.

Venivo da una tipica famiglia di ceto medio. Mio padre aveva un lavoro fisso in banca, e soltanto ora mi rendo conto di quanto se ne compiacesse: era convinto di aver ricevuto quel benessere come ricompensa dei suoi sforzi e del suo talento, anziché ammettere che fosse stata una questione di fortuna”, continuai.

Cercai con tutte le mie forze di ripensare al viso di mio padre, alla sua voce, al suo portamento. Non ricordavo nulla. Era come se non fosse mai esistito. Era come se stessi raccontando a Bella una favola di pura invenzione anziché la rovina della mia vita. Avrei voluto ricordare il viso di mio padre, mi pareva di non averlo osservato abbastanza nella mia vita precedente, anche se sapevo che era colpa della mia natura di vampira se non riuscivo a ricordarlo. Mi mancava quel volto amato.

All'epoca davo tutto per scontato”, proseguii, “a casa mia la Grande Depressione era soltanto un pettegolezzo fastidioso. Ovviamente vedevo i poveri, quelli che non erano fortunati come noi. Ma mio padre mi aveva indotto a pensare che erano essi stessi la prima causa dei loro problemi”.

Come ero stata sciocca. Solo ora mi rendevo conto che spesso la condizione in cui versiamo ci è stata data per decisione di altri, non per la nostra. Ed altrettanto spesso, non vi era modo di tornare indietro, di cambiare la situazione solo con la nostra volontà.

Cercai di concentrarmi nuovamente sul racconto.

Il compito di mia madre – e mio, e dei miei fratelli più giovani – era tenere la casa lucida come uno specchio”. Sorrisi al ricordo di quante volte io e i miei fratelli avevamo litigato, quante volte avevamo rotto qualcosa e fatto arrabbiare mia madre. Erano veri ricordi o solo una mia invenzione di quello che mi sarebbe piaciuto ricordare? Era tutto così offuscato, così lontano.

Cercai di focalizzarmi su mia madre, la donna che sentivo di aver amato con tutta me stessa, e della quale non ricordavo nulla. Spesso nei decenni, mi ero trovata a desiderare che fosse a fianco a me, avrei voluto sentire il suo dolce profumo, avrei voluto poggiare la testa sul suo petto e sentirmi abbracciata dalle sue braccia accoglienti. Avrei voluto che fosse stata qui a rassicurarmi, a prendersi cura di me, a dirmi che andava tutto bene, che era solo un incubo. Odiavo il tempo, volevo indietro mia madre. Ogni volta cercavo disperatamente di coglierne l'immagine nella mia memoria, ci provavo con tutta me stessa, ma era come un dipinto sul quale era stato versato del solvente. Sfocato, impreciso, anonimo.

Ovviamente, ero la sua preferita e il suo primo pensiero”, confidai a Bella, “All'epoca non potevo capirlo, ma avevo il sospetto che i miei genitori non fossero soddisfatti della propria condizione, sebbene avessimo un tenore di vita nettamente al di sopra alla media. Volevano ancora di più. Avevano aspirazioni di un certo genere... li si potrebbe definire arrampicatori sociali. La mia bellezza per loro era un tesoro. Ci vedevano molte più possibilità di quante non ne vedessi io.”

Speravo che Bella non giudicasse male le cose. Come potevo spiegare ad una ragazza del ventunesimo secolo il pensiero e lo stile di vita della mia epoca? Semplicemente non c'era un modo. Dovevo raccontare la verità, così come ora la vedevo con gli occhi di una donna e non più di una adolescente.

Loro non erano soddisfatti, ma io sì. Ero entusiasta di essere Rosalie Hale, di essere me stessa”, non come ora, avrei voluto aggiungere, ma le parole mi morirono in gola. Volevo disperatamente l'impossibile.

Ero compiaciuta perché, da quando avevo dodici anni, ovunque andassi attiravo gli sguardi degli uomini. Compiaciuta che le mie amiche sospirassero d'invidia quando mi toccavano i capelli. Felice che mia madre fosse orgogliosa di me, e che a mio padre piacesse comprarmi bei vestiti. Volevo il meglio dalla vita, e sembrava non ci fossero ostacoli a ottenere ciò che desideravo”.

Come ero stupida, ingenua. Se solo avessi... cercai di scacciare il pensiero. Oramai non c'era modo di rimediare a nulla. Non c'erano alternative.

