- Nota dell'Autore: Citando
un'amica: "Tùr è una storia che narra il
frammento di qualcosa di molto
più ampio".
- O potrebbe esserlo… scritta
in un periodo abbastanza… "oscuro" mi son ritrovata a
guardarla con
un filo di cinismo, chiedendomi se un possibile romanzo al riguardo
avrebbe
suscitato interesse. Ho deciso di pubblicarla proprio per avere un
parere al
riguardo, seppur non possa negare che molte cose andrebbero
approfondite
ulteriormente. In ogni caso, a chi vorrà leggerla e darmi un
parere: grazie!
- p.s. Tùr non è stato scelto a caso. Spesso mi diverto a inventarmi parole. Ma in questo caso, è una parola celtica irlandese che significa: Torre. Al seguente potete anche ascoltare l'audio della sua pronuncia. http://www.bitesize.irish/inirish/2807
Túr
- Coperta da un manto
grigio cupo, la torre svettava sinistramente nel cuore del deserto. La
fredda,
sterile sabbia emetteva un debole suono a ogni frustata di vento, quasi
a
invocarne la pietà.
- La torre… pensò lei con
un brivido. Si diceva che fosse stata ricavata da un unico blocco di
marmo e
che, nel corso dei secoli, quella lunga spirale, che s'intravedeva
persino da
lì, fosse stata percorsa da ogni singolo re di quella
progenie infame. Uno a uno,
ne percorreva i bassi sgradevoli gradini, in silenzio, sotto gli
sguardi di
quell'oscena stirpe dagli occhi rossi come il sangue.
- Uno ad uno li
percorreva tutti il nuovo feroce re… senza l'aiuto di
nessuno… tenendo in mano
la testa del precedente dominatore appena spirato.
- Quegli esseri erano
così primordiali… avevano i capelli che
assomigliavano a cristalli di ghiaccio.
Quel popolo, che non conosceva morte, si diceva, era stato condannato
dagli
spiriti. Per questo assomigliavano a spettri. Erano la progenie del male.
- Non erano come i suoi,
neri come la morte. La loro morte, pensò Nyla freddamente.
- Vi era stato un tempo
in cui era stata solo un'ingenua fanciulla. Figlia di contadini, aveva
amato
quella terra seppur confinasse con loro. La terra di suo padre era
stata così
ricca e florida da venir considerata benedetta. E lei, la loro unica
figlia,
era cresciuta in modo speciale. Le era stato concesso di studiare, di
decidere
della sua vita. Le era stata offerta la possibilità di
scegliere persino chi
amare. Chi altri aveva mai ricevuto una tale benedizione?
- Eppure… tutto era
finito. In un freddo inverno del suo quindicesimo compleanno. La
pestilenza si
era abbattuta sul suo villaggio, spazzando via buona parte del suo
popolo.
- Li aveva visti cadere
tutti… come mosche.
- Non riusciva a
comprendere perché lei si fosse salvata…
finché la veggente non si era rivolta
a lei, con le ultime forze rimaste. Le aveva sussurrato, sputando
sangue, che
loro gli avevano causato un tal danno. Gli spiriti le avevano
parlato… gli
spiriti le avevano confessato che quei miseri bastardi li avevano
sacrificati
agli spiriti oscuri per rimanere immortali.
- Da quel giorno erano
trascorsi dieci lunghi anni. Mai, per un sol giorno, si era fermata
anche solo
a versare una lacrima. Aveva dedicato la sua vita alla vendetta. Aveva
dedicato
la sua vita alla ricerca della magia. Del potere. Aveva cercato un modo
per
distruggerli. Aveva allenato il suo corpo, già forgiato dai
campi di grano che
sovente coltivava con suo padre, ad armi e combattimento.
- A ogni livido, a ogni
ferita, a ogni caduta si rialzava, ricordando a se stessa quel tempo
che mai
più sarebbe tornato.
- Quante volte aveva
ripetuto a denti stretti, quasi in una fervente preghiera, quel
giuramento di
morte?
