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Autore: ayamehana    04/06/2017    4 recensioni
Certi amori sono destinati a durare in eterno; altri a bruciare e a estinguersi come la fiamma di una candela ormai consumata. Ranma e Akane hanno dovuto impararlo a loro spese, quando la loro relazione è terminata a pochi giorni dal matrimonio che li avrebbe legati per tutta la vita. Una rottura nata da un imbroglio, ma che l’erede della palestra Tendo ha interpretato come un «non siamo fatti per stare insieme».
Troppe parole, però, sono rimaste in sospeso. Sono passati sei lunghi anni; Akane è cresciuta ed è in procinto di sposare l’uomo di cui è innamorata… tuttavia, si è dimenticata di fare i conti con un’unica cosa: certi amori sono destinati a finire, solamente per ritornare ancora più forti.
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Non erano mai andati molto d’accordo, loro due; si erano amati con quella caparbietà tipica degli adolescenti… ma la loro relazione era stata fragile, si era incrinata con eccessiva facilità. Se si sforzava, riusciva ancora a vederne le crepe… in una fidanzata di troppo, nelle pressioni di due genitori invadenti… nella propria impulsività e nella timidezza intrinseca di Ranma.
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[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Shan-pu, Shinnosuke
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciao a tutti e ben ritrovati! Volevo innanzitutto ringraziarvi per aver letto il primo capitolo di Tempi Supplementari e per aver aggiunto la mia storia tra le seguite, le preferite o le ricordate! Sono davvero felice del feedback positivo che ho ottenuto!
Dopodiché, volevo avvisarvi che questo sarà un semplice capitolo di transizione... avevo bisogno di presentare alcuni personaggi - alcuni più importanti, altri meno - che faranno da sfondo alla mia fanfiction!
 
Ringrazio ancora Napee, la mia betareader, per le sue revisioni! E vi consiglio di leggere la sua storia, 'Sposa il Re, ama il Guerriero'... so che ci tiene moltissimo!
 
CAPITOLO II

MI SPOSO!

 
Un raggio di sole filtrava attraverso le persiane chiuse, colpendo sugli occhi Akane, che ficcò la testa sotto il cuscino, mugolando.
Durante la notte, aveva scalciato via le lenzuola e ora, ne sentiva un impellente bisogno. Tastò al proprio fianco, alla loro ricerca, per scoprire a malincuore che Shinnosuke si era già alzato. Ah, è vero… anche se è domenica, è dovuto andare a lavoro, pensò, afferrando un lembo della coperta e tirandoselo su fino alle orecchie.
Dopo essersi trasferito a Tokyo, Shin aveva trovato un impiego in un piccolo zoo non molto lontano da casa sua. Lì, le sue mansioni erano semplicemente quelle di dar da mangiare agli animali e di tenerli a bada, quando necessario. Era un lavoro piuttosto modesto, ma lui diceva di avercelo nel sangue. 
Akane si girò su un fianco, tentando di riaddormentarsi, ma nulla, quel raggio di sole non voleva in alcun modo darle pace! Aprì faticosamente un occhio, poi il secondo, scrutando con aria assonnata la stanza in penombra. Ma che ora era? Cercò il cellulare sul comodino e imprecò a denti stretti, quando questo cadde a terra con un tonfo.

«Porca…» mormorò con la bocca impastata. Ora sì che era del tutto sveglia! Si accovacciò e recuperò il telefono una volta per tutte, prima di guardare l’ora sul display. Le otto e trenta. Va bene, forse poteva anche alzarsi.

Nonostante l’estate stesse per cominciare, un brivido di freddo le percorse le membra, quando toccò il tatami con i piedi nudi. Miseriaccia, qui dentro si gela! Shin deve aver lasciato l’aria condizionata accesa stanotte! pensò, attraversando la stanza per prendere la vestaglia abbandonata sulla sedia.