Guardai Bella per cercare di capire se avevo esagerato, se ne aveva abbastanza della mia storia. Sperai che non leggesse la tristezza nei miei occhi. Osservandola, cercai di farmi coraggio. Dovevo aprirmi a lei, confidarle i miei sogni, i miei sbagli, affinché capisse quanto era fortunata ad essere umana... quanto sbagliato fosse diventare vampira.

Volevo essere amata, adorata. Volevo un matrimonio sfarzoso, pieno di fiori, con tutta la città ad assistere mentre mio padre mi accompagnava all'altare, a guardarmi come fossi la più bella cosa mai vista. L'ammirazione per me era come l'aria, Bella. Ero stupida e superficiale... ma ero contenta”. Sorrisi, ripensando a quanto si possa essere felici stando nell'ignoranza, nell'innocenza, nella superficialità.

L'influenza dei miei genitori era così forte da farmi desiderare anche le cose più materiali. Volevo una cosa enorme con mobili eleganti che qualcun altro avrebbe pulito e una cucina moderna in cui qualcun altro avrebbe cucinato”.

Colsi lo sguardo di Bella, mi osservava stupita.

Te l'ho detto, ero superficiale. Giovane e molto superficiale. E non vedevo una sola ragione per cui non avrei ottenuto tutto questo. Ma certi desideri mi stavano a cuore più di altri. Uno in particolare”.

Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente. Eccoci finalmente, ora arrivava la parte più difficile, quella più dolorosa. La parte che non avrei mai accettato. Fossero passati anche mille anni.

La mia amica più cara era una ragazza di nome Vera”, iniziai, “Si era sposata giovane, a soli diciassette anni. Con un carpentiere, un uomo che i miei genitori non avrebbero mai preso in considerazione per me”.

Pensai brevemente ad Emmett, chissà se avrebbero disapprovato anche lui. Chissà se sarebbero stati orgogliosi di me e dell'uomo che avevo trovato e scelto. Sicuramente l'avrebbero amato, era impossibile non volergli bene con quel viso, quelle fossette. Mi irrigidii e tentai di proseguire il discorso.

Un anno più tardi aveva avuto un figlio”, aggiunsi, “uno splendido bambino con le fossette e i riccioli neri”, continuai, mentre con la mente cercavo con ogni forza di ricordare il piccolo visetto ovale del bambino. Più cercavo di concentrarmi più il visetto anonimo del bimbo si sovrapponeva a quello di Emmett.

Guardai Bella dritto negli occhi, mentre rigettavo su di lei i miei rimpianti.

Per la prima volta in vita mia mi ero sentita davvero invidiosa di qualcun altro”.

Mi osservava senza capire, come se non trovasse una logica nelle mie parole. Era così orribile per lei l'idea di un figlio? La mentalità delle donne era mutata così profondamente nel corso degli anni? No, non lo credevo possibile, ogni donna, prima o poi, sente il richiamo della maternità, sente il bisogno fisico di avere un figlio, di mettere al mondo una creatura sua. Forse per Bella era ancora troppo presto perché sentisse questo bisogno, ma prima o poi sarebbe successo.

Era un'altra epoca. Avevo la tua stessa età, ma ero già pronta. Sognavo un figlio mio. Volevo una casa mia e un marito che mi baciasse quando tornava dal lavoro. Proprio come Vera. Solo che avevo in mente un altro tipo di casa...”.

Bella stette in silenzio ed io non aggiunsi nulla. Dovevo darle il tempo di assorbire il mio discorso, di elaboraci sopra. Oltretutto avevo anche io bisogno di un attimo per riflettere. Avevo detto che quella era stata la prima volta che ero stata invidiosa di qualcuno, ma non era stata l'ultima. L'ultima persona di cui fossi stata invidiosa era proprio seduta accanto a me. E lei voleva gettare via quello che per me era prezioso, quello che avevo perso a causa di... Non volevo pensare a lui. Non sapevo da dove iniziare a parlare. Questa era la parte più spiacevole della storia. La parte che non riuscivo a raccontare restando impassibile.

Ma lasciai che anche questo ricordo mi colpisse. Stanotte dovevo affrontare il mio passato per il bene di Bella.

A Rochester c'era una famiglia nobile – si chiamavano King, ironia della sorte. Royce King possedeva la banca per cui lavorava mio padre, e quasi ogni altra impresa della città. Fu così che suo figlio, Royce King II”, non potei impedirmi di sibilare il suo nome, non riuscivo a controllarmi del tutto, “mi vide la prima volta. Era destinato a rilevare la società, motivo per cui ne fu nominato supervisore. Due giorni dopo, mia madre dimenticò apposta di dare a mio padre il pranzo da portare al lavoro. Ricordo ancora la mia confusione, mentre insisteva che indossassi l'abito d'organza bianco che mi aggiustassi i capelli, soltanto per arrivare fino alla banca a portarglielo”, risi amaramente chiedendomi come sarebbe stata la mia vita, se quel giorno non fossi andata.

