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Autore: Elizabeth_2206    04/06/2017    2 recensioni
"Hallelujah ci porta attraverso un immenso spettro di luoghi emozionali, spiegando quanti tipi di alleluia esistono, e che tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. E' un desiderio di affermazione della vita con entusiasmo, con emozione. Chiunque la ascolti chiaramente scoprirà che è una canzone che parla di sesso, di amore, della vita sulla terra. L'alleluia non è un omaggio ad una persona adorata, a un idolo o un Dio. E' un'ode alla vita e all'amore."
1900, Casa Hawkeye. L'arrivo di una persona cambia per sempre il futuro dei suoi abitanti. E' l'analisi dell'adolescenza di Riza e di come si trova ad interagire con tutti i tipi di amore che esistono. Il racconto di come le vite di quella ragazzina e di Roy Mustang si sono intrecciate per sempre.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Berthold Hawkeye, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hallelujah'
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Hallelujah
#12 – Epiphany
But remember when I moved in you and
The Holy Dove was moving too
And every breath we drew was Hallelujah

Riza, una tazza di tè caldo fra le mani e una coperta beige sulle spalle, osservava assente il fuoco ardere dentro la vecchia stufa. Fuori dalla finestra, il cielo limpido ma ancora freddo dei primi di Marzo preannunciava una giornata soleggiata.
Le era servito un intero mese, prima di riuscire a parlare di nuovo con suo padre.
L’uomo sembrava essersi indebolito dopo quelle notti di follia, ma era stato in grado, per un po’ di tempo, di occuparsi di se stesso, mentre Riza cercava di venire a patti con il proprio corpo.
La ragazza si era trovata a dover rivalutare tutto il proprio abbigliamento, al fine di occultare la cosa sulla sua schiena; non poteva certo permettere che qualcuno la vedesse. Infondo, era quello che voleva suo padre.
L’arrivo dell’autunno, e poi dell’inverno, aveva reso le cose più semplici: si sentiva tranquilla a camminare per il paese, senza avere la costante sensazione di avere gli occhi di qualcuno puntati addosso, e cercare di carpire il suo segreto.

Il tempo libero non le mancava, soprattutto dopo la partenza del Dottor Logan; per cui si era ritrovata a fare sempre più spesso lunghe passeggiate nella campagna, cercando di passare meno tempo possibile in quella casa che cominciava a soffocarla.
Aveva sviluppato, come la madre, una passione per le piante: durante le passeggiate spesso ne raccoglieva diverse, provando a produrre le pomate e gli unguenti lenitivi descritti nei libri. Spesso si trovava ad applicarsi sulla schiena, per vedere se quello strano formicolio che ogni tanto compariva riuscisse a sparire in qualche modo. La sua vita sembrava ripartire lentamente, anche se Riza non avrebbe saputo dire dove l’avrebbe portata.
Tante cose erano cambiate, da quel momento.

Non aveva più visitato la tomba di sua madre.
A volte, durante le lunghe camminate, si era spinta fino al cancello del cimitero, ma ogni volta si era fermata lì.
Non riusciva ad entrare; non voleva mostrarsi alla madre, dopo ciò che Berthold le aveva fatto; non voleva che vedesse com’era diventata, quale peso era stata costretta a portare dietro di sé.
Così rinunciava, limitandosi ad osservare da lontano quella tomba silenziosa.


La ragazza si svegliò dal suo tepore e si costrinse a fare qualcosa. Piegò la coperta, sciacquò la tazza e indossò il soprabito blu. Si appropinquò ad uscire, ma due colpi alla porta la fecero desistere. Con determinazione si diresse alla porta e la aprì.
Il cuore le fece una capriola, mentre riconosceva l’uomo, vestito della divisa militare di Amestris e di un cappotto scuro, che in quel momento le sorrideva dall’uscio della porta.
“Ciao, Riza.”

La ragazza strizzò gli occhi, cercando di realizzare appieno la cosa.
Roy Mustang era lì, di fronte a lei, con un non so che di più adulto nel portamento.
‘E’ tornato…’
Una parte di lei, quella che le ricordava la bambina di undici anni che un tempo era stata, voleva saltargli addosso e abbracciarlo, da quanto la sua presenza gli era mancata. Ma Riza ormai non era più quella bambina, e tutti i propositi di gioia vennero occultati da un pensiero martellante.
‘Avrebbe potuto salvarti.’
Riza deglutì e cercò di nascondere il disagio e la delusione provocatole da quel pensiero, mentre gli faceva cenno di entrare.
“Salve, Signor Mustang.”