E ora, un bel caffè! si disse, dopo aver aperto imposte e finestre per far circolare l’aria nella camera da letto.

Quando raggiunse la cucina, notò subito sul frigo un post-it scritto con la calligrafia quasi illeggibile del suo ragazzo: Ti ho preparato il caffè; in frigo trovi anche il succo e lo yogurt, se vuoi. Ci sentiamo stasera. Akane lo staccò e lo buttò nel cestino; poi si versò una tazza di caffè, aggiunse il latte e chiuse il tutto nel microonde. Circa un minuto dopo, quest’ultimo scattò e la piccola Tendo recuperò la sua colazione.

Si sedette, quindi, a tavola e compose un numero sul suo cellulare. Sua sorella le rispose dopo il secondo squillo. «Akane?» esclamò Kasumi, preoccupata. «Sono le nove ed è domenica, cosa ci fai già sveglia?!»

Akane rise. Effettivamente, sin da piccola aveva sempre avuto il vizio del sonno. «Avevo bisogno di parlarti», disse, sorseggiando lentamente il suo caffè.

«È qualcosa di importante? Scusami, ma sono di fretta… Kim ha invitato me, Ono e i bambini a pranzo e le avevo promesso di andare prima per aiutarla a cucinare…»

L’artista marziale posò la tazza e afferrò un biscotto. «Dipende dai punti di vista, ma sì… Per me è importante.»

«Non dirmi che hai rotto di nuovo la tubatura dell’acqua? È già la terza volta in questo mese…» la sgridò dolcemente sua sorella. «Se è solo questo… domani chiamerò l’idraulico e vedrò cosa…»

Akane finì di mordicchiare il suo biscotto e inspirò profondamente. «Mi sposo», disse, tutto d’un fiato.

«… posso fare… e poi… Come scusa?» si interruppe improvvisamente Kasumi, sorpresa.

La ragazza lasciò andare l’aria dai polmoni. «Hai sentito bene. Shin ha chiesto di sposarmi», ripeté più decisa, cercando di trattenere le lacrime che minacciavano nuovamente di bagnarle gli occhi. Silenzio. Akane guardò il display del cellulare per accertarsi di non aver chiuso la chiamata per sbaglio. «Ehi, Kasumi, ci sei?»

Dall’altro lato, però, non arrivò alcuna risposta. L’artista marziale stava per aprire nuovamente bocca, quando sentì la vocina roca di sua sorella. «S-Sì… È solo che… beh, mi hai sorpresa!»

Sta piangendo? si chiese Akane, stupita. «Dai, non piangere, ora», mormorò, mentre un sorriso si apriva sulle sue labbra. Ma certo: Kasumi l’aveva cresciuta, aveva preso il posto di sua madre, quando quest’ultima era venuta a mancare. Era più che normale che si fosse commossa alla notizia del suo matrimonio!

«S-Sì, ora la smetto…» sussurrò sua sorella, tirando su con il naso. «Comunque, Akane, è magnifico!»

«Già! Volevo che tu fossi la prima a saperlo!» esclamò Akane su di giri. «Fra un’oretta mi vedo con Akari da Ucchan e lo dirò anche a lei!»

«Oh,beh… allora…  se mi aspettate, potrei venire a fare un salto e…»

L’artista marziale scosse la testa, ridendo. «Non serve o farai tardi da tua suocera… Non le avevi promesso di aiutarla a cucinare?» affermò, alzandosi dalla sedia e riponendo la tazza vuota dentro al lavello. «Un giorno di questi, verrò a trovarti, così ti racconto tutto per filo e per segno!»

«Va bene, ci conto. A presto, allora!»

«A presto», la salutò Akane, riagganciando.

 
Ciao Akari, pranziamo insieme? Se sì, ci incontriamo alle undici e mezza da Ucchan! digitò velocemente la piccola Tendo, prima di liberarsi del pigiama per indossare la sua adorata tuta. Controllò per l’ennesima volta nel marsupio per accertarsi di aver preso tutto – portafoglio, chiavi, cellulare – e uscì di casa.