Non notai che Royce mi guardava in modo particolare. In fondo, non era l'unico. Ma quella sera arrivò la prima rosa. Ogni sera, durante il corteggiamento, mi mandava un mazzo di rose. La mia stanza ne era sempre piena. A tal punto che, quando uscivo, profumavo di rose”, mi sembrava ancora di sentire quell'odore, così dolce, che mi dava tanta gioia in quei giorni e che ora invece mi nauseava.

Anche Royce era bello”, continuai, “Aveva i capelli più chiari dei miei, e occhi cerulei”, detestavo ricordare così bene i suoi dettagli.

Un giorno disse che i miei occhi erano come le viole e , a un certo punto, iniziarono ad apparire anche quelle, assieme alle rose. I miei genitori approvavano – detto così, è un eufemismo”, ripensai a quanto mia madre e mio padre fossero entusiasti di Royce, a quello che significava per loro. Soldi. Una figlia sistemata a dovere. Uno status migliore.

Era ciò che avevano sempre sognato. E Royce sembrava tutto ciò che sognavo da sempre. Il principe azzurro venuto a trasformarmi in principessa. Era tutto ciò che volevo... ma niente di più di ciò che mi aspettavo. Ci fidanzammo neanche due mesi dopo esserci conosciuti”.

Come ero stata sciocca. Royce non mi aveva trasformata in una principessa. Ero stata abbindolata, accecata dall'avarizia, dalla lussuria. Ero un mostro allora, e lo ero anche adesso. Cercai di continuare il racconto, dovevo, potevo arrivare sino alla fine.

Non trascorrevamo molto tempo insieme. Royce diceva di avere troppe responsabilità al lavoro, e quando era in mia compagnia gli piaceva che la gente ci guardasse, che mi vedesse fra le se braccia. Anche a me piaceva. C'erano tante feste, balli e bei vestiti. Essere un King ti apriva tutte le porte, c'erano tappeti rossi ovunque”, anche all'eterna dannazione, pensai amaramente.

Non fu un fidanzamento lungo. Stavamo organizzando un matrimonio sfarzosissimo. Sarebbe stato come avevo sempre desiderato. Ero felice. Quando parlavo con Vera non mi sentivo più invidiosa. Immaginavo i miei bambini dai capelli biondi giocare nei giardini di villa King, e provavo compassione per lei”.

Digrignai i denti, pensando a cosa stavo per dire. Era inutile, non avrei mai fatto pace con il mio passato, nonostante fossero passati parecchi anni. Perciò mi ci rituffai in pieno, rivivendo ancora la mia morte.

Avevo trascorso la serata a casa di Vera”, sussurrai, sentendo la freddezza pesino nei lineamenti del mio viso. Mi faceva troppo male ricordare, era un dolore che non si leniva col tempo, perché la mia gioia, il mio sogno mi era stato strappato via alla vigilia della sua realizzazione. Io avevo davvero immaginato i miei bambini dai capelli biondi, ed era come se con me fossero morti anche loro, per sempre. Ma c'era un altro bambino, che per me era stato importante... “Il suo piccolo Henry era adorabile, tutto smorfie e fossette, già stava in piedi da solo. Quando me ne andai, Vera mi accompagnò alla porta, con il bambino in braccio e il marito accanto che le cingeva la vita. Lui la baciò sulla guancia, in un momento in cui pensava non stessi guardando. Provai fastidio. Quando Royce mi baciava non era la stessa cosa: non era così dolce... Misi da parte quel pensiero. Royce era il mio principe. Un giorno sarei diventata regina”. Royce non era mai stato dolce, mai come Emmett. Royce era stato il mio carnefice, non il mio principe né non il mio angelo.

Colsi lo sguardo di Bella indugiare sul mio viso e ripresi subito il mio racconto, per evitare che cogliesse le emozioni che stavo provando.

Per strada era buio, i lampioni erano già accesi. Non mi ero resa conto di quanto fosse tardi. Faceva anche freddo. Molto freddo per essere fine aprile. Mancava solo una settimana al matrimonio e mentre tornavo in fretta a casa pensavo preoccupata al tempo. Lo ricordo chiaramente. Ricordo ogni dettaglio di quella notte. Mi ci sono tenuta stretta... all'inizio. Non pensavo ad altro. Perciò la ricordo ancora, mentre altre memorie piacevoli sono svanite del tutto...”.

