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Autore: Teriel Donovan    07/06/2017    3 recensioni
Vendetta guida il mio cammino. Diventa parte della mia essenza e portami la testa dei miei nemici! Per il mio villaggio ormai morto io ti invoco e t'imploro.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'Autore: Citando un'amica: "Tùr è una storia che narra il frammento di qualcosa di molto più ampio".
O potrebbe esserlo… scritta in un periodo abbastanza… "oscuro" mi son ritrovata a guardarla con un filo di cinismo, chiedendomi se un possibile romanzo al riguardo avrebbe suscitato interesse. Ho deciso di pubblicarla proprio per avere un parere al riguardo, seppur non possa negare che molte cose andrebbero approfondite ulteriormente. In ogni caso, a chi vorrà leggerla e darmi un parere: grazie!
p.s. Tùr non è stato scelto a caso. Spesso mi diverto a inventarmi parole. Ma in questo caso, è una parola celtica irlandese che significa: Torre. Al seguente potete anche ascoltare l'audio della sua pronuncia.  http://www.bitesize.irish/inirish/2807

Túr

Coperta da un manto grigio cupo, la torre svettava sinistramente nel cuore del deserto. La fredda, sterile sabbia emetteva un debole suono a ogni frustata di vento, quasi a invocarne la pietà.
La torre… pensò lei con un brivido. Si diceva che fosse stata ricavata da un unico blocco di marmo e che, nel corso dei secoli, quella lunga spirale, che s'intravedeva persino da lì, fosse stata percorsa da ogni singolo re di quella progenie infame. Uno a uno, ne percorreva i bassi sgradevoli gradini, in silenzio, sotto gli sguardi di quell'oscena stirpe dagli occhi rossi come il sangue.
Uno ad uno li percorreva tutti il nuovo feroce re… senza l'aiuto di nessuno… tenendo in mano la testa del precedente dominatore appena spirato.
Quegli esseri erano così primordiali… avevano i capelli che assomigliavano a cristalli di ghiaccio. Quel popolo, che non conosceva morte, si diceva, era stato condannato dagli spiriti. Per questo assomigliavano a spettri. Erano la  progenie del male.
Non erano come i suoi, neri come la morte. La loro morte, pensò Nyla freddamente.
Vi era stato un tempo in cui era stata solo un'ingenua fanciulla. Figlia di contadini, aveva amato quella terra seppur confinasse con loro. La terra di suo padre era stata così ricca e florida da venir considerata benedetta. E lei, la loro unica figlia, era cresciuta in modo speciale. Le era stato concesso di studiare, di decidere della sua vita. Le era stata offerta la possibilità di scegliere persino chi amare. Chi altri aveva mai ricevuto una tale benedizione?
Eppure… tutto era finito. In un freddo inverno del suo quindicesimo compleanno. La pestilenza si era abbattuta sul suo villaggio, spazzando via buona parte del suo popolo.
Li aveva visti cadere tutti… come mosche.
Non riusciva a comprendere perché lei si fosse salvata… finché la veggente non si era rivolta a lei, con le ultime forze rimaste. Le aveva sussurrato, sputando sangue, che loro gli avevano causato un tal danno. Gli spiriti le avevano parlato… gli spiriti le avevano confessato che quei miseri bastardi li avevano sacrificati agli spiriti oscuri per rimanere immortali.
Da quel giorno erano trascorsi dieci lunghi anni. Mai, per un sol giorno, si era fermata anche solo a versare una lacrima. Aveva dedicato la sua vita alla vendetta. Aveva dedicato la sua vita alla ricerca della magia. Del potere. Aveva cercato un modo per distruggerli. Aveva allenato il suo corpo, già forgiato dai campi di grano che sovente coltivava con suo padre, ad armi e combattimento.
A ogni livido, a ogni ferita, a ogni caduta si rialzava, ricordando a se stessa quel tempo che mai più sarebbe tornato.
Quante volte aveva ripetuto a denti stretti, quasi in una fervente preghiera, quel giuramento di morte?
