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Autore: Aivlis99    04/06/2017    1 recensioni
– Pronto? -. La voce di mia sorella dall'altro capo del telefono. – Ivan… -. – Stai bene? -. Era terrorizzata. – Ivan…non tornare a casa -. Aveva il fiatone, balbettava. Strinsi la cornetta. Delle grida di sottofondo. Degli spari. – Nayra che sta succedendo?! -. Urlai atterrito. – Uno di loro è qui…-. – Chi? Chi Nayra, chi? -. – Uno come te…-. Respirava a fatica. Altri rumori coprirono la sua voce. – Non ti muovere, sto venendo li -. – No non venire, non tornare a casa -. – Sto arrivando…non chiudere la telefonata, continua a parlare -. Mi gettai nella strada iniziando una corsa verso casa. Il cuore mi pesava nel petto, colmo d’angoscia. – Ivan, non posso più parlare -. La sentii sussurrare. – No, non chiudere la telefonata, continua a parlare! -.
Stava piangendo, le parole le uscivano deboli. – Ivan…ti amo -. Chiuse la telefonata.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sembra di essere in un quadro. Una natura morta in cui l'equilibrio è regolato da quella luce che penetra dalla finestra. Le pareti opache, i mobili di quercia. Io sono solo un elemento di tutta la composizione. Mi piacerebbe essere un dipinto, per non cambiare mai. Essere il soggetto ma allo stesso tempo essere l'intera opera poiché ogni figura é collegata l'altra. Rimanere immobile nell'atto di compiere un'azione che non sarà mai portata a termine. Ecco cos'è un dipinto. Raffigurare attimi della vita per farli durare un'eternità.              
La noia assopisce la mente, il suo mormorio ne assorbe le energie, conducendola verso un sonno sottile come un velo, ma caldo e confortevole. La si aspetta per poi detestarla una volta che si diventa suoi prigionieri. Solo questi miei occhi riescono a vederla, avvelenati e spenti, scrutano nella noia per non affogare nelle lacrime. Poiché nulla esiste se non lo si vede, i pensieri si scontrano e il silenzioso schianto ti offusca ed ecco che la vedi. La senti. Ti addormenti.

 

 




Settembre 2005           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I

 

La radio trasmette musica pop che si disperde tra le pareti rosa. Luci a led intorpidiscono gli occhi che scrutano curiosi la gente passare nella strada. Una dopo l'altra sfilano davanti al vetro opaco ignari del mio sguardo.  Le gocce che mi bagnano il viso. Il collo intorpidito. Era da molto tempo che non andavo dal parrucchiere. I capelli erano cresciuti più del dovuto, era il momento di domarli. La mia capigliatura bionda è massaggiata dalle mani della donna aldilà della lavabo. Con  le dita bianche di sapone mi strofina la testa come fosse un impasto. E con quanta cura mi scosta le ciocche, riordinandole una ad una per impedire che si intreccino.  Da piccolo sarei voluto diventare parrucchiere. Trasformare i volti delle persone con la propria arte, come fossero sculture. Renderle speciali con un taglio di capelli che diventi poi ciò che li caratterizza.

-Perfetto, abbiamo fatto- mi alzo tamponandomi la testa con un asciugamano blu.

La ragazza mi indica una sedia vuota. Nello specchio appare una figura che subito riconosco...Sono io. Molte persone non sono abituate a vedere la propria  immagine. Difatti, durante il taglio dei capelli, colgono l'occasione per studiarsi, chiedendosi come appaiono agli occhi degli altri. Sorridono, corrucciano le fronti, muovono le sopracciglia accompagnate da sguardi ammiccanti. Tutto questo all'insaputa della parrucchiera che studia attenta la loro nuca.  Io invece sono abituato a vedermi. Rimango impassibile davanti al viso pallido che mi fissa con occhi azzurri.  Lo vedo socchiudere le labbra carnose. Sembra così vero, potrei toccarlo, basterebbe allungare la mano. Ma troverei solo una lastra fredda.

