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Autore: Elena Ungini    04/06/2017    0 recensioni
L’agente speciale Steve Rowling lavora da due anni al Progetto A.I.R.E.S.S., con lo scopo di risolvere casi legati al mondo del paranormale. UFO, streghe, vampiri e affini sono all’ordine del giorno, per lui. Nel bel mezzo di un’indagine, si ritrova fra i piedi la giornalista Livienne Parrish, venticinquenne avvenente e disordinata. Nonostante l’odio atavico che Steve prova nei confronti dei giornalisti, è costretto a collaborare con lei, mentre gli intrighi, intorno a loro, si fanno sempre più fitti e pericolosi. Ma il pericolo più grande, per Steve, sono gli immensi occhi verdi di Livienne…
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Filadelfia, Venerdì 9 giugno 2000
 
Quel venerdì mattina, neanche fosse un venerdì tredici, era destinato a iniziare in modo piuttosto burrascoso. Passata l'euforia per aver finalmente messo le mani su una banda di trafficanti di droga che da mesi gli stava dando del filo da torcere, Donald era ora alle prese con un nuovo caso che non lo lasciava dormire: la settimana precedente una giovane casalinga era morta, intossicata da una sostanza velenosa di origine ignota e, quel mattino, era giunta notizia che altre quattro persone, tre donne e un bambino, erano rimasti vittime della stessa intossicazione ed erano ricoverati al Pennsylvania Hospital in gravissime condizioni.
Dopo aver esposto i magri risultati delle indagini riguardanti la prima vittima, l'agente Dennis Parrish, affidato al caso perché in quel momento era l’unico elemento disponibile, fissava con apprensione Donald, che tamburellava con le dita su una scatoletta di metallo contenente caramelle alla menta e ogni tanto la rigirava fra le mani. Era il suo modo di riflettere. Dopo aver giochicchiato con la scatoletta per un minuto buono, fissò Dennis con sguardo illuminato, si alzò e disse:
“Venga con me. Chiederò all'agente Rowling di affiancarla in questo caso”.
“Ma non ce n'è bisogno! Penso di riuscire a risolverlo da solo!” protestò lui, per niente entusiasta di dover collaborare con Steve.
“Senta, Dennis! Non me ne frega un fico secco se lei si crede Superman e pensa di poter risolvere seduta stante tutti i problemi di questa città! Tenga presente che io lavoro qui da quindici anni e so riconoscere al volo i casi "difficili"! E questo è un caso di quelli. Non dimentichi che una donna è morta e altre quattro persone sono finite all'ospedale in una sola mattina. Dio solo sa quando potremo interrogarle per sapere cosa è realmente accaduto. Da stamattina la storia è su tutti i giornali. Sa cosa vuol dire questo? Vuol dire che la gente comincerà ad avere paura, vorrà delle risposte da noi, al più presto possibile. Per questo le affianco Steve: dovrete lavorare insieme, per mettere fine a questa specie di epidemia. E non voglio sentire altre discussioni, capito?”
Il tono da lui tenuto non era certo dei più gentili.
“D'accordo. Mi perdoni, signor Kerk”, sussurrò Dennis, vergognandosi un po'.
“Lasci stare... torni al lavoro, piuttosto”.
Si recarono nell'ufficio di Steve, che stava lavorando al computer.
“Salve, Donald. Ciao, Dennis”, li salutò.
“Non è il momento per i convenevoli, Steve. C'è un caso da risolvere in fretta. Dennis ti metterà al corrente di tutti i particolari”, detto ciò, Donald uscì dalla stanza, lasciandoli soli.
“Che è successo?”, chiese Steve.
“Una giovane donna, una settimana fa, è stata trovata morta nel suo appartamento, probabilmente soffocata da una sostanza irritante che aveva inalato. Dopo aver controllato l'intero appartamento senza aver trovato tracce di sostanze velenose o irritanti nell'aria, abbiamo pensato che avesse ingerito o inalato qualche farmaco, oppure della droga. Ma l'autopsia ha rivelato che lo stomaco della donna era pressoché vuoto e che non vi erano tracce di sostanze tossiche nel suo corpo, neppure nei polmoni”.
