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Autore: Rossella Stitch    04/06/2017    3 recensioni
"Lena si ritrovò suo malgrado a scrutare la figura di quella giovane donna.
Mentre la Regina iniziava una fitta conversazione con la sua amica, lei non osò staccare neppure per un secondo gli occhi da quella pelle nivea, dai capelli color del grano che si increspavano in ondulati boccoli, dai suoi occhi così chiari e vispi e la sua corporatura così sinuosa, atletica e piena di forza. "
Genere: Erotico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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    A NIGHT TO LOVE
   A LIFE TO STAY



 
 


 
STORIA PARTECIPANTE ALL’INIZIATIVA “A SWORD TO SHIP THEM ALL” –MEDIEVAL AU- INDETTA DAL GRUPPO FACEBOOK “LONGLIVETOTHEFAMSLASH”

PROMPT: “Se pensi che io sia senza speranza allora perché mi insegni a combattere?”
 




 
 
Per tutta la vita aveva desiderato soltanto una cosa: la libertà.    
Una condizione alla quale aspirava non solo nelle azioni, ma soprattutto nei pensieri.  
Ed aveva capito di volerla più di qualsiasi altra cosa all’età di dieci anni, durante una conversazione in famiglia.

Con indosso un vestitino di velluto rosso dai dettagli in tulle, i capelli perfettamente lisci, al piede delle lucide scarpe di pelle raffinata e delle delicate calze bianche ad avvolgerle le gambe minute. Era vestita di tutto punto il giorno in cui aveva capito di voler essere priva di legami, di costrizioni, di imposizioni e leggi alle quali sottostare. 

 Di quel giorno ricordava l’odore di fresie che aleggiava costantemente nel soggiorno, le vetrate che caratterizzavano il castello che – strette e lunghe – si ergevano imponenti lungo almeno tre pareti della stanza. I giochi di luce che si infrangevano con delicatezza sui mobili in legno, dai quali derivavano sempre delle strane forme geometriche divertenti. Si perdeva spesso ad osservarle, immersa tra i suoi pensieri ed immaginando tutto tranne che delle inanimate figure sbiadite.            
Chiudendo gli occhi e focalizzando soltanto con la mente, poteva sentire ancora con estrema nitidezza il tono imperioso di suo padre che affermava con convinzione l’importanza quantomeno vitale di un matrimonio vantaggioso per i suoi figli. Parole che – come un eco lontano – non avevano mai smesso di rimbombarle dentro. Nelle membra già spesso stanche, arrese e dolenti nonostante la sua giovane età.

Insieme a tuo fratello, cara Lena, costruirete il futuro dei Luthor.                       
Ricordalo sempre: il futuro della nostra famiglia è ciò che più conta per tutti noi. Così è sempre stato e così sarà.


Suo padre era letteralmente ossessionato dal futuro. Una parola che di base può significare tutto e niente. Ma per il duca di Lambay, Lionel Luthor, rappresentava un chiodo fisso, qualcosa a cui aveva sempre dedicato tutte le sue energie.         
Molte volte aveva ascoltato storie del padre dove le spiegava minuziosamente i motivi che l’avevano portato a diventare l’uomo che era. Tutto era stato tatticamente studiato per soddisfare un solo obiettivo: un futuro sicuro, certo, forte che portasse il loro cognome.  

Già all’epoca avrebbe dovuto capire che tutta la sua famiglia – e non soltanto suo padre – era affetta da quella che con gli anni aveva imparato ad identificare come ‘dipendenza da egolatria’.
Una droga che si pagava decisamente a caro prezzo e di cui i suoi genitori conoscevano bene le disastrose conseguenze, visto il degrado che regnava sull’isola per colpa delle numerose scelte sbagliate prese da Lionel. Tutto a causa del potere.

Con gli anni si era convinta di non aver subito in prima persona gli effetti nocivi dell’ego. Aveva trascorso la sua infanzia mantenendo le sue azioni e il suo vivere quotidiano non solo proiettato verso il futuro, ma anche e soprattutto focalizzato sulla liberà che avrebbe ottenuto andando via dalla sua famiglia, dalla casa che l’aveva accolta per tanti anni e che ad un certo punto aveva iniziato ad assomigliare più ad una gabbia dorata che la sede di un focolare domestico.