Roy era rimasto un po’ deluso da quella cordialità, ma c’era qualcosa nello sguardo di Riza che lo fece desistere dal pretendere quella confidenza che avevano due anni prima.
Infondo, te ne sei andato.’
Riza lo fece accomodare, mentre lui si soffermava a osservare la casa.
Non era cambiato nulla in quegli anni: l’abitazione era come custodita sotto ad una campana di vetro, dove tutto era immutabile ed eterno. Roy desiderò che anche per lui fosse stato così.
“Vorrei parlare con il Maestro Hawkeye, se è possibile.”

Un’ombra passò sugli occhi della ragazza, che prontamente gli rispose in modo gentile.
“L’anno scorso mio padre si è ammalato di Tisi. In questo periodo non sta molto bene, ma credo sia possibile una breve visita.”

Roy rimase interdetto. Guardò negli occhi Riza, e quello che vi lesse dentro gli tolse ogni dubbio.
‘Sta per morire.’
E così, la fine era arrivata anche per quell’Alchimista.


Quando Roy entrò all’interno dello studio dell’ex maestro, rimase quasi sorpreso dal cambiamento che gli si parava di fronte. Era abituato al caos e al disordine che infestava quella stanza; ai libri, gli appunti di alchimia sparsi ovunque, sulla scrivania e sul pavimento. Invece, davanti a lui, Berthold Hawkeye era seduto composto mentre scriveva con grafia malferma su un quaderno, con un contegno quasi fuori luogo.
Non appena la porta si fu chiusa alle sue spalle, il Maestro posò il calamaio.
“Allora alla fine sei entrato nell’esercito…Roy.”

C’era quasi una nota di delusione, che il giovane non faticò a cogliere. Gli occhi dell’uomo, però, lasciavano trasparire un senso di consapevolezza, che fece capire al soldato che Berthold si aspettava esattamente questo da lui.
“Ho pensato che sarei potuto diventare un Alchimista di Stato e fare qualcosa per il mio paese.”
Un sorriso carico di disprezzo attraversò gli occhi del Maestro, mentre lo fissava con i suoi affilati occhi azzurri
“Proprio come pensavo.. non sei pronto per l’Alchimia di Fuoco.”

Roy sussultò.
Non era più un quasi ventenne con la divisa da soldato semplice di Amestris; era di nuovo il ragazzino che, poco più di due anni prima, si era sentito dire quelle stesse parole. Il giovane Roy Mustang troppo irrequieto, troppo impulsivo per essere pronto ad imparare il grande segreto del suo maestro.
Anche dopo tutto quel tempo, non era cambiato nulla.
“Non ancora…? Lei finora non mi ha che insegnato le basi dell’Alchimia.”
“Già. E’ uno spreco insegnare a qualcuno che si disonorerà con le sue stesse mani diventando un cane dell’esercito.”

Roy sentì un moto di nervosismo salirgli dentro, ma cercò di non scomporsi. Quell’uomo stava calpestando tutti i suoi sogni di cambiare il mondo e renderlo migliore; li stava riducendo a mere utopie senza capo né coda.
Decise di provare, almeno un’ultima volta, a convincerlo della sua scelta.
“Io credo che ci sia un legame tra la gente e l’esercito, e penso che l’Alchimia possa essere utile a entrambi...”
“Sono stanco di sentire questi discorsi di seconda mano.”
Il tono brusco di Berthold fermò Roy dal suo discorso. Il giovane però decise di non mollare, toccando quello che sapeva essere il tasto dolente del suo maestro.
“Se diventasse un Alchimista di Stato e accettasse i fondi per le ricerche, sono sicuro che il suo lavoro andrebbe molto meglio…”

Un sorriso si dipinse sul voltò di Berthold, che alzò la testa per fissare il soffitto, in un punto imprecisato, estraniato dal resto del mondo.
“Non ne ho bisogno. Le mie ricerche sono state ultimate molto tempo fa.”

Roy rimase interdetto, fissando con interesse l’uomo.
Aveva quindi portato a termine quell’infinita opera che aveva occupato gran parte della sua vita, rovinando anche l’infanzia della figlia.
La parte scientifica di lui non poté fare a meno di chiedersi in che cosa consistesse.
Berthold quasi sembrò leggergli nel pensiero.
“Si tratta di un’alchimia potentissima, che a seconda di come viene usata, può diventare un’arma mortale.”