“Quindi non sapete cosa l'ha uccisa?”
“Già. Ma c'è dell'altro: stamane, altre tre donne e un bambino, in tre luoghi diversi, sono stati colpiti dallo stesso morbo, ammesso che di morbo si tratti. Ora sono ricoverati in ospedale, sotto la tenda a ossigeno. I medici stanno facendo del loro meglio per salvarli, e noi dovremo fare l’impossibile per scoprire al più presto cosa li ha ridotti in quello stato, e impedire che accada a qualcun altro”.
“Sono già stati fatti i rilevamenti relativi a queste ultime persone colpite dall'intossicazione?”
“La scientifica è sul posto”.
“Bene. Ci andiamo anche noi”, annunciò Steve, avviandosi verso la porta.
Circa venti minuti più tardi giunsero all'appartamento della signora Dikens, una delle tre donne ricoverate. Steve si rivolse all'agente Park, della scientifica, che stava prendendo dei campioni.
“Scoperto qualcosa?”
“Abbiamo analizzato l'aria, ma è risultata "pulita", a parte un po' di sano smog quotidiano. Ora stiamo prendendo campioni di ogni cosa: acqua, cibo, detersivi, medicinali presenti in casa… ma ho paura che sarà un altro buco nell'acqua”.
Steve annuì, cominciando a guardarsi intorno. Sul tavolo notò un grande vaso di orchidee, di una specie che non aveva mai visto.
“Che strani fiori…”, disse.
“Già. Sono splendidi, vero?”, commentò Dennis.
“È la prima volta che li vedo”. Steve si avvicinò per osservarli meglio: i petali erano bianchi, sfumati di rosa.
“Io, invece, li ho già visti la settimana scorsa, a casa dell'altra vittima, e li ho visti anche da una mia cugina. C'è una vera e propria mania per questo nuovo tipo di orchidee, ultimamente. Pensa che le ho trovate talmente belle che ho deciso di regalarle anche a mia sorella, che oggi compie gli anni”, disse Dennis. Subito dopo, però, si morse la lingua: non avrebbe voluto dire a Steve del compleanno di Livienne.
“Livi oggi compie gli anni? Non me lo ha detto”, si stupì Steve.
“Se ne sarà dimenticata. È tipico di Livienne”.
“Le farò una sorpresa: questa sera andrò a casa sua e le porterò un regalo”, disse Steve, rovistando nel cestino della spazzatura per cercare altri indizi, ma trovò solamente la carta che avvolgeva il vaso di orchidee. Su un piccolo adesivo, ancora attaccato alla carta, campeggiava la scritta " BLUE MOON,  i tuoi fiori ogni giorno, in ogni occasione. Via delle Colonie n° 2."
Dopo aver passato in rassegna tutto l'appartamento, senza riuscire a trovare nessun indizio utile, decisero di andare a controllare la casa della signora Blowind, anche lei ricoverata al Pennsylvania Hospital insieme al figlioletto di cinque anni.
Anche qui, la scientifica aveva già fatto tutti i rilevamenti necessari, senza trovare nulla di insolito. Steve decise di interrogare la vicina di casa, prima di entrare nell'appartamento.
“La signora Blowind e suo figlio erano soli in casa, quando si sono sentiti male?”, le chiese.
“Sì. Per fortuna sono riusciti a uscire e hanno suonato il mio campanello. Quando ho aperto la porta li ho trovati quasi soffocati. Ho chiamato subito l'ambulanza”.
“Le hanno detto che cosa è successo?”
“No. Come le ho detto stavano soffocando. Ho preso un tale spavento!”
“È successo nulla di insolito, stamattina, prima dell'incidente?”, chiese Dennis.
“No, che io sappia”.
“Niente fumo che usciva da qualche parte o odori strani nell'aria, gas, cose del genere?”
“Niente del genere”.
“Hanno ricevuto la visita da parte di qualcuno?”, s'informò ancora Steve.