L’occasione di lasciare il castello nel quale era cresciuta e tutto ciò a cui era abituata, si era inaspettatamente presentata una sera d’estate accompagnata da una straziante notizia: i suoi genitori erano tragicamente venuti a mancare a seguito di un incidente in mare.           
Il fratello di Lena, Alexander Luthor, in quel periodo era da poco diventato primo segretario di stato del Regno d’Irlanda, il più giovane primo segretario nella storia del loro paese. A soli 17 anni, il duca Alexander era stato in grado di costruirsi una posizione importante in politica interna e auspicava al governo della sua isola natia, Lambay. Proprio la morte dei suoi cari quindi, aveva spinto il giovane duca ad abbracciare il suo destino e in breve tempo si ritrovò a stringere accordi proficui soprattutto con l’Inghilterra, patria del miglior alleato della famiglia Luthor: King George, regnante del Wessex.

Rapidamente la piccola isola di Lambay si riempì di numerosi edifici, furono effettuate opere di manutenzione urbanistica e alla vigilia delle prime manifestazioni religiose, il luogo fu letteralmente colonizzato da decine di famiglie provenienti dal Wessex, incrementando esponenzialmente la popolazione locale e diventando una risorsa importante nello sfruttamento di risorse ambientali – quali argento e rame – sulle quali il duca Alexander contava molto.

Oltre ad essersi adoperato in ambito politico e sociale, Alexander – suo malgrado – si rese conto di non essere pronto ed adatto a prendersi cura di una giovane donna promettente e bellissima qual era sua sorella. Per cui, a circa un anno dalla scomparsa dei suoi amati genitori, il duca decise per un trasferimento immediato della oramai quindicenne Lena nel Wessex, affidandola alle cure della corte di King George.

“Sai che se fosse possibile ti terrei qui con me sorella, ma i miei affari purtroppo occupano gran parte del mio tempo e non voglio saperti afflitta e sola. Tu che sei tutto ciò che mi è rimasto.” Esclamò in tono grave Alexander, affiancando la figura minuta della giovane Lena che si trovava dinanzi ad una delle immense vetrate della sala grande.

“Non essere così costernato Lex.” Sussurrò lei, voltando il capo in direzione del fratello e allungando le mani per accarezzarne un braccio muscoloso. “Ciò che stai facendo per il nostro paese è importante e anche se non condivido tutte le tue scelte, so che il tuo amore per me è sincero e non faresti nulla che potrebbe nuocermi.”

“Mai Lena, mai! Darei la mia vita per te.”

Un mezzo sorriso malinconico increspò le labbra della giovane in risposta al ragazzo e dopo poco, la sua intera figura si ritrovò immersa nel petto di Alexander, che la strinse delicatamente a sé per l’ultima volta. Lena avvolse con grazia le braccia attorno al busto di lui, affondando il viso nella sua tunica e aspirando un’unica volta ancora l’odore di mare e pino che le avrebbe sempre ricordato il suo amato fratello.               
Il solo a cui era indissolubilmente legata e che le rendeva difficile lasciare il castello. Ma sapeva che questa sarebbe stata la decisione migliore per tutti e al sol pensiero di poter incontrare nuove persone, nuovi luoghi e vivere nuove esperienze, sentiva già il cuore guizzarle nel petto ed un fremito eccitante percorrerle le membra.
 




                                                                             ****
 




 
I paesaggi irlandesi erano gli unici che conosceva.            
L’accento del suo regno era l’unico che avesse mai udito.  
Le strade del villaggio che costeggiavano il suo castello natio erano le uniche che avesse mai percorso.
I mercati, il mare, il cibo, l’aria, le stelle, il sole, la luna e tutto ciò che l’aveva sempre circondata credeva che sarebbe cambiato radicalmente una volta arrivata nel Wessex.

Ma anche in Inghilterra c’era un limpidissimo mare e degli scogli imponenti, c’erano persone con le quali poteva parlare e che nonostante il suo accento diverso, in ogni caso comprendevano benissimo le sue parole. Le strade erano sempre strade, la vita intorno a lei era rimasta pressoché immutata e non riusciva a capire cosa ci fosse di così elettrizzante in quel luogo. Eppure c’era qualcosa.     
Addirittura la vita di corte era uguale: sempre noiosa, fitta di finti perbenismi e stucchevoli sorrisi di circostanza ai quali era abituata oramai da anni.

King George era un uomo compito, affascinante, con dei modi premurosi e rispettosi.
Al suo arrivo, l’accolse al castello con gioia e in men che non si dica mise a disposizione di Lena l’intera servitù, con l’unico intento di farla sentire quanto più poteva a suo agio.
E beh, stranamente si sentiva davvero a suo agio.