Sostengo quello sguardo mentre nella mente si forma un nome che appartiene a quel viso tanto quanto il mio. Due nomi per un volto solo. Un corpo per due vite. Il cellulare vibra nella tasca dei jeans. Un messaggio. E' Riccardo, il mio gemello. Mi chiede di prendere un appuntamento con la stessa parrucchiera per il giorno dopo. Intanto una cascata di capelli tagliati scorre sulla mia schiena, dipingendo il pavimento di color oro. -Maria, Riccardo potrebbe venire domani?- la ragazza sorride vibrando le forbici. -stessa ora stesso taglio?-  -No il taglio diverso- rispondo seccato.

Il fono mi immerge in un mondo ovattato scandito da quel brontolio sommesso dell'aria che mi arruffa i capelli. Ho scelto un taglio semplice che mi renda il viso meno magro possibile, che metta in risalto gli zigomi cerei e gli occhi marini, l'unico orgoglio del mio corpo.

Fuori la moto nera attende di essere montata come un fedele destriero sotto il sole cocente di fine estate. Le strade brulicano di macchine, biciclette e scooter. Roma sta ritornando al suo caos dopo i mesi estivi che l'avevano svuotata privandola del traffico. A casa il disordine colora la mia stanza come un dipinto, con schizzi di vestiti sul letto e macchie di quaderni sulla scrivania. Forse dovrei riordinarla. La camera di Riccardo non è da meno. A stento riesco a scegliere quella con  più scompiglio. Lui è li, curvo sul suo computer con le mani che corrono sulla tastiera. -sei bellissimo- dice senza voltarsi. Mi avvicino allo specchio appeso alla parete. Adesso eravamo tre. Identici. -ti diverti a moltiplicarti?- ride chiudendo lo schermo. -lo sai che i nostri figli potranno essere dei gemelli?- affermo fissando l'immagine di Riccardo nello specchio, esattamente affianco alla mia. -non si salta una generazione?- entrambi amiamo la scienza. Ma non è il nostro forte. Per saperla bisogna studiarla. -ti da fastidio?- mi avvicino alla scrivania. -no, francamente non mi interessa-  rido e mi rifugio nella mia stanza. -a te?- urla Riccardo. -no- rispondo sdraiandomi sul letto. Ma non ne sono sicuro.

 

***

 

L'aria è  fresca, carica di profumi. La luce del sole riscalda le strade. Appoggio la mano sul cancelletto di ferro. Mentre lo apro cigola infastidito. E lo vedo, affacciato al balcone: il signor Carmine. Il nostro vicino. Confesso che io non ho mai stretto rapporti con le famiglie che vivono nel mio comprensorio, tanto più ignoravo l'esistenza di coloro che abitano nei palazzi di fronte. Ma il signor Carmine è diverso. Ogni mattina, quando mi affretto ad aprire il cancello verde che separa il mio palazzo dalla strada, alzò gli occhi e scorgo una figura intenta nelle faccende di casa. Da quel che la vista mi consente di vedere è un uomo alto e robusto dal volto coperto da una folta barba. Oggi sistema le imposte della finestra, arrampicandosi sulla scala di legno traballante. Ieri pitturava un mobile vecchio e sbiancato dal tempo. Domani stenderà i panni che la moglie, di cui ignoro l'esistenza, gli lascerà nel cesto azzurro. E con quanta cura svolge le sue faccende, muovendo le braccia abbronzate. Una volta alla settimana taglia l'erba del giardino, deduco quindi che è un uomo abitudinario. Fin da bambino ero stato attratto da quella figura che si aggirava nel palazzo di fronte e che non era mai stanco di svolgere il proprio compito. Da sempre lo spio per qualche minuto prima di uscire. Non ho mai parlato a nessuno  del signor Carmine. La prima volta che ci siamo incontrati avevo quindici anni e la busta della spazzatura mi pesava sulla schiena. Il cassonetto era duro e lo sforzo per aprire il coperchio mi fece cadere il sacco a terra rovesciando tutto il contenuto. Ad aiutarmi fu proprio il Signor Carmine, che come al solito, svolse il compito con calma e precisione. Insieme ripulimmo tutto. -grazie- dissi timido. Mi presentai ma l'uomo mi fermò. -si mi ricordo di te, sei quel ragazzo che ieri mi ha citofonato per avvertimi di un pacco che mi era stato recapitato- rimasi in silenzio.

Tornato a casa mi rifugiai in camera. Non capii mai il perché, ma piansi. Era la prima volta che gli rivolgevo la parola. Il giorno prima  era stato Riccardo. 