“Mi faccia pensare… sì: stamattina, tornando dall'edicola, ho visto il camioncino del fiorista, fermo qua sotto. Siccome i signori del piano di sopra sono in ferie e non ci sono altre famiglie qui, ho pensato che la signora Blowind avesse ricevuto dei fiori. A parte questo,  non c'è altro”.
“Ricorda di che negozio era il furgone?”
“No, mi dispiace. So che si trattava di fiori perché il portellone era aperto e ho visto dei vasi di orchidee bellissimi! Ricordo solo che il camioncino era blu”.
“Orchidee?”, chiese Steve.
“Sì, un nuovo incrocio, che non avevo mai visto prima”.
A Steve balenò immediatamente un'idea in testa: spalancò la porta dell'appartamento della Blowind ed entrò. Sul tavolo, uno splendido vaso di orchidee uguali a quelle che aveva visto nell'altra casa faceva bella mostra di sé.
“Vieni con me, presto!”, disse, rivolto a Dennis. Raggiunse in fretta la macchina, estraendo il telefonino dalla tasca della giacca e componendo il numero di Park. L'agente dell'FBI, in quel momento, si trovava nel terzo appartamento, l'unico non ancora visitato da Steve e Dennis.
“Pronto?”, rispose Park.
“Park, sono Rowling. Voglio sapere se anche lì c'è un vaso di orchidee come quelle che c'erano negli altri tre appartamenti”.
“Intendi dire questi strani fiori bianchi e rosa?”
“Passa a prendere tutti i vasi di quei fiori, compreso quello della prima vittima e portali al laboratorio di ricerca: potrebbero contenere la sostanza velenosa che cerchiamo! Telefona anche al capo e digli di fermare le vendite di quelle orchidee”.
“D'accordo! Ma cosa...”.
Steve non lo lasciò neppure finire di parlare. Staccò la comunicazione e fece il numero di Livienne. Dennis lo guardava, preoccupato.
“Credi davvero che quelle orchidee siano la causa di tutto? Se è così, Livienne è in grave pericolo!”
“Non risponde!”, esclamò Steve, spaventato. Accese la macchina e si diresse a tutta velocità verso l'appartamento di Livienne.
“Ragiona un attimo, Steve”, cercò di calmarlo Dennis.
“Se quelle piante fossero velenose veramente, sarebbe stata intossicata un sacco di altra gente, primi fra tutti i fioristi e gli autisti dei furgoni, per non parlare di tutti quelli che hanno portato quelle piante dall'Amazzonia fino a qui!”
“Voglio solo essere sicuro che Livienne stia bene. Inoltre, ho la netta sensazione che quelle orchidee abbiano a che fare con tutta questa faccenda, in un modo o nell'altro”.
“Ti preoccupi molto per mia sorella… soprattutto sapendo quanto poco ami i giornalisti”, insinuò Dennis.
“Non considero tua sorella una semplice giornalista. È diventata quasi una collega, per me”, spiegò.
“È solo per questo che ti preoccupi?”
Steve si rifiutò di rispondere. Parcheggiò poco distante dall’appartamento di Livienne e salì le scale di corsa, seguito da Dennis. Davanti alla porta dell'appartamento, Steve suonò più volte, ma nessuno venne ad aprire.
Lanciò uno sguardo carico di tensione a Dennis, che era altrettanto preoccupato, poi, senza por tempo in mezzo, prese la rincorsa e, con una potente spallata, cercò di forzare la serratura dell'uscio. Dopo i primi due colpi, la porta si aprì all'improvviso e Steve, che stava per sferrare un altro violento colpo, rovinò invece addosso a Livienne, finendo per terra insieme a lei.
“Steve! Hai deciso di ammazzarmi?”, chiese, scansandoselo di dosso. Lui la guardò, sorpreso: Livienne, per nulla sofferente o in procinto di soffocare, era in accappatoio e aveva i capelli bagnati. 
“Accidenti!”, esclamò la ragazza, controllando tutti i lividi che aveva collezionato.