Le era stata riservata un’intera ala del castello ed era rimasta estremamente sorpresa quando aveva scoperto che una delle stanze a lei riservate non era altro se non un’enorme e fornita biblioteca. Piena di libri, manoscritti e testi sacri ai quali non aveva mai potuto avvicinarsi ufficialmente. Ma il suo animo ribelle ed anticonformista l’aveva spronata a sfruttare al meglio ogni sua capacità e sin da bambina – soprattutto grazie all’aiuto di Alexander – aveva assimilato avidamente l’arte della lettura, della scrittura e della pittura.    
Non conosceva altra donna capace di maneggiare tali discipline e la consapevolezza di avere per sé un’intera biblioteca, la esaltava come non le era mai successo prima.

Queen Gwyneth poi, era una delle donne più simpatiche e carismatiche che avesse mai avuto il piacere di incontrare. Era così bello ascoltarla parlare, con quel suo tono vellutato e quell’accento che a Lena oramai non era più così sconosciuto.
Una presenza fisicamente minuta, con occhi grigi e una folta capigliatura castana, la Regina aveva accolto Lena con la devozione di una madre e la gioia di un’amica.

Con il passare delle settimane, era ormai consuetudine per Lena trascorrere i pomeriggi in compagnia della donna, talvolta sorseggiando un tè oppure raccontandosi l’un l’altra storie inedite sui rispettivi luoghi natii.  
E proprio durante un loro incontro pomeridiano, Queen Gwyneth presentò alla giovane donna quella che capì subito essere la migliore amica della Regina, Lady Alura, accompagnata dalla sua unica figlia che – a dispetto di ogni immaginazione – non assomigliava per niente a nessun altra fanciulla sulla quale Lena avesse mai posato gli occhi prima d’allora.

Kara Zor-El era la prima ed unica figlia del generale Zor-El e di sua moglie Alura.        
Nata e cresciuta a castello, era la fanciulla più intraprendente del regno e nessun’altra presenza femminile a castello era mai stata capace di assomigliarle anche lontanamente.       
Dacché il popolo ne avesse memoria, Kara era sempre stata affiancata da Kal, cugino di quest’ultima che però con gli anni era diventato quasi un fratello. Era stato cresciuto da Alura e Zor-El come un figlio, poiché i genitori del piccolo purtroppo erano tragicamente venuti a mancare a causa di un incidente. Così, a soli sei mesi di vita, Kal era stato accolto dalle braccia amorevoli di Alura e protetto da Zor-El.

All’età di quindici anni, Kara era un’abilissima guerriera ed un’ottima spadaccina. Tutto merito di un cugino che l’aveva sempre trascinata con sé durante gli anni di addestramento per diventare cavaliere. E quando entrambi furono abbastanza grandi, a King George non rimase altra scelta se non dare il suo benestare rendendoli guardie del castello.

“Mia cara, vorrei presentarti la mia amatissima Alura, un’amica fidata e devota.” Esclamò con gioia la Regina, mentre una donna snella e sorridente si avvicinava a Lena.

Dal suo canto, la mora si alzò velocemente dall’enorme seduta in legno e si inchinò lievemente verso la donna. “ E’ un onore poter fare la vostra conoscenza Lady Alura. Ho sentito tanto parlare di voi.”

Alura quindi, sorrise leggermente e si inchinò a sua volta con grazia ed eleganza, per poi raggiungere il centro della stanza e accomodarsi alla destra della sua cara amica. Poco dietro la donna, la giovane Kara imitò i gesti della madre per poi prendere posto di fianco ad ella.

“Spero vivamente che la Regina vi abbia raccontato solo cose belle sul mio conto, cara duchessa.”

“Assolutamente Alura, sai che non potrebbe essere diversamente.” Rispose prontamente Queen Gwyneth, coinvolgendo subito dopo l’invero tavolo a cui erano sedute in risate gioiose.

“E lei è mia figlia, Kara.” Disse Alura, volgendo il capo in direzione della ragazza e guardandola alzarsi per rivolgere i suoi omaggi alla giovane duchessa.

“Chiamatemi con il mio nome duchessa, ve ne prego. Non ho mai apprezzato particolarmente le nomenclature tipiche dei ranghi.” Esclamò Kara, sorridendo sbarazzina.

Lena si ritrovò suo malgrado a scrutare la figura di quella giovane donna.         
Mentre la Regina iniziava una fitta conversazione con la sua amica, lei non osò staccare neppure per un secondo gli occhi da quella pelle nivea, dai capelli color del grano che si increspavano in ondulati boccoli, dai suoi occhi così chiari e vispi e la sua corporatura così sinuosa, atletica e piena di forza.     
Non aveva mai visto nessuna donna indossare degli abiti maschili, ma Kara Zor-El si distingueva in tutto e per tutto. Una casacca verde muschio le fasciava il busto e le braccia, poggiandosi morbidamente sui fianchi. Le gambe toniche e lunghe perfettamente fasciate da calzoni marroni e un lungo mantello nero senza maniche a decorare il tutto. I boccoli lunghi, il leggero trucco sul viso e i gioielli erano l’unico tocco femminile, che infondeva al quadro generale ancora più fascino.