Aveva perso il conto delle umiliazioni che aveva dovuto sopportare. Ma né fame, paura, tortura o minaccia erano riuscite a spezzarla e, infine, contro ogni previsione, contro ogni parola, eccola lì, in cima al dirupo, avvolta in una tunica nera come la morte, le gambe strette in pantaloni da guerriero, la vita adornata da una cinta di pelle che custodiva la sua spada. La leggendaria distruttrice che tutti credevano solo una leggenda. Semplice a vedersi, con il manico a simboleggiare una scheletrica mano, bastava un sol fendente per scatenare una luce in grado di spazzar via qualsiasi nemico.
Era un'arma forgiata nell'antichità. Nessuno sapeva dove e quando… ma il tempo l'aveva resa un racconto, una mera leggenda. I bardi ne decantavano la grazia. La ferocia. L'aspetto sinistro. Quella lama rosso sangue che brillava cupamente poco prima di risvegliarsi. Chi non avrebbe tremato? Era appartenuta a Gunthur Il Mietore. Si narrava che un tempo avesse fermato il più feroce dei suoi nemici semplicemente mostrandola. Ridotto in lacrime, in ginocchio come il più vile degli schiavi… lo aveva rispedito sulle sue terre, coperto di vergogna.
Il tempo di Gunthur, come tutto, era infine giunto al termine. La sua spada era stata seppellita con lui… così si diceva. Ma nessuno era mai riuscito ad avvicinarsi alla sua tomba abbastanza da poter scoprire se fosse vero. Aveva scelto come tomba il cuore della terra… nelle profondità delle caverne, circondato da mostri e devastanti laghi di lava.
Lei… solo lei era riuscita in quell'impresa.
Lo aveva trovato lì, su quell'altare improvvisato, ormai ridotto a uno scheletro. Aveva pregato perché le trasmettesse la sua forza. La sua saggezza. La sua potenza.
Aveva impugnato quella spada, lentamente, non osando quasi respirare… era stato così istintivo fendere l'aria.
In un solo istante, la caverna era andata distrutta e il cielo ammantato di stelle le aveva dato il benvenuto. Si era sentita così… potente! Per la prima volta un sorriso le aveva curvato le labbra e una risata era risuonata nelle orecchie. La sua risata. Non l'aveva riconosciuta in un primo momento. Per quanto suonasse assurdo, aveva dimenticato cosa fosse ridere.
Gli abiti che stava indossando li aveva scelti in onore di Gunthur. Erano identici ai suoi. L'unica concessione alla sua femminilità erano i capelli: li aveva lasciati sciolti in onore della donna che avrebbe dovuto essere. Di un passato ormai morto.
Loro le avevano portato via tutto…
La sua bocca si strinse in una linea dura. Artigliò la mano sinistra sulla spada e, compiendo un balzo, in un attimo si ritrovò accolta dalla sabbia. I granelli volarono tutti intorno a lei, precipitando poi bruscamente.
Ignorando ogni cosa, lo sguardo fermo su quella malsana costruzione, le orecchie tese a captare ogni minimo suono, Nyla avanzò imperterrita.
Si aspettava un'ondata di mostri… ma niente ostacolò il suo cammino e, prima che potesse realmente comprendere che no, non stava sognando, era giunta a destinazione.
L'oscurità calò. Il cielo tutto a un tratto sembrava un opale perfetto. Ma così sinistro che la stretta intorno alla sua arma diventò convulsa.
Si guardò nuovamente intorno. Non giunse nessuno. Non vide porte. Solo archi che percorrevano l'intera superficie della struttura. E quella malefica scalinata… ogni cosa sembrava intagliata da ossa.
Con il cuore trepidante di aspettativa, non attese un sol istante. Liberò la sua amata spada, così leggera, così sottile… Nyla sperimentò nuovamente quella meravigliosa sensazione… quel movimento… assomigliava a una danza. Qualcosa di primordiale…
La lama s'illuminò e una falce di luce rosso sangue si scagliò con ferocia contro la torre, scuotendola fin dalle fondamenta. Si mosse tremando, quasi dovesse caderle addosso… infine, tornò al suo posto, al suo placido silenzio, deridendola.