Sospirai, ripensando ai miei genitori, a Vera... al piccolo Henry. E quest'ultimo pensiero mi diede la forza di continuare.

Sì, mi stavo preoccupando del tempo... non volevo celebrare il matrimonio al chiuso... Ero a pochi passi da casa quando lo udii. Un capannello di uomini che ridevano chiassosi sotto un lampione rotto. Ubriachi. Avrei dovuto chiamare mio padre per farmi scortare fino a casa, ma la distanza era così breve che mi sembrava stupido. Poi lui urlò il mio nome.

'Rose!', strillò, e gli altri risero come degli stupidi. Non avevo notato che gli ubriaconi erano tutti molto ben vestiti. Erano Royce e certi suoi amici, altri rampolli come lui.

'Ecco la mia Rose!', gridò Royce e rise con loro. Anche lui sembrava stupido. 'Sei in ritardo. Abbiamo freddo, ci hai fatto aspettare tanto'. Non l'avevo mai visto bere prima. Un brindisi ogni tanto, alle feste. Mi aveva detto che non amava lo champagne. Non avevo capito che era perché preferiva cose più forti. Con lui c'era uno sconosciuto. L'amico di un amico, venuto da Atlanta.

'Cosa ti ho detto, John', esultò Royce, stringendomi il braccio e tirandomi verso di sé. 'Non è forse molto più attraente di tutte le tue bellezze della Georgia?'. Questo John aveva i capelli neri ed era molto abbronzato. Mi guardava come fossi un cavallo da comprare.

'Difficile da dire', rispose strascicando lentamente le parole. 'E' tutta coperta'. Risero tutti, anche Royce. Di colpo, Royce mi strappò la giacca di dosso – era un suo regalo – facendo saltare i bottoni metallici che si sparpagliarono sulla strada.

'Fa' vedere come sei fatta, Rose!', rise di nuovo e mi tolse via il cappello. Le forcine mi strapparono i capelli, scoppiai in lacrime dal dolore. Sembrava godessero... del suono del mio dolore...”.

Stavo per continuare, quasi fossi piombata in uno stato di catalessi. Ripensai a cosa successe dopo, alla 'dolcezza' che ognuno di loro mi aveva riservato, al dolore che avevo provato, perché non avevano violato solo il mio corpo, ma anche tutti i miei sogni. La mia identità si era frantumata nel nulla, su quella strada.

Ti risparmio il resto”, dissi, cercando di sembrare il più calma possibile. “Mi lasciarono per strada che ancora ridevano. Pensavano fossi morta. Provocavano Royce dicendogli che avrebbe dovuto trovare un'altra moglie. Lui rideva, e diceva che avrebbe dovuto imparare a essere più paziente. Io, per strada, aspettavo di morire. Faceva freddo, ma stavo così male che mi sorpresi di riuscire a sentirlo. Cominciò a nevicare; mi chiesi perché non morivo. Non vedevo l'ora che arrivasse la morte, per far cessare il dolore. Ci voleva così tanto... A quel punto mi trovò Carlisle. Aveva sentito l'odore di sangue ed era venuto a controllare. Ricordo di essermi sentita vagamente infastidita mentre cercava di salvarmi la vita. Il dottor Cullen non mi era mai piaciuto, e neanche sua moglie e suo fratello – così si presentava Edward, all'epoca. Mi irritava che fossero tutti più belli di me, specialmente gli uomini. Ma non facevano vita sociale, perciò li avevo incrociati solo una o due volte. Pensai di essere morta quando mi sollevò da terra e si mise a correre. Era velocissimo, mi sembrava di volare. Mi ricordo un senso d'orrore, perché il dolore non si placava.

Poi mi ritrovai in una stanza luminosa e calda. Stavo per spegnermi... Ne ero lieta, perché il dolore si stava alleviando. Ma all'improvviso sentii qualcosa di affilato tagliarmi la gola, i polsi, le caviglie. Gridai, nel panico, certa che mi avesse portata lì per farmi ancora più male. Poi il fuoco iniziò a bruciarmi dentro e non mi preoccupai più di niente. Lo implorai di uccidermi. Quando Esme ed Edward tornarono a casa, pregai anche loro di uccidermi. Carlisle restò a vegliarmi. Mi prese la mano, mi disse che gli dispiaceva molto, che sarebbe finita presto. Mi raccontò tutto; riuscivo ad ascoltare solo a tratti. Mi spiegò che cosa era lui, e che cosa stavo diventando. Non gli credetti. A ogni mio grido, chiedeva scusa.