Roy ascoltava rapito il discorso del maestro che, con gli occhi spalancati verso il vuoto, parlava con un tono sempre più acceso.
“Ho soddisfatto appieno i miei desideri, e non voglio nient’altro. Ho terminato la ricerca della verità, che è prerogativa degli alchimisti, che li rende vivi. Io… mi considero morto da tempo, ormai.”
Il giovane si sentì turbato dalla piega che quel discorso stava prendendo.
“Se mettesse i suoi poteri al servizio del mondo…”
“Poteri, eh? Li desideri così tanto, Roy?”

L’uomo cominciò a sputare sangue, colto da un violento attacco di Tisi. Roy, sconvolto dalle parole dell’uomo e da quell’improvviso malessere, rimase bloccato.
“Volevo insegnarti tutto…dopo averti visto maturare con i miei occhi.”
Roy cercò di sostenerlo, mentre l’uomo gli lasciava la sua ultima eredità.
“E’ un peccato che non abbia più tempo per te…”

Berthold, il sangue che colava dalle labbra e il corpo mosso da spasmi, guardò negli occhi il suo allievo per l’ultima volta.
“Mia figlia…lei conosce tutto. Se le prometterai di usare il mio potere…la mia alchimia, nel modo giusto, forse… forse ti svelerà il segreto…”
Roy ascoltava le enigmatiche parole del maestro, mentre cercava, inutilmente di aiutarlo.
“Maestro! Si faccia forza!”
“Perdonami… ero così immerso nelle mie ricerche che non ho fatto niente per te…mi dispiace, Riza…”

Un ultimo colpo di tosse lo fece accasciare definitivamente sulla scrivania.
“Roy, mia figlia…mi raccomando, ti prego…”
Il silenzio che seguì quelle ultime parole mandò nel panico Roy.
“Aiuto! Qualcuno chiami un medico! C’è nessuno?!”

La porta si spalancò, e Roy si pentì di aver urlato.
Riza era lì, con uno sguardo di terrore dipinto sul volto, mentre lo fissava sostenere il corpo morto del padre.
“Riza!”



Già prima del tramonto, i due giovani si trovavano di fronte alla tomba di Berthold Hawkeye.
Riza aveva insistito perché il rito funebre si svolgesse il prima possibile, e il vecchio becchino era stato più che d’accordo: la natura della sua malattia rendeva opportuno che venisse seppellito in fretta, per evitare eventuali contagi.
Roy fissava con silenziosa incredulità la lapide, incisa in modo frettoloso ma preciso, che custodiva la tomba del suo Maestro. Quella mattina si era recato lì proprio per parlargli, per chiedergli un’ultima volta di svelargli la sua alchimia; si era promesso che, nel caso in cui l’uomo si fosse opposto ancora, lui avrebbe rinunciato.
Ma l’uomo adesso era morto, e le misteriose ultime parole di Berthold avevano scalfito la sicurezza che, da quando era uscito dall’Accademia, ostentava con orgoglio.
Sollevò lo sguardo alla sua destra, verso la figura che gli teneva compagnia silenziosamente.
Riza.
Roy era contento di averla vista sana e salva, ormai diventata una giovane donna. Si era chiesto tante volte che vita avrebbe potuto fare lì, sola con quell’uomo inafferrabile; e quel giorno, appena se l’era trovata davanti, aveva sentito una morsa al petto sciogliersi.
Ma l’ultima confessione del Maestro continuava a tornargli in mente, senza che lui riuscisse fino in fondo a coglierne il significato.
Berthold aveva detto che Riza conosceva il segreto… il ragazzo, conoscendo l’avversione della sua giovane amica verso l’Alchimia, stentava a credere che fosse vero.
L’aveva forse convinta in qualche modo ad intraprendere quella scienza? Oppure lei, di sua spontanea volontà, aveva accettato di mantenere il segreto sulle ricerche del padre, sapendo che lui era prossimo a morire?
Con la coda dell’occhio le guardò il viso, e provò istintivamente un modo di invidia. Lui aveva aspettato così tanto di poter conoscere quel segreto, mentre lei, che disprezzava tutto ciò che riguardasse l’Alchimia, ne era la custode.