“Abbiamo suonato diverse volte; prima avevamo anche provato a telefonare, ma tu non hai mai risposto”, cercò di scusarsi Steve, aiutandola a rialzarsi.
“Stavo facendo la doccia quando ho sentito qualcuno che tentava di sfondare la mia porta! Ero sul punto di chiamare la polizia! Volete spiegarmi il perché di questa irruzione fuori programma?”, chiese, rivolgendosi a entrambi, evidentemente piuttosto indispettita.
“Mi dispiace. Credevamo che fossi in pericolo”.
“In pericolo? E per quale motivo?”.
“Hai ricevuto i fiori che ti ho mandato stamattina?”, chiese Dennis.
“Sì, certo, ti ringrazio molto per il pensiero, ma che c'entrano, adesso?”
“Non c'è tempo per spiegarti, ora. Dove sono i fiori?”, chiese Steve, lanciando un'occhiata all'interno della stanza, dove regnava sovrana la solita confusione. Nell'angolo più illuminato, vicino alla finestra, Steve scorse il vaso di fiori.
“Tu aspetta qui fuori”, disse a Livienne, spingendola nel vano scale.
“Cosa? Ma sono in accappatoio!”, esclamò lei.
“Non importa! Non muoverti di lì”.
“Steve! Fra venti minuti ho un appuntamento! Devo vestirmi!”
“Scommetto che il tuo fidanzato sarà molto contento di trovarti così: risparmierà un po' di tempo e i soldi della cena”, commentò Steve, ridendo.
“Sei odioso, Steve!”
Lui non rispose: non ne aveva il tempo. Telefonò alla scientifica e in breve Park era lì. Fece i rilevamenti, prese il vaso di fiori, lo incartò per bene, lo etichettò e lo mise insieme agli altri sul furgone.
“Scoperto niente?”, chiese Steve.
“Niente di niente”.
“Quando i risultati delle analisi su quei fiori saranno pronti, fatemelo sapere”.
“D'accordo, ti faccio chiamare da Cloe. È lei che se ne sta occupando”.
“Un'ultima cosa, Park: di' a Prescott che mandi qui qualcuno a sistemare la porta di casa: credo di averla segnata un po'”, s'interessò Steve.
“I tuoi soliti metodi "dolci", non è così, Steve?”, e Park scoppiò a ridere.
“Andiamo in ospedale”, tagliò corto lui, rivolgendosi a Dennis.
“Posso rientrare in casa mia?”, chiese Livienne, evidentemente scocciata per l'accaduto e, soprattutto, perché Steve e Dennis non avevano voluto raccontarle cosa stava succedendo.
“Sì, credo di sì, anche se penso che sia un po' tardi per il tuo appuntamento”, commentò Steve, con una punta di malizia nella voce, notando un tizio che saliva le scale con un mazzo di fiori in mano. Livienne, rossa in viso per la rabbia, rientrò in casa, inveendo contro certi agenti un po' "maneschi".
Quando furono in macchina, Steve bofonchiò:
“Dovrò trovare il modo per farmi perdonare…”
“Non sarà facile. Livienne è piuttosto vendicativa”, ridacchiò Dennis.
Una volta giunti al Pennsylvania Hospital, Steve volle parlare col tossicologo che seguiva le quattro persone intossicate.
“Sono Steve Rowling, dell'FBI”, si presentò, stringendo la mano al dottore.
“Ha scoperto la causa dell'intossicazione?”, domandò.
“Ho trovato alcune tossine sconosciute nell'espettorato di questi pazienti. Sembrerebbero provenire da un acido non ancora noto. Queste persone hanno inalato l'acido e si è scatenata la reazione allergica. Ma la cosa più strana è che lo stesso espettorato, un quarto d'ora più tardi, non conteneva più le tossine. Erano sparite completamente”.
“Questo spiegherebbe il perché negli ambienti non abbiamo trovato nulla: se le tossine sono scomparse entro una ventina di minuti, la scientifica non poteva certo riuscire a rilevarle”, azzardò Steve.
“Come stanno i pazienti?”, chiese Dennis.