Edward non era contento. Ricordo che li sentii parlare di me, quando finalmente smisi di urlare. A quel punto urlare non serviva a niente.

'Cosa ti è saltato in mente, Carlisle?', diceva Edward. 'Rosalie Hale?'”. Lo dissi imitando il tono irritato della voce di Edward, lo ricordavo alla perfezione il modo in cui pronunciò il mio nome... e il dolore che mi inflisse.

Non mi andava il modo in cui pronunciava il mio nome, come se in me ci fosse qualcosa che non andava.

'Non potevo lasciarla morire', rispose Carlisle tranquillo. 'Era troppo... troppo orribile, uno scempio tremendo'.

'Lo so', rispose Edward, come se volesse liquidare la faccenda. La cosa m'irritò. Allora ignoravo che lui sapeva tutto ciò che Carlisle aveva visto.

'Era uno scempio. Non potevo lasciarla lì', ripeté Carlisle in un sussurro.

'Certo che no', annuì Esme.

'Con tutta la gente che muore', commentò Edward con voce dura. 'A ogni modo, non ti pare sia un po' troppo riconoscibile? I King attraverseranno mari e monti per ritrovarla, anche se nessuno sospetterà di quel maniaco', ruggì. Ero felice che sapessero che il colpevole era Royce. Ancora non capivo che era quasi finita, che stavo diventando più forte e riuscivo a concentrarmi sui loro discorsi. Il dolore iniziava a scivolare via.

'Cosa ne faremo?', disse Edward con un tono che mi sembrò di disgusto.

Carlisle sospirò. 'Dipende da lei, ovviamente. Potrebbe volersene andare per conto suo'. Gli avevo creduto quanto bastava per sentirmi terrorizzata. Sapevo che la mia vita era finita, che non sarei più tornata indietro. Non potevo sopportare il pensiero di rimanere sola... Alla fine il dolore svanì; mi spiegarono di nuovo cos'ero diventata. Questa volta compresi. Sentivo la sete, la pelle dura; vidi i miei brillanti occhi rossi.

Superficiale com'ero, quando scorsi la prima volta la mia immagine riflessa nello specchio, mi sentii meglio. A parte gli occhi, ero la cosa più bella che avessi mai visto”.

Risi, ripensando a quello che avevo pensato prima, quando avevo parlato con Alice.

Ci volle un po' di tempo prima che iniziassi a incolpare la mia bellezza di ciò che era accaduto, perché capissi che era stata una sciagura... per desiderare di essere, non dico brutta, ma normale. Come Vera”, come Bella, pensai, ma non ebbi il coraggio di dirlo, “Così avrei potuto sposare qualcuno che mi amava, e avere dei bei bambini. Era questo ciò che volevo davvero, in fondo. Non mi sembra di aver chiesto troppo”.

Infondo, era quello che ogni donna desiderava. Perché a me era stato negato?

Sai, il mio curriculum è pulito quasi come quello di Carlisle”, dissi, “Meglio di Esme. Mille volte meglio di Edward. Non ho mai assaggiato sangue umano”, le confessai, fiera di me. Lei non poteva capire quanta forza ci volesse per resistere alla tentazione. Bella continuava a fissarmi con aria interrogativa, evidentemente spiazzata da quel 'quasi'.

Ho ucciso cinque umani”, le spiegai, “se davvero si possono chiamare umani. Ma ho fatto molta attenzione a non succhiarne il sangue. Sapevo che non sarei stata capace di resistere, e non volevo che qualcosa di loro mi restasse dentro. Royce l'ho lasciato per ultimo. Speravo che venisse a sapere della morte dei suoi amici e che capisse cosa lo aspettava. Speravo che la paura potesse peggiorare la sua fine. Credo di esserci riuscita. Si era rifugiato dentro una camera senza finestre, dietro una porta spessa come un forziere, sorvegliato da uomini armati, quando lo presi. Ecco, sette omicidi”, mi corressi, “mi ero dimenticata delle guardie. C'è voluto solo un secondo. Forse ho esagerato con la messinscena. Forse è stata un po' infantile. Indossavo un abito da sposa che avevo rubato per l'occasione. Quando mi vide scoppiò a urlare. Urlò parecchio, quella notte. Fu una buona idea lasciarlo per ultimo. Per me diventava più facile controllarmi, se agivo più lentamente...”.