L’appartamento di Shinnosuke si trovava in un quartiere tranquillo di Nerima e affacciava direttamente su una grande via alberata. Akane si stiracchiò e inspirò una boccata d’aria fresca.

Decise di prendere la strada che, costeggiando il canale, passava esattamente di fronte al Furinkan, dopodiché si immise in una viuzza secondaria che portava davanti al Neko Hanten, con le saracinesche abbassate e il cartello con scritto ‘Vendesi’ in rosso. L’artista marziale si era sempre chiesta come mai nessuno avesse deciso di comprare quell’attività… Insomma, erano anni che ormai era chiusa! Scrollò le spalle e si avviò verso il ristorante di Ukyo.
Akari la stava aspettando di fronte alla porta scorrevole con le braccia conserte ma, quando la vide, cominciò ad agitare le mani per farsi notare. Akane la salutò con un sorriso e si affrettò a raggiungerla.

«Ciao», le disse, gioviale.

L’amica guardò l’orologio da polso. «Sei in anticipo di esattamente cinque minuti, è un record!» scherzò. «E io che pensavo che saresti arrivata in ritardo con la tua mania di allenarti sempre e ovunque!»

La giovane Tendo gonfiò le guance e mostrò i muscoli. «L’allenamento è importante, mia cara! Dovresti imparare a farlo anche tu, ogni tanto!» esclamò, facendole la linguaccia.

Akari si chiuse nelle spalle. «Tra il lavoro e Katsunishiki che non mi dà un attimo di tregua, non ho tempo di pensare a cose simili! E poi, ultimamente la vecchia Biancanera sta male e devo stare al suo fianco… Ryoga è talmente affezionato a lei… Non vorrei che venisse a mancare da un momento all’altro!» mormorò con una certa malinconia nella voce.

Ryoga e Akari si erano innamorati circa otto anni prima, quando accidentalmente la piccola Unryu aveva scagliato addosso all’eterno disperso il suo grossissimo maiale da compagnia. Con il tempo, i due erano diventati inseparabili fino a formare coppia fissa.  Per alcuni mesi, avevano avuto una relazione a distanza, fatta di lettere, di incontri fugaci e di regali; poi Akari aveva deciso di trasferirsi definitivamente a Tokyo. Qui si era rifatta una vita, iscrivendosi all’università e intraprendendo la carriera di veterinaria, un lavoro che faceva con passione e dedizione.

Akane le mise una mano sulla spalla. «Sono sicura che Biancanera si riprenderà… Insomma, sei una bravissima veterinaria e sono certa che anche Ryoga creda in te.»

Akari alzò la testa di scatto. «Tu credi? E se lo deludessi…? Ryoga per me è più importante di qualsiasi maiale… Non me lo perdonerei mai, se lo rendessi infelice…»

In quel momento, la porta scorrevole alle spalle delle due amiche si aprì e da essa, vi fece capolino la testa di Konatsu. «Allora, vi decidete a entrare o no?» esclamò il giovane Kunoichi, alzando un sopracciglio. «Insomma, ve ne state qui a parlare e da dentro non riesco a sentire nulla!»

«Konatsu!» lo riprese Akane, dandogli uno spintone. «Comunque, stavamo giusto per entrare, vero?» chiese alla ragazza al suo fianco, che annuì.

Il ristorante di Ucchan era stranamente deserto, nonostante gli affari non le andassero affatto male. L’artista marziale prese posto di fronte alla piastra e Akari la imitò.

«Allora? Cosa stavate dicendo? Qualcosa di importante? Non mi escludete, voglio sentire anch’io, ma solo se si tratta di gossip!» specificò Konatsu, afferrando uno sgabello.