Con la moto raggiungo l'università e mi affretto a dare un esame di botanica. Sono tranquillo e disinvolto dato che è la seconda volta che mi ritrovo ad esporre l'argomento. Devo solo stare attento a firmare con il nome di mio fratello. Un vantaggio di essere gemelli come noi è quello di essere indistinguibili. Ciò che ha sempre caratterizzato me e Riccardo è di essere uguali non solo nell'aspetto ma anche nel carattere, nel modo di parlare e di muoverci. Abbiamo gli stessi difetti, pregi e gusti, spesso mi chiedo se siamo mai arrivati a pensare nello stesso modo. Siamo identici in tutto e per tutto. Questo può essere considerata un'anomalia. Da quando siamo all'università sfruttiamo questa opportunità dataci dalla natura per fare l'uno gli esami dell'altro, dato che frequentiamo la stessa facoltà. Il professor Centripeti prende posto davanti a me. È lo stesso che mi ha interrogato la scorsa settimana. Mi fissa disorientato poi capisce. -lei deve essere il gemello di Matteo Tripes- faccio segno con il capo e inizio a parlare.

La facoltà brulica di ragazzi intenti a studiare sulle sedie e vicino alle porte in attesa di essere chiamati. -Matteo sono qui- Raggiungo Riccardo ad una macchinetta. -congratulazioni hai preso 28 all'esame di chimica- dice. Capisco che è seccato. -che rabbia quando l'ho fatto per me ho preso 25...non è giusto ho ripetuto nello  stesso modo- rido sorseggiando del te. Gli comunico del suo 27 in botanica. Torniamo insieme a casa, soddisfatti dei risultati ottenuti. Due ragazze ci fissano divertite pavoneggiandosi sedute sopra un muretto. Riccardo mi lancia sguardi d'intesa. Non gli chiedo se le trova carine. So già la risposta. Avere gli stessi gusti significa anche l'essere attratti dalle stesse ragazze, ma fino ad ora non ci ha mai creato nessun problema. Eccetto con Claudia. L'unica che per un breve periodo ci  trasformò in due rivali. Lei ignorava la nostra duplicità e credo che non l'abbia mai saputo. Entrambi eravamo innamorati dei suoi capelli neri e delle sue ciglia lunghe che ornavano gli occhi azzurri. Tutti e due arrossivamo davanti a quel sorriso pieno di energia. E quando anche lei mostrò attenzioni a quel ragazzo alto e magro dal volto pallido, per entrambi fu impossibile cederla all'altro.  L'idea di frequentarla alternandoci ci sfiorò la mente, lo confesso. Alla fine la lasciammo. Dolce Claudia, non sai che dietro a quel ragazzo ve ne erano due entrambi desiderosi di averti? No, la tua immaginazione non può arrivare a tanto. E ancora ti penso.

-Leon?- una voce femminile si fa largo tra i rumori del traffico. Tra le risate dei passanti e i rombi dei motori. Una voce che si ripete più volte sciogliendo quel nome in un sussurro carico  di angoscia. -Leon? vous êtes droit?- mi giro. Lei è li, davanti a me, gli occhi azzurri mi assorbono nel suo sguardo mentre le labbra le tremano  di nascosto. -es-tu?- è francese. -Do you speak english?- le chiedo.

intreccia timidamente le dita tra le ciocche bionde. Seguo lo smalto nero sparire tra le sfumature oro. -tu non sei Leon..- sussurra in uno stretto inglese. -che succede?- Riccardo appare alle mie spalle. Solo ora mi accorgo di essere in mezzo alla strada in un fiume di passanti che ci superano infastiditi dalla nostra sosta clandestina. Riccardo tiene in mano una bottiglia di birra appena comprata in un bar li vicino.

-ce n'est pas possible- lo stupore lascia il volto della ragazza per lasciar posto ad uno sguardo di puro terrore. Indietreggia portandosi la mano alla bocca. Sparisce tra la folla. -chi era?- Riccardo mi fissa perplesso. -mi..mi aveva scambiato per un altro ragazzo- rispondo confuso. -non ci pensare, dobbiamo festeggiare i nostri voti-.

Afferro la bottiglia e comincio a bere, come sperando che l'alcol mi cancellasse quel volto terrorizzato dalla mente.

   
 
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