Mi interruppi all'istante, mi ero dimenticata con chi stavo parlando, sicuramente avevo terrorizzato Bella a morte col mio discorso da sadica omicida.

Scusami. Ti sto spaventando, vero?”, le chiesi.

Sto bene”, mi rispose, ma dall'espressione sul suo volto non era difficile intuire che mentiva.

Mi sono fatta prendere dai ricordi”, le confessai.

Non preoccuparti”.

Mi stupisco che Edward non ti abbia raccontato di più su questa storia”, le dissi, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Non gli piace raccontare le storie altrui. Ha sempre paura di tradire l'intimità degli altri, perché sente molto di più di ciò che vorrebbero fargli sentire”.

Sorrisi, ripensando a quanto io stessa avessi odiato Edward per questa sua dote. “Forse avrei dovuto dargli più credito. È davvero molto corretto, vero?”.

Io penso di sì”.

Sì, credo proprio di sì”, poi sospirai, la parte più dolorosa della conversazione era stata fatta, ma avevo ancora qualcosa da dirle. “Non sono stata molto corretta con te, Bella. Ti ha spiegato perché? O sono anche queste informazioni riservate?”.

Mi ha detto che è perché sono umana. Perché non ti andava a genio l'idea che qualcuno di esterno sapesse”.

Scoppiai a ridere, Edward era davvero stato troppo buono nei miei confronti, dopo tutto quello che avevo effettivamente pensato nei riguardi di Bella. “Ora mi sento davvero in colpa. È stato molto, molto più gentile con me di quanto mi meriti”. Risi ancora, pensando alla situazione imbarazzante che avevamo vissuto i primi tempi, alle motivazioni che davvero mi avevano spinto a non sopportare Bella. “Che bugiardo”. Risi ancora. Che gentiluomo che era il mio fratellino.

Mi ha mentito?”, mi chiese Bella allarmata.

Bé, non esageriamo. Diciamo che non ti ha raccontato proprio tutto. Ciò che ti ha detto è vero, ora anche più di prima. Tuttavia, all'epoca...”. Risi, di nuovo, nervosamente. Ma dopotutto ero stata io a volermi mettere in questa situazione e dovevo essere il più sincera possibile. “E' imbarazzante. Vedi, all'inizio, ero gelosa soprattutto perché lui voleva te e non me”.

Vidi Bella rabbrividire, e fissarmi spaventata.

Ma tu ami Emmett...”, mormorò, quasi come se mi stesse supplicando di lasciare stare il suo Edward.

Annuii, divertita dal fatto che lei avesse frainteso così le mie parole. “Non voglio Edward in quel senso, Bella. Non l'ho mai voluto: gli voglio bene come a un fratello, ma mi è bastato sentirlo parlare per trovarlo irritante. Devi capire, però... ero così abituata a essere l'oggetto del desiderio di chiunque. E invece Edward non mostrava il benché minimo interesse. All'inizio mi sentivo frustrata, persino offesa. Ma lui non desiderava mai nessuna, dunque non m'infastidiva più di tanto. Neanche quando abbiamo conosciuto il clan di Tanya a Denali – con tutte quelle femmine! - Edward ha mostrato la minima preferenza. E poi ha incontrato te”.

Fissai Bella e vidi che aveva serrato le labbra, evidentemente l'avevo offesa. Non era nelle mie intenzioni, ma non sapevo in che altro modo dirle ciò che dovevo.

Non che tu non sia carina”, le dissi, cercando di spiegarmi. “Ma lui ti trovava più attraente di me. E vanitosa come sono, ciò mi ha infastidito”.

Però hai detto 'all'inizio'. Ora non ti dà più... fastidio, vero? Voglio dire, sappiamo benissimo entrambe che sei la persona più bella del pianeta”.

Rise, e anche io risi con lei. Stavamo avendo una discussione davvero strana. Mi stavo aprendo a lei.

Grazie, Bella. No, non mi dà più fastidio. Edward è sempre stato un po' bizzarro”.

Ma io ancora non ti piaccio”, sussurrò Bella, sconfortata.

Il sorriso mi morì sulle labbra. “Ti chiedo scusa”, le dissi, ma non riuscii a proseguire. Eravamo arrivate al nocciolo della discussione.

Ti va di dirmi perché? Ho fatto qualcosa?”, mi chiese Bella, titubante. Come poteva non comprendere ancora cosa volevo davvero dirle, dopo tutta la premessa che le avevo fatto?