Un leggero tremito scosse le spalle della ragazza che stava fissando intensamente la lapide. A Roy parve di scorgere un’ombra di sollievo nei suoi occhi, ma durò solo un attimo. Poi lei interruppe il silenzio che si era creato.
“Mi dispiace, Signor Mustang. Ha dovuto prendersi cura di tutto, persino del funerale di mio padre.”
Roy scosse le spalle. Infondo aveva solo dato un’abbondante mancia a quel vecchio becchino.
“Ero un suo allievo, farei questo ed altro per il mio vecchio Maestro. Piuttosto, tu non hai nessun altro parente, oltre a lui?”

La ragazza scosse la testa mestamente.
“Mia madre è morta tempo fa, lo sa. E, per quanto ne so, entrambi si erano allontanati dalle loro famiglie.”
Una domanda alleggiava tangibile nell’aria, e Roy le diede voce.
“Cosa farai, ora?”
“Ci penserò.”

Lo sguardo di Riza era incerto, e il soldato capì che la ragazza non aveva ancora realizzato appieno il significato della libertà che le si era appena manifestata davanti. Anzi, la cosa la spaventava.
“Credo che riuscirò ad andare avanti da sola.”
“Capisco…ad ogni modo, puoi rivolgerti alle autorità militari per qualsiasi cosa. Io credo che ci passerò l’intera vita.”

Il soldato estrasse un biglietto da visita dalla tasca interna del cappotto e lo porse alla ragazza, che lo guardò curiosa.
“Tutta la vita…? Non muoia, la prego.”
“Ehi, non fare l’uccello del malaugurio..”
Lo sguardo rilassato di Roy si incupì.
“Ad ogni modo non posso assicurartelo. Nella strada che mi sono scelto, potrei morire da un momento all’altro ed essere lasciato a marcire sul campo di battaglia…”
La ragazza lo fissava con attenzione, stringendo il biglietto tra le mani.
“…però, se potrò essere d’aiuto a questo paese e riuscirò a proteggere la gente con queste mani, allora… credo che ne varrà la pena.”

Il suo sguardo era determinato; lo stesso di quando, tre anni prima, le aveva confidato il suo sogno di diventare Alchimista di Stato.
“…Ed è proprio questa la ragione per cui ho deciso di studiare alchimia. Ma, alla fine, non sono riuscito a farmi insegnare dal Maestro i suoi preziosi segreti.”
C’era una profonda nota di rammarico nella sua voce, e Roy sapeva che alla ragazza non sarebbe sfuggita.
“Comunque scusami. Ti avrò annoiata parlando dei miei stupidi sogni..”
“I suoi sogni sono meravigliosi.”

L’affermazione della ragazza prese in contropiede Roy, che si zittì all’improvviso. I suoi sogni sono meravigliosi… era forse di questo che parlava Berthold, prima di morire?
“Mio padre…diceva che i suoi segreti erano scritti in un codice che un normale alchimista non avrebbe potuto decifrare.”
Roy sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
‘Ecco…il momento è arrivato.’
Decise di forzare il discorso, tentando il tutto per tutto.
“Allora il Maestro ha lasciato dei manoscritti con tutti i suoi segreti, eh…”
“No.”

Al giovane non sfuggì la tensione nel tono della ragazza che, al suo fianco, si era irrigidita, e aveva chinato la testa.
“Non si tratta di…manoscritti. Diceva che sarebbe stato un gran problema se le ricerche di tutta una vita fossero cadute in mano ad uno sconosciuto o fossero andate perse…”
Roy sentiva le mani sudare, mentre si apprestava a scoprire la verità sull’Alchimia del Maestro.
“In che modo può aver lasciato tutto…?”
Il vento fischiò debolmente.
“Signor Mustang, quei sogni…posso affidarle la mia schiena? Posso credere in un futuro in cui tutti vivono felicemente?”




Roy fissava con apprensione la giovane ragazza davanti a lui.
La strada dal cimitero alla casa era stata lunga e silenziosa. Il soldato aveva continuato a riflettere per tutto il tragitto su ciò che Riza gli aveva detto. Le parole gli rimbombavano nella testa, ma lui non capiva – o meglio, non voleva capire – la verità raccapricciante che svelavano.

Lo sguardo di lei era perso verso l’orizzonte, oltre ai vetri della finestra del salotto, dalla quale si vedeva tramontare il sole. La tensione che aleggiava nell’aria era palpabile.
Con un veloce movimento delle mani, Riza fece scivolare la giacchetta che indossava a terra. Poi, prima che Roy potesse ribattere qualcosa, cominciò con movimenti veloci e nervosi a sganciare i bottoncini che le stringevano il vestito.
Se lo lasciò scivolare fino ai piedi, ringraziando mentalmente di aver indossato la sottoveste; e aspettò, con le braccia strette al seno, che il soldato dicesse qualcosa.