«Konatsu! Smettila di perdere tempo e torna a lavorare!» lo sgridò Ukyo mentre usciva dalla cucina, mischiando l’impasto di un okonomiyaki su una scodella. Della farina le era finita in mezzo ai capelli e sul grembiule, e il tutto la faceva sembrare piuttosto buffa. «Ciao»,  disse, accorgendosi solo allora della presenza di Akane e Akari. «Vi chiedo scusa se Konatsu vi ha dato fastidio…»

Il Kunoichi rispose alla cuoca con una smorfia, prima di alzarsi e rimettersi a lavorare. La piccola Tendo lo seguì con gli occhi, finché non scomparve nello sgabuzzino. «Lo paghi ancora 5 yen al giorno?» chiese, ritornando a rivolgersi a Ukyo che, di tutta risposta, scosse le spalle. 

«Lui sembra essere felice così… e non si è mai lamentato di me! Comunque, qual buon vento vi porta qui?»

Akane abbassò gli occhi sulla piastra. «Ecco… insomma, io… volevo dirvi che… io e Shinnosuke abbiamo deciso di sposarci!» affermò, torturandosi le mani. Il rossore le era salito alle guance, facendola diventare paonazza.

Ukyo spalancò la bocca e quasi non fece cadere a terra l’impasto; mentre Akari, dopo un attimo di disorientamento, le gettò le braccia al collo. «Oddio, Akane, che notizia meravigliosa! Promettimi che mi lascerai fare la damigella! Posso portare anche Katsunishiki? Non darà alcun fastidio durante la cerimonia, te lo giuro!»

Akane rise e ricambiò l’abbraccio dell’amica. «Ma certo… L’importante è, però, che tu lo tenga al… guinzaglio?! Non vorrei mai che si scagliasse contro gli altri invitati!»

Ukyo scosse la testa e mise un okonomiyaki sulla piastra. «Secondo me, non è una buona idea portare quella sottospecie di maiale!» affermò, guadagnandosi un’occhiataccia da Akari. «Comunque, per festeggiare, vi preparerò un ottimo pranzetto! Tranquille, offre la casa!»
 
***
 
«Papà, sei sicuro che sia questo il posto?» sbottò Ranma per l’ennesima volta, alzandosi sulle punte dei piedi per vedere meglio. Poco distante da lì, c’era una casetta di campagna dal cui comignolo usciva del fumo, segno inequivocabile che non era per nulla disabitata.

Il suo vecchio si portò il dito indice alle labbra e con l’altra mano ricacciò giù la testa del figlio. «Certo che sì! Ora, però, stai zitto e smettila di dimenarti per una buona volta!»

Il ragazzo sbuffò e si trattenne dal dargli un cazzotto. «Vecchio, non mi avevi promesso un posto in prima classe su un aereo? Che cavolo ci stiamo facendo qui?!»

«Un aereo?» gli fece eco Genma, guardandolo con aria interrogativa. «Chi ha mai parlato di aerei? Il posto in prima classe ce l’ho, ma su di… lui», disse, indicando un giovane dalla pelle chiara che era appena uscito dalla casa.

Il codinato sgranò gli occhi. Ma lui è…. «Vecchio rimbambito, credi davvero che Collant Taro accetti così facilmente di trasportarci fino in Giappone?!» ringhiò, sferrandogli un pugno in piena testa. «Mi chiedo che cosa ti dica il cervello a volte!»

Suo padre si mise una mano sulla nuca, sul punto su cui era appena stato colpito. «Pensavo che fosse una buona idea e, così facendo, ci saremmo anche risparmiati i soldi del viaggio!»

«Ma se tu sei pieno di soldi, dannazione! Hai trafugato l’intero villaggio delle amazzoni!» urlò Ranma, forse troppo forte, perché Collant Taro si girò di scatto verso di loro.

«Chi va là?» gridò questi con rabbia.

