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Autore: Destyno    04/06/2017    2 recensioni
Una serie di racconti, di persone e vite a Skyrim.
Storie di personaggi che non hanno una voce, e che quindi parleranno attraverso di me.
[Giugno è sia il mese del mio compleanno che il Pride Month, quindi i miei poteri queer sono al massimo e vi beccate quest'ondata di arcobaleno.
Su una nota più seria, sono tutte storie di NPC che una storia personale vera e propria non ce l'hanno, quindi l'ho inventata io. Di canonico non c'è quasi niente, in compenso c'è tanta, tanta self-indulgence, ma chissene, è per questo che esistono le fanfiction.]
Genere: Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Da dov’è che vieni?” Chiese distrattamente Balthazar all’indirizzo di Onmund, afferrando una fetta di torta dal tavolo della mensa. “Non me lo ricordo.”

Il mago si voltò a guardarlo, incuriosito, ma il volto del bretone non tradiva nessuna espressione, mentre masticava la torta.

“Whiterun.” Mormorò poi. “Sono- cioè, ero un Manto Grigio.”

“Eri?”

“Mi hanno diseredato.”

Balthazar gli lanciò un’occhiata incuriosita.

“Addirittura? Sapevo che in genere i nord non sono degli amanti della magia, ma-”

“Sono cose private.” Lo interruppe Onmund, stizzito. “E mi piacerebbe se non risollevassi più l’argomento.”

L’altro mago serrò la bocca, e per il resto della cena non parlò più.

 

“Prendi.”

Onmund strinse istintivamente le mani attorno al piccolo oggetto che Balthazar gli aveva spinto contro con malagrazia.

“Ehi, fa’ più piano - aspetta, ma questo…”

Non c’erano dubbi: era lo stesso amuleto che sua madre Fralia gli aveva regalato quando aveva dodici anni, lo stesso che aveva venduto a Enthir quando, quasi quattro mesi dopo il suo compleanno e dodici dopo il suo arrivo all’Accademia, la sua famiglia ancora si rifiutava di riconoscere la sua esistenza.

Lo stesso amuleto che poi aveva rimpianto, quando suo fratello Avulstein era venuto a trovarlo, nello zaino un libro di magia che aveva comprato da Farengar e la bocca piena di scuse per non essere arrivato in tempo per il compleanno di suo fratello.

(Più di tutto, era stato il modo in cui l’aveva chiamato “fratello” che gli aveva fatto stringere il cuore in una morsa e fatto volare il pensiero a quel cimelio che aveva venduto)

“Come hai fatto a riaverlo? Enthir mi-”

Balthazar aveva la pelle sporca di giorni di viaggio, una ciocca di capelli che era stata bruciata via e una nuova ferita sulla guancia, in via di guarigione, e la faccia di una persona scocciata che voleva solo andare a dormire.

“Enthir mi doveva un favore, e mi ha pagato con questo. Prendilo e basta.”

Come scoprì in seguito, Enthir non doveva niente a nessuno, e Balthazar aveva dovuto combattere contro un negromante pazzo in una caverna sperduta nel Pale, perdendo anche due settimane di lezioni nel processo, per riavere l’amuleto.

 

Quando Onmund bussò alla porta della camera di Balthazar, indossava l’amuleto della sua famiglia. Gli occhi di Balthazar ci indugiarono sopra, prima di parlare.

“Che c’è?”

Il nord gli porse un piccolo taccuino.

“Sono i miei appunti delle ultime lezioni, quelle a cui sei mancato. Cerca di riportarmeli per la prossima settimana, ne ho bisogno per gli esami.”

Balthazar lo prese, quasi con cautela.

“Uh- io-” tossì, senza alzare lo sguardo dal taccuino “-io non credevo - grazie.”

“Non c’è di che.”

 

Quella sera Onmund sussurrò qualcosa, e il suo piatto sporco si animò e si mise in fila con gli altri, verso la cucina, a lavarsi da solo.

Poi si girò, cercando Balthazar.

Lo trovò, ancora seduto, a mangiare un’ultima fetta di crostata alle more. Si sedette vicino a lui, in silenzio.

“Mia madre ha avuto quattro figli. Due maschi, Thorald e Avulstein, e due femmine, Olfina e-” si interruppe, la gola improvvisamente secca, legata in un nodo che lo soffocava, “- e Freira.”

Balthazar rimase in silenzio, posando silenziosamente la fetta di torta, così Onmund continuò a parlare, senza guardarlo.

“Olfina e Avulstein sono rimasti a Whiterun. Thorald è morto lontano da casa, in una guerra che ancora miete vittime. E Freira… Freira non c’è più e basta. Forse - no, niente forse. Non c’è mai stata nessuna Freira.”

Onmund si voltò a guardare Balthazar.

“Spero che tu capisca la mia reticenza nel parlare della mia famiglia.”

Balthazar si girò a guardarlo, e gli mise una mano sulla spalla.

“Mi dispiace. Immagino che sia stato difficile.”

“Un po’ lo è stato, sì. Ma adesso sto meglio.”

“Posso - posso chiederti una cosa?”

Onmund annuì.

“Perché volevi indietro l’amuleto?”

Il nord sorrise, stringendo il medaglione nel palmo. Pensò al sorriso di Avulstein, al modo in cui lo difendeva dagli altri bambini che lo prendevano in giro per essere troppo alto e troppo magro, agli abbracci di Olfina e ai biscotti che gli aveva cucinato il giorno prima della partenza.

Pensò ai suoi genitori, freddi e distanti, che parevano sul punto di strappargli quel medaglione dal collo.

Ma non era per loro che lo portava.

“Perché c’è ancora qualcuno che mi vuole bene.”

 
   
 
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