Per un lungo attimo non sentì nulla, al di fuori del battito accelerato del suo cuore, che sembrava volerle uscire dal petto. Fu tentata di voltarsi per vedere la reazione di Roy alla vista del segreto di suo padre, ma la vergogna era troppa e non ebbe il coraggio di farlo. Se ci fosse riuscita, avrebbe visto che il giovane era come paralizzato, con lo sguardo fisso sul complesso disegno che le copriva la schiena.

Roy cominciò a sudare freddo, mentre improvvisamente le parole di Berthold Hawkeye diventavano spaventosamente chiare.
‘Mia figlia…lei conosce tutto.’
‘Non si tratta di…manoscritti.’


Roy fissando con dolore quella schiena delicata, comprese cosa davvero era successo in quella casa, durante la sua assenza.
Cosa aveva permesso che accadesse.
Le mani gli tremavano, mentre immaginava quanto dolorosa – sia fisicamente che psicologicamente – fosse stata quell’esperienza per la ragazza. Lei, che più di tutto odiava l’Alchimia, era costretta a portarne il marchio.
Ancora una volta quella scienza aveva vinto, e dopo essersi presa suo padre, si era presa anche il suo corpo.
Roy abbassò gli occhi, sconfitto. Dentro di lui cominciava a crescere un senso di colpevolezza che lo stava travolgendo.
Non era riuscito a salvarla.


Dopo circa un minuto, Riza non resistette più.
“La prego…dica qualcosa.”
Roy deglutì rumorosamente e fece un passo verso di lei, cercando di scuotersi da quello stato di trance in cui era entrato e di pensare lucidamente. “Questa… questa sarebbe la sua ricerca sull’Alchimia di fuoco?”
La ragazza respirò profondamente ed annuì.
“Posso…?”
“Si.”

Riza sentì la mano calda del giovane sfiorarle la scapola destra, e dovette mordersi un labbro per non urlare.
Adesso, oltre all’imbarazzo che la immobilizzava, si stava risvegliando dentro di lei la sensazione di essere violata, che le ricordava in modo fin troppo reale i giorni in cui il padre l’aveva marchiata.
La mano si mosse, con delicatezza, e lei non poté fare a meno di notare che il tocco del ragazzo era molto più delicato e premuroso, rispetto a quello del padre. Poi, con grande sorpresa si accorse che le sue dita non stavano seguendo i contorni del cerchio alchemico, ma la linea delle sue scapole.

Roy non le chiese se era stato doloroso. Da come Riza tremava al suo tocco, aveva capito che quel tatuaggio l’aveva danneggiata non solo fisicamente, macchiandole quella schiena delicata e proporzionata, ma aveva cambiato qualcosa anche dentro di lei; tanto che ora non riusciva a fidarsi nemmeno di lui.
“Come… come ha potuto fare una cosa simile?”

Riza non rispose, ma i suoi tremiti si fecero più forti, e il giovane capì che ormai era sul punto di crollare. Evidentemente già solo il fatto di mostrargli quello che il padre le aveva fatto era troppo per lei. Raccolse la giacchetta e gliela rimise sulle spalle, facendo attenzione a non sfiorarla più del dovuto.
Solo in quel momento Riza ebbe il coraggio di voltarsi ed affrontare la sua espressione.
“Perché…”
“E’ stata una lunga giornata” la interruppe lui “Il sole ormai è calato, e sono ancora stanco dal viaggio. Domani mattina… se vorrai, potremo ricominciare.”

Riza annuì e lo guardò grata, e Roy si accorse per la prima volta delle profonde occhiaie che le circondavano gli occhi.
“Può usare la sua vecchia stanza, Signor Mustang. E’ ordinata e le lenzuola sono pulite.”
“Ti ringrazio. Se non ti dispiace, io salterei la cena.”