Colto nel fallo, il codinato scattò in piedi, trascinandosi dietro anche Genma. «Solo due vecchi amici! È sempre un piacere rivederti, Collant Taro! Ecco, noi passavamo di qui per caso e…»

Taro sgranò gli occhi, dapprima stupito, poi furioso. «Ti ho mai detto di non chiamarmi così, brutto… finocchio?!» ringhiò, scagliandosi contro Ranma e afferrandolo per la casacca.

Le labbra dell’artista marziale si distesero in un ghigno divertito. «Noto con piacere che il lupo perde il pelo, ma non il vizio. E comunque, non sono più un finocchio come dici tu. Non posso più trasformarmi in donna.»

Il ragazzo-bue lo guardò per un momento, allentando la presa. «Poco importa, per me rimarrai sempre una checca», disse, girando la testa di lato e sputando a terra. «Cosa volete da me? Non vi ho più dato alcun fastidio!»

Genma si intromise tra i due, separandoli, prima che Ranma approfittasse dell’attimo di distrazione dell’altro per picchiarlo. «Ecco… Taro, noi avremmo un favore da chiederti.»
 

La cucina di Collant Taro era piuttosto piccola, con un minuscolo tavolo di legno grezzo da quattro persone nel centro. In un angolo, vi era un piano cottura, sul quale scoppiettava allegramente un fuocherello, sopra cui era stata adagiata una pentola. Il profumo di costine di maiale impregnava l’intera stanza, facendo venire l’acquolina in bocca a Ranma, che si coprì la pancia brontolante. Il padrone di casa afferrò tre bicchieri e una caraffa ricolma d’acqua e li posizionò sopra il tavolo, di fronte ai due ospiti. Quello, probabilmente, era tutto ciò che avrebbe loro offerto; in fondo lì non erano per niente graditi.  

«Insomma, se ho capito bene, io dovrei farvi da mezzo di trasporto?» domandò Taro, inarcando entrambe le sopracciglia. Un sorriso beffardo gli si stampò in viso, mentre incrociava le braccia al petto e si rilassava sulla sedia. «Per chi – o meglio, per cosa– mi avete preso?»

Ranma bevve un sorso d’acqua e si pulì la bocca con la manica della casacca. «Ovvio, per uno yeti con in mano un’anguilla e una gru, a cavallo di un bue», disse con nonchalance.

Taro serrò le mani a pugno. «Molto divertente, donnetta», commentò sarcasticamente, fulminandolo con lo sguardo. «Comunque, non se ne parla proprio.»

Il codinato lo guardò con astio. Brutto imbecille… Come se a me andasse a genio salire su quella tua schiena puzzolente, pensò, per poi mordersi la lingua.

«Ti prego, Taro…» lo supplicò, invece, suo padre. «Farò qualsiasi cosa per contraccambiare il favore.»

«Qualsiasi?» chiese quello sbruffone, ridendosela sotto i baffi. «Oh, e dimmi, Panda-chan, con qualsiasi cosa intendi dire che saresti disposto a portare anche il vecchiaccio qui in Cina? Non mi pare, però, che l’ultima volta sia andata molto bene con lui… Ti ricordo che ha provato a cambiare il mio nome in Slip Ichiro.» Taro scrollò le spalle. «Ormai c’ho rinunciato con lui e mi sono rassegnato a vivere questa vita sfortunata…»

Le labbra di Genma si aprirono in un sorriso languido, un sorriso – notò Ranma– che non prometteva nulla di buono. «E se ci fosse un altro modo per cambiare il tuo nome?» chiese, melenso, dopodiché affondò una mano dentro una manica del karate gi. «Mentre trafugavo i tesori di Joketsuzoku, ho trovato questa», mormorò, estraendo una pergamena ingiallita. «È il tuo atto di nascita.»

Ranma si allungò sul tavolo per vedere meglio, improvvisamente incuriosito dalla faccenda. «E che vuol dire?»