“- per tutta la tua permanenza qui, cosa ne pensi Lena?”

La voce armoniosa della Regina la riportò immediatamente alla realtà e in quel preciso momento si accorse del sorriso dolce che le stava rivolgendo Kara – probabilmente da minuti – quando aveva compreso che l’altra la stava scrutando con insistenza.

“P-perdonatemi” Balbettò Lena, rivolgendo la sua attenzione alle due amiche. “Temo di non aver compreso la domanda.”

“Ah, tranquilla cara. Semplicemente Alura ed io crediamo sia opportuno che tu venga seguita da una persona in grado non solo di farti conoscere il luogo, ma che possa essere in grado anche di proteggerti in caso di pericolo, non trovi?” Le domandò Queen Gwyneth.

“Non credo di aver bisogno di protezione mia Regina.” Esclamò con ritrovato vigore la mora. “Sono piuttosto capace di badare a me stessa, vi ringrazio.”

“Oh non essere sciocca mia cara, nessuna donna è abbastanza al sicuro di questi tempi.” Disse la Regina, muovendosi in modo irrequieto sulla seduta in legno e portandosi una mano al petto.

“In più non si può mai sapere quando e semmai torneranno quei barbari del nord.” Esclamò con angoscia Alura, concordando a pieni polmoni con la Regina.

“I Norreni non torneranno nelle nostre terre prima del prossimo inverno Madre, state tranquilla.” Esclamò pacatamente Kara, dimostrando un’attitudine in materia oltremodo sicura. “Saremo pronti in caso di eventuale attacco, ma non potete continuare a preoccuparvi in questo modo. Non fa bene alla vostra salute, lo sapete.” Continuò poi, avvolgendo la sua mano destra in quella sinistra della madre e stringendo con affetto la presa. “ Kal ed io vi proteggeremo a costo della vita, quindi non temete.”

Il sorriso amabile che Alura rivolse alla figlia fu così luminoso che contagiò anche Lena, la quale si ritrovò istintivamente ad alzare gli angoli della bocca. Ma appena si accorse di star sorridendo, tentò di dissimulare la cosa prendendo la tazza di tè dal tavolo e portandosela alle labbra. Non si accorse però, che gli occhi dolci e vispi di Kara l’avevano seguita nei movimenti per tutto il tempo.

“Bene, allora è deciso. “ Sentenziò Alura. “Mia figlia sarà al vostro servizio per il resto della vostra permanenza nel Wessex, cara duchessa.” Continuò poi, alzando subito dopo una mano in direzione della ragazza, appena questa provò a controbattere. “ E non voglio sentire discussioni in merito. La sicurezza prima di tutto.”

Il tono perentorio della donna non lasciò possibilità alcuna di replica e così, riluttante e infastidita, Lena si ritrovò per l’ennesima volta a scontrare i suoi occhi con quelli della ragazza che le sedeva di fronte. Occhi gelidi di una che si infransero in quelli caldi e nervosi dell’altra.           
Lena Luthor era appena stata affidata alle cure di una giovane donna che, a causa di un solo sguardo, era stata capace di arrossire come un pomodoro maturo.               
In che guaio s’era immischiata, probabilmente nessuno lo sapeva.



 
                                                                              ****
 



Un manto blu cobalto si estendeva oltre l’infinito quella sera e le poche nuvole passeggere che macchiavano di tanto in tanto quella distesa di colore, non sapeva perché ma la rendevano irrequieta.            
La vestaglia di cotone che indossava non era abbastanza per proteggerla dal vento freddo, segno che l’inverno era oramai alle porte e non poteva decisamente più permettersi di passeggiare a piedi nudi per il balcone delle sue stanze, tanto meno uscire all’aperto con indosso solo del leggero cotone.

I lunghi capelli neri erano raccolti in una treccia morbida che sporgeva delicata dalla sua spalla sinistra. Le braccia incrociate al petto, strette attorno allo sterno quasi come se volesse proteggersi dal mondo intero. Il seno pronunciato che risaltava ancor di più a causa della posizione delle braccia e gli occhi rivolti alla luna, unica testimone delle sue riflessioni serali.          
Spesse volte – sicura di non essere udita da alcun membro della servitù o altro abitante del castello – si recava all’esterno della sua camera da letto per far compagnia alla luna. Così misteriosa, piena di storia e significato. Talvolta nello stomaco le serpeggiava il desiderio di volerle parlare, magari per confessarle qualche segreto oppure per raccontarle della sua vita così meravigliosamente incasinata. Perché si, nonostante fosse trascorso più di un anno dal suo arrivo nel Wessex, il suo animo era rimasto perennemente tormentato. Ora nel bene, ora nel male.