Si voltò verso il corridoio e, prima di salire le scale, le augurò la buonanotte.
Quando mise piede nella sua stanza, si meravigliò di come questa fosse rimasta uguale a come l’aveva lasciata. Tutti gli oggetti erano al loro posto, compreso un corredo di asciugamani che la ragazza aveva probabilmente preparato nel pomeriggio, prima dell’improvvisa morte di Berthold Hawkeye.
Fissò il proprio riflesso nel grande specchio della camera, come era solito fare quando viveva ancora lì.
Il se stesso che si trovò davanti ormai aveva ben poco a che fare con il ragazzino che si era presentato alla porta di quella casa, cinque anni prima. L’unica cosa rimasta immutata erano i suoi grandi sogni.
Ripensò alle parole del Maestro, e non poté fare a meno di chiedersi se, alla fine, non avesse immaginato come sarebbe andata a finire.
Se, infondo, non fosse stato sicuro che Riza avrebbe mostrato proprio a lui il suo grande segreto.

Un gufo bubolò fuori dalla finestra, e una fitta di nostalgia invase Roy, ricordandosi di quanto quel suono gli fosse mancato. Di quanto tutto, di quel posto, gli fosse mancato.
Si stese sul letto, raggomitolandosi in posizione fetale. L’immagine di Riza, tremante per l’imbarazzo, che gli mostrava il tatuaggio continuava a tormentarlo.
No, non era così che aveva immaginato il suo ritorno a casa.












Angolo dell'Autrice (Ritardataria cronica):
Vi chiedo immensamente scusa per questa lunga assenza. Ero convintissima di riuscire a postare nelle precedenti settimne, ma la realtà è che sono rimasta bloccata ad un punto del capitolo e - a causa di numerosissimi impegni, soprattutto di studio - ci ho messo molto a finirlo...ed in effetti è spaventosamente lungo, ma questo dipende anche da motivi strutturali.
Ad ogni modo adesso sono qui, e spero che il capitolo (anche se non mi convince) vi sia piaciuto.
La strofa di Cohen descrive un momento in cui lui parla con la donna che ama di quando vivevano insieme. Ho deciso di interpretarlo proprio attraverso il ritorno di Roy a Casa Hawkeye, che coincide poi con la morte di Berthold e la rivelazione dell'Alchimia.
Ero tentata di mettere un pezzo anche sullo studio che poi fa Roy sulla schiena di Riza, ma il capitolo diventava davvero troppo lungo e sinceramente ho l'impressione che certe cose vadano lasciate così come stanno. Ad ogni modo, un piccolo pezzo di come secondo me è andata lo potete leggere nella mia One-shot Injuries, che lo riprende come breve flashback.
Per quel che riguarda il capitolo, ho deciso di riprendere la situazione dal manga, e non da Brotherhood (infatti Berthold è nel suo studio, e non a letto) e sempre dal volume 15 ho recuperato i dialoghi, che ho però rielaborato, adattandoli alle cose che volevo sottolineare.
Ho voluto mettere un accento sul fatto che Berthold sapesse, infondo, che cosa aveva fatto Roy; e che avesse deciso, alla fin fine, di rivelare proprio a lui il suo segreto. Soprattutto la parte in cui dice "Volevo insegnarti tutto...dopo averti visto maturare con i miei occhi. E' un peccato che non abbia più tempo per te." Inoltre, Berthold affida a Riza la sua ricerca e, come lei stessa dice, "[Mio padre] Diceva che sarebbe stato un gran probelma se le ricerche di una vita fossero finite in mano ad uno sconosciuto o fossero andate perse."; visto che Riza conosce unicamente Roy, è un tantino scontato su chi ricadrà la scelta.
Sempre per quel che riguarda, Riza, Berthold prima di morire dice "Roy, mia figlia...mi raccomando, ti prego."
Nonostante io sia una buonista convinta, che crede nel pentimento di chiunque, in questo caso mi piace più pensare che la figlia a cui Berthold si sta riferendo sia in realtà l'ALchimia, che lui stesso ha creato e con la quale ha marchiato la sua vera figlia.
Altra cosa che ho cercato di sottolineare: Roy che mette insieme i pezzi del puzzle.
Ogni parola di Berthold, così come ciò che dice e fa Riza, fanno scoprire a Roy i tasselli degli avvenimenti accaduti quando lui era all'Accademia, e che hanno cambiato completamente la vita in quella casa. E che gli fanno ricordare che è stato lui ad andarsene, lasciando Riza in balìa di suo padre e della sua ossessione alchemica.
Beh, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto... non so proprio quando arriverà il prossimo, ma quasi sicuramente farà parte già dell'arco di Ishval, per cui probabilmente richiederà anche lui lunghi tempi di produzione.
A presto! (si spera!)
-Elizabeth

 
   
 
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