 “Si stanno riprendendo bene, ma le loro mucose sono ancora molto irritate. Per ora non è possibile toglierli dalla tenda a ossigeno”.
“Immagino non si possano ancora interrogare”.
“No, mi dispiace. Se tutto va come credo, ci vorranno ancora un paio di giorni, prima che possiate fare loro le vostre domande”.
Il telefono di Steve suonò e lui rispose:
“Steve, sono Cloe. I risultati sono pronti, ma temo che tu abbia fatto uno sbaglio”.
“Non preoccuparti, vengo subito lì”, rispose Steve.
Mentre uscivano dall'ospedale incontrarono Livienne che stava entrando.
“Perché sei venuta qui?”, le chiese Steve.
“In primo luogo, perché sono una giornalista; in secondo luogo perché vorrei scoprire per quale assurdo motivo mi sono ritrovata senza regalo di compleanno e con la porta di casa sfasciata!”
“E il tuo appuntamento?”, le chiese ancora.
“Non sono affari tuoi. Piuttosto, parlami di quelle quattro persone intossicate. Ho letto l'articolo che ha scritto Cris in merito, ma so che nessuno ha ancora scoperto cosa realmente è successo. Nessuno, a parte voi. Scommetto che voi due vi siete già fatti un'idea abbastanza precisa dell'accaduto, non è così?”
“Dennis, quante sorelle hai?”, chiese ironicamente Steve.
“Una sola. È più che sufficiente!”, rispose lui, stando al gioco.
“Meno male, un'altra come Livienne e neppure i segreti della Casa Bianca sarebbero più al sicuro!”, scherzò Steve.
“Vieni con noi”, le disse, dirigendosi verso la sua macchina. In breve erano al laboratorio di ricerca, dove Cloe li stava aspettando. Quando vide l’agente Rowling, la ragazza gli sorrise dolcemente.
“Allora, che c'è di nuovo?”, chiese lui, senza tanti preamboli.
“Ho esaminato i fiori trovati a casa delle quattro vittime, ma non è risultato assolutamente nulla. Mi dispiace, Steve, ma stavolta temo che tu abbia preso un granchio. Del resto, se queste piante fossero tossiche, non si spiegherebbe come mai moltissime persone le maneggino o le abbiano in casa senza che creino problemi. Lo hai visto anche tu: la proprietaria di quest’ultima orchidea non è stata colpita dall'intossicazione”.
“Quella è la mia”, ribadì Livienne.
“Ha ragione, Steve: mia cugina non ha avuto problemi di alcun tipo, eppure anche lei ha in casa una di quelle piante”.
“Forse le persone colpite soffrivano di asma, o di altre affezioni respiratorie”, ipotizzò Steve.
“No: è la prima cosa che abbiamo controllato. Io stessa soffro di asma. Sarei stata subito male!”, disse la ricercatrice.
“Hai detto che le piante delle quattro vittime non presentavano nulla di insolito. Sull’ultima, invece?”, chiese, indicando l’orchidea di Livienne.
“Già, quasi me ne dimenticavo! Su questa pianta ci sono degli stranissimi insetti microscopici. Direi che potrebbero appartenere alla famiglia degli afidi, sebbene siano molto più piccoli. Ho interpellato un entomologo, che mi ha detto di non aver mai visto nulla del genere. Sembra che questi animali vivano solo su queste strane piante. In ogni caso, sono innocui”. Sorrise a Steve maliziosamente, sbattendo le ciglia e accarezzandosi i capelli in maniera palesemente sensuale.
“Ma sulle piante delle vittime non ce n'è traccia”, affermò ancora Steve, concentrato sul caso.
“No. Non ce n'è traccia”, sbuffò lei, un po’ seccata dal fatto che lui la stesse ignorando.
“Potrebbe essere quello che cerchiamo! Forse gli insetti impediscono alla pianta di liberare le tossine”.
“Se fosse così, le piante sarebbero tossiche tuttora. Dai retta a me, Steve: queste orchidee non c'entrano. Non hanno niente a che vedere con quello che è successo. Inoltre, se fossero tossiche davvero, i primi a farne le spese sarebbero i fioristi, non ti pare?”