Taro, invece, sgranò gli occhi e rispose al posto del suo vecchio. «Secondo la legge del mio villaggio, il nome di una persona può essere cambiato solo da chi gliel’ha affibbiato… oppure,  da chi entra in possesso dell’atto di nascita», esclamò. «Dove lo hai trovato? Sono anni che cerco quel dannato pezzo di carta!»

Genma rise. «Il maestro lo aveva nascosto in un baule insieme ad alcuni gioielli all’interno di un bordello abusivo. All’inizio, pensavo che fosse un semplice rotolo di carta igienica dimenticato lì per caso e usurato dal tempo… ma poi, aprendolo, ho visto il tuo nome e ho pensato che potesse interessarti.»

«Mi interessa eccome!» urlò Taro, emozionato. «Dammelo subito!»

Suo padre osservò il ragazzo con quei suoi occhi porcini. Si stava sicuramente divertendo da matti a stuzzicare quel pomposo di un Taro! Attento, papà, a giocare con il fuoco ti puoi bruciare… pensò Ranma, afferrando nuovamente il suo bicchiere d’acqua e svuotandolo in un unico sorso; mentre Genma pronunciava la fatidica frase. «Sarà tuo dopo che ci avrai trasportati entrambi fino a Tokyo… Che dici, accetti la mia offerta?»   
 
***
 
Akane Tendo odiava il lunedì. La sveglia sul comodino continuava a suonare a intermittenza e lei non aveva la minima voglia di alzarsi. Maledetto lavoro, pensò, spegnendo quell’orologio diabolico che le stava martellando i timpani, prima di mettersi seduta sul letto.
Casa sua si trovava a circa quaranta minuti di distanza dalla palestra in cui lavorava e, per questo motivo, le toccava svegliarsi sempre troppo presto! Si portò una mano alla bocca, sbadigliando; dopodiché scalciò via le lenzuola e andò in bagno per farsi una doccia veloce. La tubatura dell’acqua si stava sicuramente rompendo di nuovo perché, ogni volta che apriva il rubinetto, questi scricchiolava in un modo, a dir poco, allucinante. Prima o poi, avrebbe dovuto richiamare l’idraulico per fargli dare una controllata - o forse, avrebbe dovuto decidersi a trasferirsi in un nuovo appartamento. Insomma, quella catapecchia ormai era sul punto di crollare!

Almeno l’affitto è buono, si disse Akane, uscendo dalla doccia e frizionandosi i capelli bagnati con un asciugamano.

In dieci minuti, si era già vestita, aveva preparato il borsone con dentro il suo karate gi e, dopo aver fatto una colazione veloce, era uscita di casa per prendere la metro. A quell’ora della mattina, il treno era sempre pieno zeppo di gente: studenti in ritardo; impiegati vestiti di tutto punto con giacca e cravatta; casalinghe dirette al mercato… Akane doveva spingere sempre pur di riuscire a entrare nel vagone - e, accidentaccio, si stava così stretti; le sembrava di essere una sardina in scatola! 

Il dojo Taniguchi era una piccola palestra non molto distante dalla fermata della metro. La proprietaria, Keiko, era una simpatica donnicciola sulla sessantina che aveva dedicato la sua intera vita alle arti marziali. Akane l’aveva conosciuta un po’ per caso, mentre era ancora alla ricerca di un lavoro e – sempre per caso-  le aveva raccontato cosa faceva e quali erano i suoi sogni nel cassetto. Commossa da tutto ciò, Keiko si era offerta di darle un posto nella sua palestra come insegnante di arti marziali.

Come ogni giorno, l’arzilla vecchietta la stava aspettando di fronte al dojo, con una sigaretta tra le labbra truccate di rosso. Aveva i lunghi capelli tinti, legati in una crocchia, dalla quale sfuggiva qualche ciocca argentata. Il suo corpo, minuto e tozzo, era fasciato da una tuta da ginnastica forse troppo grande, abbinata a delle semplici scarpe da tennis.

«Taniguchi-sensei!» la salutò Akane con un inchino. «Mi scuso per il ritardo, il treno non arrivava più, questa mattina!»