Un lieve cigolio la distolse dai suoi confusi pensieri e dopo qualche istante di pazienza, percepì senza sforzo la presenza della persona dietro di lei.

“Duchessa?”

“Buonasera Kara.” Sussurrò Lena, quasi come se avesse paura di infrangere il religioso silenzio nel quale era immersa.

“Si sta facendo tardi, inoltre sta iniziando a far freddo… venite dentro.” La invogliò la giovane donna, slacciando la fibbia del fodero della spada per lasciar finalmente riposare i fianchi.

“Sono sola Kara, puoi dire il mio nome.” Replicò leggera lei voltandosi verso la bionda, sorridendo poi istintivamente alla vista dei lunghi capelli dell’altra raccolti in una morbida coda e la tenuta da notte decisamente diversa rispetto alla sua leggera vestaglia di cotone.

“Lascia che chiuda le finestre, non mi perdonerei mai se ti colpisse un malanno.” Disse Kara, dirigendosi a passo spedito verso le finestre della stanza e iniziando a chiuderle.       

E Lena l’aveva lasciata fare, ritornando definitivamente all’interno delle mura calde e lasciandosi andare poco dopo sul letto, sospirando malinconica.

Con movimenti fluidi, Kara spense le fiaccole esterne e una volta chiusa l’ultima finestra decise di accendere qualche candela. Sapeva che l’altra adorava la sensazione di tranquillità donatale dal tenue bagliore delle candele.            
Senza troppi convenevoli poi, imitò i gesti dell’altra e si distese anche lei sull’enorme letto, girandosi su un fianco in modo da avere dinanzi agli occhi l’intera figura di Lena.

Il silenzio questa volta ritornò prepotente, a tratti scomodo alle orecchie di Kara che con delicatezza si ritrovò pian piano a strisciare verso l’altra, fino ad arrivare a contatto con il corpo di lei ed avvolgerla con un braccio. Si strinse forte all’altra, serrando a poco a poco sempre più la presa e portando Lena a girare su se stessa ed affondare definitivamente nel petto della bionda.      

Un groviglio di braccia e gambe che non lasciavano spazio a nient’altro se non ad una consapevolezza profonda: l’intensità del sentimento che le legava.

“Parlami.” Sussurrò Kara, immergendo il viso nel collo di lei. “Cosa ti turba?”

“Il tuo stomaco emette rumori oltremodo ambigui Kara, lo senti?” Le domandò in risposta Lena, cecando di concentrarsi sulla sensazione che le donava avere il corpo dell’altra tutto intorno a sé.

“Beh… p-potrei avere ancora un leggero appetito.” Esclamò Kara, affondando ancor di più il viso – ora arrossito – nel collo di lei.

“Gli animali giù nella stalla probabilmente mangiano meno di te, spero tu ne sia consapevole.” Ridacchiò la mora, muovendosi delicatamente nell’abbraccio in cerca degli occhi luminosi della ragazza che la stringeva con ardore.

“Non p-perdi mai occasione per burlarti di me, vero?” Balbettò Kara imbarazzata, accostando la sua fronte a quella di lei ed annegando entrambe una negli occhi dell’altra.

“Nessuno ti conosce meglio di me Kara Zor-El, cosa ti aspettavi?” Rispose giocosa Lena, iniziando a far cozzare dolcemente le punte dei loro nasi come a volerla stuzzicare.

Ma Kara non sorrise come l’altra si aspettava, anzi. D’un tratto i suoi occhi chiari s’incupirono e in men che non si dica sfuggirono al suo sguardo amorevole.

“Cosa c’è?” Le domandò prontamente la duchessa, stringendo ancor di più la presa attorno ai suoi fianchi e premendo con vigore la fronte contro quella dell’altra.

“T-tu lo sai, n-non è vero Le’?” Flebili parole scivolarono timorose dalle labbra di Kara. “Lo sai che io sono t-tua… anima e corpo, si?”

“Quanto so che è vero il mio amore per te Kara.” Rispose prontamente Lena. “Stavo solo prendendomi gioco di te amore mio. Ti prego non rattristarti.”