- Aveva perso il conto
delle umiliazioni che aveva dovuto sopportare. Ma né fame,
paura, tortura o
minaccia erano riuscite a spezzarla e, infine, contro ogni previsione,
contro
ogni parola, eccola lì, in cima al dirupo, avvolta in una
tunica nera come la
morte, le gambe strette in pantaloni da guerriero, la vita adornata da
una
cinta di pelle che custodiva la sua spada. La leggendaria distruttrice
che
tutti credevano solo una leggenda. Semplice a vedersi, con il manico a
simboleggiare una scheletrica mano, bastava un sol fendente per
scatenare una
luce in grado di spazzar via qualsiasi nemico.
- Era un'arma forgiata
nell'antichità. Nessuno sapeva dove e quando… ma
il tempo l'aveva resa un
racconto, una mera leggenda. I bardi ne decantavano la grazia. La
ferocia.
L'aspetto sinistro. Quella lama rosso sangue che brillava cupamente
poco prima
di risvegliarsi. Chi non avrebbe tremato? Era appartenuta a Gunthur Il
Mietore.
Si narrava che un tempo avesse fermato il più feroce dei
suoi nemici
semplicemente mostrandola. Ridotto in lacrime, in ginocchio come il
più vile
degli schiavi… lo aveva rispedito sulle sue terre, coperto
di vergogna.
- Il tempo di Gunthur,
come tutto, era infine giunto al termine. La sua spada era stata
seppellita con
lui… così si diceva. Ma nessuno era mai riuscito
ad avvicinarsi alla sua tomba
abbastanza da poter scoprire se fosse vero. Aveva scelto come tomba il
cuore
della terra… nelle profondità delle caverne,
circondato da mostri e devastanti
laghi di lava.
- Lei… solo lei era
riuscita in quell'impresa.
- Lo aveva trovato lì, su
quell'altare improvvisato, ormai ridotto a uno scheletro. Aveva pregato
perché
le trasmettesse la sua forza. La sua saggezza. La sua potenza.
- Aveva impugnato quella
spada, lentamente, non osando quasi respirare… era stato
così istintivo fendere
l'aria.
- In un solo istante, la
caverna era andata distrutta e il cielo ammantato di stelle le aveva
dato il
benvenuto. Si era sentita così… potente! Per la
prima volta un sorriso le aveva
curvato le labbra e una risata era risuonata nelle orecchie. La sua
risata. Non
l'aveva riconosciuta in un primo momento. Per quanto suonasse assurdo,
aveva
dimenticato cosa fosse ridere.
- Gli abiti che stava
indossando li aveva scelti in onore di Gunthur. Erano identici ai suoi.
L'unica
concessione alla sua femminilità erano i capelli: li aveva
lasciati sciolti in
onore della donna che avrebbe dovuto essere. Di un passato ormai morto.
- Loro le avevano portato
via tutto…
- La sua bocca si strinse
in una linea dura. Artigliò la mano sinistra sulla spada e,
compiendo un balzo,
in un attimo si ritrovò accolta dalla sabbia. I granelli
volarono tutti intorno
a lei, precipitando poi bruscamente.
- Ignorando ogni cosa, lo
sguardo fermo su quella malsana costruzione, le orecchie tese a captare
ogni
minimo suono, Nyla avanzò imperterrita.
- Si aspettava un'ondata
di mostri… ma niente ostacolò il suo cammino e,
prima che potesse realmente
comprendere che no, non stava sognando, era giunta a destinazione.
- L'oscurità calò. Il
cielo tutto a un tratto sembrava un opale perfetto. Ma così
sinistro che la
stretta intorno alla sua arma diventò convulsa.
- Si guardò nuovamente
intorno. Non giunse nessuno. Non vide porte. Solo archi che
percorrevano
l'intera superficie della struttura. E quella malefica
scalinata… ogni cosa
sembrava intagliata da ossa.
- Con il cuore trepidante
di aspettativa, non attese un sol istante. Liberò la sua
amata spada, così
leggera, così sottile… Nyla sperimentò
nuovamente quella meravigliosa
sensazione… quel movimento… assomigliava a una
danza. Qualcosa di primordiale…
- La lama s'illuminò e
una falce di luce rosso sangue si scagliò con ferocia contro
la torre,
scuotendola fin dalle fondamenta. Si mosse tremando, quasi dovesse
caderle
addosso… infine, tornò al suo posto, al suo
placido silenzio, deridendola.
- Nyla si sentì come se
fosse vittima di un incubo. Non l'aveva nemmeno scalfita.