«Tranquilla, tesoro», le disse Keiko, sbuffando una nuvola di fumo. «Ho detto ai marmocchi di arrivare mezz’ora dopo.»

La giovane Tendo la guardò con aria interrogativa e l’insegnante spense la sigaretta su un portacenere. «Avevo bisogno di parlarti.»

Cos’è successo? Vuole licenziarmi, per caso? No, impossibile, Taniguchi-sensei non lo farebbe mai! pensò Akane, mentre la sua testa si affollava di domande. «Senta, se vuole licenziarmi, me lo dica e basta. So di essere stata molto impegnata ultimamente, ma adesso Shin si sta riprendendo e…» tagliò corto, lasciando cadere il borsone dalla spalla.

«Licenziarti?» chiese Keiko, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Ma che vai a pensare, sciocchina», aggiunse, liquidando quel suo pensiero con un cenno della mano. «Ho incontrato la tua amica Akari al mercato, prima di venire qui. Che cara, quella ragazza! Stava portando a spasso il suo grosso maiale!»

Più che cara, direi strana… pensò affettuosamente l’artista marziale. Akari aveva degli hobby un po’ strambi ma, nonostante ciò, aveva imparato a volerle bene. Alle superiori, Akane aveva avuto moltissime amiche, ma queste le avevano voltato le spalle, quando la sua famiglia era caduta in rovina. Solo Akari e Ukyo le erano state vicine e, per questo motivo, le considerava le persone più importanti della sua vita. Non avrebbe mai rinunciato a loro.

«… e mi ha raccontato che a Settembre ti sposerai. Sono davvero felice per te, Akane!» esclamò Taniguchi-sensei, dandole una pacca sulla spalla. «Spero che a te vada meglio di com’è andata a me…» disse la vecchietta sovrappensiero, probabilmente riferendosi ai suoi due divorzi.

«B-Beh, sì. Shin è un ragazzo fantastico! Sono sicura che con lui andrà benissimo e saremo felici!» affermò Akane, arrossendo un po’. «Comunque, grazie dell’interessamento, Taniguchi-sensei! Ovviamente, lei è invitata alla cerimonia, se è questo che voleva sapere! Adesso, se non le dispiace, vorrei andarmi a cambiare per prepararmi alla lezione», disse la giovane, recuperando la sua borsa per andare verso gli spogliatoi.

Keiko, però, la fermò, mettendole le dita sopra le sue. «No, non era questo che volevo dirti», esclamò dolcemente la proprietaria del dojo, scuotendo la testa. «Il matrimonio comporta moltissime responsabilità, Akane. Non metto in dubbio che Shinnosuke sia un bravo ragazzo, anzi… Per quel poco che l’ho conosciuto, mi sembra una persona squisita! Però… so bene del suo handicap mentale. Come farai con il lavoro quando lui starà male e dovrai stargli vicino?»

Akane la guardò senza capire dove volesse andare a parare. Socchiuse le labbra e le richiuse. «Ma come...? È da anni che lavoro qui e sa bene che il mio ragazzo ha bisogno di me… Non pensavo che le mie assenze fossero un problema per lei… Gli affari vanno comunque bene, no?»

Taniguchi-sensei sospirò. «Già, ma io ormai sono vecchia e non posso allenare i ragazzi da sola... Vedi, Akane, la mia schiena non ce la fa più. Ti conosco e so che, per aiutarmi, ti divideresti anche in due tra il lavoro e il tuo ragazzo… ma non mi va che sia così, tutto qui. Ecco perché ho deciso di assumere una persona che ti affianchi e che ti copra quando tu non ci sei.»

Akane sgranò gli occhi, senza parole. «Cosa? Così senza preavviso?»

Keiko annuì e s'infilò un’altra sigaretta tra le labbra. «Certamente, ho anche già iniziato a cercarla.»

 
  
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