Lena non le dichiarava spesso il suo amore, non in modo così diretto e sincero.
Con il tempo aveva imparato a conoscere la fanciulla che stringeva tra le braccia, sapeva quanto fosse difficile per lei esprimere a parole un’emozione. Lena esprimeva con il corpo, con i gesti, con gli sguardi.
Kara aveva capito di desiderare l’altra un pomeriggio di primavera, mentre le insegnava alcune tecniche difensive, ma non era mai riuscita a comprendere se l’altra sentisse dentro lo stesso bruciante trasporto.
 

Erano nelle stalle, con indosso abiti usati e molto presto Kara aveva compreso che Lena non era proprio la persona più equilibrata dell’universo. Voleva semplicemente insegnarle delle tecniche basi di corpo a corpo, perché all’altra piaceva passeggiare sola per il mercato fino a tardo pomeriggio, piuttosto che fare il bagno al mare senza nessun tipo di scorta. E Kara odiava l’istinto ribelle di Lena, perché non riusciva mai a capire le sue mosse o tanto meno riusciva a prevedere le sue iniziative strambe. Allo stesso tempo però, amava il suo orgoglio, quel cipiglio presuntuoso che – come una fiamma – divampava con ardore ogni qualvolta le iridi chiare di lei si scontravano con quelle dolci e determinate di Kara.    
  
Lei però le mostrava alcuni movimenti e puntualmente Lena si ritrovava per terra, immersa tra paglia e concime.


“Lena, non dovete avere le gambe così tese, altrimenti il vostro aggressore con facilità potrebbe immobilizzarvi ed avendolo alle spalle non riuscireste a crearvi alcuna via di fuga.” Borbottò divertita Kara, posizionandosi davanti ad una Lena seduta in terra a gambe aperte, con i capelli arruffati ed un adorabile broncio in viso. “Lasciate che vi aiuti, su.” Continuò la bionda, porgendo gentilmente la mano destra all’altra, che indispettita rifiutò malamente.

“Sono ancora in grado di ergermi sulle mie stesse gambe Lady Zor-El, non preoccupatevi.”

E quando in risposta Kara non fece altro se non scoppiare in una fragorosa risata, il viso di Lena poteva decisamente fare invidia alle decine di sfumature che di solito si scorgono quando si ammira un arcobaleno.

“Tutto questo è inammissibile!” Tuonò imperiosa Lena, alzandosi rapidamente da terra e ponendosi di fronte all’altra in tutta la sua esile, ma allo stesso tempo intimidatoria figura.

“P-perdonatemi, non dovrei prendermi gioco di voi in questo modo.” Si scusò quindi Kara, asciugandosi gli angoli degli occhi e cercando di ricomporsi al meglio che poteva. “Ma è incredibile come riuscite a scaricare su di me il peso del vostro evidente insuccesso. E non vi biasimo, sia chiaro. Siete sempre così… impettita.” Continuò la bionda, dirigendosi verso un cumulo di balle di fieno sulle quali aveva momentaneamente poggiato la sua spada e i suoi stivali.

“Come prego?” Sibilò scioccata Lena, muovendo soltanto pochi passi in direzione dell’altra e incrociando le braccia sotto il seno. Quando vide che l’altra stava infilando gli stivali però, capì che Kara era pronta ad abbandonare la loro sessione di allenamento e senza pensarci due volte, decise che doveva impedire a tutti i costi che quella giovane, impertinente, fastidiosamente allegra fanciulla lasciasse la stalla prima di lei. “Kara, sto parlando con te. Rispondimi!”

“Oh, adesso sono di nuovo Kara per voi, duchessa?” Rispose di tutto punto la bionda, voltandosi verso l’altra con ancora in mano il suo stivale sinistro ed un sorrisino sbarazzino ad atteggiarle la bocca.

“Cos- non è questo il punto.” Sospirò esasperata Lena, avvicinandosi improvvisamente all’altra e strappandole di mano – con un gesto decisamente nervoso ed avventato – il povero stivale indifeso. “Cosa significa impettita? Perché sarei impettita?” Domandò ancora, risoluta più che mai.

“B-beh… si, impettita. Voi siete semp-“

“Oh per l’amor di tutto ciò che è Santo Kara Zor-El, finiamola con le nomenclature e i convenevoli. Siamo solo noi ed esigo una spiegazione razionale e sensata.” Esclamò frustrata Lena, stanca delle divagazioni dell’altra. “prego, adesso puoi procedere.” Concluse, spronandola a parlare muovendo una mano nella sua direzione.

