Rosetta
Mamma
è morta stamattina presto, ripetendomi una cosa che in tutti questi anni ha
detto spesso. “Il dolore ci tiene umani. Tieniti il dolore e rendine grazie
alla Madonna.”
Lo
sapeva, che alla Madonna non ho reso grazie più di niente, dopo quella volta di
tanti anni fa. Credo anzi che anche lei le abbia reso grazie di molto poco.
Forse di Giovanni sì, però. Giovanni veniva a casa e la teneva per mano al buio
senza parlare e io facevo finta di non saperlo, un po’ perché non mi importava,
ma forse soprattutto perché mi faceva comodo che Giovanni stesse lì con lei, al
posto mio.
Povera
mamma, quanto ha sofferto. Lei sì che è stata umana fino alla fine.
Non
le ho fatto passare una bella vecchiaia. C’è stato un periodo, uno solo, che le
cose sembravano un po’ migliori; lei ci aveva Giovanni e io avevo trovato un
ragazzo buono, uno che non si era limitato a fare l’amore come gli altri ma mi
faceva anche la corte, e le guance gli diventavano rosse ogni tanto quando gli
dicevo che volevo fare l’amore e la prima volta che è venuto a casa ha passato
tanto tempo a chiacchierare con mamma. Lei dopo un po’ aveva gli occhi pieni di
lacrime e gli accarezzava i capelli e gli diceva “quanto ci somigli, quanto
somigli a Michele”. Saranno state le uniche volte che ha parlato di Michele.
Io, di Michele non ne ho parlato mai più.
Ma
questo bel ragazzo, il mio povero Alberto, non ci è arrivato al punto da
rimetterci in sesto come avrebbe potuto fare un nuovo Michele. Me l’hanno
ammazzato per strada come un cane qualsiasi. Mamma diceva che dopo la guerra
gli italiani non erano stati più gli stessi, ma io mica ce lo so se i ladri e
gli assassini non si trovavano pure prima, se non si siano sempre trovati da
che mondo è mondo e la cattiveria esiste alla stessa misura della bontà.
Pensava
pure che fossi andata ormai al di là del dolore, la mia povera mamma, e che per
questo non piangevo e non mi ribellavo e continuavo a fare la puttana senza
pudore né imbarazzo. Lo so adesso, perché stamattina, dopo averla lavata e
vestita e baciata in fronte, ho trovato il libro con le sue memorie. E stasera
a letto ci ho dato uno sguardo, solo alle ultime pagine, e ho letto ancora
quella sua convinzione che il dolore ci tiene umani e ci può salvare, e forse
poteva salvare pure me, nonostante tutto.
Quella
volta che ho pianto appena prima di arrivare a Roma è stata l’ultima per
parecchi anni. Non ho pianto per Alberto, non ho pianto nemmeno per mamma,
forse in fondo al cuore pensavo di non avere più lacrime.
Ho
pianto per i suoi ricordi, però.
Piango
per l’uomo che è destinato a essere uomo in tempo di guerra come in tempo di
pace, e a non sapere mai bene perché sta piangendo di notte in una casa vuota,
anche senza bombe che gli piovono fuori dalla finestra.
Piango
perché sono vecchia e rotta e sola e adesso scopro che sono pure io, ancora,
umana.
5 giugno 1983 – con te se ne parte la primavera.
Spazio dell’autrice
Ma
lo sapete da quanto tempo non scrivo? Io sì. E si vede, ammazza se si
vede. *ride*
Niente,
è che ho letto La ciociara in questo
periodo e, non so, è riuscito a toccarmi il cuore come pochissime cose hanno
saputo fare nell’arco dell’ultimo anno e passa – o quantomeno a spingermi a una
riflessione talmente intensa, anche a posteriori, da cercare di aggiungere
qualcosa di mio. Oddio, non ho poi aggiunto questo granché, e mai avrei potuto
farlo. Però, visto che Rosetta è il personaggio che nella vicenda narrata resta
più personalmente stravolto, volevo darle voce, anche per una sola paginetta di
rievocazione, al chiudersi di un cerchio.
La
lyric in chiusura è tratta da Bocca di Rosa di De Andrè ed è
volutamente, ambiguamente riferita a Rosetta in quanto donna “d’amor profano”,
ma rivolta a Cesira e a tutto quello che si è portata via. La data della sua morte
è casuale, calcolata intorno al suoi settantacinque anni, ma ho mantenuto il 5
giugno (oggi) per festeggiare il fatto che, ehi, I wrote
something. Il nome dell’OC Alberto è un omaggio a
Moravia.
Aya
~