Di nuovo la donna ammiccò a Steve, facendogli gli occhi dolci. Lui non ci fece caso.
“Già. I fioristi!”, esclamò Steve. Ricordò la targhetta che aveva visto quel mattino.
“Dennis, Livienne, andiamo in via delle Colonie, al numero due”.
“A fare che?”
“Domande. Che altro vuoi fare? Forse i fioristi ne sanno più di noi, su questa pianta”.
Non appena furono in macchina, Livienne non resistette e domandò:
“Lo frequenti spesso il laboratorio, Steve?”
Lui la fissò stupito.
“Perché?”
“Cloe ti stava mangiando con gli occhi…”
Lui sorrise maliziosamente.
“A dire la verità, non me ne sono accorto. Ma tu sì, a quanto pare”.
“Non mi è sembrata molto professionale”, si scusò lei.
“Diciamo che sei gelosa…”, la stuzzicò.
“Gelosa? Di te? Ma non dire sciocchezze!”, s’infuriò.
L’arrivo davanti al Blue Moon mise fine alla discussione. Notarono subito un furgoncino blu, pieno zeppo di fiori. Delle misteriose orchidee, però, non c'era traccia.
“Tanto per cominciare, sappiamo che il furgone che ha consegnato i fiori alla Blowind era blu. Forse si tratta di questo”, disse Steve.
Entrarono nel negozio, dove il fiorista stava preparando un grosso mazzo di fiori. Steve notò che l'uomo era di origine asiatica.
“Salve”, lo salutò.
“Salve. Posso esservi utile?”, chiese lui.
“Credo proprio di sì. Sappiamo che lei ha consegnato un vaso di orchidee alla signora Dikens. Può dirci quando glielo ha portato?”, disse, mostrando il tesserino dell'FBI.
“Certamente. Lo ha consegnato il ragazzo questa mattina. Ma perché volete saperlo? È qualcosa che ha a che fare con il provvedimento che avete emanato di sospendere tutte le vendite di quelle orchidee?”
“Già: sembra che quelle piantine non siano così innocue come sembrano. Ha fatto altre consegne di quelle orchidee?”
“Sì, ne sono arrivati tre vasi proprio ieri e stamattina li ho venduti tutti”.
“Mi lasci indovinare: gli altri due li ha consegnati alla signora Blowind e alla signora Land”.
“Sì. È esatto! C'è forse qualcosa che non va?”
“Temo di sì: tutte e tre le signore sono finite all'ospedale, stamane. Mi dica un'altra cosa: la settimana scorsa ha fatto altre consegne di queste orchidee particolari?”
“Una sola. Alla signora…”.
Ci pensò un istante: non ricordava il nome.
“Alla signora Singer?”, disse Steve. Singer era il nome della prima vittima.
“Sì, ecco! Proprio lei!”
“Così, ora sappiamo che tutte le piante incriminate sono partite da questo negozio”, commentò Steve.
“Incriminate? Ma che dite? Non penserete che sia stato io a fare del male a quelle donne? La signora Singer è mia cliente da tantissimi anni”.
“Vorrà dire "era" sua cliente! È morta in seguito a un'intossicazione, probabilmente provocata dalla pianta che lei ha consegnato. Non sappiamo ancora come sia successo”, spiegò Steve.
L'uomo si lasciò cadere su una sedia, passandosi una mano fra i capelli.
“È spaventoso. Ma io non ho fatto niente! Mi sono limitato a far loro avere le piante che avevano ordinato!”
“Stia tranquillo, lei non è accusato di nulla, per il momento. Possiamo controllare il suo negozio e anche il furgone?”
“Certo, fate pure”.
Diedero un'occhiata in giro, senza trovare indizi utili. Steve stava ormai pensando di chiamare la scientifica per far analizzare tutto il negozio quando vide il fiorista spruzzare dello spray su una pianta che stava preparando per un cliente.
“Che sta facendo?”, gli chiese.