“S-sembra sempre che passeggi su un manto pieno di aculei, ok? S-sei possessiva e presuntuosa e hai q-questa tendenza alla mania del controllo. Non riesci a scioglierti mai, neppure quando siamo sole. E-e noi insomma, siamo a-amiche, giusto? Ma alle volte sembra che non ti fidi di me, c-come se ti infastidisse la mia presenza o come s-se non gradissi la mia protezione.” Disse Kara, un fiume in piena che sgorgava dalle sue labbra e che sapeva non sarebbe riuscito a placarsi facilmente, anche se in cuor suo temeva i risvolti della conversazione che stavano avendo. “I-io faccio solo il mio dovere. Cerco di prendermi cura di te per quanto mi è possibile, m-ma alle volte sembra che sia senza speranza tutto questo.” Concluse, il suo sorriso che man mano si era trasformato in una smorfia timorosa.

“Se pensi che io sia senza speranza allora perché mi insegni a combattere?” Domandò Lena, occhi gelidi puntati verso l’altra e mani nivee che stringevano convulsamente lo stivale ancora imprigionato tra esse.

“P-perché non voglio che tu sia dipendente da nessuno. Perché nonostante vada contro il mio stesso interesse Lena, io vorrei… v-vorrei che tu fossi il tuo personale cavaliere.”
 

Ripensando a quell’episodio, Kara non poté evitare di sorridere imbarazzata, soprattutto quando le balzò alla mente il modo in cui il suo stivale volò via dalle mani di Lena e come in un attimo se la ritrovò addosso, incatenata a lei come se ne andasse della vita di entrambe.               

Alzò di poco la testa e avvicinò lentamente il viso a quello dell’altra, che dal suo canto chiuse gli occhi e attese impaziente che le labbra soffici e dolci della sua amata si scontrassero con le sue. Lentamente, senza malizia, con sola ed assoluta devozione, Kara iniziò a muovere le sue labbra invogliando tacitamente l’altra a fare lo stesso. Tocchi inizialmente leggeri, quasi timidi, dopo alcuni istanti si trasformarono in una lussuriosa lotta al predominio quando i denti di Lena arpionarono il labbro inferiore di Kara, invitandola a schiudere le labbra per permettere alla sua lingua di insinuarsi indisturbata nella bocca di lei.           
Kara non si fece affatto pregare, lasciando libero accesso all’altra permettendole di approfondire il loro contatto. Un sapore frizzante invase all’istante le papille gustative della bionda, che iniziò a stringere con possessione le mani sui fianchi di Lena e piano piano, con movimenti lenti e delicati, insinuò una mano sotto la vestaglia di lei per accarezzare quella pelle d’alabastro.

“Ti amo…” Sussurrò tra i baci Lena, accarezzando il viso dell’altra con la mano sinistra e affondando la destra in quel manto dorato che erano i capelli di Kara. “Ti amo così tanto…” Continuò, bloccata però dalle labbra di lei che avevano iniziato a prendersi cura della sua mascella, del suo orecchio sinistro, del suo collo e delle sue spalle, tempestandola tutta di baci misti a morsi leggeri. “C-così ta-mh… tanto che mi scoppia il cuo-“

“Sssh, non parlare.” Le sussurrò Kara all’orecchio, per poi baciarne il lobo e portarselo alle labbra. “Mi dici sempre che parlo troppo… c-che vorresti che avessi meno paura.” Continuò, riemergendo poi dal collo di lei per poterla guardare negli occhi. “Stasera non voglio avere paura amore, non voglio. Non m’importa di nulla: Voglio solo sentirti mia.” Concluse, baciandole con tenerezza la punta del naso e poggiando poi la fronte a quella di Lena, che le permise di sistemarsi definitivamente su di lei, immersa tra le sue carni calde e trepidanti di aspettativa.

“Sei sicura di volerlo Kara?” Domandò la mora, un leggero bagliore di timidezza ad illuminarle gli occhi. “I-io non so… so cosa fare teoricamente, ma non so c-come tra…noi, ecco.” Sussurrò ancora, senza smettere di accarezzare le gote rosse di Kara neppure per un secondo.

“Neppure io so…” Chiarì la bionda, abbassando subito dopo lo sguardo, più imbarazzata che mai. “Ma l-la mamma mi ha detto che entrare in i-intimità con una persona significa d-dimostrarle il proprio amore. E Kal… b-beh lui…”

“Cosa, t-ti ha confessato qualcosa?” La esortò a parlare Lena, curiosa di sapere di più.

“Mh…” Un mormorio d’assenso fuoriuscì dalle labbra gonfie di baci dell’altra. “ Lady Morgana.” Sussurrò con fare cospiratorio Kara, tentando di avvicinarsi ancor di più all’altra per quanto fosse umanamente possibile.