No, tu non hai fatto niente”, mormorai, “non ancora”, aggiunsi, per indirizzarla.

Mi fissò perplessa, evidentemente non capiva. Non mi restava che essere diretta. Senza mezze misure, come avevo fatto prima, confidandole il mio passato.

Non capisci, Bella? Tu hai già tutto. Hai una vita intera davanti: proprio ciò che vorrei io. E stai per buttarla via. Non capisci che darei tutto ciò che ho per essere te? Hai a disposizione la scelta che io non ho avuto... e stai facendo quella sbagliata!”.

Mi stavo agitando, e quando osservai il suo volto, vidi che l'avevo spaventata. Mi ero ripromessa di stare calma.

Ero così sicura di riuscire a parlarne con calma”, le confessai scuotendo la testa, l'ondata di emozioni che mi aveva travolta mi aveva sconcertata. Forse era dovuto allo sforzo che mi ci era voluto per confessare la mia storia. Avevo abbassato la guardia.

Ma ora è più difficile di prima, quando era soltanto questione di vanità”, conclusi.

Mi voltai, cercando di distrarmi, per ritrovare l'equilibrio di cui avevo bisogno. Non dovevo spaventarla. Fissai la luna, in silenzio, rievocando Emmett: il suo sorriso, la sua mano sul mio fianco, delicata come il soffio del vento e il suo sguardo dolce sempre su di me. Mi stavo nuovamente perdendo nei miei pensieri quando Bella, qualche minuto dopo, parlò.

Se scegliessi di rimanere umana ti piacerei di più?”.

L'osservai, a quel punto, cercando di sorriderle. Sapevo che non avrebbe scelto di restare umana solo per compiacermi. “Forse”.

Un po' del tuo lieto fine l'hai avuto, però”, proseguì Bella, “hai Emmett”. Lo disse come se questo giustificasse tutto. Come se l'amore per Emmett fosse tutto ciò che io potevo desiderare. Possibile che in lei non ci fosse quel bisogno di avere un figlio? Come poteva non sentirsi morire all'idea di rinunciare ad avere una creatura sua? L'amore per Edward non avrebbe mai potuto colmare quella mancanza, e io lo sapevo bene.

Ne ho avuto metà”, le risposi sorridendole pensando a quello che stavo per dirle. “Sai già che ho salvato Emmett dall'aggressione di un orso, portandolo da Carlisle. Ma sai perché ho impedito all'orso di mangiarlo?”.

Bella scosse la testa. Ed io proseguii.

Con i riccioli neri e le fossette evidenti anche nella sua smorfia di dolore... quella strana innocenza che sembrava così fuori luogo in un uomo adulto mi ha ricordato Henry, il bambino di Vera. Non volevo che morisse. Anzi, per quanto odiassi questa vita, sono stata abbastanza egoista da chiedere a Carlisle di trasformarlo per me”.

Ripensai alla prima volta che vidi Emmett e alle emozioni che mi aveva scatenato il suo viso. Era coperto di sangue, praticamente morto. Ma era così dolce, così innocente. Sembrava ingiusto che una persona così dovesse morire. Sembrava buono, dolce, capace di dare dolcezza in qualsiasi momento. Come un bambino.

Ho avuto più fortuna di quanto meritassi. Emmett è tutto ciò che avrei mai potuto chiedere, se mi fossi conosciuta abbastanza da sapere cosa chiedere. È esattamente il tipo di persona adatta a una come me. E, stranamente, anche lui ha bisogno di me. Ha funzionato meglio di quanto potessi sperare. Ma resteremo sempre noi due. E non mi siederò mai in veranda assieme a lui, vecchi e grigi, circondati dai nipotini”.

La fissai, consapevole del fatto che quello che le stavo dicendo per lei non aveva nessun valore. Era nel pieno della giovinezza, come poteva per lei essere importante invecchiare?

Tutto questo ti suona strano, vero? In un certo senso sei molto più matura di quanto fossi io a diciotto anni. Ma d'altra parte... ci sono molte cose a cui forse non hai mai pensato seriamente. Sei troppo giovane per sapere che cosa vorrai fra dieci, quindici anni, troppo giovane per mollare tutto senza pensarci a fondo. Non essere frettolosa, se non puoi tornare indietro, Bella”.

Le diedi un buffetto sulla testa, sperando che mi prendesse sul serio. Che pensasse attentamente alle mie parole.