“Spruzzo del lucidante fogliare”.
“Posso vederlo?”
“Certo. Ecco, tenga”.
Steve prese la bomboletta fra le mani. L'iscrizione stampata sulla confezione era in giapponese.
“Viene direttamente dal Giappone. È il migliore lucidante fogliare che esista e io sono l'unico ad averlo, in città”.
“Questa la prendo io, se non le dispiace”, lo avvisò Steve.
“Torniamo al laboratorio”, disse, rivolto a Livienne e Dennis.
Quando si trovò nuovamente al cospetto di Cloe, Steve le disse:
“Spruzza questo sopra la pianta di Livienne, ma stai molto attenta: potrebbe sprigionare le tossine”.
“Sei carino a preoccuparti per me”, sorrise lei. Poi, vedendo che lui non rispondeva, riprese:
“Tu credi che dipenda tutto da questo lucidante fogliare?”
“Non solo dal lucidante fogliare. Credo che sia una combinazione di elementi a dare luogo al gas intossicante”.
“D'accordo. Mi ci vorrà un po' di tempo”, rispose, dirigendosi verso il laboratorio.
“Non dirmi che ora non l’hai notata!”, sputò fuori Livienne, piccata.
Steve rise, vedendola così alterata.
“Così non sei gelosa, eh?”
“No”, protesto lei, arrossendo.
Steve, Livienne e Dennis presero posto nella sala d'aspetto. Verso le otto di sera, finalmente, Cloe uscì dal laboratorio, si tolse la maschera antigas e si rivolse a Steve:
“Avevi ragione tu, Steve: i piccoli animaletti presenti sulla pianta hanno una composizione chimica molto particolare e, a contatto con alcuni elementi contenuti nel lucidante fogliare, hanno innescato una reazione che, nell'arco di mezz'ora, ha portato alla totale dissoluzione degli insetti. In pratica, si sono dissolti sprigionando un gas fortissimo, terribilmente irritante, che però è svanito nel giro di trenta minuti, senza lasciare traccia”.
“Ovviamente, la reazione non avviene con altri lucidanti fogliari diversi da questo”, ipotizzò Steve.
“No, infatti. Gli altri lucidanti che abbiamo analizzato non contengono le stesse sostanze di quello che hai portato tu. Solo quello innesca la reazione”.
“Così, a quanto pare, abbiamo risolto il caso!”, esclamò Steve.
“Vuoi dire che tu hai risolto il caso”, bofonchiò Dennis.
“Non te la prendere Dennis. Tu, la settimana scorsa, hai catturato quella banda di trafficanti di droga. Sei stato in gamba”.
“E io ho il mio articolo”, commentò felice Livienne.
“Tutti contenti allora”, affermò Steve, uscendo dal laboratorio di ricerca senza neppure salutare Cloe. Gli altri due lo seguirono.
“Non proprio: io non mangio da oggi a mezzogiorno e sto morendo di fame”, si lamentò Livienne.
“E ti pareva!”, esclamò Dennis. “Ci puoi dare un passaggio, Steve?”
“Certo, venite. Vi accompagno a casa”.
“Un momento! Dove credete di andare, voi due? Mi dovete un regalo di compleanno! Che ne direste di portami fuori a cena?”, propose Livienne.
“L'idea non è male: ora che ci penso noi non abbiamo neppure pranzato!”, esclamò Steve, rivolto a Dennis.
“Già! È da stamattina che siamo in giro! Per una volta hai avuto una buona idea, sorellina. Forza, andiamo. E stasera offro io”, si offrì Dennis.
“Niente da fare. Tu il regalo a Livienne lo hai già fatto, ora tocca a me”, brontolò Steve.
“Stai a vedere che poi toccherà a me pagare”, scherzò Livienne. Steve le passò un braccio intorno alla vita e l’attirò a sé. Lei non osò ribattere e lo lasciò fare. Si allontanarono insieme, diretti verso il ristorante più vicino, per festeggiare allegramente il compleanno di Livienne e la risoluzione del caso.
   
 
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