- Dalla cima della torre,
una luce attirò la sua attenzione. Una stella sembrava
stesse precipitando… e
cadde, sì, davanti a lei, ma non era una stella,
bensì una donna.
- Nyla rabbrividì di
disgusto.
- Indossava una tunica
che le fasciava il corpo color panna. Una profonda scollatura mostrava
la pelle
innaturalmente candida, scalfita da tatuaggi tribali dai vivaci toni
del blu.
- I capelli sembravano
neve… gli occhi innaturalmente illuminati e rossi. I saggi
dicevano che i primi
della loro specie avevano ottenuto quel colore bevendo il loro sangue.
- Anche la creatura aveva
con sé un'arma ma, a differenza di lei, aveva l'espressione
serena di chi non
aveva alcuna intenzione di estrarla.
- «Venir fin qui, con
un'arma che noi stessi abbiam forgiato» mormorò
stupendola. «Che cosa
incredibilmente patetica!»
- A terra.
- Nyla si ritrovò a
terra, incapace di muoversi.
- Urlando, si rialzò e si
preparò a combattere, ma quella maledetta sembrò
leggerle nel pensiero e ogni
colpo fu parato, ogni mossa, ogni fendente non scalfì in
alcun modo quella
maledetta tranquillità.
- Ancora una volta la
lama scattò e colpì il nemico… Nyla si
ritrovò a terra. Una profonda ferita le
lacerava il ventre.
- Cercò invano di alzarsi
ma le forze l'abbandonarono alla sua sorte. Le lacrime le riempirono
gli occhi.
Era così ingiusto… perché doveva
finire così?
- La creatura le si
avvicinò. A passi lenti e misurati prese a osservarla con
indifferenza.
- «So perché sei
qui» le
mormorò. «Io stessa scagliai la
pestilenza» le rivelò senza alcuna traccia di
rimorso.
- Nyla ruggì. Cercò
nuovamente di alzarsi spinta da una furia selvaggia ma, contro ogni
previsione,
fu lei ad avvicinarsi. Le posò una mano sulla fronte.
- «Anche da noi c'è la
condivisione dei ricordi» le rivelò.
- Vide la sua famiglia…
la sua gente… muoversi nel cuore della notte… li
vide afferrare dei ragazzini.
Piccoli mostri dai capelli di ghiaccio e occhi rossi… eppur
così pieni di
terrore…
- Vide la sua gente
artigliare di capelli di una dei mostri… una donna. La vide
urlare. La vide
singhiozzare, invocare pietà… mentre venivano
sgozzati…
- Alcuni erano ancora
vivi, quando erano stati gettati sull'altare. Un sacrificio notturno.
La
veggente, ammantata da una lunga tunica color cremisi, i capelli
raccolti in
una crocchia, si mosse intorno a loro, fredda, spietata, appiccando
infine il
fuoco che per tre giorni e tre lunghe notti non aveva cessato di ardere. Un muro di fiamme che si
era innalzato al
punto da poter essere visibile a distanza.
- Nyla ne era rimasta
così… impressionata…
- Il rito. Il sacrificio.
Era stato compiuto per la prima volta dopo anni interi di pura letizia.
La
veggente aveva detto loro che gli adulti dovevano riunirsi e offrire i
loro
beni più preziosi, se non volevano che la loro ira si
abbattesse su di loro…
- Calde lacrime le
rigarono il volto. Nyla si ritrovò nuovamente nel presente.
Respirava ancora ma
dentro di sé era morta.
- «Quella donna offrì
quel sacrificio per riacquistare ciò che aveva
perduto» le disse la creatura.
«La giovinezza. Non poteva esistere un motivo più
futile» soggiunse.
- Per la prima volta, in
quella irritante calma, Nyla udì una nota di disprezzo.
- «La collana che porti
ti ha protetta» le rivelò. «Il fiore che
toccasti da bambina e trasformasti in
quella pietra è considerato infausto anche da noi. Chiunque
lo tocchi muore, ma
chi sopravvive è destinato a essere protetto.»
- Come se ormai avesse
importanza, pensò lei. Nyla si sentiva svuotata.
- «Ti offro la
possibilità di scegliere. Vivere diventando una di
noi» le disse «o morire.»
- Vivere o morire… pensò
Nyla. In nome di cosa. Per chi?
Fine