Pensaci solo un po'. Una volta fatto, non ci sarà più rimedio. Esme si è accontentata di avere noi come figli, mentre Alice non ricorda niente della sua vita umana, dunque non ne sente la mancanza... Tu te ne ricorderai, invece. È molto, ciò a cui dovrai rinunciare”.

Non trovavo le parole per spiegarle il vuoto che lascia un figlio mai nato e che sai che non potrà mai esistere. Semplicemente non c'erano parole o frasi che potessero rappresentare quel dolore.

Grazie, Rosalie... è bello capire... conoscerti meglio”, disse Bella. Aveva ragione, era una sensazione piacevole.

Mi scuso per essere stata un mostro. D'ora in poi proverò a comportarmi meglio”, le sorrisi, sollevata dalla situazione almeno un po'. Se non altro le cose tra noi sarebbero migliorate un poco, qualunque fosse stata la sua decisione finale.

Ora ti lascio dormire”, le dissi, fissando il letto e ridendo. Edward non sapeva davvero come fare con le donne a volte. “So che t'infastidisce che lui ti abbia rinchiuso così, ma non trattarlo troppo male quanto torna. Ti ama più di quanto tu possa immaginare. Starti lontano lo terrorizza”.

Mi alzai, sperando di aver con queste ultime mie parole, restituito almeno in parte il favore che Edward mi aveva riservato non raccontando la mia storia a Bella.

Buonanotte, Bella”, e mi chiusi la porta alle spalle.

Buonanotte, Rosalie”, la sentii sussurrare qualche attimo dopo. Sorrisi, sollevata, avevo fatto il mio dovere. Sapevo che Edward mi avrebbe capita. Lui si rendeva conto di quanto importante fosse per lei restare umana.

Mi incamminai silenziosamente verso la mia stanza, aspettando che Emmett rientrasse. Mi mancava tremendamente, anche se si assentava per pochi minuti. Ora più che mai lo volevo al mio fianco, dopo aver rivissuto l'incubo e il dolore del passato.

Aprii l'armadio ed estrassi la cassetta di legno dove conservavo alcuni oggetti per me preziosi. Ce n'era uno tra tutti, che adoravo. Era il giglio che mi aveva donato Emmett quando mi aveva chiesto di sposarlo. La prima volta, la più importante, quella che aveva realizzato metà del mio sogno, che aveva rimesso insieme buona parte di me stessa.

Il giglio”, mi aveva detto Emmett quella volta, “simboleggia il fascino, la maestà, ma anche la dolcezza. Il ritorno della felicità. Simboleggia la fierezza d'animo. È il fiore che si regala ad una donna fiera, di classe, per dirle che per te lei è la tua regina e che si è alla sua mercé. Per dirle che la ami, che è il tuo angelo, e che la vuoi, per tutta l'eternità. Vuoi sposarmi, Rose?”.

Strinsi al petto il fiore, e mi voltai pronta ad accogliere il suo ritorno. Sentivo i suoi passi, mentre si faceva strada, veloce, su per le scale.

Mi guardò, fissò quello che tenevo tra le mani e sorrise, appoggiandosi al muro.

Così hai parlato con Bella, vero?”. Mi conosceva troppo bene, sapeva che prendevo in mano il fiore solo quando ero particolarmente turbata.

Annuii e mi alzai. Emmett mi venne incontro e mi tolse delicatamente il giglio dalle mani, per posarlo sul comodino. Poi mi cinse tra le sue braccia.

Lo sai, vero, che potrei rifarti quella proposta ogni istante di ogni giorno? Che, anzi, ogni volta il desiderio e l'amore per te crescono, tanto che mi sento sempre più un adolescente in preda agli ormoni impazziti?”.

Risi, affondando il viso nella sua spalla. Solo lui poteva essere così tremendamente tenero e folle. Dolce.

Allora, quando hai voglia di risposarmi?”, mormorò, mentre con le sue labbra mi accarezzava la linea della mascella e il collo.

Ora”, sussurrai.

Non ebbi tempo di aggiungere altro. Ero intrappolata nel suo abbraccio e sfrecciavamo nel bosco. Probabilmente eravamo diretti a Las Vegas, o ad una qualsiasi chiesa dove qualcuno potesse sposarci, di nuovo, nel giro di una notte, come due amanti presi da una cieca e folle passione che decidono di fare il grande passo presi da una strana frenesia.

Una frenesia che per noi continuava da quasi un centinaio d'anni oramai, e che non si sarebbe mai spenta.

  
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