Nyla si sentì come se fosse vittima di un incubo. Non l'aveva nemmeno scalfita.
Dalla cima della torre, una luce attirò la sua attenzione. Una stella sembrava stesse precipitando… e cadde, sì, davanti a lei, ma non era una stella, bensì una donna.
Nyla rabbrividì di disgusto.
Indossava una tunica che le fasciava il corpo color panna. Una profonda scollatura mostrava la pelle innaturalmente candida, scalfita da tatuaggi tribali dai vivaci toni del blu.
I capelli sembravano neve… gli occhi innaturalmente illuminati e rossi. I saggi dicevano che i primi della loro specie avevano ottenuto quel colore bevendo il loro sangue.
Anche la creatura aveva con sé un'arma ma, a differenza di lei, aveva l'espressione serena di chi non aveva alcuna intenzione di estrarla.
«Venir fin qui, con un'arma che noi stessi abbiam forgiato» mormorò stupendola. «Che cosa incredibilmente patetica!»
A terra.
Nyla si ritrovò a terra, incapace di muoversi.
Urlando, si rialzò e si preparò a combattere, ma quella maledetta sembrò leggerle nel pensiero e ogni colpo fu parato, ogni mossa, ogni fendente non scalfì in alcun modo quella maledetta tranquillità.
Ancora una volta la lama scattò e colpì il nemico… Nyla si ritrovò a terra. Una profonda ferita le lacerava il ventre.
Cercò invano di alzarsi ma le forze l'abbandonarono alla sua sorte. Le lacrime le riempirono gli occhi. Era così ingiusto… perché doveva finire così?
La creatura le si avvicinò. A passi lenti e misurati prese a osservarla con indifferenza.
«So perché sei qui» le mormorò. «Io stessa scagliai la pestilenza» le rivelò senza alcuna traccia di rimorso.
Nyla ruggì. Cercò nuovamente di alzarsi spinta da una furia selvaggia ma, contro ogni previsione, fu lei ad avvicinarsi. Le posò una mano sulla fronte.
«Anche da noi c'è la condivisione dei ricordi» le rivelò.
Vide la sua famiglia… la sua gente… muoversi nel cuore della notte… li vide afferrare dei ragazzini. Piccoli mostri dai capelli di ghiaccio e occhi rossi… eppur così pieni di terrore…
Vide la sua gente artigliare di capelli di una dei mostri… una donna. La vide urlare. La vide singhiozzare, invocare pietà… mentre venivano sgozzati…
Alcuni erano ancora vivi, quando erano stati gettati sull'altare. Un sacrificio notturno. La veggente, ammantata da una lunga tunica color cremisi, i capelli raccolti in una crocchia, si mosse intorno a loro, fredda, spietata, appiccando infine il fuoco che per tre giorni e tre lunghe notti non aveva cessato di ardere.  Un muro di fiamme che si era innalzato al punto da poter essere visibile a distanza.
Nyla ne era rimasta così… impressionata…
Il rito. Il sacrificio. Era stato compiuto per la prima volta dopo anni interi di pura letizia. La veggente aveva detto loro che gli adulti dovevano riunirsi e offrire i loro beni più preziosi, se non volevano che la loro ira si abbattesse su di loro…
Calde lacrime le rigarono il volto. Nyla si ritrovò nuovamente nel presente. Respirava ancora ma dentro di sé era morta.
«Quella donna offrì quel sacrificio per riacquistare ciò che aveva perduto» le disse la creatura. «La giovinezza. Non poteva esistere un motivo più futile» soggiunse.
Per la prima volta, in quella irritante calma, Nyla udì una nota di disprezzo.
«La collana che porti ti ha protetta» le rivelò. «Il fiore che toccasti da bambina e trasformasti in quella pietra è considerato infausto anche da noi. Chiunque lo tocchi muore, ma chi sopravvive è destinato a essere protetto.»
Come se ormai avesse importanza, pensò lei. Nyla si sentiva svuotata.
«Ti offro la possibilità di scegliere. Vivere diventando una di noi» le disse «o morire.»
Vivere o morire… pensò Nyla. In nome di cosa. Per chi?
 

 

 

 

Fine

 

 

   
 
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