“Oh Santi Numi, m-ma quella donna è una strega.” Borbottò sconvolta Lena, spalancando la bocca quando lesse negli occhi della sua amata un guizzo decisamente divertito. “Kara!”

“Sono state le sue stesse parole, lo giuro!” Esclamò in risposta l’altra, divertita da quanto stava accadendo. “ E’ sgattaiolato nelle mie stanze un pomeriggio, si è lanciato come un selvaggio sul mio letto e mi ha detto: ‘ Cugina, credo davvero che Lady Morgana sia una strega. Quella donna mi ha fatto un sortilegio.’ e poi mi ha raccontato brevemente l’accaduto.” Finì di spiegare lei, ridendo goffamente del tono di voce che aveva utilizzato per cercare di imitare suo cugino e notando l’espressione inorridita di Lena.

“Non avevo bisogno di queste informazioni.”

Soffocarono le risa nei baci, cercarono di lasciarsi andare per far comandare soltanto il loro istinto e il loro amore reciproco. Ma quando si ritrovarono nude sotto le lenzuola, unite in un contatto così inedito e allo stesso tempo così familiare, Kara non riuscì a non desiderare qualcosa di ancora più grande per il loro amore, qualcosa che aveva bramato sin dal loro primo bacio: la realtà.

“Domani…” Sussurrò Kara tra i gemiti, mentre le unghie di Lena affondavano nelle sue spalle con vigore. “D-domani voglio venire con te al mercato.” Gemette ancora, baciando con venerazione un seno di lei e accarezzando con forza le gambe di Lena per tutta la loro lunghezza, senza stancarsi mai. “Voglio b-baciarti in mezzo alla strada e v-voglio poter sa-sali-ah…”

Lena l’aveva appena sfiorata laddove nessuno l’aveva mai sfiorata, nemmeno le sue stesse mani avevano mai solcato quei territori alla ricerca di tale passione. E lei per prima, come un esploratore alla scoperta di un nuovo luogo, era riuscita ad insinuarsi nel piacere dell’altra e testarne la potenza. Una potenza devastante che squarciava i confini di ogni realtà immaginabile.

“Tutto quello che vuoi amore mio… tutto quello che desideri.” Riuscì a rispondere Lena e lo intendeva davvero. Le avrebbe donato qualsiasi cosa pur di renderla felice e anche se sapeva che sarebbe stato arduo, a tratti impossibile, non voleva negarle la speranza di una realtà diversa. Non in quel momento, in cui tutto sembrava possibile e niente invincibile.
D’altronde per tutta la vita aveva sognato di non dover più sottostare a regole ed imposizioni di alcun genere.                        
Per cui se non adesso, allora quando?         
Se non per lei, allora per cui?                     
Se non grazie a lei, allora grazie a chi?
Le regole adesso le dettava il suo cuore e l’unica che non avrebbe mai violato era la seguente: amare lei, ora e per sempre.
 




 
 
 
 







NOTE AUTRICE:

Salve a tutti e Buona Domenica u.u         
Sono finalmente tornata con una nuova oneshot Supercorp e sono felicissima di essere tornata grazie ad un’iniziativa Medieval AU che mi ha permesso di esplorare ulteriormente la mia creatività.

Ringrazio innanzitutto chi ha recensito Katysta e chi ha speso un attimo per leggerla e riporla tra preferiti/seguiti/ricordati. Siete stati fantastici come al solito e sono davvero contenta che le mie storie ricevano dei feedback così positivi <3

Per quanto riguarda questa oneshot, mi sono ispirata molto a vari contesti telefilmici sommati alla mia ossessione momentanea per la storia (poiché a breve dovrò dare il mio ultimo esame universitario che è proprio un esame di storia) e questo mix di elementi ha fatto in modo che la mia mente partorisse ciò :3    
       
Un ringraziamento speciale va a Destiny, che con la sua pazienza e costante gentilezza mi sprona sempre a scrivere cose nuove e non si tira mai indietro quando si tratta di farmi da cavia (una pioggia di cuori per te hon <3).

Detto ciò, spero che – arrivati fino a qui – siate riusciti ad apprezzare la storia tanto da volermi lasciare una vostra opinione, che come ben sapete è essenziale per me. Senza i vostri pareri e i vostri consigli, probabilmente mi sarei fermata alla pubblicazione della prima oneshot, ma ho ricevuto sempre tanti consigli e tante belle parole che mi hanno spinto a continuare la coltivazione di questo fantastico hobby. Quindi vi aspetto nelle recensioni <3
Spero di poter tornare presto con altro nuovo materiale e perché no, magari con una mini long u.u

 

 
  
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